rianalisi
Il termine rianalisi abbraccia fenomeni linguistici di varia natura, per lo più in prospettiva diacronica, e con riferimento a livelli d’analisi diversi (morfologia, sintassi). Il termine evidenzia una caratteristica comune ai vari tipi di fenomeni che designa: quella di costituire, da parte del parlante, una ‘reinterpretazione’ di una parola o un costrutto complessi, non giustificata o anche errata sul piano etimologico, spesso consistente in una arbitraria risegmentazione, o guidata da fattori analogici e da etimologie fantasiose (➔ paretimologia; ➔ retroformazioni). Non a caso Gusmani (1981-1983), che pure non fa uso del termine, parla in proposito di falsa analisi (fr. fausse coupure, spagn. falso análisis).
Possono rientrare a vario titolo nella rianalisi, intesa in accezione ampia, alcuni casi ben determinati (cfr. Giannini 2003; Costantini 2005).
(a) Spostamento di confine di morfema (➔ morfologia) e scelta di un altro allomorfo dell’articolo (➔ allomorfi): la + radio femm. → it. popolare l’aradio, probabilmente perché, terminando radio in /-o/ come il 99% dei nomi maschili (➔ maschile; ➔ lessico), con l’allomorfo [l’] si neutralizza il genere (cfr. l’uomo / l’amica).
(b) Agglutinazione (o concrezione) dell’articolo: gr. óstrakon «coccio» > lat. volg. *astrăcu(m), *astrĭcu(m) «pavimento di terracotta» > it. *àstrico, [l’ + *astrico] > lastrico (XIV sec.). Molti ➔ arabismi comportano l’agglutinazione dell’articolo arabo al: ar. al-ǧabr «riduzione» > lat. mediev. algebra > it. àlgebra (XVI sec.); al-Ḫuwārizmī «il Corasmiano», nome di un matematico arabo-persiano del IX secolo originario della Corasmia (regione dell’Asia centrale) > lat. mediev. alchorismus > it. algorismo (XIII sec.) > algoritmo (per attrazione del lat. arithmus, dal gr. arithmós «numero»).
(c) Pseudo-deglutinazione dell’articolo: lat. luscinia femm., variante luscinius masch. > diminutivo *luscinĭŏlu(m) > it. *lusignolo > usignolo con ➔ aferesi per errata segmentazione di l-, percepito come articolo; lat. apis -is «ape» > dim. apĭcŭla(m) > it. *apecchia, [l + *apecchia] > la pecchia «ape» (XIV sec.), con risegmentazione e allomorfo [la] inequivocabilmente femminile.
(d) Risegmentazione con aferesi: lat. sŭbtus «sotto» > lat. volg. *subtāna(m), quale attributo di un nome femminile come fovĕa «buca» > it. *sottana > tana «covo o nascondiglio sotterraneo di animali selvatici», con aferesi di sub- / sot-.
(e) Degrammaticalizzazione: molti prestiti inglesi con -s (marca del plurale in inglese e in spagnolo, non in italiano), diffusi soprattutto al plurale, non vengono percepiti formalmente come plurali, sicché -s rimane anche nelle forme singolari: ingl. marine sing. / marines plur. > it. i marines [i maˈrins] e un marines [un maˈrins]; spagn. mural sing. / murales plur. > it. un murales, i murales; un vigilantes. In qualche caso è la forma al singolare ad essere adoperata anche come plurale invariabile: ingl. fan sing. / fans plur. > it. un fan o un fans, i fans o i fan.
(f) Formazione del singolare muovendo dal plurale (➔ retroformazioni): non pochi sono i casi in cui il plurale /-i/ (< /-ii/) di nomi in /-io/ è rianalizzato per dar luogo a retroformazioni flessive (cfr. Rainer 2004) di singolari in /-o/: microbio sing. (1878) > microbii > microbi plur. da cui il sing. microbo (1896); latticino > latticinii > latticino; battere < batteri < batterio.
(g) Formazione del singolare a partire da un altro singolare: il singolare di nomi in /-i/ può anche essere percepito come morfema plurale e dar luogo ad altri singolari ricostruiti: gr. kústis > lat. mediev. cȳstis, -ĭdis «vescica» > it. cìsti (1778), da cui il nuovo singolare ciste.
(h) Formazione del singolare a partire da lessemi in /-i/: in altri casi la finale in /-i/ è reinterpretata come morfema plurale da cui si ricava il singolare: per es., francone *wai > fr. ant. guai > it. guai!, interiezione, circa 1224 > guaio (seconda metà XIII sec.).
(i) Grammaticalizzazione: la formazione di lessemi grammaticali a partire da morfemi lessicali è il risultato di una rianalisi (➔ grammaticalizzazione): per es., il suffisso -mente, che in italiano forma avverbi, proviene dal lat. mente, nome al caso ablativo: lat. devōtā mente «con mente devota» > it. devotamente, lat. sincērā mente «con mente sincera» > it. sinceramente, lat. libĕrā mente «con mente libera» > it. liberamente (cfr. Sgroi 2004).
(l) Rimorfologizzazione del genere: molti cambiamenti di ➔ genere grammaticale dal maschile (etimologico) al femminile o viceversa sono il risultato di una reinterpretazione dovuta a fattori semantici, dato che l’equivalente italiano è di genere opposto, e/o fonomorfologici della lingua d’arrivo (lessemi in /-o/ in grande maggioranza di genere maschile, in /-a/ in grande maggioranza di genere femminile; Sgroi 2010: cap. 18; ➔ femminile): ted. Anschluss «annessione», masch., in italiano accordato sia al maschile che al femminile; fr. affaire femm. > it. affaire masch., «affare (spec. sporco)»; ingl. e-mail > it. e-mail masch. («messaggio elettronico») o femm. («posta elettronica»), mail femm. («posta elettronica») (Sgroi 2010: cap. 19). A ragioni fonologiche sono dovute le rianalisi del genere etimologico (Sgroi 2009) del tipo di gr. diálektos -ou femm. «idioma» > lat. dialĕctos, -i femm. > lat. tardo dialectus -i > it. dialetto masch.; anche il neutro etimologico può dar luogo in italiano a esiti maschili al sing. e femminili al plur.: lat. fŏlĭu(m) -ii neutro > it. foglio masch. (av. 1313), e lat. tardo fŏlĭa(m), plur. di folium > it. foglia femm. (per la nota generalizzazione a femminile delle terminazioni in -a).
Un caso tipico è costituito dalle vicende del verbo redarre, databile al 1942. È un caso di retroformazione (➔ retroformazioni; cfr. D’Achille 2005), in quanto è ricavato da redatto (part. pass. di redigere), secondo il tipo del participio passato in -atto dei verbi in -arre: astratto → astrarre, attratto → attrarre, contratto → contrarre, distratto → distrarre, estratto → estrarre, tratto → trarre (cfr. Sgroi 2010: cap. 7; ➔ analogia).
Un altro esempio è costituito dai composti con l’elemento formativo -poli, prima col valore di «città» in prestiti e in neoformazioni (➔ neologismi), e a partire dagli anni Novanta del Novecento «scandalo» nelle neoformazioni; -poli «città» era entrato in italiano come componente di ➔ grecismi nel XIII secolo con pentapoli, e poi nel XIV (metropoli), nel XV (propoli), nel XVI (cosmopoli). Nell’Ottocento c’erano stati acropoli (1819), necropoli (1820) e megalopoli (1829). Nel Novecento il -poli si è reso autonomo, dando luogo a neoformazioni come tendopoli (1923), baraccopoli (1961), bambinopoli (1992), paperopoli. La svolta semantica in -poli «scandalo» ebbe luogo con tangentopoli (coniato, a quanto pare, dal giornalista Piero Colaprico su «La Repubblica» del 9 novembre 1991) indicante «la città delle tangenti», cioè nel caso specifico Milano, e poi per estensione ogni «scandalo di tangenti»; il formativo si diffuse ampiamente: affittopoli, calciopoli, fiscopoli, ospedalopoli, partitopoli, ecc. Da qui il recupero di -polis «città, grande centro» con valore descrittivo in composti come Etnapolis. A -poli ha fatto concorrenza il prestito -gate «cancello, porta, passaggio», di Watergate, specializzatosi anch’esso nell’accezione di «scandalo» coi nomi propri Irangate, Camillagate, Monicagate, ecc.
In ambito sintattico il termine ristrutturazione è preferito a rianalisi, per es., per indicare la possibilità di analizzare un enunciato con due predicati (per es., verbo modale o aspettuale o di movimento + infinito) come struttura monofrasale (ausiliare + infinito), anziché come struttura (➔ frasi nucleari), uno con il verbo flesso e l’altro con il verbo all’infinito. In presenza di ➔ clitici, può allora aver luogo la cosiddetta risalita del clitico. Se si considerano i seguenti esempi:
(1) Piera lo vuole / lo comincia a fare, lo ha voluto / lo ha cominciato a fare
(2) Piera vuole / comincia a farlo, ha voluto / cominciato a farlo
si osserva che il primo, prevalente nell’italiano meridionale, è monofrasale, il secondo (preferito nell’italiano settentrionale) bifrasale, senza che si possa indicare una differenza semantica tra i due, non di rado in variazione libera presso lo stesso parlante.
Costantini, Francesco (2005), Spunti per una classificazione dei casi di rianalisi morfologica, in La formazione delle parole. Atti del XXXVII congresso della Società di Linguistica Italiana (L’Aquila, 25-27 settembre 2003), a cura di M. Grossmann & A.M. Thornton, Roma, Bulzoni, pp. 127-135.
D’Achille, Paolo (2005), Retroformazione, in Lessico e formazione delle parole. Studi offerti a Maurizio Dardano per il suo 70° compleanno, a cura di C. Giovanardi, Firenze, Cesati, pp. 75-102.
Giannini, Stefania (2003), Il mutamento morfologico, in Il cambiamento linguistico, a cura di M. Mancini, Roma, Carocci, pp. 89-163.
Grossmann, Maria & Rainer, Franz (a cura di) (2004), La formazione delle parole in italiano, Tübingen, Niemeyer.
Gusmani, Roberto (1981-1983), Saggi sull’interferenza linguistica, Firenze, Le Lettere, 2 voll.
Rainer, Franz (2004), Retroformazione, in Grossmann & Rainer 2004, pp. 493-497.
Sgroi, Salvatore C. (2004), “Morfologi, vi esorto alla storia!” Pseudo-eccezioni nelle regole di formazione degli avverbi in -mente, «Studi di grammatica italiana» 23, pp. 87-190.
Sgroi, Salvatore C. (2009), Per una morfo-etimologia contrastiva, «Incontri linguistici» 32, pp. 197-226.
Sgroi, Salvatore C. (2010), Per una grammatica «laica». Esercizi di analisi linguistica dalla parte del parlante, Torino, UTET.