BIANCHI, Riccardo
Nato a Casale Monferrato il 20 ag. 1854 da Giuseppe, ingegnere del genio civile e poi del genio militare, e da Augusta Negri di Sanfront, ultimato nel 1875 il primo biennio di matematica presso l'università di Bologna, si laureò poi in ingegneria civile presso la R. scuola di applicazione per ingegneri di Torino, ove, nell'anno 1878, divenne assistente di macchine a vapore e ferrovie. Il B., il quale a Bologna dal 1872 al 1875 aveva già alternato gli studi al lavoro in fabbrica presso le Officine Calzoni e il locale deposito locomotive, si recò, a spese del governo, in Inghilterra nel 1879, specializzandosi montatore di macchine presso un'azienda di Greenwich; nel 1880 venne assunto per concorso dalla Società per le strade ferrate dell'Alta Italia.
Il suo impegno nella ricerca di un nuovo apparato di comando per la manovra dei deviatori e dei segnali delle stazioni ferroviarie lo portò nel 1876 all'invenzione del sistema che prese nome da lui e dal Servettaz (l'ingegnere di Savona che mise a disposizione del B. l'officina per costruirlo) e che fu poi sperimentato nel 1886 nella stazione di Abbiategrasso.
L'invenzione, che si prestò a varie applicazioni industriali, e fu largamente adottata all'estero e premiata con medaglia d'oro all'Esposizione universale di Parigi nel 1889, permise di realizzare le operazioni di instradamento dei treni sui binari a mezzo di comandi centralizzati che utilizzavano una forza idrodinamica (poi sostituita agli inizi del Novecento con i primi apparati di comando elettrico), con notevole riduzione dell'impiego di manodopera e con vantaggio della sicurezza del traffico (si devono al B. anche studi sul principio H. G. Magnus, per l'applicazione alla propulsione navale, applicazioni più note per le realizzazioni del tedesco A. Flettner nelle "rotonavi", e una barriera di passaggio a livello, di sicurezza e manovrata a distanza).
Nel 1885 il B. passò alla Società italiana per le strade ferrate del Mediterraneo, una delle tre imprese che ebbero allora in concessione l'esercizio delle reti - Mediterranea, Meridionale e Sicula - in cui si suddivisero le ferrovie italiane (legge 27 apr. 1885, n. 3048).
Durante il periodo successivo il B. ebbe modo di farsi una vasta esperienza, alternando responsabilità tecniche e organizzative ad alcuni incarichi speciali: già in precedenza (1882-1886) aveva prestato assistenza alla gestione degli impianti per le modifiche della zona di Codigoro; nel 1886-87 la sua Società lo destinò a studiare l'organizzazione dei porti europei nella commissione a ciò preposta dal comune di Genova, e nel 1891-92 ebbe parte di rilievo nei lavori della commissione Gadda sui problemi del porto genovese.
Nel 1902 il B., che era a capo del servizio movimento e traffico della rete Mediterranea, divenne direttore della Sicula. Ciò gli permise di dar prova di capacità organizzativa non solo nell'ambito meramente tecnico, ma anche rispetto all'intero, complesso dei problemi di gestione di quell'azienda. Sicché, revocati (1903) i contratti di concessione dell'esercizio ferroviario e sostituita (1905) dal governo Fortis la gestione diretta delle tre reti a mezzo di un'unica impresa di Stato, sulla base di questi suoi precedenti il B. venne nominato direttore generale delle Ferrovie dello Stato (27 apr. 1905), in esecuzione, tra l'altro, di un espresso desiderio di Giolitti.
I problemi che si ponevano all'avvio dell'esercizio di Stato, oltre a quelli inerenti all'aumento del traffico - comuni a tutte le ferrovie europee in una fase di accelerato sviluppo industriale - e a quello del coordinamento delle varie reti sotto un'unica gestione tecnica ed amministrativa, riguardavano l'adeguamento delle attrezzature alla necessità dei traffici, problema particolarmente trascurato dalle società concessionarie, anche in relazione all'incertezza circa l'intenzione dello Stato di por fine o meno alle gestioni private. Si aggiunga l'irrisolto problema d'una organica soluzione dei problemi salariali delle maestranze, nonché tra il 1905 e il 1906 il crearsi di situazioni d'emergenza a seguito del terremoto in Calabria, delle alluvioni sulla costa ionica e dell'eruzione del Vesuvio.
Il B. ebbe cura di affrontare i problemi del personale, avviando una politica di miglioramenti salariali, congiuntamente ad un riassetto gerarchico e diversificato delle funzioni e delle retribuzioni; avvalendosi del fatto che l'ordinamento dell'azienda statale gli conferiva poteri non diversi da quelli che nei rapporti di lavoro spettavano al capo di una qualsiasi azienda privata, s'ispirò ad estrema severità nel punire atti di indisciplina: per questo e per la sua opposizione di principio alla libertà di sciopero da parte degli addetti ai servizi pubblici, le organizzazioni operaie gli furono, in alcuni momenti, particolarmente ostili e si opposero alle iniziative dirette a definire un particolare stato giuridico dei ferrovieri.
Il B. predispose un piano pluriennale per l'unificazione, il rinnovamento e l'ampliamento delle attrezzature, attuato nel volgere di un decennio, con dotazioni finanziarie che furono pari, nel periodo 1905-1915, a circa 1.500, milioni di lire correnti. Fin dal primo esercizio avviò il rinnovo del materiale rotabile e di trazione con l'ordinazione di ben 567 locomotive, 20.263 carri merci e 1.244 carrozze, attenendosi al principio, sancito dalla legge, di riservare le commesse a industrie nazionali, nonostante le critiche e le opposizioni mossegli, particolarmente per l'azione di accaparramento degli ordini che alcune imprese fecero al di là delle proprie capacità produttive. Soltanto 24 locomotive vennero ordinate a una ditta tedesca e altre 50 acquistate già usate in Inghilterra per far fronte a esigenze immediate. L'intensa e autonoma attività di progettazione promossa dal B. sopperì alle insufficienze delle imprese private, il cui sviluppo anzi, e particolarmente nel campo delle costruzioni elettromeccaniche, venne in tal modo stimolato e agevolato. Nel campo della trazione elettrica, in particolare, studi e progetti d'avanguardia furono la premessa di un vero e proprio piano di elettrificazioni e portarono alla adozione del sistema di trazione a corrente alternata trifase sulle linee liguri e piemontesi, alla soluzione dei problemi della circolazione sui valichi dei Giovi e del Cenisio e alla dotazione, nel 1914, di ben 140 locomotive elettriche. Con la sovrintendenza personale del B., vennero impostati e realizzati i piani per la costruzione di grandi scali ferroviari e vennero installati i primi apparati elettrici di manovra e segnalamento. La pubblicazione, inoltre, della Rivista tecnica delle Ferrovie dello Stato, la divulgazione dei risultati delle ricerche e delle esperimentazioni (facenti capo ai centri di Roma e di Firenze) e l'elaborazione di un rapporto annuale sull'attività dell'amministrazione vennero a completare l'organica attività propulsiva del Bianchi.
Il B. si avvalse dei poteri assicurati dalla legge alla sua carica di direttore generale per organizzare in breve tempo un ente pubblico dotato di larga autonomia, amministrativa e finanziaria, con un proprio bilancio non soggetto ai normali controlli da parte dello Stato, non ritenuti adatti ad un'impresa destinata a svolgere un'attività economica.
Le caratteristiche dell'azienda, assai vicine a quelle di un moderno organismo privato di produzione industriale, indicate dalla legge 22 apr. 1905n. 137, elaborata dal ministro C. Ferraris, successiva a precedenti proposte dell'on. E. Tedesco, vennero definitivamente sancite dalla legge organica del 1907, la quale accolse l'assetto dato dal B. alle Ferrovie dello Stato dopo i primi esperimenti, con il risultato di accentuare l'autonomia dell'ente nell'ambito dell'ordinamento amministrativo vigente e i poteri del direttore generale all'interno dell'azienda. Il direttore generale veniva ad assumere la posizione di vero e unico capo dell'azienda ed era posto in diretto rapporto con il ministro dei Lavori Pubblici, mentre l'operato della sua amministrazione era assoggettato a forme di controllo indiretto assai semplificate. Tale formula istituzionale veniva incontro alla natura imprenditoriale dell'esercizio e premuniva la direzione dell'azienda da interferenze politiche.
In realtà il problema dell'autonomia dell'azienda, dei controlli sulla sua gestione e dei rapporti con le altre amministrazioni dello Stato fu ancora, in seguito, oggetto di discussioni, di polemiche, anche vivaci, e di proposte, in Parlamento e tra l'opinione pubblica.
Nel 1911 una commissione consultiva per la riforma dell'ordinamento delle Ferrovie dello Stato venne incaricata di esaminare la questione, e da parte governativa venne anche predisposto un progetto di legge che istituiva un ministero delle Ferrovie, ispirato dallo stesso B., il quale si preoccupava di far salva e accentuare l'autonomia dell'azienda. Più tardi, al termine della gestione del B., venne istituita una commissione parlamentare per l'esame del riordinamento e del funzionamento delle Ferrovie, presieduta dall'on. Chimirri; e nel dopoguerra lo stesso B. presiedette al Senato una apposita commissione di vigilanza sull'amministrazione ferroviaria.
Nel 1923 Einaudi (Corriere della Sera, 9agosto), che pure era stato uno dei critici più severi dell'opera del B., doveva osservare "che quello che i parlamentaristi, punti di non ottenere soddisfazioni alle loro lettere, chiamarono il Vaticano ferroviario del Sen. Riccardo Bianchi, ossia l'autonomia del governo ferroviario dall'ingerenza legislativa, è una condizione assoluta di vita dell'impresa".
La polemica sulla gestione dell'esercizio ferroviario verteva d'altra parte sui suoi modesti risultati economici; infatti, nonostante l'espansione e l'efficienza tecnica raggiunta, il prodotto netto dell'azienda continuò a diminuire. Onde critiche numerose, come quella appunto dell'Einaudi, che nel 1915 aveva accusato il B. di avere una ferma concezione dell'autonomia "amministrativa" dell'azienda, ma non della sua necessaria e corrispondente autonomia "economica" (Corriere della Sera, 27 gennaio). A queste critiche il B. ed altri ribattevano affermando che nel giudicare i risultati dell'esercizio ferroviario occorreva tener conto dei servizi, non direttamente valutabili, resi dalle ferrovie all'economia e alla collettività.
Verso il 1914 alle polemiche riferite si aggiunsero l'ostilità contro il B. delle organizzazioni operaie, e il venir meno, col ritiro del Giolitti, della fiducia in lui riposta dal governo. Sicché una polemica con il presidente del consiglio Salandra, seguita ad una ondata di critiche che giudicavano lenta l'azione delle Ferrovie nelle operazioni di soccorso alle popolazioni della Marsica colpite dal terremoto convinsero il B. alle dimissioni, che vennero accettate il 24 genn. 1915.
Nel 1916 il B. collaborò dapprima con il generale Dall'Olio nel settore del munizionamento di guerra e fu poi nominato, il 2 febbr. 1917, commissario generale per i carboni esteri, incarico, quest'ultimo, di particolare rilievo nel quadro delle esigenze belliche, ma che non diede tuttavia i risultati sperati per la limitatezza dei poteri a lui conferiti (cfr. Corriere della sera, 22 genn., 5 febbr. e 29 marzo 1917).
Neanche la nomina del B. a ministro dei Trasporti marittimi e ferroviari, avvenuta il 16 giugno 1917, gli poté assicurare le condizioni per un'azione più efficace ed autonoma. Egli continuò a disporre di poteri limitati, mancò della necessaria autorità politica in seno al gabinetto e venne quasi subito a contrasto con il ministro del Tesoro Nitti, il quale tendeva in quel momento a svolgere un ruolo primario ed esclusivo nel coordinare, secondo proprie vedute, le iniziative ritenute più opportune per far fronte alla mancanza di combustibile e alla carenza dei trasporti. Il contrasto tra Nitti e il B. si aggravò nella seconda metà del 1917 e all'inizio del 1918.
Il Nitti proponeva l'utilizzazione su vasta scala delle ligniti nazionali, contro l'opinione del B., che era propenso a proseguire nella tradizionale direttiva dell'importazione di carbone estero; contestava al ministro dei Trasporti di non predisporre un piano organico di spesa e, nello stesso tempo, ritardava una sollecita conclusione delle iniziative adottate dal B. per far fronte a esigenze immediate con l'acquisto di carri all'estero; indagava su talune deficienze delle ferrovie destando i sospetti e le reazioni del collega; infine, all'inizio del 1918, mentre esprimeva in Consiglio dei ministri dei giudizi negativi sull'operato del B., decideva di concludere le trattative, avviate per proprio conto, per l'assegnazione di una commessa di 7000 carri, a condizioni particolarmente onerose per lo Stato, ad alcune imprese italiane guidate dal gruppo Perrone-Ansaldo. Lo stesso gruppo Perrone Ansaldo e gli ambienti nittiani alimentavano nel frattempo una campagna di stampa contro il B., di cui denunciavano anche i rapporti con personalità che, nel clima di diffidenza e di sospetto di quel momento, erano segnalate come legate per ragioni di amicizia e di interessi ad ambienti definiti "pangermanisti" e filotedeschi.
Nel frattempo il B., da parte sua, cercava di difendersi dalle accuse di Nitti; faceva proposte per costruzioni di carri da parte di industrie italiane e per acquisti all'estero; si assicurava la collaborazione delle altre amministrazioni per fronteggiare la situazione; protestava per essere stato escluso dalle trattative con gli industriali; e, venendo incontro alle richieste di Nitti, proponeva un piano pluriennale di spese per circa 1800 milioni di lire per il potenziamento delle Ferrovie, a continuazione di quello attuato sino al 1915.
In realtà, il contrasto trovava origine nel disegno nittiano del potenziamento di alcune industrie italiane e della utilizzazione di risorse interne anziché ricorrere ad acquisti all'estero. Il Nitti proseguì nelle sue iniziative, forte anche dell'appoggio che, sostanzialmente, gli veniva dal presidente del Consiglio Orlando; al B. non restò che dimettersi, il 14 maggio, denunciando "contrarietà intenzionali che immobilizzano tutta l'amministrazione"; fu sostituito dall'on. Villa, un parlamentare del gruppo nittiano.
L'attività pubblica del B. continuò al Senato, di cui faceva parte, per la quinta categoria, fin dal 26 giugno 1917, cioè dall'indomani della sua nomina a ministro, dopo che una proposta di nomina a senatore dal febbraio precedente non aveva incontrato sufficiente favore; fu presidente della commissione Finanze del Senato e segretario della commissione di vigilanza sulla amministrazione ferroviaria, che venne poi soppressa nel 1923.
Non trascurò occasione tra il 1920 e il 1923 per studiare i problemi inerenti ai servizi ferroviari, con un esame delle cause del disavanzo e le proposte di una politica che doveva opporre resistenza alle rivendicazioni salariali, contrastare gli scioperi, ridurre il personale esuberante, dare un assetto retributivo che ristabilisse la gerarchia salariale dell'anteguerra e congegnare una politica delle tariffe atta ad aumentare gli introiti.
Il B. aderì prontamente al fascismo, non occupando, tuttavia, nel nuovo regime incarichi di rilievo, e limitandosi ad essere talora consigliere del governo in materia ferroviaria e ad approvare l'attività governativa nelle relazioni al Senato sul bilancio del ministero delle Comunicazioni. Da parte di alcune personalità del partito e del governo gli vennero invece tributati calorosi riconoscimenti, in considerazione anche del favore con cui giudicò la riforma ferroviaria, ritenuta in quegli anni come un successo del regime fascista.
Fin dal 1915, dopo l'abbandono della direzione delle Ferrovie dello Stato, il B. ricoprì delle cariche nei consigli di amministrazione di società private: fu consigliere per il Credito italiano, la Società elettricità e gas di Roma (e nel 1925 presidente), la Società per il carburo di calcio, la Terni, la Società elettrica del Valdarno e, per un breve periodo, presidente per la Società per le strade ferrate del Mediterraneo e le Ferrovie del Nord di Milano.
Il B. morì a Torino il 4 nov. 1936, dopo che nel luglio precedente aveva ricevuto l'omaggio di coloro che, numerosi, in Italia e all'estero, celebrarono il cinquantennio della sua invenzione (il sistema idrodinamico Bianchi-Servettaz) e il suo ottantesimo compleanno.
Fonti e Bibl.: Per i dati biografici del B., cfr. il Boll. delle Comunicaz. del Collegio degli Ingegneri ferroviari ital., giugno 1917; la Rivista tecnica delle Ferrovie italiane, febbraio 1915, febbraio e giugno 1917, gennaio 1937, e i vari necrologi sulla stampa italiana; cfr. inoltre Il cinquantenario delle Ferrovie dello Stato, Roma 1955; E. Lo Cigno,Un grande ingegnere: R. B., in La Gestione di Stato delle Ferrovie Italiane (1905-1955). Monografie, Roma 1956.
Sull'opera del B. a capo delle Ferrovie dello Stato, cfr. la Relazione sull'andamento dell'Amministraz. delle Ferrovie dello Stato dall'esercizio 1905-1906 all'esercizio 1914-15, e particolarmente quella relativa all'esercizio 1913-14; gli atti delle commissioni citate nel testo, presiedute dal Finali (Roma 1912) e Chimirri (Roma 1917); la monografia sulle Ferrovie di C. F. Ferraris in Cinquant'anni di vita italiana, I, Milano 1911; gli articoli di L. Einaudi, ora in Cronache economiche e politiche di un trentennio, IV-VI, Torino 1961-63,ad Indices; Archivio Centrale dello Stato,Carte Giolitti,Fondo Cavour, b. 6, fasc. 15/4; b. 15, fasc. 23/D; b. 38, fasc. 161/A-B; Ibid.,Verbali del Consiglio dei Ministri, aprile 1905; Ibid.,Atti della Presidenza del Consiglio, anno 1906; Dalle carte di G. Giolitti. Quarant'anni di politica italiana, III, a cura di C. Pavone, Milano 1962, pp. 19, 46, 98, 121, 221.
Sul B. commissario generale ai Carboni esteri e ministro dei Trasporti Marittimi e Ferroviari cfr., particolarmente, gli articoli di L. Einaudi, in Cronache economiche..., IV,ad Indicem; la documentazione archivistica, presso l'Archivio Centrale dello Stato, delle Carte Nitti, Iversamento, scat. 2, fase. 2, e II versamento, b. 15; Ibid.,Atti della Presidenza del Consiglio, 1917, b. 462; 1918, b. 480; O. Malagodi,Conversazioni sulla guerra 1914-1918, Milano 1960 pp. 329-341,passim; ilgiudizio di A. Monticone,Nitti e la grande guerra (1914-1918), Milano 1961, pp. 237-44,passim. Per altre notizie biografiche sul B. si possono utilmente consultare: Una parola di giustizia, in Boll. dell'Unione dei funzionari delle Ferrovie dello Stato, 18 luglio 1915; C. Ciano,Dieci anni di attività al Ministero delle Comunicazioni, Roma 1934, pp. 35, 77 s., 148 s.; G. Pacetti,Origini e sviluppo degli impianti di apparati centrali in Italia con speciale riguardo al sistema idrodinamico, in Riv. tecnica d. Ferrovie Ital., XXIV (1935), n. 5, pp. 332 ss.; A R. B. nel cinquant. della sua grande invenz., ibid., XXV(1936), n. 1, p. 4; N. G., necrol.,ibid., XXVI(1937), n. 1, pp. 1-7; S. Crespi,Alla difesa d'Italia, Milano 1938, pp. 3, 14, 15, 28, 55; F. Taiani,Storia delle Ferrovie Italiane, Milano 1939, p. 128; Collegio naz. ingegneri ferroviari,I tecnici nei cento anni delle Ferrovie Italiane (1839-1939), Firenze 1940, pp. 52, 56; G. Giolitti,Memorie della mia vita, Milano 1944, p. 197; L. Jannattoni,Dalla Bajard all'ETR 300, Roma 1961, p. 49.