Richiesta di archiviazione e poteri del giudice
Esorbita dai poteri del giudice sia l’ordine d’imputazione coatta emesso nei confronti di persona non indagata, sia quello nei confronti dell’indagato per reati diversi da quelli per i quali è richiesta l’archiviazione.
Il codice di rito penale prevede, in antitesi all’esercizio dell’azione, la formulazione della richiesta di archiviazione, rivolta dal p.m. al giudice (art. 50 c.p.p.); a presidio del principio di obbligatorietà dell’azione penale (art. 112 Cost.), sono stati prestabiliti i casi nei quali è possibile procedere all’archiviazione (artt. 408, 411, 415 c.p.p.; 125 disp. att. c.p.p.) e, oltre le verifiche interne all’ufficio del p.m. (avocazione ex art. 412 c.p.p.) e le prerogative riconosciute alla persona offesa (410 c.p.p.), si è provveduto ad attribuire al giudice poteri di controllo sull’operato dell’organo inquirente che rinunci ad esercitare l’azione penale, obiettivo raggiunto mediante l’art. 409 c.p.p.
Come affermato dalla Corte costituzionale:
i) «il principio di obbligatorietà dell’azione penale esige che nulla venga sottratto al controllo di legalità effettuato dal giudice»;
ii) azione penale obbligatoria non significa consequenzialità automatica tra notizia di reato e processo, né dovere del p.m. di iniziare il processo per qualsiasi notitia criminis, in quanto, «limite implicito alla stessa obbligatorietà, razionalmente intesa, è che il processo non debba essere instaurato quando si appalesi oggettivamente superfluo »;
iii) «il problema dell’archiviazione sta nell’evitare il processo superfluo senza eludere il principio di obbligatorietà ed anzi controllando caso per caso la legalità dell’inazione»1.
Se, tuttavia, conforme a Costituzione è l’attribuzione al giudice del potere di controllo, problematica è l’individuazione dei limiti di esso, in quanto il suddetto principio costituzionale non è l’unico ad assumere rilievo in materia: invero, l’art. 112 Cost., oltre a stabilire il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, prevede che l’esercizio della medesima spetti al p.m. ed, inoltre, l’art. 111 Cost., co. 2, sancisce il principio della terzietà del giudice, già prevista a livello sovranazionale dall’art. 6 CEDU.
Il punto di equilibrio tra la verifica giudiziale della legalità dell’inazione, imposta dal citato principio, da un lato, e la regola ne procedat iudex ex officio, volta a tutelare l’esclusiva titolarità dell’azione in capo al p.m. ed, al contempo, la terzietà del giudice, dall’altro, è assicurata dall’attribuzione a quest’ultimo dei poteri contemplati dai co. 4 e 5 dell’art. 409 c.p.p. che, rispettivamente, consentono di indicare ulteriori indagini e di ordinare la formulazione della imputazione, secondo modalità e limiti degni di approfondimento.
In dottrina, voci non isolate reputano le prerogative attribuite al giudice dall’art. 409 c.p.p. suscettibili di creare «un accentuato squilibrio tra regole accusatorie e architettura processuale»2, laddove altre3, pur consapevoli che i poteri de quibus costituiscono un profilo problematico con riguardo ai principi della separazione delle funzioni e del processo di parti, ritengono la previsione coerente con il disegno costituzionale ovvero opinano che nel caso di cui al co. 5,
comunque, non vi sia violazione del principio ne procedat iudex ex officio, non ponendo esso una deroga al monopolio requirente4.
La giurisprudenza costituzionale ha: ritenuto costituzionalmente legittimi i poteri del giudice ex art. 409 c.p.p. sul presupposto della sottoposizione al controllo di legalità dell’attività del p.m. alla luce del principio dell’obbligatorietà dell’azione penale; chiarito che detto controllo si estende all’intera materia oggetto delle indagini e non è circoscritto ai confini tracciati dalla notitia criminis come delibata dal p.m.; stabilito che, nell’ipotesi in cui non ritenga di poter accogliere la richiesta di archiviazione, il giudice ha sempre il potere di ordinare l’iscrizione nel registro degli indagati delle persone cui il reato sia attribuibile5.
La giurisprudenza di legittimità, sul presupposto che le disposizioni dell’art. 409 c.p.p., co. 4 e 5, c.p.p. «devono formare oggetto di interpretazione estremamente rigorosa, al fine di evitare qualsiasi ingerenza dell’organo giudicante nella sfera di autonomia della pubblica accusa», osserva: che il provvedimento del g.i.p. che contestualmente ordini al p.m., rispetto a persona non sottoposta ad indagini, l’iscrizione nel registro delle notizie di reato e la formulazione dell’imputazione coatta, è abnorme quanto al secondo profilo, derivandone «una indebita ingerenza del giudice nei poteri dell’organo inquirente, non solo di indagare, a tutto campo, nei confronti della persona non contemplata nella richiesta di archiviazione, ma soprattutto di adottare autonome determinazioni all’esito delle indagini» nonché una lesione dei diritti di difesa, non essendo la persona estranea alle indagini destinataria dell’avviso ex art. 409 c.p.p.; che il g.i.p. non può, inoltre, disporre l’imputazione coatta qualora ravvisi a carico dell’indagato fatti costituenti reato diversi da quelli per i quali è stata formulata la richiesta di archiviazione, dovendosi in tale ipotesi il giudice limitare ad ordinare le relative iscrizioni nel registro di cui all’art. 335 c.p.p.6.
L’approdo cui è pervenuta la giurisprudenza di legittimità costituisce un punto di equilibrio soddisfacente tra i poteri di controllo del giudice e le prerogative del p.m., che, tuttavia, presenta taluni aspetti problematici con riguardo al profilo delle garanzie per l’indagato.
È ben vero, come affermato dalle Sezioni Unite, che «l’ordine di imputazione coatta nei confronti di un soggetto non sottoposto ad indagini ne determina una lesione dei diritti di difesa, non essendo questi destinatario dell’avviso ex art. 409 c.p.p., co. 1, e non avendo partecipato all’udienza camerale, con la conseguente discovery delle risultanze delle indagini»; tuttavia, non assimilabile a questa è la posizione dell’indagato destinatario della richiesta di archiviazione per reato diverso da quello ravvisato dal giudice, in particolare allorché il g.i.p. si limiti a diversamente qualificare i medesimi fatti storici oggetto della richiesta di archiviazione del p.m.
La generalizzata applicazione dell’ordine di procedere alle iscrizioni nel registro ex art. 335 c.p.p. per ogni nuovo reato individuato dal giudice – quand’anche riguardante il medesimo soggetto e lo stesso fatto storico negativamente scrutinato dal p.m. quanto alla sua fondatezza ma sulla base di una errata qualificazione giuridica – ed, al contempo, la radicale preclusione alla formulazione dell’imputazione coattiva comportano l’effetto dello svolgimento di nuove indagini anche quando le stesse appaiano superflue, con conseguente protrazione dei tempi del processo in contrasto con il principio della ragionevole durata dello stesso (art. 111, co. 2, Cost.).
Ne deriva che, nei casi nei quali le indagini appaiano complete e vi siano dissenzienti opinioni esclusivamente sulla qualificazione di un fatto storico attribuito all’indagato (e conseguentemente circa la promovibilità dell’azione penale) tra p.m. e giudice, sembrerebbe preferibile, secondo la stessa prospettiva di tutela della posizione dell’indagato, che il giudice ordini senz’altro l’imputazione coattiva, previa rappresentazione all’indagato dell’eventualità di una diversa qualificazione giuridica del fatto e concessione di un termine per apprestare la difesa (anche alla luce della regola di sistema espressa dalla Corte europea dei diritti dell’uomo7, ritenuta conforme al principio statuito dall’art. 111, co. 2, Cost.8).
1 Così C. cost., 15.2.1991, n. 88, in Cass. pen., 1991, II, 211 ss.
2 Tranchina, G., Ruoli naturali ed innaturali del giudice nel nuovo processo penale, in Indice pen., 1989, 615; nonché Carulli, N., Dell’archiviazione e delle prove, Napoli, 1989, passim; Diddi, A., Il dissenso del g.i.p. dalla richiesta di archiviazione tra configurabilità del conflitto e problemi di costituzionalità, in Giust. pen., 1991, II 225; Ferraiuoli, M., Il ruolo di garante del giudice per le indagini preliminari, Padova, 1993; Giarda, A., Ricordo del giudice inquirente o esigenze di simmetria sistematica?, in Riv. it. dir. proc. pen., 1990, II, 1166.
3 Spangher, G., L’imputazione coatta: controllo o esercizio dell’azione penale, in Fumu, G., coordinato da, Le riforme complementari. Il nuovo processo minorile e l’adeguamento dell’ordinamento giudiziario, Padova, 1991, 143 ss.; Grevi, V., Funzioni di garanzia e funzioni di controllo del giudice nel corso delle indagini preliminari, in AA.VV., Il nuovo processo penale. Dalle indagini preliminari al dibattimento, Milano, 1989, 15 ss.
4 Cordero, F., Procedura penale, Milano, 2000, passim.
5 C. cost. n. 88/1991 e C. cost., 30.12.1993, n. 478.
6 Cass. pen., S.U., c.c. del 28.11.2013, n. 4319 del 2014, in CED Cass., rv. 257787.
7 C. eur. dir. uomo, 11.12.2007, Drassich c. Italia.
8 Cass. pen., sez. VI, 11.12.2008, n. 45807, Drassich, in CED Cass., rv. 241754.