Abstract
Viene esaminata la domanda proposta dal convenuto nei confronti dell’attore o di altro convenuto in un processo civile già pendente, presa in considerazione in modo espresso dall’art. 36 c.p.c. che disciplina altresì le conseguenti modifiche della competenza. Viene anche analizzato il rapporto, di compatibilità o incompatibilità, tra domanda principale e riconvenzionale e le conseguenze sullo svolgimento del processo.
Viene qualificata riconvenzionale la domanda proposta dal convenuto nei confronti dell’attore in un processo civile già pendente. Conosciuto sia nel diritto romano classico che nel periodo intermedio, l’istituto ha sovente incontrato limiti di ammissione nel processo, spesso evidenziandosi la necessità di una relazione tra la causa introdotta nel processo in via riconvenzionale e l’oggetto della domanda principale (per riferimenti v. Tarzia, G.-Balbi, C.E., Riconvenzione - dir. proc. civ., in Enc. dir., XL, Milano, 1989, 665 ss.). Alla nozione di domanda riconvenzionale si affianca così l’istituto della “causa riconvenzionale”, espressamente considerato dalla rubrica dell’art. 36 c.p.c. che individua, sulla scorta della dizione letterale della disposizione, la causa avente ad oggetto una situazione giuridica connessa secondo le modalità in tale disposizione previste.
Il termine riconvenzionale esalta in particolare la forma incidentale di proposizione della domanda giudiziale nei confronti di un soggetto che abbia già la qualità di parte e comporta, da un punto di vista procedimentale, la non necessità di indicare gli elementi della vocatio in ius nell’atto di parte che la contiene (comparsa o memoria: v. infra, § 3).
Tradizionalmente annoverata tra gli strumenti a disposizione del convenuto per realizzare la sua attività difensiva, con la domanda riconvenzionale egli va in realtà oltre la richiesta di rigetto della domanda principale e, a differenza di quanto avviene a seguito della proposizione di una mera difesa o di una eccezione, determina un’estensione dell’oggetto del giudizio, superando i limiti fissati dalla domanda principale e facendo sorgere in capo al giudice un dovere decisorio anche sulla pretesa relativa al diritto azionato in via riconvenzionale (con la conseguenza che essa deve essere decisa con efficacia di giudicato anche se sia dichiarata inammissibile la domanda principale: Cass., 29.1.2004, n. 1666). Per effetto di tale allargamento oggettivo del processo, esso diviene cumulativo e il diritto fatto valere dal convenuto, come meglio si vedrà, può porsi in rapporto di compatibilità o di conflitto con quello dell’attore. Si ammette la possibilità per il convenuto di proporre la domanda riconvenzionale subordinata all’accoglimento della domanda dell’attore, nel caso di rigetto dell’eccezione di infondatezza di tale domanda proposta in via principale (v. Cass., 21.1.2014, n. 1123; Cass., 1.3.2013, n. 5135).
Vengono qualificate riconvenzionali anche le domande proposte da un convenuto – o dal terzo chiamato: v. l’art. 271 c.p.c. – contro altro convenuto (cd. riconvenzionale impropria o trasversale). Alla nozione viene ricondotta pure la domanda proposta dall’attore nei confronti dell’originario convenuto (cd. reconventio reconventionis), espressamente contemplata dall’art. 183, co. 5, c.p.c. e proponibile nel corso della prima udienza di trattazione, subordinatamente al requisito della consequenzialità rispetto alla domanda riconvenzionale o alle eccezioni proposte dal convenuto (v., già prima delle modifiche introdotte con la l. 14.5.2005, n. 80, poi modificata dalla l. 28.12.2005, n. 263, Vullo, E., La domanda riconvenzionale, Milano, 1995, 317 ss.; Cass., 13.5.1993, n. 5460; Cass., 6.5.1980, n. 2973). Appare invece improprio ricondurre al genere delle riconvenzionali le domande, pur proposte nella pendenza di un giudizio, dirette nei confronti di soggetti terzi, che non abbiano cioè ancora assunto la qualità di parte, come le domande proposte per il tramite delle chiamate in causa dei terzi ex artt. 106 e 107 c.p.c. (cfr. Consolo, C., Spiegazioni di diritto processuale civile, I, Le tutele: di merito, sommarie ed esecutive, Torino, 2012, 237; ma v. Tarzia, G.-Balbi, C.E., Riconvenzione, cit., 670, nt. 47 e 48). Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, può proporre domande riconvenzionali solo l’opponente nella sua posizione sostanziale di convenuto e non anche l’opposto che incorrerebbe nel divieto di proporre domande nuove (v. Cass., 28.7.2017, n. 18863), tranne quando, per effetto di una riconvenzionale proposta dall’opponente, la parte opposta venga a trovarsi nella posizione processuale di convenuto (Cass., 4.10.2013, n. 22754 che conseguentemente qualifica tale domanda come reconventio reconventionis; Cass., 23.9.2011, n. 19487).
La domanda riconvenzionale si inserisce incidentalmente in un processo già pendente ed è rivolta contro un soggetto – l’attore o altro convenuto – che è già parte di tale processo. Per tale ragione la legge deroga il disposto di cui agli artt. 163 e 414 c.p.c., e consente che la formulazione della domanda riconvenzionale (comunque trascrivibile ai sensi degli artt. 2652 e 2653 c.c.), pur dovendo essere effettuata in modo chiaro ed inequivoco, non avvenga con un autonomo atto di citazione da notificarsi alla controparte (o con ricorso), bensì con una semplice comparsa. In particolare, nel processo ordinario di cognizione, il convenuto ha l’onere di proporre la domanda riconvenzionale a pena di decadenza (rilevabile d’ufficio dal giudice, indipendentemente dall’atteggiamento processuale della controparte: Cass., 2.3.2007, n. 4901; Cass., 6.10.2005, n. 19453; Cass., 27.5.2005, n. 11318) con la comparsa di risposta all’atto di una costituzione tempestiva, ossia con comparsa depositata in cancelleria almeno venti giorni prima dell’udienza di comparizione fissata nell’atto di citazione (artt. 167 e 171, co. 2, c.p.c.); quindi il convenuto che si costituisce tardivamente perde il potere di proporre domanda riconvenzionale (analoga disciplina è prevista dall’art. 702 bis c.p.c. – seppure con termini di costituzione dimidiati – nel procedimento sommario di cognizione). Detta comparsa va semplicemente depositata in cancelleria ai sensi dell’art. 170, co. 4, c.p.c. tranne quando la domanda riconvenzionale sia proposta nei confronti della parte contumace, nel qual caso l’atto che la contiene deve essere notificato personalmente a quest’ultima (art. 292 c.p.c.), che è la sola legittimata ad eccepire l’eventuale omissione (Cass., 17.6.2010, n. 14625; Cass., 25.2.2004, n. 3817; Cass., 28.8.1997, n. 8160). La comparsa dovrà pertanto contenere gli elementi che integrano l’editio actionis della domanda in esame ma non anche la vocatio in ius, essendo l’attore già costituito nel processo o comunque già giuridicamente parte di esso; conseguentemente nel co. 2 dell’art. 167 c.p.c. viene presa in considerazione la sola ipotesi di nullità della domanda riconvenzionale per vizi afferenti alla editio actionis.
Anche la riconvenzionale proposta da un convenuto contro altro convenuto è assoggettata al regime preclusivo di cui all’art. 167, co. 2, c.p.c. (Cass., 16.3.2017, n. 6846; Cass., 12.11.1999, n. 12558 e v. già Cass., 13.5.1993, n. 5460), negandosi di conseguenza la necessità di avvalersi del meccanismo di spostamento dell’udienza previsto dall’art. 269 per la chiamata in causa del terzo (Trib. Varese, 1.7.2010, in Giur. it., 2011, 1866; Cass. n. 12558/1999, cit.; contra, Trib. Torino, 16.3.1999, in Giur. it., 1999, 2290, con nota di A. Ronco; in dottrina, per l’applicabilità dell’art. 167, co. 2, c.p.c. Mandrioli, C.-Carratta, A., Diritto processuale civile, II, Il processo ordinario di cognizione, Torino, 2015, 45, nt. 105; Vullo, E., La domanda proposta da un convenuto contro l’altro: condizioni di ammissibilità, termini e forme, in Giur. it., 2002, 1778 ss., che però nega che le condizioni di ammissibilità di questa domanda siano quelle della riconvenzionale).
Nel rito del lavoro sussiste una analoga decadenza con riferimento alla memoria difensiva di cui all’art. 416 c.p.c. ma, in considerazione della diversa struttura della fase introduttiva rispetto a tale fase nel processo ordinario di cognizione, l’art. 418 c.p.c. prevede che il convenuto deve, con istanza contenuta nella memoria contenente la riconvenzionale, a pena di decadenza da quest’ultima, chiedere al giudice che, a modifica del decreto di cui all’art. 415, co. 2, c.p.c., pronunci un nuovo decreto per la fissazione dell’udienza che deve essere notificato all’attore, a cura dell’ufficio, unitamente alla memoria difensiva, entro dieci giorni dalla data in cui è stato pronunciato.
Essendo domanda nuova, la riconvenzionale non è proponibile nel giudizio d’appello.
Con riferimento allo ius postulandi, la dottrina reputa che la procura rilasciata per resistere alla domanda conferisca al difensore del convenuto anche il potere di proporre domande riconvenzionali, senza che sia necessario, a tal fine, il conferimento di un apposito mandato (v., anche per riferimenti, Vullo, E., La domanda riconvenzionale, cit., 564; Evangelista, S., Riconvenzionale - domanda, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1991, 4); la giurisprudenza specifica anche che tale potere è limitato a quelle domande riconvenzionali che risultino comunque ricollegabili con l’originario oggetto della causa (Cass., 7.7.2006, n. 8207; Cass., 7.4.2000, n. 4356; Cass., 11.5.1998, n. 4744; mentre quelle volte ad introdurre una nuova e distinta controversia necessitano di un mandato ad hoc: Cass., 7.2.1995, n. 1393).
Il legislatore tratta della causa riconvenzionale principalmente nell’art. 36 c.p.c., inserito nella sezione IV del libro I del codice di rito, dedicato alla disciplina delle modificazioni della competenza per ragioni di connessione (come si è visto gli artt. 167, co. 2, e 416, co. 2, c.p.c. si occupano infatti solo dei tempi e dei modi della sua proposizione nel processo di cognizione ordinario e nel rito del lavoro).
Secondo l’art. 36 c.p.c. «il giudice competente per la causa principale conosce anche delle domande riconvenzionali che dipendono dal titolo dedotto in giudizio dall’attore o da quello che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione, purché non eccedano la sua competenza per materia o valore; altrimenti applica le disposizioni dei due articoli precedenti». Posto che la disposizione citata è inequivoca nel richiedere una particolare forma di connessione tra la causa principale e quella riconvenzionale, ci si interroga se la sussistenza di tale nesso di connessione oggettiva condizioni solo l’applicabilità delle proroghe di competenza oppure la stessa ammissibilità della domanda riconvenzionale. Una prima opinione, che non riconosce alla sede in cui l’art. 36 è collocato la capacità di condizionarne univocamente la interpretazione, propende per una lettura più rigorosa e nega l’ammissibilità di riconvenzionali non connesse, anche quando esse rientrano nella competenza del giudice adito (così, tra gli altri, Andrioli, V., Commento al codice di procedura civile, I, Napoli, 1954, 125 ss.; Mandrioli, C.-Carratta, A., Diritto processuale civile, I, cit., 155 ss.; Satta, S., Diritto processuale civile, Padova, 1993, 62; Tarzia, G.-Balbi, C.E., Riconvenzione, cit., 673; Vullo, E., La domanda riconvenzionale, cit., 274 ss.). Tale opzione, recuperando la tendenza storica di limitare la proponibilità delle riconvenzionali (v. Tarzia, G.-Balbi, C.E., op. cit., cit., 665 ss.), sottolinea come in linea di principio, l’ammissibilità delle domande riconvenzionali dovrebbe essere esclusa in quanto evidente causa di sovrapposizione disordinata e caotica di diverse materie di giudizio in un unico processo (Mandrioli, C.-Carratta, A., op. cit., 160), ponendosi ciò in contrasto con i principi di economia processuale (Tarzia, G.-Balbi, C.E., op. cit., 667 ss.; v. anche Consolo, C., Spiegazioni, cit., 245). Viene altresì sottolineato che il diritto alla tutela giurisdizionale del convenuto non è pregiudicato da simili limiti in quanto non gli è in alcun modo impedito di far valere le sue diverse domande in un altro diverso processo, in veste di attore (Mandrioli, C.-Carratta, A., op. cit., 160).
Altra dottrina aderisce invece alla tesi più liberale, reputando che l’art. 36 c.p.c. si applica solo nell’ipotesi in cui la causa riconvenzionale non appartenga, secondo le regole ordinarie, alla competenza del giudice adito. Se la riconvenzionale di per sé appartiene alla competenza dello stesso giudice della domanda originaria, allora essa sarebbe sempre ammissibile, anche in assenza dei presupposti di connessione descritti all’art. 36 (con diverse sfumature Attardi, A., Le nuove disposizioni sul processo civile, Padova, 1991, 246 ss.; Evangelista, S., Riconvenzionale, cit., 5; Franchi, G., Della competenza per connessione, in Comm. c.p.c. Allorio, Torino, 1973, I, 1, 352; Luiso, F.P., Diritto processuale civile, I, Principi generali, Milano, 2017, 289). Ciò costituirebbe un’applicazione dell’art. 24 Cost., sotto il profilo del principio della parità delle armi tra attore e convenuto: se l’attore può proporre più domande, anche se non connesse, nello stesso processo (artt. 10, co. 2, e 104 c.p.c.) rispettando le regole di competenza, la stessa facoltà deve essere riconosciuta al convenuto, purché anch’egli rispetti le regole di competenza (Luiso, F.P., op. cit., 289; ma per l’obiezione che in tal caso il cumulo “diseconomico” è frutto di una scelta consapevole dello stesso attore, mentre nel caso della riconvenzionale si tratterebbe di un’imposizione del convenuto v. Consolo, C., op. cit., 246).
Per parte sua una oramai risalente e consolidata giurisprudenza, attribuendo rilevanza sistematica alla collocazione dell’art. 36 c.p.c., afferma che quest’ultima è norma sulla sola competenza che non disciplina in linea generale le condizioni di ammissibilità della riconvenzionale, con la conseguenza che la riconvenzionale è ammissibile, se non implichi spostamento di competenza, anche al di fuori delle ipotesi di connessione qualificata di cui all’art. 36 c.p.c. Conseguentemente, in tali ipotesi l’inammissibilità della domanda riconvenzionale non sarebbe rilevabile d’ufficio, ma solo su eccezione della controparte da proporsi non oltre la prima udienza e purché non siasi verificata la preclusione derivante dall’accettazione del contraddittorio (Cass., 30.4.2015, n. 8814; Cass., 11.8.1990, n. 8227). La medesima giurisprudenza, tuttavia, reputa insufficiente una mera connessione soggettiva, richiedendo comunque la sussistenza di un «collegamento obiettivo» fra la domanda principale e la domanda riconvenzionale tale da rendere opportuno il simultaneus processus; opportunità che deve essere valutata dal giudice di merito in relazione ai singoli casi di specie con apprezzamento insindacabile in sede di legittimità (ex plurimis v. Cass., 24.1.2018, n. 1752; Cass., 4.11.2013, n. 24684; Cass., 20.12.2011, n. 27564; Cass., 4.7.2006, n. 15271). Tale più liberale orientamento in punto di ammissibilità della domanda riconvenzionale pare però dovuto anche alla più rigorosa nozione di «connessione per il titolo» di solito adottata dalla giurisprudenza in sede di interpretazione dell’art. 36 c.p.c., sicché la distanza dalle posizioni della dottrina è nella sostanza meno accentuata di quanto non sembri (Nappi, P., La domanda proposta in via riconvenzionale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1989, 762).
Il difetto di connessione oggettiva con la domanda principale, pur non consentendo modifiche della competenza, non comporta l’inammissibilità della domanda riconvenzionale potendo al più, ricorrendone le condizioni, condurre ad un provvedimento di scissione dalla causa principale (cfr. Cass., 23.5.2017, n. 12970; Cass., 30.4.2015, n. 8814; v. anche Merlin, E., Compensazione e processo, I, Milano, 1991, 600, nt. 227).
Può accadere che davanti al giudice di pace vengano proposte una domanda principale per valore soggetta a pronuncia secondo equità ed una domanda riconvenzionale, pur compresa nella competenza del giudice di pace, ma soggetta per valore a pronuncia secondo diritto. In dette ipotesi l’intero giudizio deve essere deciso secondo diritto e la relativa sentenza, anche nel regime anteriore alle modifiche apportate all’art. 339 c.p.c ad opera del d.lgs. 2.2.2006, n. 40, deve essere impugnata con l’appello, senza che rilevi l’eventuale rinuncia totale o parziale alla riconvenzionale (Cass., 13.9.2012, n. 15338; Cass., 17.5.2010, n. 12030; Cass., 11.5.2009, n. 10731; regola permanente anche quando la riconvenzionale sia inammissibile: Cass., 18.4.2008, n. 10238; per l’enunciazione del medesimo assunto in una ipotesi in cui tra le cause cumulate ricorra una connessione per pregiudizialità: Cass., 16.1.2013, n. 957, o una connessione comunque intensa: Cass., 17.12.2009, n. 26518).
È condivisa l’opinione secondo cui la relazione di dipendenza della domanda riconvenzionale «dal titolo dedotto in giudizio dall’attore», che comporta la trattazione simultanea delle cause, si configura non già come identità della causa petendi (richiedendo, appunto, l’art. 36 c.p.c. un rapporto di mera dipendenza), ma come comunanza della situazione o del rapporto giuridico dal quale traggono fondamento le contrapposte pretese delle parti, ovvero come comunanza della situazione, o del rapporto giuridico sul quale si fonda la riconvenzionale, con quello posto a base di un’eccezione, sì da delinearsi una connessione oggettiva qualificata della domanda riconvenzionale con l’azione o l’eccezione proposta (Cass., 11.4.2016, n. 7070; Cass., 19.3.2007, n. 6520; Cass., 26.5.2005, n. 11083; in dottrina v., con varie prospettazioni, Gionfrida, G., Appunti sulla connessione e continenza di cause, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1960, 143 s.; Franchi, G., Della competenza per connessione, cit., 354 s.; Tarzia, G.-Balbi, C.E., Riconvenzionale, cit., 674; per il rilievo che in tal modo la giurisprudenza intende la nozione di “titolo” in senso più ampio ed elastico rispetto a quella di causa petendi v. Nappi, P., La domanda, cit., 763 ss.; in senso critico Vullo, E., La domanda riconvenzionale, cit., 286 ss., 293).
L’ipotesi della «dipendenza dal titolo che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione», ricorre sovente, ingenerando così un’ampia casistica giurisprudenziale che spesso interseca la tematica della cd. eccezione riconvenzionale (su cui v. infra, § 5), quando la riconvenzione si pone come “sviluppo logico” di una deduzione già avanzata a fini difensivi e denota incompatibilità fra la fondatezza delle due domande. I casi paradigmatici sono dati, oltre che dalla domanda riconvenzionale di accertamento con efficacia di giudicato di questione pregiudiziale connessa per incompatibilità giuridica (tra gli esempi può annoverarsi l’avvenuta usucapione eccepita dal convenuto in un giudizio di carattere reale: Cass., 19.5.2015, n. 10206; Cass., 8.1.2015, n. 42; Cass., 29.11.2013, n. 26884; Cass., 27.9.2007, n. 20330; la titolarità, in capo al comodatario, di una situazione di godimento a titolo di comproprietà del bene immobile dato in comodato, rispetto alla domanda di restituzione della cosa comodata: Cass., 24.9.2014, n. 20149; l’esistenza di un contratto di affitto in suo favore eccepita dal convenuto in un giudizio avente ad oggetto il riscatto del fondo alienato contra ius prelationis: Cass., 24.2.2015, n. 3725; Cass., 8.6.2007, n. 13387; Cass., 1.12.2000, n. 15365; Cass., 2.3.1998, n. 2269), dalla domanda riconvenzionale relativa al controcredito eccepito in compensazione per l’ammontare eccedente l’importo del credito dell’attore (Merlin, E., Compensazione e processo, I e II, Milano, risp. 1991 e 1994), dalla domanda riconvenzionale di annullamento del contratto di cui era già eccepita l’annullabilità (cfr. Cass., S.U., 14.12.2014, n. 26242 e n. 26243, in Foro it., 2015, I, 862); dalla domanda riconvenzionale di ripetizione di indebito proposta dal convenuto che eccepisce il pagamento o, ancora, dalla domanda riconvenzionale di risoluzione del contratto ex art. 1453 c.c. che prende le mosse dalla eccezione di inadempimento (v. Franchi, G., op. cit., 355 s.; Tarzia, G.-Balbi, C.E., op. cit., 674 s.; Vullo, E., La domanda riconvenzionale, cit., 294 ss.).
Poiché la via riconvenzionale costituisce una forma di proposizione della domanda che non predetermina direttamente l’oggetto su cui essa può vertere, a differenza di altri istituti pure contemplati all’interno della medesima sezione IV del libro I del codice i cui oggetti risultano in larga misura predeterminabili (garanzia, questione pregiudiziale, compensazione), la domanda riconvenzionale può avere l’oggetto più diverso. Per tale motivo la prassi applicativa conosce anche le figure della domanda di garanzia proposta in via riconvenzionale, della domanda riconvenzionale di compensazione e della domanda riconvenzionale di accertamento di questione pregiudiziale (v. amplius Nappi, P., Osservazioni sulla domanda di accertamento incidentale di questione pregiudiziale, in Giusto proc. civ., 2017, 717 ss., spec. 739 ss.). Sempre per tale motivo, il rapporto tra domanda principale e domanda riconvenzionale può atteggiarsi in termini di compatibilità, cioè possibile accoglimento di entrambe le pretese, rinvenibile quando la domanda riconvenzionale sia connessa con quella originaria per mera identità di parti o quando dipende dal titolo dedotto in giudizio dall’attore (ove questo non sia contestato dal convenuto, ma solo posto a fondamento della sua domanda contro l’attore) o di incompatibilità, ravvisabile nelle ipotesi in cui la domanda riconvenzionale dipende dal titolo che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione. In tale ultima situazione, che esalta anche la finalità difensiva dello strumento, è individuabile un rapporto di pregiudizialità-dipendenza tra causa principale e causa riconvenzionale in quanto il petitum della domanda riconvenzionale costituisce questione pregiudiziale relativa ad un fatto impeditivo, modificativo, estintivo del diritto oggetto della domanda principale. Rapporto di incompatibilità può aversi anche nell’ipotesi opposta, in cui la domanda principale abbia come petitum un diritto o un rapporto che rileva come fatto impeditivo, modificativo, estintivo rispetto alla situazione giuridica dedotta in giudizio dal convenuto con la domanda riconvenzionale (Proto Pisani, A., Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 2006, 342); né può escludersi l’ipotesi in cui il convenuto chieda in via riconvenzionale che venga accertata la titolarità, in capo a se stesso, di un diritto autonomo, non legato da nessi di pregiudizialità-dipendenza, ed incompatibile rispetto al diritto dedotto in giudizio dall’attore, come quando a fronte della domanda principale di rivendica di un bene il convenuto affermi di essere lui il titolare e chieda in via riconvenzionale che tale suo diritto venga accertato con efficacia di giudicato.
Nella classica teorica mortariana, l’«eccezione riconvenzionale» si riferiva a quella particolare categoria di rapporti pregiudiziali che si ritenevano soggetti alla decisione con efficacia di giudicato sol perché dedotti o contestati (in particolare, il rapporto che è titolo della domanda e i controdiritti opposti dal convenuto in funzione di eccezione) (Mortara, L., Commentario del Codice e delle Leggi di procedura civile, I, Milano, s.d., spec. 106 ss.; la disamina del dibattito dottrinale relativo alle cd. eccezioni riconvenzionali è offerta da Vullo, E., La domanda riconvenzionale, cit., 214 ss.). Nell’accezione invalsa nella giurisprudenza, spesso come risposta a una equivoca tecnica di redazione degli atti di parte e al fine di individuare il diverso regime processuale di proposizione di domande ed eccezioni (un tempo ammissibili anche in appello, secondo la previgente disciplina dell’art. 345 c.p.c.), con la figura dell’eccezione riconvenzionale si fa invece riferimento a quella particolare categoria di eccezioni con la quale il convenuto pur deducendo fatti modificativi, estintivi o impeditivi, che sottendono un vero controdiritto e potrebbero quindi costituire oggetto di un’autonoma domanda in un giudizio separato (tipicamente la compensazione, l’usucapione, l’eccezione di annullabilità di un negozio), si limita a chiedere la reiezione della pretesa avversaria, totalmente o anche solo parzialmente, sottolineandosi che è solo con la domanda riconvenzionale che il convenuto, traendo occasione dalla domanda contro di lui proposta, oppone una controdomanda e chiede un provvedimento positivo, sfavorevole all’attore, che va oltre il mero rigetto della domanda attrice (ex plurimis v. Cass., 25.10.2016, n. 21472; Cass., 13.6.2013, n. 14852; Cass., 16.3.2012, n. 4233; Cass., 15.4.2010, n. 9044). Pertanto, mentre l’eccezione cd. riconvenzionale può rimanere assorbita (come quando la domanda principale venga rigettata per effetto della fondatezza di altra eccezione), ciò non può accadere per la domanda riconvenzionale.
È peraltro opportuno ricordare che taluni controdiritti, specie nell’ambito delle azioni costitutive, possono essere esercitati solo proponendo domanda riconvenzionale (ad es., la richiesta di costituzione di una servitù coattiva: Cass., 16.3.1976, n. 966 e la richiesta di estinzione di detta servitù per sopravvenuta cessazione dell’interclusione del fondo: Cass., 4.6.1993, n. 6235; l’istanza di rescissione per lesione di contratto preliminare proposta in funzione del rigetto della domanda ex art. 2932 c.c.: Cass., 10.1.1981, n. 246; l’eccessiva onerosità sopravvenuta nel contratto a prestazioni corrispettive: Cass., 10.2.1990, n. 955; la richiesta di applicazione dell’art. 938 c.c., cd. accessione invertita: Cass., 5.11.1990, n. 10615 e Cass., 12.2.1988 n. 1527).
Nelle ipotesi di connessione propria, quindi in presenza della relazione di dipendenza esplicitata dall’art. 36 c.p.c., la competenza del giudice adito con la domanda principale è prorogata alla cognizione e decisione della domanda riconvenzionale che spetti alla competenza per territorio di un giudice diverso, a condizione che la riconvenzionale non ecceda la sua competenza per valore o materia (per un caso di attrazione della riconvenzionale al giudice del foro del consumatore competente per la causa principale: Cass., 20.8.2010, n. 18785); nel caso di giudici dello stesso tipo il cumulo può realizzarsi anche in presenza di competenza territoriale cd. funzionale (Cass., 3.9.2007, n. 18554; Cass., 6.6.2000, n. 7572); diversamente possono determinarsi le modifiche della competenza contemplate dagli artt. 34 e 35 c.p.c.
In generale, si può osservare che quando la domanda riconvenzionale non rientra nella competenza per materia o valore del giudice adito (e si ricorda che per determinare tale valore non si deve procedere, ex art. 10, co. 2, c.p.c. alla somma dei valori delle due domande: Cass., 10.7.1987, n. 6025; Cass., 21.3.1977, n. 1085), il rinvio all’art. 34 c.p.c. comporta che la rimessione può investire l’intera causa, e dunque che la causa principale che non sia incardinata per criteri di competenza inderogabile può essere attratta al giudice superiore competente per materia o per valore sulla riconvenzionale (v. Cass., 11.5.2010 n. 11415; Cass., 2.3.1998, n. 2269; Cass., 26.9.1997, n. 9465; Cass., 22.1.1993, n. 768). Ex art. 35 c.p.c., invece, le due cause o sono trattate insieme dallo stesso giudice oppure, se separate, sono trattate e decise da giudici diversi: il giudice inferiore decide della causa originaria e quello superiore decide autonomamente della causa riconvenzionale (ma v. infra, § 7).
Con riferimento alle modifiche della competenza, occorre però considerare che la disciplina contenuta nell’art. 36 c.p.c. (comprensiva dei rinvii agli artt. 34 e 35) deve confrontarsi con un quadro normativo assai mutato rispetto a quello vigente al momento della sua formulazione. Infatti, l’introduzione dei commi da 3 a 7 dell’art. 40 c.p.c. ad opera della l. 26.11.1990, n. 353, unitamente alla soppressione della figura del pretore (d.lgs. 19.2.1998, n. 51) e alla coeva regolamentazione dei rapporti tra tribunale in composizione monocratica o collegiale in termini non di competenza (art. 281 nonies c.p.c.), consentono di relegare entro un ambito oramai residuale la impossibilità del simultaneus processus di cause civili connesse. Ciò nondimeno, come si vedrà, talune interpretazioni continuano a porre ostacoli alla realizzazione della trattazione simultanea, impedendo di perseguire più intensamente il fine di economia processuale.
L’ipotesi di gran lunga più ricorrente è quella che coinvolge i rapporti tra giudice di pace e tribunale, specificamente regolamentata nel citato art. 40, co. 6 e 7, c.p.c. che fissa la regola della attrazione alla competenza del giudice superiore. Al giudice di pace non è quindi consentita l’applicazione dell’art. 36 c.p.c., e cioè separare una domanda riconvenzionale eccedente la sua competenza per valore e rimettere le parti per la decisione soltanto su di essa dinnanzi al giudice superiore perché l’art. 40, co. 6 e 7, lo obbliga in caso di connessione qualificata, a rimettere a quest’ultimo tutta la causa, e perciò sia la domanda principale sia la domanda riconvenzionale (Cass., 19.3.2007, n. 6520 in un caso in cui la competenza del giudice di pace sulla domanda principale era determinata per ragioni di valore). Non condivisibile, soprattutto nelle ipotesi di domanda riconvenzionale connessa per incompatibilità, l’opinione giurisprudenziale secondo cui la richiamata regola di cui all’art. 40, co. 6 e 7, c.p.c., non può operare, con conseguente separazione delle cause, quando la competenza del giudice di pace sulla causa principale sia radicata per ragioni di materia (Cass., 23.6.2015, n. 12949; Cass., 25.11.2010, n. 23937; Cass., 8 maggio 2002, n. 6595 in ipotesi di riconvenzionale eccedente i limiti di valore del giudice di pace adito; in dottrina, contra, nel senso che l’art. 40, co. 6 e 7, c.p.c. consenta deroghe anche alla competenza per materia o funzionale del giudice di pace, v. tra i tanti Luiso, F.P., Diritto processuale civile, cit., 277; v. anche Menchini, S., Accertamenti incidentali, § 5).
La proposizione di una riconvenzionale non può inoltre determinare modificazioni della competenza, ritenuta funzionale ed inderogabile, per il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, attribuita dall’art. 645 c.p.c. all’ufficio giudiziario cui appartiene il giudice che ha emesso il decreto (così Cass., S.U., 18.7.2001, n. 9769; v. anche le successive Cass., 12.1.2015, n. 272; Cass., 19.2.2014, n. 3870; Cass., 20.9.2006, n. 20324 tutte relative all’ipotesi in cui l’opponente aveva formulato domanda riconvenzionale eccedente i limiti di valore della competenza del giudice di pace adìto; in tali ipotesi, inoltre, la Corte di cassazione, ha espressamente negato all’art. 40, co. 7, c.p.c. la capacità di incidere su tale assunto: v. tra le tante Cass., 7.12.2012, n. 22276; Cass., 12.7.2012 n. 11817).
La finalità della trattazione congiunta ha indotto la giurisprudenza a elaborare, nelle ipotesi di cause connesse per pregiudizialità appartenenti alla competenza del tribunale e alla competenza per materia della sezione specializzata agraria, l’assunto della cd. vis attractiva del giudice specializzato che impone la devoluzione dell’intera controversia a quest’ultimo (v. Cass., 11.4.2016, n. 7093; Cass., 15.9.2015, n. 18111; ma v. Cass., 22.1.2018, n. 1527, che nega l’operatività di tale assunto con riferimento a domanda di scioglimento di comunione ereditaria; con riferimento alla ricorrente ipotesi di domanda riconvenzionale di accertamento dell’esistenza di un contratto di affitto agrario in suo favore proposta dal convenuto – di competenza del giudice agrario specializzato – in un giudizio avente ad oggetto il riscatto del fondo alienato contra ius prelationis – di competenza del tribunale ordinariamente costituito – v. Cass., 8.6.2007, n. 13387; Cass., 1.12.2000, n. 15365; Cass., 2.3.1998, n. 2269).
In ambito concorsuale, invece, la domanda riconvenzionale diretta all’accertamento del credito nei confronti del fallimento, essendo soggetta al rito speciale previsto dagli artt. 93 ss. l. fall. per l’accertamento del passivo, non consente alla vis attractiva del tribunale fallimentare di operare nei confronti della domanda principale avente ad oggetto il recupero di un credito, proposta dal soggetto in bonis e proseguita dal curatore innanzi al tribunale ordinario, dovendo quindi essere dichiarata inammissibile o improcedibile nel giudizio di cognizione ordinaria (ex plurimis Cass., 10.8.2017, n. 19924; Cass., 21.12.2015, n. 25674; Cass., 17.5.2013, n. 12062; Cass., 24.11.2011, n. 24847; a partire da Cass., S.U., 10.12.2004, n. 23077 e Cass., S.U., 12.11.2004, n. 21499; il precedente orientamento optava invece per il trasferimento dell’intero processo in sede fallimentare).
Come si è visto, quando l’operare di competenze inderogabili impedisce la rimessione dell’intera causa e il processo simultaneo, si perviene alla separazione delle cause che può condurre, in presenza di un rapporto di pregiudizialità-dipendenza fra le cause, alla sospensione ex art. 295 c.p.c. della causa dipendente.
Quando la domanda riconvenzionale appartiene alla competenza del giudice adito e, come ritenuto ammissibile dalla giurisprudenza, tra le due cause non sussista il nesso di connessione richiesto dall’art. 36 c.p.c., il giudice può disporne la separazione sia in fase istruttoria sia in fase decisoria a norma dell’art. 104, co. 2, c.p.c. quando la continuazione della loro riunione ritarderebbe o renderebbe più gravoso il processo. Lo stesso provvedimento può essere assunto dal giudice quando le domande siano connesse per identità di causa petendi, ai sensi degli artt. 104, co. 2, 103, co. 2, 279, co. 2, n. 5, c.p.c. La decisione di separare o non separare consegue ad una valutazione discrezionale del giudice adottata con una pronuncia di carattere ordinatorio «che non costituisce decisione sulla competenza e non è pertanto suscettibile di impugnazione tramite il regolamento» (Cass., 16.10.1993, n. 817; Cass., 10.4.1990, n. 2997; Cass., 19.4.1986 n. 2772), a meno che l’apprezzamento discrezionale del giudice non sia fondato su ragioni estranee alla controvertibilità o facile accertabilità della domanda principale (Cass., 28.3.2003, n. 4700; Cass., 13.7.1994, n. 6572).
Quando invece la domanda riconvenzionale dipende dal titolo appartenente alla causa come mezzo di eccezione la rimessione dell’intera causa è obbligata e la separazione risulta una scelta inammissibile (Proto Pisani, A., Lezioni, cit., 341 ss.; Franchi, G., Della competenza per connessione, cit., 362; Tarzia, G.-Balbi, C.E., Riconvenzione, cit., 675; Vullo, E., La domanda riconvenzionale, cit., 388 s.; Cass., 11.5.2010, n. 11415; Cass., 11.10.2002, n. 14560; Cass. n. 817/1993 e Cass. n. 2772/1986 citt.); sempre in considerazione del pericolo di giudicati praticamente contraddittori, analoga soluzione viene prospettata nelle ipotesi in cui la riconvenzionale è incompatibile con la domanda principale (come quando ha ad oggetto una pretesa identica od invertita rispetto a quella dell’attore: Proto Pisani, A., op. cit., 343; Vullo, E., La domanda riconvenzionale, cit., 388 s.; in giurisprudenza v. Cass., 6.12.2012, n. 21995; Cass., 22.1.1993, n. 768 entrambe a proposito di una domanda principale di adempimento di un’obbligazione cui si contrapponeva domanda riconvenzionale di risarcimento dei danni per inadempimento imputabile all’attore).
Con riferimento, poi, al rinvio alla disciplina di cui all’art. 35 c.p.c., la separazione delle cause e la rimessione della sola riconvenzionale può portare alla definizione della domanda principale tramite condanna con riserva eventualmente assoggettata a cauzione. Tale possibilità secondo alcuni sarebbe attuabile solo in presenza di una domanda riconvenzionale compensativa (cd. compensazione giudiziale per crediti illiquidi) (così Franchi, G., op. cit., 362), mentre per altri avrebbe portata generale, potendosi utilizzare anche quando la domanda riconvenzionale è incompatibile con la domanda principale in conseguenza degli effetti estintivi-impeditivi-modificativi del diritto con essa fatto valere (Proto Pisani, A., op. cit., 342; Merlin, E., Compensazione e processo, cit., 586 s.; Vullo, E., La domanda riconvenzionale, cit., 390), con la conseguenza che la semplice separazione delle cause potrebbe essere disposta nelle sole ipotesi di domande riconvenzionali compatibili.
Fonti normative
Artt. 34, 35, 36, 40, 166, 167, 171, 416, 418 c.p.c.
Bibliografia essenziale
Dini, M., La domanda riconvenzionale nel diritto processuale civile, Milano, 1978; Dini, M., Riconvenzione, in Nss. D.I., XV, Torino, 1968, 965; Evangelista, S., Riconvenzionale (domanda), in Enc. giur. Treccani, Roma, 1991; Franchi, G., Della competenza per connessione, in Comm. c.p.c. Allorio, Torino, 1973, I, 1, 349; Mortara, L., Commentario del Codice e delle Leggi di procedura civile, I, Milano, s.d.; Nappi, P., La domanda proposta in via riconvenzionale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1989, 751 ss.; Tarzia, G.-Balbi, C.E., Riconvenzione (diritto processuale civile), in Enc. dir., XL, Milano, 1989, 665; Vullo, E., La domanda riconvenzionale, Milano, 1995; Vullo, E., Riconvenzione, in Dig. civ., XVII, Torino, 1998, 526.
Attribuzione: Sergio D’Afflitto [CC BY-SA 3.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0)]