Rifiuti senza frontiere
In attesa che i termovalorizzatori siano realizzati come promesso, i rifiuti italiani vengono dirottati in Olanda, Norvegia, Svezia. E intanto l’Italia recupera nella politica del riciclo. Ma rimane sempre il problema dei rifiuti tossici e di quelli elettronici, senza contare chi si arricchisce eludendo le regole.
I rifiuti di Napoli sono usciti dalle prime pagine dei giornali. In parte, sono finiti nel termovalorizzatore di Acerra: un impianto del quale sarebbe finalmente il caso di evidenziare gli ottimi risultati. Per la parte rimanente, il nuovo sindaco aveva promesso di trasformare Napoli in un ‘comune riciclone’, ispirandosi ai guru del ‘rifiuto zero’. Ahimè, non se ne è fatto nulla. In compenso, quatte quatte, navi cariche di ‘munnezza’ salpano ogni giorno verso gli inceneritori olandesi. Il tampone di emergenza è diventato soluzione strutturale.
Facile ironizzare: forse gli olandesi sono meno schizzinosi dei napoletani? Ma va detto che le tariffe, anche col trasporto, non sono tanto lontane da quanto costerebbe un impianto nuovo da noi. Perché non approfittarne? Non si tratta di un fenomeno isolato. Inceneritori norvegesi e svedesi si contendono la spazzatura che gli italiani non sanno come smaltire. Ma flussi transfrontalieri o interregionali interessano molti altri paesi.
La geografia dei rifiuti è cambiata: sia perché è aumentata l’estensione del mercato, sia perché è diversa la direzione dei flussi, non più solo dall’Occidente opulento verso le sue ‘pattumiere’, ma sempre più anche in senso opposto.
Una legge dell’economia suggerisce che le merci si muovano in risposta ai differenziali di prezzo, incontrando come limite i costi di trasporto.
In fondo, gestire i rifiuti è un’attività industriale come un’altra. Bruciarli o trattarli inquina, ma non più di una centrale termoelettrica o di un’acciaieria. Per quale motivo è possibile importare energia e acciaio, e non servizi di gestione dei rifiuti?
Anche qui potrebbe essere all’opera quel principio, già teorizzato da Porter, secondo cui i paesi che per primi si impongono standard ambientali esigenti, manterranno una leadership tecnologica. Quando anche gli altri si adegueranno, i primi avranno nel frattempo acquisito esperienza, realizzato la capacità necessaria, maturato un sistema di regole in grado di realizzare e rendere accettabile e normale l’insediamento degli impianti, che invece, nei territori ove sono ancora forti la memoria degli scempi e le compromissioni con il passato, la gente guarda con sospetto e ostilità.
Vale anche per il riciclo. Possono ben essere i paesi avanzati a sviluppare tecnologie innovative e soluzioni efficienti per organizzare le catene logistiche. Le opportunità di recupero dipendono da un mercato che è sempre più globale, e presuppongono la possibilità di integrare le raccolte differenziate con flussi più omogenei di origine produttiva. La stessa Italia che esporta ‘munnezza’ in Olanda è oggi tra i leader mondiali nel riciclo della plastica, tanto che ne importa in quantità.
C’è però un rovescio della medaglia. I rifiuti sono infatti una merce con valore negativo: si è disposti a pagare per sbarazzarsene. Dunque, il detentore è, e sarà sempre, tentato di eliminarli in modo incontrollato. Ai residui tossici delle vecchie ‘navi dei veleni’ si sono aggiunte montagne di rifiuti elettronici, che solo con enorme fatica si stanno, lentamente, riportando sotto controllo. Ma non solo. Chi si trova a corto di discariche può ben fare finta di recuperare materiali attraverso la trasformazione in ‘compost’ e ‘combustibile da rifiuti’: metti che poi non li voglia nessuno, questi ridiventeranno rifiuti, ma industriali (e dunque potranno essere smaltiti dovunque vi sia un impianto autorizzato disposto ad accoglierli).
Lo ha fatto per un decennio Milano, inondando il resto d’Italia; lo fa San Francisco, decantata dai ‘rifiutologi-zero’, che invia i suoi rifiuti pseudoriciclabili in Asia. Perfino i tedeschi: materiali provenienti dalle raccolte differenziate sono stati ritrovati addirittura in Vietnam. Ufficialmente, queste spedizioni si giustificano con la fame di materie prime delle economie emergenti: ma tra un passaggio e l’altro, chi sa bene cosa succede?
È opportuno non dimenticare che a dare un senso economico al riciclo non è tanto il prezzo di mercato dei materiali, ma soprattutto il costo dello smaltimento nei paesi ricchi. E ci vuole poco a imbrogliare le carte per fingere che da qualche parte ci sia qualcuno interessato a recuperare i nostri rifiuti. Guai, dunque, se la ‘specializzazione funzionale’ teorizzata dagli economisti fosse dovuta non all’eccellenza industriale, ma all’asimmetria delle regole e della capacità di farle rispettare. È difficile aprire le porte ai traffici ‘buoni’, senza che in qualche pertugio si infilino anche un po’ di traffici ‘cattivi’, che anzi possono usare quelli buoni come paravento.
L’UE adotta una soluzione salomonica, ma inefficace: principio di autosufficienza per i rifiuti urbani, libera circolazione per i materiali destinati al recupero e ai rifiuti industriali. Il presidio della frontiera tra i due mondi è affidato a norme tecniche e a controlli burocratici, asfissianti per gli onesti, ma che i disonesti sanno come aggirare.
Più che ‘km zero’, insomma, servono controllo delle filiere e capacità di certificarne i passaggi. È forse venuto il momento di ripensare al sistema delle regole, facendo tesoro delle esperienze positive, come quelle ottenute con il principio di responsabilità estesa al produttore.
Quanto alla pacchia degli inceneritori nordeuropei che smaltiscono rifiuti nostrani, essa è soprattutto legata a un contingente eccesso di offerta. Ci sono più impianti che rifiuti, da loro. Ma non durerà per sempre. Quel giorno, anche Napoli dovrà avere pronto il ‘piano B’.
Le parole
Rifiuti. L’Unione Europea ha intrapreso a partire dal 1996 una strategia di gestione dei rifiuti che prevede l’uso razionale e sensibile delle risorse seguendo un rigoroso ordine di priorità con quattro passaggi fondamentali: 1) riduzione delle quantità di rifiuti prodotti e soprattutto della loro pericolosità; 2) raccolta differenziata delle varie frazioni merceologiche o materiali presenti nei rifiuti e loro riuso, recupero e riciclaggio; 3) valorizzazione energetica dei rifiuti residui con elevato potere calorifico; 4) smaltimento in sicurezza della sola frazione di rifiuti che non ha altra possibilità di recupero o trattamento.
Riciclo. La raccolta differenziata e il riciclaggio per ottenere nuovi manufatti, o la combustione con recupero d’energia (procedimenti non sempre sostitutivi) riescono a ridurre la massa dei materiali da inviare in discarica. Il costo della raccolta, della separazione, del condizionamento, della rilavorazione risulta piuttosto elevato, superiore a quello del prodotto ottenuto da materia prima vergine. Occorre anche tener conto che molto spesso si ha un ‘declassamento’ della materia plastica ottenuta.
Termovalorizzatore. Impianto nel quale si bruciano gli scarti e i rifiuti urbani, ottenendo come risultato la produzione di energia da destinarsi ad altri usi, come riscaldamento, elettricità ecc. I sistemi di termotrasformazione sono diversi, dalla pirolisi alla combustione totale, con o senza recupero d’energia, e produzione d’energia elettrica. Si tratta di sistemi complessi che però offrono il grande vantaggio di ridurre dell’85÷90% il peso dei rifiuti fornendo un residuo (cenere) del 10÷15% smaltibile in discarica o anche con qualche utilizzazione secondaria, e consentendo di recuperare gran parte del calore di combustione.
Compost. Il compostaggio è la trasformazione dei rifiuti in un prodotto fertilizzante del terreno. Ha lo svantaggio di fornire un prodotto non facilmente collocabile sia per la bassa densità, che comporta un costo di trasporto elevato, sia perché contiene quantità elevate di inerti inorganici (vetro, ecc.) e perché non sempre si riescono a contenere nei limiti di legge alcuni componenti nocivi (metalli pesanti, ecc.). Un decreto del Ministero dell’Ambiente del 29 maggio 1991 prevede una raccolta differenziata degli scarti vegetali e animali, umidi e secchi; dai primi si potrebbero ottenere composti di caratteristiche migliori, mentre i secondi, con più alto potere calorifero, migliorerebbero i processi di termotrasformazione.