Rifiuti
Gli svantaggi del progresso
Verso un sistema integrato di gestione dei rifiuti
di Roberto Sorrentino
8 marzo
A causa della saturazione dei centri di raccolta e della mancata realizzazione di nuovi inceneritori riesplode in Campania l'emergenza rifiuti. Nelle province di Avellino, Salerno, Napoli e Caserta si susseguono per giorni le proteste degli abitanti, da una parte esasperati per l'accumulo dell'immondizia nelle strade e dall'altra contrari all'ampliamento dei siti di stoccaggio. La crisi in Campania è l'estremizzazione di un problema comune a tutta la società industrializzata: l'incremento dei consumi rende sempre più difficile l'eliminazione dei rifiuti, diventano inadeguate le tecniche tradizionali e sono necessari nuovi sistemi di smaltimento.
Un quadro critico
Negli ultimi decenni la produzione di rifiuti è progressivamente aumentata quale diretta conseguenza dello sviluppo economico e industriale, dell'incremento di popolazione e dell'espansione delle aree urbane. I problemi relativi allo smaltimento hanno assunto proporzioni sempre maggiori, anche a causa della moltiplicazione delle tipologie dei rifiuti prodotti, che risultano sempre più nocivi per l'ambiente. In termini di bilancio ambientale, la quantità crescente di rifiuti prodotti rappresenta senza dubbio una misura dell'impoverimento delle risorse terrestri e lo smaltimento comporta notevole perdita di materiali ed energia.
L'Unione Europea ha intrapreso a partire dal 1996 una strategia di gestione dei rifiuti che prevede l'uso razionale e sensibile delle risorse seguendo un rigoroso ordine di priorità con quattro passaggi fondamentali: 1) riduzione delle quantità di rifiuti prodotti e soprattutto della loro pericolosità; 2) raccolta differenziata delle varie frazioni merceologiche o materiali presenti nei rifiuti e loro riuso, recupero e riciclaggio; 3) valorizzazione energetica dei rifiuti residui con elevato potere calorifico; 4) smaltimento in sicurezza della sola frazione di rifiuti che non ha altra possibilità di recupero o trattamento. Recependo le direttive comunitarie, nel periodo 1997-2000 la normativa italiana è stata per larga parte innovata, grazie al d. legisl. 5 febbraio 1997, nr. 22 (decreto Ronchi) e ai suoi numerosi decreti attuativi, che nel complesso hanno determinato una rivoluzione nel settore. A distanza di sette anni dall'entrata in vigore di tale decreto, siamo oggi in grado di farne una verifica in chiave critica.
Le risorse per la costruzione degli impianti sono ancora modeste, specialmente nelle zone dove il prezzo di smaltimento in discarica è ancora basso. Molte difficoltà continuano a sussistere nelle regioni del Mezzogiorno, quattro delle quali (Sicilia, Puglia, Calabria e Campania) sono commissariate. Lo stato di emergenza dei rifiuti in Campania, tamponato mediante lo smaltimento fuori regione, ha dimostrato e dimostra la carenza cronica di impianti e la mancata autosufficienza degli Ambiti territoriali ottimali (ATO).
Spesso tali situazioni di emergenza si sono verificate a seguito della chiusura di discariche.
Ancora nel 2001 il 67,1% dei rifiuti in Italia veniva smaltito in discarica, di fatto venendo meno ai principi del nuovo decreto che prevede una serie cospicua di misure a monte dello smaltimento.
Risulta evidente, quindi, che il sistema italiano di gestione dei rifiuti è ancora lungi dall'essere assestato. Nelle fasi di raccolta esiste una enorme frammentazione delle gestioni, con una prevalenza delle aziende pubbliche rispetto alle private. Nelle fasi dello smaltimento, la necessità di realizzare impianti e infrastrutture si scontra con le numerose difficoltà nella localizzazione dei siti e con la scarsezza delle risorse economiche disponibili. Sono appunto la scarsezza di risorse e la frammentazione delle gestioni i più gravi punti di debolezza del sistema italiano, laddove sarebbero necessari grandi investimenti e una politica di ampio respiro in termini sia di raccolta differenziata sia di smaltimento finale.
I tempi di ritorno di tali investimenti sono lunghi e le incertezze normative rispetto alla possibilità di futura gestione determinano un'assenza pressoché totale dell'investimento privato rispetto a quello pubblico.
In breve, è evidente come il problema dei rifiuti sia intrinsecamente connesso allo sviluppo e agli stessi modi di vita tipici della società industriale. Una sua soluzione non può dunque avvenire senza il coinvolgimento della collettività, per adeguarsi a mutati regimi di vita e assumere comportamenti tesi alla minimizzazione della produzione di rifiuti, all'attuazione della raccolta differenziata finalizzata al recupero e riciclo dei materiali: in una parola, a un più responsabile sistema di vita a difesa dell'ambiente.
La normativa
Nel VI Programma d'azione per l'ambiente (decisione 2002/1600/CE del 22 luglio 2002), la Comunità Europea, ribadendo i principi già enunciati nel V Programma d'azione comunitario (1992) e nella Strategia comunitaria per la gestione dei rifiuti (1996), sancisce e definisce i principi della corretta gestione dei rifiuti, sottolineando la prevenzione come intervento prioritario. Questi Programmi puntano a modelli di produzione e consumo più sostenibili, che garantiscano una maggiore efficienza nella gestione delle risorse prima e dei rifiuti poi, con l'obiettivo di limitare il consumo di risorse, rinnovabili e no, per non pregiudicare la capacità di carico dell'ambiente. Gli interventi dovranno essere finalizzati alla ricerca di soluzioni per ampliare la durata di vita dei prodotti, utilizzare una quantità minore di risorse e passare a processi di produzione più puliti che generino meno rifiuti.
Il VI Programma auspica l'adozione di varie misure per promuovere la prevenzione e il riciclo dei rifiuti ispirandosi a un modello di gestione che consideri la fase 'rifiuto' come punto di partenza. Particolare importanza assume la direttiva 2001/77/CE sulla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili, tra le quali viene qualificata la 'biomassa', definita come "parte biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui provenienti dall'agricoltura, dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti urbani e industriali". Viene quindi riconosciuto un certo grado di rinnovabilità ai rifiuti derivanti dalla presenza della frazione organica, ma anche di carta e cartone, legno e fibre tessili.
Come si è detto, l'Italia ha recepito le direttive europee con il decreto Ronchi, che ha promosso il passaggio da un modello 'tutti i rifiuti in discarica' a un modello complesso di 'prevenzione e recupero' basato su un sistema integrato di gestione dei rifiuti, fortemente tecnologico e finalizzato al trattamento, al riciclaggio e al recupero energetico, secondo lo schema illustrato in fig. 2.
In base agli obiettivi e ai principi del decreto Ronchi i rifiuti devono essere recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell'uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all'ambiente (senza cioè determinare rischi per l'acqua, l'aria, il suolo, la flora e la fauna, senza causare inconvenienti da odori o rumori, senza danneggiare il paesaggio e i siti di particolare interesse). Il decreto prevede inoltre che le autorità competenti adottino iniziative dirette a favorire la prevenzione e la riduzione della produzione e della pericolosità mediante: lo sviluppo di tecnologie pulite, la promozione di strumenti economici, ecobilanci, analisi del ciclo di vita dei prodotti (LCA, Life-cycle assessment) e lo sviluppo di tecniche per l'eliminazione di sostanze pericolose contenute nei rifiuti destinati a essere recuperati o smaltiti. Infine le autorità competenti devono favorire la riduzione dello smaltimento finale attraverso il reimpiego, il riciclaggio e le altre forme di recupero per ottenere materia prima dai rifiuti, nonché l'utilizzo dei rifiuti come combustibile o come altro mezzo per produrre energia. Il riutilizzo, il riciclaggio e il recupero di materia prima debbono essere considerati le opzioni privilegiate.
Nel 2003 sono intervenute numerose novità legislative a livello europeo e nazionale, destinate a incidere profondamente sull'attuale sistema di gestione dei rifiuti. Tra i provvedimenti nazionali più importanti per il decollo del sistema integrato di gestione dei rifiuti vanno citati il d. legisl. 13 gennaio 2003, nr. 36 di recepimento della direttiva 1999/31/CE in materia di discariche e il decreto del Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio del 13 marzo 2003 relativo ai criteri di ammissibilità dei rifiuti in discarica. Tali provvedimenti hanno completato il quadro normativo sul trattamento dei rifiuti e introdotto disposizioni che dovrebbero incentivare nuovi modelli di gestione, basati sempre più sul recupero energetico e di materia.
Anche la direttiva 2001/77/CE sulla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità, attualmente in corso di recepimento, e il conseguimento degli obiettivi derivanti dal Protocollo di Kyoto e dal Libro bianco sulle fonti energetiche rinnovabili, che prevede il 12% dell'utilizzo di tali fonti di energia entro il 2010, dovrebbero garantire un incremento del recupero energetico.
Produzione e gestione dei rifiuti in Europa e in Italia
La produzione dei rifiuti è in continuo aumento nella maggior parte dei paesi europei, come emerge dal documento della Commissione Europea che delinea il quadro ambientale a livello degli Stati membri, dei paesi dell'Est europeo e dei paesi del Caucaso e dell'Asia centrale: il Kiev Report del 2003, presentato in occasione della Quinta conferenza ministeriale paneuropea 'Ambiente per l'Europa', svoltasi a Kiev il 21-23 maggio 2003. Ogni anno nell'UE sono prodotti circa 1,3 miliardi di tonnellate di rifiuti (esclusi gli agricoli). L'Agenzia europea dell'ambiente (EEA, European environment agency) stima che la maggior parte rientri in cinque grandi flussi (fig. 2): 1) rifiuti di cava e di miniera (29%); 2) rifiuti dell'attività manifatturiera (26%); 3) rifiuti da costruzione e demolizione (22%); 4) rifiuti urbani (14%); 5) altre fonti (9%). La tendenza all'incremento nella produzione di rifiuti, che è dell'ordine del 10% annuo, supera notevolmente la crescita economica, risultata pari nel periodo 1990-1995 al 6,5%.
Per quanto riguarda la gestione, i dati più attendibili indicano qualche progresso in merito al ricorso a metodi di trattamento alternativi rispetto allo smaltimento in discarica, ma quest'ultima rappresenta ancora la forma di gestione più utilizzata (57%). Si registrano lievi progressi nel riciclo e nel compostaggio dei rifiuti urbani solidi, passati dal 15% nel 1995 al 20% alla fine degli anni Novanta. La situazione è, comunque, estremamente diversificata nei paesi dell'Unione Europea, in alcuni dei quali lo smaltimento in discarica è ancora il metodo più utilizzato per i rifiuti urbani, con una quota pari all'80% o superiore; in altri, si arriva a percentuali inferiori al 20%.
Ancora più marcato è il divario che si rileva per la frazione biodegradabile dei rifiuti urbani. In alcuni paesi (Francia, Norvegia, Danimarca e Olanda) il divieto di smaltimento in discarica dei rifiuti biodegradabili è già vigente, in altri (Germania, Svezia e Finlandia) entrerà in vigore entro il 2005. In Svezia è vietato lo smaltimento in discarica dei rifiuti dotati di un discreto potere calorifico, in Austria e Germania entrerà in vigore rispettivamente entro il 2004 e il 2005 il divieto di smaltire in discarica rifiuti aventi un PCI (potere calorifico inferiore) maggiore di 6000 kJ/kg. In Italia il divieto riguarderà, dal 1° gennaio 2007, i rifiuti con PCI maggiore di 13.000 kJ/kg. Tale impostazione determinerà un aumento considerevole dei rifiuti avviati a recupero energetico che, attualmente, coprono una percentuale inferiore al 20% della produzione europea di rifiuti urbani, ma con marcate diversità tra i vari Stati membri. Francia, Svezia, Danimarca e Olanda presentano, infatti, livelli elevati di incenerimento con o senza recupero energetico.
In Italia la produzione di rifiuti urbani nel 2001 si è attestata intorno a 29,4 milioni di tonnellate con un incremento dell'1,6% rispetto al 2000. Si registra una tendenza alla riduzione del tasso di crescita della produzione già osservata nel periodo 1999-2000, dopo il significativo incremento, pari al 5,7% circa, registrato nel biennio 1998-1999 (il più elevato del periodo 1995-2001). Nel complesso la produzione è aumentata, dal 1995 al 2001, del 14% con un tasso di crescita medio annuo pari al 2,2% circa.
La raccolta differenziata è ormai effettuata nel 96% dei Comuni, con punte del 99,8% nel Nordest e del 90% nel Sud, come risulta da uno studio condotto nel 2003 da FISE Assoambiente (Federazione imprese di servizi). Tutte le aree metropolitane hanno avviato programmi di raccolta differenziata, mentre nei Comuni al di sotto dei 5000 abitanti la percentuale scende a circa il 91%.
Differenze sostanziali si osservano fra le diverse zone geografiche; infatti, mentre il Nord supera il 30%, il Centro, il Sud e le isole, pur facendo registrare notevoli passi in avanti soprattutto nell'organizzazione del sistema, sono molto al di sotto del target previsto (fig. 1). Secondo l'obiettivo fissato dal decreto Ronchi, entro il 2001 la raccolta differenziata avrebbe dovuto ammontare al 25%, mentre è arrivata solo al 17,4% (14,4% nel 2000), conseguendo con due anni di ritardo, a livello nazionale, gli obiettivi fissati dal medesimo decreto per il 1999. La raccolta differenziata è stata nel 2001 di 5,1 milioni di tonnellate, con una crescita della quota percentuale, rispetto al 2000, del 3%. In termini assoluti l'incremento, il più elevato dell'intero quinquennio 1997-2001, risulta superiore alle 940.000 tonnellate. Complessivamente nel 2001 circa il 67,1% dei rifiuti urbani è stato smaltito in discarica per un totale di circa 20 milioni di tonnellate. La flessione che si registra nello smaltimento in discarica, rispetto al 2000, ammonta a circa 5,3 punti percentuali, confermando quell'inversione di tendenza che si era già registrata per il 2000 rispetto al 1999 (fig. 2).
Dunque lo smaltimento in discarica, pur rimanendo ancora la forma di gestione più diffusa, lascia spazio ad altre tipologie di trattamento e smaltimento quali il compostaggio e la termovalorizzazione. Tale risultato, raggiunto anche grazie all'incentivazione dei sistemi di raccolta differenziata, è dovuto in gran parte alla crescita del settore del compostaggio, in particolare di quello della frazione organica raccolta in modo differenziato, sia in termini di quantità di rifiuti trattati sia in termini di numero di impianti. Parallelamente allo sviluppo dei trattamenti a valle della raccolta differenziata si è riscontrata anche una crescita della termovalorizzazione dei rifiuti, dovuta in gran parte allo sviluppo tecnologico che ha investito il parco impianti nazionale, limitando drasticamente il numero degli insediamenti privi di tecnologie per il recupero energetico: dei 44 impianti di incenerimento di rifiuti urbani esistenti in Italia, al 2001 solo 8 risultavano privi di sistemi per il recupero di energia. La quantità di rifiuti urbani avviati a impianti di incenerimento ammonta a circa 2,6 milioni di tonnellate. Il divario tra le regioni del Nord e quelle del Sud va aumentando, visto che in molte regioni del Sud non esistono ancora impianti destinati al trattamento termico dei rifiuti (fig. 3).
Il sistema integrato per il trattamento e lo smaltimento
Il sistema integrato di gestione dei rifiuti solidi urbani prevede l'utilizzo, a valle della raccolta, di diversi impianti per il trattamento, il recupero di materiali ed energia, e lo smaltimento finale.
Nel diagramma di fig. 4 è mostrato un tipico sistema di gestione completo da adottarsi all'interno dei cosiddetti ATO per la gestione autonoma dei rifiuti (decreto Ronchi).
I rifiuti solidi urbani vengono raccolti in modo differenziato o indifferenziato. I primi vengono avviati al recupero o al riutilizzo, mentre il rifiuto indifferenziato viene avviato a un sistema di impianti di selezione, produzione CDR (combustibile da rifiuti), termovalorizzazione e discarica controllata, i quali permettono un corretto smaltimento.
Nel sistema di gestione integrato dei rifiuti la raccolta differenziata dei rifiuti solidi urbani svolge un ruolo prioritario poiché consente di ridurre il flusso di quelli da avviare allo smaltimento indifferenziato nonché la loro pericolosità, di valorizzare le varie componenti merceologiche (plastica, vetro, carta, cartone, frazione organica, legno, alluminio, metalli) sin dalla fase di raccolta, di facilitare il recupero di materiali ed energia nella fase di trattamento finale, di promuovere comportamenti più corretti da parte dei cittadini con conseguenti significativi cambiamenti nei costumi.
Il decreto Ronchi ha fissato come obiettivo per il 2003 il raggiungimento della soglia del 35% di raccolta differenziata sull'intera produzione di rifiuti. Un cittadino italiano produce in media circa 500 kg di rifiuti all'anno, di cui circa il 30% (150 kg) è costituito da frazione organica (scarti di cucina e avanzi di cibo); il 25% (125 kg) da carta e cartone; il 13% (65 kg) da plastica; il 7% (35 kg) da scarti di verde e legno; e un ulteriore 10% (50 kg) da vetro e metalli (fig. 5). Solo la frazione rimanente di rifiuti, pari a circa il 15%, risulta essere praticamente uno scarto non recuperabile o riutilizzabile.
I sistemi di raccolta sono vari e adattabili alle diverse tipologie urbane: si passa dalle raccolte stradali con grandi contenitori per le aree metropolitane, a quelle di prossimità con contenitori di dimensioni ridotte per i centri urbani, ai sistemi 'porta a porta' che consentono una captazione più capillare dei vari materiali, soprattutto per utenze di tipo commerciale, quali ristoranti, bar, uffici. Per il conseguimento degli obiettivi più avanzati è però indispensabile che la raccolta differenziata venga realizzata secondo logiche di integrazione rispetto all'intero ciclo e che a essa corrispondano la dotazione di efficienti impianti di recupero e riciclaggio e una sempre maggiore diffusione dell'utilizzo dei rifiuti che sono stati recuperati.
Il decreto Ronchi, al fine di perseguire gli obiettivi di recupero e riciclo dei materiali di imballaggio, ha imposto la nascita di un consorzio privato senza fini di lucro, il CONAI (Consorzio nazionale imballaggi), costituito da produttori, importatori e utilizzatori di imballaggi. Il sistema CONAI si basa sull'attività di sei consorzi, cui aderiscono tutte le principali imprese coinvolte nel ciclo di vita dei sei materiali utilizzati (carta, plastica, vetro, acciaio, alluminio e legno). Compito di ciascun consorzio è quello di coordinare, organizzare e incrementare il ritiro dei rifiuti di imballaggi conferiti al servizio pubblico, la raccolta dei rifiuti di imballaggi delle imprese industriali e commerciali, il riciclaggio e il recupero dei rifiuti di imballaggio, la promozione della ricerca e dell'innovazione tecnologica finalizzata al recupero e riciclaggio.
repertorio
I materiali recuperabili
La carta
Il consumo annuo di carta e cartone in Italia ammonta a circa 10 milioni di tonnellate. La parte più cospicua di questa produzione è costituita da cartone ondulato (circa 68%), cartoncino (12%) e carta per produzione di buste e sacchetti. Nei cassonetti adibiti alla raccolta differenziata è possibile conferire carta, cartoni, scatole per alimenti e detersivi, giornali, libri, quaderni, opuscoli. Spesso i 'recuperatori' della carta si incaricano anche della raccolta, soprattutto presso i grandi produttori (tipografie, distributori di giornali, supermercati, banche, uffici), oltre a costituire il recapito dove le imprese pubbliche e private di igiene urbana conferiscono la carta raccolta in modo differenziato.
La carta da macero non è tutta uguale: il suo valore sia tecnico sia economico aumenta quanto più è selezionata per tipologia e qualità. La selezione ordinaria è di tipo meccanico mentre quella più avanzata viene fatta a mano. Il processo successivo è quello del riciclo vero e proprio che inizia con un processo di spappolamento, nel quale la carta viene tritata e mescolata con acqua fino a diventare una poltiglia. L'impasto viene poi filtrato per eliminare le impurità più grossolane e posto in un depuratore che separa la cellulosa dagli altri elementi.
Alla pasta ottenuta viene aggiunta cellulosa vergine in proporzioni differenti a seconda dell'uso finale. La carta riciclata può coprire infatti tutta la gamma delle prestazioni: carta per usi grafici, carta kraft, carta da giornali (100% carta riciclata), scatoloni di cartone, cartoncino per scatole, carta da pacchi, vassoi per alimenti.
Quando la carta di fibra riciclata non ha più la consistenza indispensabile per produrre altra carta, può sempre essere utilizzata come combustibile per produrre energia, presentando un buon potere calorifico. La carta contenuta nei rifiuti indifferenziati (carta sporca e bagnata che non deve essere conferita nei contenitori della raccolta differenziata poiché contaminerebbe la carta riciclabile) può essere utilizzata nello stesso modo.
La plastica
Molti degli imballaggi di uso comune sono costituiti da plastica: bottiglie per l'acqua minerale e bibite (PET, polietilene tereftalato), flaconi per detersivi, giocattoli, vaschette per uova e altri alimenti (PVC, cloruro di polivinile), piatti, posate, tappi (PS, polistirene), polistirolo (EPS, polistirene espanso sinterizzato).
La raccolta differenziata interessa tutti i tipi di plastica esistenti e consente di avviare al riciclo una buona parte dei rifiuti prodotti. I processi del riciclaggio sono essenzialmente di tipo meccanico: si producono granuli o scaglie utilizzabili nella produzione di nuovi oggetti. Esistono anche processi di riciclo di tipo chimico che consentono di rompere i polimeri e di ottenere i monomeri di partenza, da cui avviare nuovi processi di polimerizzazione.
Riciclando la plastica si ottiene un'ampia gamma di prodotti: dal PET si producono nuovi contenitori, capi d'abbigliamento in pile (bastano 20 bottiglie per fare un maglione), imbottiture varie, moquette per interni auto; il PVC viene utilizzato nel settore edile per la produzione di tubazioni, passacavi, scarichi; il PS viene riciclato per ottenere contenitori, sacchetti per la spazzatura, film per imballaggio; se lavorati insieme i vari tipi di plastica producono una plastica eterogenea impiegata per produrre elementi di arredo urbano, giochi per bambini, recinzioni, cartellonistica stradale.
Gli scarti della plastica raccolta possono anche essere impiegati per recuperare energia: a titolo d'esempio, una bottiglia di plastica del peso di 50 g può produrre l'energia necessaria per tenere accesa una lampadina da 60 W per un'ora.
Il vetro
Il vetro è il materiale d'imballaggio riciclabile per eccellenza; esso infatti mantiene intatte tutte le sue qualità per un numero infinito di ricicli. Per ottenere una bottiglia di vetro occorrono 400 g di sabbia, 100 g di soda, 90 g di gasolio e 100 g di calcare. Per averne una in vetro riciclato non servono né sabbia, né soda, né calcare, ma solo 10 g di gasolio: è evidente come l'uso di vetro riciclato riduca in modo determinante il fabbisogno di materie prime estratte da cave e miniere. Va considerato inoltre che il vetro di recupero necessita di temperature più basse per fondere, con ovvio risparmio di combustibili ed energia. La raccolta differenziata del vetro in appositi contenitori aiuta il riciclo poiché semplifica le operazioni di pulizia e consente il riutilizzo del 100% del vetro raccolto. In Italia il 60% delle bottiglie sono prodotte a partire da vetro riciclato. Si deve considerare, fra l'altro, che una bottiglia di vetro abbandonata nell'ambiente o deposta in una discarica si decompone solo dopo 4000 anni.
L'acciaio
Molti degli imballaggi di comune utilizzo sono in acciaio: scatole e lattine per alimenti, bombolette spray, fusti per lubrificanti. Gli imballaggi che provengono dalla raccolta differenziata vengono avviati a operatori specializzati per la loro valorizzazione, attraverso processi di pulitura, frantumazione ed eventuale separazione dello stagno. Il rottame ferroso prosegue poi il suo percorso di riciclo in acciaieria e/o fonderia per essere rifuso e trasformato in prodotto siderurgico pronto per dar vita a nuovi oggetti, mantenendo inalterate tutte le proprietà di robustezza e protezione. A titolo di esempio, bastano 7 scatolette in acciaio da 50 g per produrre un vassoio, 15 per fare una pentola del peso di 600 g; con 150 bombolette per spray è possibile produrre 1 m di tondino di ferro per l'edilizia.
L'alluminio
Gli imballaggi in alluminio sono molto diffusi per le caratteristiche intrinseche del materiale stesso: è leggero, resistente agli urti e alla corrosione, è un buon conduttore termico, è in grado di garantire un ottimo effetto barriera per proteggere dalla luce, dall'aria e dall'umidità, è atossico, e, soprattutto, riciclabile all'infinito. Per questo viene utilizzato per lattine, vaschette, scatole e fogli. Il riciclo dell'alluminio è molto importante in quanto non comporta lo sfruttamento della bauxite, minerale da cui viene estratto e di cui tra l'altro l'Italia è carente; il procedimento inoltre consente di risparmiare il 95% dell'energia necessaria per produrre alluminio dalla materia prima.
Il riciclo dell'alluminio costituisce una rilevante attività per l'economia italiana: l'Italia è il primo produttore europeo di alluminio riciclato e il terzo nel mondo. L'alluminio raccolto è avviato in appositi centri dove viene separato da eventuali parti ferrose o altri materiali diversi (vetro, rame ecc.). Viene poi pressato in balle e portato alle fonderie, dove viene trattato a circa 500 °C per liberarlo da vernici o da altre sostanze adesive e quindi fuso in forno alla temperatura di 800 °C fino a ottenere alluminio liquido che viene trasformato in lingotti pronti per essere utilizzati per lavorazioni successive. Molti sono i prodotti che se ne ottengono: nuovi imballaggi, parti di automobili, biciclette, caffettiere. Per es., con 150 lattine si può costruire il telaio di una bicicletta da città e con 360 lattine quello di una da competizione completa di accessori; bastano 37 lattine per fare una caffettiera, 640 per ricavare un cerchione per auto.
Il legno
Il legno è un materiale prezioso da sempre associato alle attività dell'uomo, il quale lo utilizza per costruire, trasportare, proteggere, in virtù delle sue caratteristiche di resistenza ed elasticità, le sue proprietà di igiene e igroscopia (assorbe l'umidità), la biodegradabilità e il facile recupero e riutilizzo. Sono in legno molti tipi di imballaggio, come pallets, cassette per frutta e ortaggi. Per la raccolta differenziata del legno non ci sono cassonetti appositi, ma 'centri di raccolta' o servizi di ritiro a domicilio da parte dell'azienda di igiene urbana. Tutto il legno può essere riciclato e il materiale ottenuto è di ottima qualità. Ogni anno in Italia si recuperano circa 1.345.000 tonnellate di legno. Il primo passo nel processo di riciclo è la triturazione, seguita dal lavaggio e successivamente dalla riduzione in scaglie, dette chips, dalle quali si ottengono i pannelli di truciolare. Bastano quattro pallets per una nuova scrivania e 300 cassette di legno per costruire un armadio. Un altro utilizzo è relativo alle cartiere per la produzione di pasta cellulosica o agli impianti di compostaggio quale materiale strutturante per la produzione di compost. L'utilizzo del legno riciclato evita il taglio di nuovi alberi, un fattore di grande rilievo anche ambientale se si considera che l'Italia è la maggiore esportatrice di mobili in tutto il mondo pur essendo sostanzialmente povera di boschi.
La frazione organica umida (FOU)
La frazione organica umida dei rifiuti solidi urbani, detta anche semplicemente 'umido', è costituita essenzialmente da scarti alimentari di provenienza domestica, ovvero dalla frazione putrescibile dei rifiuti prodotti quotidianamente. Proprio per le sue caratteristiche di putrescibilità con conseguente emissione di cattivi odori, è consigliata la sua captazione in modo differenziato con sistemi di raccolta adeguati (bidoncini per sistemi 'porta a porta', ritiro domiciliare presso ristoranti, fruttivendoli, supermercati) e frequenze di ritiro piuttosto elevate. In Italia circa 7.000.000 di abitanti effettuano la raccolta di tale rifiuto in modo differenziato. La nuova normativa in materia di discariche (d. legisl. 13 gennaio 2003, nr. 36 e d. minist. 13 marzo 2003) introduce specifici obiettivi di progressiva riduzione della frazione biodegradabile destinata allo smaltimento in discarica: nel 2018 i rifiuti urbani biodegradabili avviati in discarica dovranno essere inferiori a 81 kg/anno per abitante.
La frazione organica dei rifiuti è ricca di elementi nutritivi e viene utilizzata, insieme agli scarti vegetali derivanti dalla manutenzione del verde pubblico e privato, per la produzione di compost di qualità, che può essere impiegato nel giardinaggio, in florovivaistica, nonché in agricoltura convenzionale e biologica. Il compost è prodotto industrialmente in impianti che riproducono in modo accelerato quanto avviene in natura, dove la sostanza organica non più utile alla vita (foglie secche, rami, feci, resti di animali ecc.) viene trasformata dai microrganismi presenti nel terreno in humus. Viene utilizzato per restituire fertilità a terreni degradati o poveri per loro natura (per es. terre di scavo e sottosuolo affiorante), favorire l'inerbimento e la crescita di alberi e arbusti per il consolidamento di terreni dissestati o scoscesi, provvedere alla sistemazione finale di cave e discariche. Essendo in grado di restituire vitalità al terreno e di favorire la particolare capacità che questo ha di disinquinarsi attraverso processi biologici naturali, si impiega anche per la bonifica di terreni inquinati da sostanze organiche, quali idrocarburi, esplosivi, composti aromatici ecc.
Si sta diffondendo sempre più la pratica del 'compostaggio domestico' che consente di trasformare un rifiuto organico in terriccio per l'orto e il giardino. Il composter utilizzato a tale scopo è un contenitore di forma e volume variabili (generalmente da 200 a 1000 litri) che permette un'efficace trasformazione degli scarti organici in compost. Le materie prime per la produzione del terriccio sono le stesse oggetto di raccolta differenziata, cioè tutti gli scarti biodegradabili, quali: avanzi di cucina, come residui di pulizia delle verdure, bucce, pelli, fondi di tè e caffè, scarti del giardino e dell'orto, come legno di potatura, sfalcio dei prati, foglie secche, fiori appassiti, gambi, avanzi dell'orto, altri materiali biodegradabili, come carta non patinata, cartone, segatura e trucioli provenienti da legno non trattato. Una volta inserito il materiale nel composter occorrono dai sei agli otto mesi per ricavarne il compost maturo.
I beni durevoli
Il decreto Ronchi ha individuato una serie di cosiddetti 'beni durevoli', quali frigoriferi, surgelatori, congelatori, televisori, computer, lavatrici e lavastoviglie, condizionatori d'aria. Tutti questi apparecchi sono accomunati dalla caratteristica di essere prodotti complessi, composti cioè da una pluralità di materiali, alcuni potenzialmente pericolosi, che necessitano di specifiche logiche di gestione. Il decreto stabilisce che tali prodotti al termine del loro utilizzo siano consegnati a un rivenditore, contestualmente all'acquisto di un altro bene di tipologia equivalente, oppure conferiti alle imprese pubbliche o private che gestiscono la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti urbani.
Nell'ultimo decennio si è registrato un aumento considerevole della quantità di rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche con una sempre crescente attenzione a metodi di minimizzazione dell'impatto ambientale, sia quantitativo sia qualitativo, generato da tali rifiuti. Poiché questa tipologia di rifiuti rappresenta contemporaneamente una fonte potenziale di inquinamento e una risorsa di materiali, è importante far sì che il materiale dismesso non diventi immediatamente rifiuto, ma continui la sua vita nel ciclo economico e produttivo e che venga gestito in maniera tale da ridurre al minimo ogni impatto negativo sull'ambiente. Nel 1999, in Italia, sono state raccolte separatamente circa 24.600 tonnellate di beni durevoli, corrispondenti al 13% del totale dei rifiuti prodotti: l'82,5% al Nord, il 14,5% al Centro e il 3% al Sud.
Il ciclo di lavorazione negli impianti di trattamento, prevede le seguenti operazioni: 1) pretrattamento e messa in sicurezza, per la separazione delle parti mobili delle apparecchiature e la rimozione delle sostanze pericolose, quali mercurio, CFC (clorofluorocarburi; si tratta di sostanze lesive dell'ozono atmosferico di cui dal 1° gennaio 2000, ai sensi del d. minist. 141/98, è vietato lo smaltimento in discarica) e oli, e delle parti fragili come i tubi a raggi catodici; 2) smontaggio e separazione dei componenti per il disassemblaggio dei medesimi ai fini dell'avvio al recupero, al riciclaggio e allo smaltimento; 3) trattamento dei componenti (carcasse o corpi di frigoriferi e tubi catodici di televisori e monitor) che dopo il pretrattamento risultano ancora contaminati (CFC e polveri luminescenti e vernici, lampade, inchiostri, toner, condensatori). Questo processo viene eseguito in impianti adeguati e in grado di separare i componenti pericolosi per l'ambiente da quelli non pericolosi con processi tecnologici di natura fisica o chimica.
repertorio
Gli impianti di trattamento e smaltimento
Sistemi di selezione
I sistemi di selezione, che possono essere meccanici o a cernita manuale, separano le diverse frazioni di rifiuti allo scopo di recuperare materiale (carta, plastica, vetro, metalli, legno, tessili, frazione organica) o energia, asportare materiali pericolosi di per sé (RUP, rifiuti urbani pericolosi) o per i trattamenti successivi.
Un impianto di selezione per riciclaggio consente la separazione del rifiuto solido urbano in quattro diverse frazioni. La frazione organica da selezione dei rifiuti solidi urbani (FORSU) comprende tutti gli scarti di origine animale e vegetale contenuti negli avanzi alimentari e nei resti delle attività di giardinaggio separati attraverso un sistema automatico di vagliatura. La frazione secca è costituita da carta, cartoni, legni, plastica ecc. ad alto potere combustibile; tali materiali combustibili, ancora allo stato grezzo, dovranno essere ulteriormente trattati per renderli compatibili con le specifiche caratteristiche imposte dal riutilizzatore finale (inceneritore), sicché a tale scopo si procede a ulteriori trattamenti per la produzione di CDR (combustibile da rifiuti). La frazione ferrosa è materiale ferroso presente nei rifiuti solidi urbani indifferenziati, separato per azione elettromagnetica (ferro) o per induzione (alluminio) e poi avviato al recupero in aziende specializzate. I sovvalli sono tutte le frazioni non recuperabili dei rifiuti urbani che, non trovando applicazione né come materiale
da compostare né come materiale da termovalorizzare, vengono conferite e smaltite in discarica controllata.
Impianti per la produzione di CDR
Il combustibile da rifiuti è il materiale ricavato dai rifiuti urbani - dopo aver attuato tramite raccolta differenziata la separazione delle frazioni destinate a recupero di materia - mediante trattamento finalizzato all'eliminazione di sostanze pericolose per la combustione e a garantire un adeguato potere calorifico del combustibile ottenuto (minimo 15.000 kJ/kg). Il CDR può essere utilizzato come combustibile in diversi impianti quali centrali termoelettriche per la produzione di energia elettrica, cementifici, gassificatori oppure forni a letto fluido.
Impianti di compostaggio
La decomposizione della sostanza organica è un processo biologico che in natura avviene spontaneamente, ma in tempi molto lunghi e in maniera discontinua. Si è allora pensato di sfruttare questo fenomeno naturale per trattare, in condizioni controllate, la sostanza organica mediante un processo che si differenzia da quello naturale per una maggiore velocità di svolgimento e per un notevole sviluppo di calore. Si tratta di un processo biossidativo, in quanto i fenomeni ossidativi a carico della sostanza organica sono di origine biologica e si sviluppano attraverso numerose reazioni biologiche e biochimiche messe in opera da vari microrganismi quali batteri e funghi.
Se il processo di compostaggio interessa la frazione umida in uscita dagli impianti di selezione meccanica, il prodotto che si ottiene, il compost, non è di alta qualità e viene utilizzato principalmente per ricoperture di discariche, cave, scarpate e altri usi di ripristino ambientale. Se viene utilizzata come matrice in ingresso all'impianto la frazione organica raccolta in modo differenziato, il compost è invece un prodotto a elevata valenza agronomica, utilizzabile anche in agricoltura biologica conformemente alle norme della buona pratica agricola.
Impianti di termovalorizzazione
La frazione secca selezionata negli impianti di selezione per riciclaggio e trattata per la produzione di CDR è da considerarsi come un combustibile rinnovabile; dalla sua combustione si può produrre energia termica che può essere utilizzata direttamente oppure ulteriormente convertita in energia elettrica, tramite un processo detto appunto di termovalorizzazione. Esistono impianti che producono contemporaneamente energia elettrica e calore, detti di 'cogenerazione'. Il calore sviluppato dalla combustione viene utilizzato per produrre vapore ad alta pressione e temperatura, adatto alla produzione di energia elettrica mediante turboalternatori. Come in tutte le combustioni, si ha la formazione di sostanze inquinanti che devono essere eliminate prima dell'immissione dei fumi in atmosfera. Oggi esistono numerose e avanzate tecnologie per l'abbattimento degli inquinanti gassosi e delle polveri; inoltre le emissioni in atmosfera vengono continuamente monitorate per evitare che i valori di concentrazione delle sostanze inquinanti risultino superiori a limiti imposti dalla legge.
Impiegando i rifiuti come combustibile si riduce il consumo dei combustibili fossili tradizionali (petrolio, carbone e gas naturale), contribuendo a non innalzare i danni ambientali dovuti all'effetto serra e risparmiando fonti energetiche esauribili. La termovalorizzazione dei rifiuti comporta inoltre la riduzione del volume dei rifiuti da smaltire: le ceneri, che rappresentano circa il 10% del rifiuto bruciato, sono materiale inerte e vengono collocate in discarica senza provocare ulteriori danni ambientali.
Definizioni e classificazioni
In natura non esiste un corrispondente del rifiuto, poiché nell'ambiente ogni tipo di sostanza e materiale utilizzato dalle popolazioni biologiche degli ecosistemi, quando cessa la propria funzione, viene rimesso in circolazione entrando a far parte di altri processi. Il complesso dei cicli biogeochimici naturali è strutturato in modo da riutilizzare ogni materiale derivante dal termine di ciascuna fase di impiego ecologico specifico. Anche l'uomo ha beneficiato di questa funzione di recettore svolta dall'ambiente; la società umana, infatti, a lungo ha costituito una popolazione relativamente bilanciata con l'ecosistema terrestre, e le quote di materiali che essa prelevava, utilizzava e scartava erano di entità assai modesta. In particolare, per molti materiali di non facile estrazione o produzione (per es. metalli, legno, tessuti) veniva praticato il recupero e tutto sembrava funzionare in modo bilanciato e nel rispetto dell'esistente equilibrio naturale. La problematica legata ai rifiuti comincia a delinearsi a partire dalla rivoluzione industriale come conseguenza delle crescenti attività tecnologiche, produttive e di consumo.
L'incremento della produzione e dei consumi ha dato luogo alla formazione di notevoli quantità di materiali di scarto che, non avendo più alcuna funzione per l'utilizzatore, sia esso un impianto industriale o un individuo, vengono appunto 'scartati': da qui il concetto di rifiuto, corollario specifico della complessità delle attività umane e dell'estesa gamma di materiali e sostanze che esse utilizzano, prelevandole dalle riserve naturali e reimmettendole successivamente nell'ambiente in forma diversa.
Si definiscono dunque 'rifiuti' gli oggetti o le sostanze derivanti da attività umane o da cicli naturali di cui il detentore si disfi o si debba disfare in base alle norme vigenti. I rifiuti sono classificati, secondo la loro origine, in rifiuti urbani e rifiuti speciali e, secondo le loro caratteristiche di pericolosità, in rifiuti pericolosi e rifiuti non pericolosi.
I rifiuti urbani sono a loro volta divisi in 'interni' ed 'esterni'. Rientrano nella categoria degli interni: i rifiuti domestici, anche ingombranti, provenienti da locali e luoghi adibiti a uso di civile abitazione nonché quelli, non pericolosi, derivanti da fabbricati e insediamenti con destinazione diversa da abitazione civile. Si definiscono esterni: i rifiuti di qualunque natura o origine, giacenti sulle strade e aree pubbliche o sulle strade e aree private comunque soggette a uso della collettività, o sulle spiagge marittime e lacuali e sulle rive dei corsi d'acqua; i rifiuti provenienti da zone verdi (giardini, parchi, luoghi cimiteriali), da esumazioni ed estumulazioni o da altre attività cimiteriali e i rifiuti provenienti dallo spazzamento e dalla pulizia delle strade e aree pubbliche o private comunque soggette a uso pubblico.
I rifiuti speciali sono i residui derivanti da attività agricole e agroindustriali, da demolizioni, costruzioni e scavi; i rifiuti conseguenti a lavorazioni industriali e artigianali, ad attività commerciali e di servizi; i rifiuti provenienti dal recupero e smaltimento degli stessi; i fanghi prodotti dalla potabilizzazione e da altri trattamenti delle acque e dalla depurazione delle acque reflue e da abbattimento di fumi; i rifiuti connessi con funzioni di tipo sanitario (ospedali, case di cura e affini); macchinari e apparecchiature deteriorati e obsoleti, come frigoriferi, congelatori, lavatrici ecc., cui si aggiungono, con una crescita annuale considerevole, computer, fotocopiatrici, apparecchiature hi-fi e simili; veicoli a motore, rimorchi e simili fuori uso e loro parti.
L'industria manifatturiera, il settore delle costruzioni e delle demolizioni, l'estrazione mineraria e da cava e l'agricoltura sono le attività economiche maggiormente responsabili dell'aumento nella produzione dei rifiuti speciali. Circa il 75% dei rifiuti prodotti è riconducibile ad attività di tipo industriale, mentre il restante 25% si riferisce alle attività domestiche.
Secondo i dati forniti dall'APAT (Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici), la quantità di rifiuti speciali prodotti in Italia e in molti altri paesi dell'Unione Europea tra il 1997 e il 2001 ha subito un incremento quasi del 50%; particolarmente significativo è stato l'aumento tra il 1999 e il 2000, quantificato nell'ordine del 14,6%. Se la causa principale di tale crescita è stata individuata nelle migliorate condizioni economiche e nel crescente sviluppo industriale, la maggiore affidabilità conseguita all'interno del sistema di contabilità dei rifiuti e l'inclusione nel regime dei rifiuti di materiali avviati a recupero, prima esclusi dall'obbligo di dichiarazione MUD (Modello unico di dichiarazione), hanno sicuramente contribuito a offrire un quadro più attendibile e veritiero sulla quantità di rifiuti speciali effettivamente prodotti.
La l. 25 gennaio 1994, nr. 70 ha infatti istituito il MUD in materia ambientale allo scopo di omologare per tutte le imprese l'obbligo di comunicare annualmente le quantità e le caratteristiche qualitative dei rifiuti prodotti attraverso le loro attività in un'ottica di controllo più sicuro e integrato dell'ambiente.
L'analisi della situazione italiana fra il 2000 e il 2001 rivela che la quantità totale di rifiuti speciali prodotta nel 2000 è stata pari a circa 83 milioni di t, di cui 3,9 milioni di t di rifiuti speciali pericolosi e circa 330.000 t di rifiuti non determinati (279.000 privi del codice ISTAT attività e circa 51.000 senza codice CER, Catalogo europeo rifiuti). Nel 2001 si è registrato un considerevole aumento pari a circa il 9%, con una produzione totale di circa 90,4 milioni di t, di cui 4,3 milioni di t rifiuti speciali pericolosi e 276.000 t rifiuti non determinati (170.000 privi del codice ISTAT attività e circa 106.000 senza codice CER). L'analisi dei dati per area geografica registra nel Nord Italia, dove si concentrano attività di tipo manifatturiero, la maggiore percentuale di rifiuti speciali sia nel 2000 (65%) sia nel 2001 (64%), mentre nel Centro e nel Sud le percentuali sono decisamente più basse.
Si è calcolato che nel 2001 i rifiuti speciali che sono stati inceneriti sono ammontati a 872.000 t, di cui 574.000 t in impianti dedicati ai soli rifiuti speciali e dotati di recupero energetico (frequentemente recupero di energia termica) e 298.000 t in impianti per rifiuti urbani. A livello regionale, la Lombardia incenerisce oltre il 37% dei rifiuti, il Veneto il 17,7%, l'Emilia Romagna il 14% e la Toscana l'8,5%. Nel 2001, il 2,4% del totale dei rifiuti speciali gestiti è stato utilizzato come risorsa energetica, il che significa che oltre 2 milioni di t di rifiuti sono stati usati come combustibile sostitutivo, di cui circa 142.300 t classificati come pericolosi. La maggior parte di questi rifiuti proviene dalla lavorazione del legno e dalla produzione di pannelli, mobili, polpa, carta e cartone (46%), il 21% è rappresentato da biogas e il 19% da rifiuti derivati dal settore agroalimentare.
Si definiscono rifiuti pericolosi i rifiuti non domestici precisati nell'elenco che costituisce l'allegato A del d.l. 286 del 16 luglio 2001, sostitutivo dell'allegato D del decreto Ronchi, in cui sono prese in considerazione le caratteristiche sia qualitative sia quantitative dei rifiuti.
Poiché la classificazione di un rifiuto spetta al soggetto che lo ha prodotto, il CER fornisce un elenco dettagliato in cui tutti i rifiuti sono identificati con un codice numerico, in modo che il produttore del rifiuto, in base alle conoscenze del ciclo produttivo, delle materie prime utilizzate e dei risultati di eventuali analisi chimiche, può facilmente codificare il rifiuto prodotto dalla sua attività. I rifiuti pericolosi, per es., sono tutti individuati sul CER mediante un codice con asterisco.
Il Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio ha emanato una direttiva finalizzata a fornire indicazioni per la corretta e piena applicazione del regolamento della Commissione n. 2557/2001 sulle spedizioni dei rifiuti, le quali indicazioni sono necessarie affinché ogni rifiuto sia correttamente identificato con i codici del nuovo elenco, fin dalla sua produzione e in ogni successiva fase di gestione, incluso il trasporto, anche in vista di un'eventuale movimentazione dei rifiuti stessi, sempre soggetta al regolamento 2557/2001.
Da un punto di vista giuridico, la classificazione dei rifiuti vieta di miscelare categorie diverse di rifiuti pericolosi oppure rifiuti pericolosi con rifiuti non pericolosi; è previsto inoltre che le condizioni di esonero dall'autorizzazione per il deposito temporaneo nel luogo di produzione siano diverse a seconda che si tratti di rifiuti pericolosi o non pericolosi; la classificazione incide sull'individuazione dei produttori di rifiuti, obbligati alla comunicazione annuale al catasto dei rifiuti e alla tenuta del registro di carico e scarico; il formulario di identificazione è obbligatorio per il trasporto di tutti i rifiuti, salvo che per il trasporto di quelli urbani effettuato dal soggetto che gestisce il servizio pubblico; tutte le autorizzazioni devono essere aggiornate sulla base della nuova classificazione. Sono vietati l'abbandono e il deposito incontrollato di rifiuti sul suolo e nel suolo e l'immissione di rifiuti di qualsiasi genere, allo stato solido o liquido, nelle acque superficiali e sotterranee.
Le diverse attività operative
Per quanto riguarda le attività relative ai rifiuti, il decreto differenzia e definisce in modo specifico e particolareggiato l'insieme delle attività di raccolta, trasporto, recupero, bonifica e smaltimento dei rifiuti. La raccolta è l'operazione di prelievo, cernita e raggruppamento dei rifiuti per il loro trasporto. Si parla di smaltimento dei rifiuti per riferirsi all'insieme delle operazioni previste nell'allegato B del decreto, in particolare quelle finalizzate a rendere innocui i rifiuti. La raccolta differenziata è quella idonea a raggruppare i rifiuti urbani in frazioni merceologiche omogenee (compresa la frazione organica umida) destinate al riutilizzo, al riciclaggio e al recupero di materie prime. Il recupero dei rifiuti è l'insieme delle attività e operazioni previste nell'allegato C del decreto, distinte tra attività finalizzate al recupero di materia prima (energia) dai rifiuti. Le attività di recupero sono dunque differenziate da quelle di smaltimento e gli adempimenti dei diversi soggetti coinvolti nella gestione dei rifiuti differiscono conseguentemente, non solo a seconda che si tratti di rifiuti propri o prodotti da terzi, ma anche in relazione al fatto che si tratti di recupero o smaltimento dei rifiuti mediante operazioni che li rendano innocui.
I Comuni hanno la privativa per la gestione dei rifiuti urbani e di quelli assimilati avviati allo smaltimento (di tipo domestico, abbandonati su strade, giacenti su aree pubbliche o private soggette a uso pubblico) ed espletano tale attività o direttamente attraverso la gestione in economia del servizio di nettezza urbana, o attraverso aziende municipalizzate speciali, oppure in concessione a enti, consorzi e imprese specializzate. Le autorità, in base alle proprie competenze, al fine di ridurre lo smaltimento finale dei rifiuti, ne incoraggiano il riutilizzo e il riciclaggio, nonché altre forme di recupero per ottenerne materia prima, prevedono inoltre incentivi al mercato per l'impiego dei materiali recuperati e favoriscono infine l'impiego dei rifiuti come combustibile o altro mezzo per produrre energia. Il riutilizzo, il riciclaggio e il recupero di materia prima sono preferibili rispetto alle altre forme di recupero, in modo tale che i rifiuti da smaltire siano progressivamente ridotti per effetto del potenziamento di queste attività. Dal 16 luglio 2001 è consentito smaltire in discarica solo i rifiuti inerti, quelli individuati da specifiche norme tecniche e quelli che residuano dalle operazioni di riciclaggio, recupero e smaltimento. Lo smaltimento deve essere attuato attraverso una rete integrata e adeguata di impianti, che tenga conto delle tecnologie più avanzate a disposizione e al tempo stesso a costi contenuti, al fine di realizzare l'autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi in Ambiti territoriali ottimali (ATO); questi ultimi, fatte salve le diverse disposizioni stabilite con leggi regionali, coincidono con l'ambito provinciale in modo da ridurre il movimento per il trasporto dei rifiuti stessi. Le Province assicurano una gestione unitaria dei rifiuti urbani e predispongono, d'accordo con i Comuni, piani per la loro gestione. In ogni ambito territoriale ottimale deve essere assicurata una raccolta differenziata dei rifiuti urbani in percentuali minime progressivamente crescenti. I Comuni devono, inoltre, garantire l'organizzazione di adeguati sistemi di raccolta differenziata, per permettere al consumatore di conferire al servizio pubblico rifiuti provenienti da materiali da imballaggio separati da altre tipologie presenti nei rifiuti domestici.
Le discariche
La discarica è un invaso allestito secondo precise normative di protezione ambientale: impermeabilizzazione delle pareti e del fondo, sistema di captazione e raccolta dei reflui liquidi; sistema di captazione, raccolta ed eliminazione del biogas; copertura quotidiana e ripristino vegetazionale delle superfici. La discarica è strutturata in modo che in essa i rifiuti, adeguatamente compattati, possano essere collocati a strati. Esaurita la sua utilizzabilità, ossia quando non è più in grado di accogliere altri rifiuti, la discarica viene chiusa, ma il lavoro di gestione continua per molti anni ancora. Infatti la discarica, benché chiusa, deve essere presidiata per garantire il ripristino e il mantenimento di tutte le superfici a verde, nonché il funzionamento dei servizi e degli impianti adibiti all'estrazione delle frazioni liquide (percolato) e dei gas (biogas), che finché presenti possono costituire una fonte di rischio per l'ambiente.
Nel 2002 erano almeno 4866 le discariche presenti su tutto il territorio italiano. Secondo l'analisi effettuata dalla Commissione europea per l'ambiente, una parte considerevole di queste sarebbe illegale o incontrollata, nonostante le nuove normative. In particolare più di 700 conterrebbero rifiuti pericolosi.
I costi dei servizi
I costi per i servizi relativi alla gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti di qualsiasi natura o provenienza, giacenti sulle strade e aree pubbliche e soggette a uso pubblico, sono coperti dai Comuni attraverso l'istituzione di una tariffa destinata a sostituire gradualmente, secondo le indicazioni contenute nel decreto Ronchi, la tassa sui rifiuti. Tale tariffa sarà applicata nei confronti di chiunque conduca oppure occupi locali, o aree scoperte a uso privato non costituenti accessorio o pertinenza dei locali medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale. La tariffa, determinata dagli enti locali, è applicata dai gestori nel rispetto della convenzione ed è riscossa dal soggetto che gestisce il servizio. Il passaggio dalla tassa alla tariffa è finalizzato a far pagare a ciascun utente l'effettivo costo del servizio reso e, quindi, in ragione della quantità, pericolosità e maggiore o minore recuperabilità dei rifiuti prodotti. Infine, per quanto concerne la disciplina amministrativa dell'attività di recupero, l'art. 33 del decreto Ronchi prevede un regime semplificato che consente di iniziare l'attività di gestione dopo 90 giorni (termine non perentorio) dall'invio di una comunicazione preventiva da parte del Ministero dell'Ambiente alla Provincia. Il regime ordinario dettato dagli artt. 27 e 28 del decreto richiede invece il rilascio di una preventiva autorizzazione all'inizio dell'attività di gestione dei rifiuti.
Problematiche sanitarie
La raccolta, la gestione e lo smaltimento dei rifiuti urbani devono essere realizzati in modo da evitare ogni possibilità di trasmissione e diffusione degli agenti patogeni, per i quali l'enorme massa di materiali organici costituisce un substrato di sviluppo e trasmissione ad altri animali come topi, mosche, zanzare, scarafaggi e vermi, a loro volta veicoli di trasmissione verso altri animali e verso l'uomo. I rifiuti urbani, infatti, contengono germi patogeni di origine umana presenti, per es., negli oggetti monouso per l'igiene personale (pannolini per la prima infanzia, fazzoletti di carta ecc.), o germi di altro genere come quelli che si sviluppano nei residui alimentari, che rappresentano un terreno di coltura particolarmente favorevole, creando notevoli problemi igienici per la sanità pubblica.
Inoltre, nei rifiuti si ritrovano tutte e sostanze pericolose contenute nei beni di consumo, prive però di quelle sicurezze e quegli antidoti che ne impediscono il passaggio all'uomo e, quindi, in condizioni di rischio potenziale per il personale addetto alla gestione dei residui e per la popolazione nel suo complesso.
La materia fecale presente nei rifiuti urbani (si stima che con i pannolini monouso vengano smaltite ogni anno in Italia non meno di 700.000 t di materia fecale) può contenere tutti e quattro i gruppi patogeni di tipo gastrointestinale: virus, batteri, Protozoi ed elminti. I virus di maggiore importanza sono: Adenovirus, Enterovirus (incluso Poliovirus), virus dell'epatite A, Reovirus e virus della diarrea (specialmente Rotavirus). Tra i batteri, risultano più pericolosi quelli della diarrea, della febbre tifoidea e paratifoidea, della salmonella e del colera. I principali Protozoi sono quelli della dissenteria, dell'ameba, degli ascessi epatici e della sindrome da malassorbimento. Tra gli elminti, i vermi piatti (Platelminti) e i vermi rotondi (Nematelminti) inducono malattie parassitarie quali ascaridiasi, distomiasi, filariosi, ossiuriasi, teniasi ecc. Si deve tuttavia rilevare che alcuni agenti patogeni possono essere trasmessi soltanto attraverso specifici meccanismi infettivi: per es. i batteri del tetano si comunicano unicamente tramite tagli cutanei.
Una gestione inadeguata dei rifiuti può lasciare spazio all'invasione di Roditori determinando la diffusione di altri agenti batterici quali la leptospirosi, sindrome che nell'uomo può avere anche esiti mortali, o favorire il randagismo canino, veicolo di propagazione del virus della rabbia. La natura specifica dei rifiuti può comportare rischi anche maggiori: i residui di pellami, lana, ossa e similari devono essere trattati come potenzialmente contaminati da antrace, mentre alcune categorie di rifiuti ospedalieri (provenienti da interventi di patologia, chirurgia, trattamento di infezioni ecc.) sono state riconosciute dall'Organizzazione mondiale per la sanità tra le più pericolose.
La semplice presenza di patogeni nei rifiuti non è elemento sufficiente allo sviluppo di effetti sanitari: le operazioni per una corretta gestione delle scorie sono appunto finalizzate a impedire ai patogeni di raggiungere una fase di moltiplicazione e di persistenza che, attraverso vettori passivi, esponga l'uomo a una dose di germi così massiccia da provocare, in condizioni di assenza di difese immunitarie, l'insorgenza di una patologia.