Riso amaro
(Italia 1949, bianco e nero, 108m); regia: Giuseppe De Santis; produzione: Dino De Laurentiis per Lux Film; soggetto: Giuseppe De Santis, Carlo Lizzani, Gianni Puccini; sceneggiatura: Corrado Alvaro, Giuseppe De Santis, Carlo Lizzani, Carlo Musso, Ivo Perilli, Gianni Puccini; fotografia: Otello Martelli; montaggio Gabriele Variale; scenografia: Carlo Egidi; costumi: Anna Gobbi; musica: Goffredo Petrassi, Roman Batrov [Armando Trovajoli].
Francesca, obbedendo agli ordini dell'amante Walter, ruba una collana e, per sfuggire ai tutori dell'ordine, finisce su un treno di mondariso che stanno partendo per fare la stagione. Con loro c'è la bella Silvana, che, dopo aver avvicinato Francesca e aver contrattato per lei, facendola accettare come clandestina, le ruba la collana. La vita della risaia è dura: le donne devono far fronte a fatiche massacranti, a soprusi da parte dei caporali, alla pioggia incessante. Nel frattempo Walter raggiunge Francesca e quando si accorge che Silvana ha preso la refurtiva, la circuisce, inducendola ad abbandonare il fidanzato Marco, che, tradito, inizia a corteggiare Francesca. Quando Walter viene a sapere che la collana è falsa, decide di rifarsi rubando il riso destinato alle mondine. Silvana complice per amore lo aiuta nell'impresa. Marco e Francesca, intuendo il piano, decidono di fermare i due malfattori: dopo un aspro litigio, Marco spara, uccidendo Walter. Silvana, acclamata Miss Mondina 1948, si suicida buttandosi dalla torre di legno, allestita per la festa di fine monda.
Riso amaro è un film segnato dagli opposti. Già a partire dalla colonna sonora, firmata da Goffredo Petrassi, autore di musica classica d'avanguardia, e da Armando Trovajoli, musicista decisamente più popolare. Da una parte il mondo della cultura alta, quella che ha innervato il neorealismo, nei nomi di Giuseppe De Santis, Gianni Puccini e Carlo Lizzani, tutti provenienti dall'esperienza critica della rivista "Cinema"; dall'altra quello della cultura popolare, messa in scena da un grammofono che suona boogie-woogie, dalle pagine della rivista "Grand Hotel", da collane rubate e maschere nere indossate da ladri. Alla risaia e alle sue mondine fa da controcanto la storia del furto e delle passioni, ai cappelli di paglia portati dalle donne per ripararsi dal sole risponde quello di feltro indossato dal malavitoso. Sfondo e primo piano, ambientazione e protagonisti, contesto sociale e vicenda narrata diventano poli opposti dello stesso quadro, e così anche regolari e clandestine, la statuaria Silvana, bambina vestita di nero, di contro all'esile Francesca, donna del capo vestita di bianco. Opposti, contrasti, misure antitetiche si fronteggiano, stabilendo un sistema di scelte alternative.
Riso amaro mette in rilievo gli opposti per tracciare percorsi di riavvicinamento. De Santis lavora sul contrasto per offrire ossessivamente possibilità di mediazione, di transitorietà. E naturalmente partiamo dall'incipit. L'acqua scorre tra le gambe delle donne che, chine sullo specchio della risaia, iniziano il lavoro della monda. I titoli di testa di Riso amaro, accompagnati da questa prima immagine di corpi e d'acqua, sono segnati da un movimento di macchina che partendo dal basso del dettaglio si innalza verso il cielo costruendo così un quadro d'insieme. Queste immagini ritornano identiche a sé stesse dopo qualche sequenza, quasi a voler ricominciare da capo la narrazione. Nell'intervallo del doppio cominciamento, tra la prima inquadratura delle mondine e la sua corrispettiva, De Santis mette in risalto i quattro personaggi e intesse tra loro passioni e rivalità, costruendo il punto di partenza, tutto emotivamente compromesso, per svolgere poi in piena consapevolezza la storia di Riso amaro. Così facendo porta lo spettatore ad assimilare la necessità di tenere insieme, secondo una prospettiva tutt'altro che neorealista, storia sociale e spettacolo degli eventi.
Ricominciare serve dunque per recuperare e quindi per inglobare ciò che manca. Questo processo di assimilazione dell'opposto è evidente anche nelle molte inquadrature che trattengono i volti di Silvana e Francesca. Le amiche rivali non si sfidano mai in un dicotomico campo-controcampo. Ingabbiate in uno spazio cinematografico che le costringe a stare vicine, malgrado la diversità, Silvana e Francesca imparano a conoscersi, ad apprezzarsi e a scambiarsi uomini, parti e destini. "Finché gridate non vi capirete mai, vedete che litigare fra voi non serve a niente, provate a mettervi d'accordo", dice il sergente alle mondine in lotta. La rimozione dell'invidia viene così didascalicamente enunciata dalle parole del personaggio che in modo evidente figurativizza la necessità di mediare tra gli opposti. Anche se la scelta definitiva di riconfigurare il contrasto in un quadro d'insieme viene consegnata dal regista al personaggio-narratore che apre e chiude il film. Lo speaker di Radio Torino introduce con uno sguardo in macchina la storia delle mondine: "Sono alcuni secoli che in Italia settentrionale si coltiva il riso, come in Cina, come in India" e così via per un lungo prologo parlato che tramuta la voce in voce off, poiché la macchina da presa lascia il personaggio per dirigersi sulla visione dei convogli che accolgono le mondine in partenza per la risaia. La stessa voce, muta nel corpo del film, risorge alla fine, dopo l'ultima battuta del dialogo che decreta, quasi rivolgendosi agli spettatori: "Su via, qui non c'è più niente da vedere, andate". Risorge, dicendo: "E così un'altra monda è passata. Ora si torna a casa", ma questa volta la voce si presenta radicalmente over, scorporata in modo definitivo dal personaggio messo in scena nella prima sequenza. Il segno della mediazione tra gli opposti sta proprio nella scelta precisa di sottrarre il corpo al narratore, riducendolo così alla pura funzione di story teller, deprivandolo tanto della sua investitura di personaggio (lo speaker di Radio Torino), quanto della sua funzione (fare la cronaca degli eventi).
La voce over che chiude Riso amaro esprime la necessità di trovare soluzioni narrative in grado di ricucire iframmenti, sanare le contraddizioni, ricostruire le macerie. Sottolinea l'urgenza di rintracciare mediatori che mettano in scena la crisi per decretarne possibili soluzioni, o per lo meno rilanciare nuovi racconti: "Poi un altro anno, a maggio, verranno di nuovo sulla pianura del riso e forse saranno le stesse che abbiamo conosciuto…". Riso amaro consegna così il corpo neorealista al cinema degli anni Cinquanta, traducendo nelle sue immagini l'esigenza di dare una logica agli eventi, riassestando gli opposti in unica forma, riconfigurandoli grazie a un racconto popolare.
Interpreti e personaggi: Vittorio Gassman (Walter), Doris Dowling (Francesca), Silvana Mangano (Silvana Melega), Raf Vallone (Marco Galli), Checco Rissone (Aristide), Nico Pepe (Beppe), Adriana Sivieri (Celeste), Lia Corelli (Amelia), Maria Grazia Francia (Gabriella), Dedi Ristori (Anna), Anna Maestri (Irene), Maremma Bardi (Gianna), Carlo Mazzarella (Mascheroni).
I. Calvino, Tra i pioppi della risaia la cinecittà delle mondine, in "l'Unità", 14 luglio 1948.
P. Spriano, Ragazze suicide, in "l'Unità", 15 luglio 1949.
G. Aristarco, Riso amaro, in "Cinema", n. 24, 15 ottobre 1949.
E. Bruno, Silvana Mangano nuda (o quasi), in "Film", n. 48, 4 dicembre 1949.
F. Di Giammatteo, Riso amaro, in "Bianco e nero", n. 12, dicembre 1949.
A. Bergala, Brigade mondine, in "Cahiers du cinéma", août 1983.
J.A. Gili, Entre Dovjenko et Matarazzo, in "Positif", n. 272, octobre 1983.
Visioni moltiplicate. Immagini culturali in 'Riso amaro', a cura di G. Michelone e G. Simonelli, Vercelli 1996.
Sceneggiatura: in C. Lizzani, Riso amaro, Roma 1978.