RISO (fr. riz; sp. arroz; ted. Reis; ingl. rice)
Origine e diffusione. - Il riso è una pianta comunemente ritenuta originaria dell'Asia sud-orientale (India, Indocina, Cina).
Quest'ipotesi è basata sul fatto che in quelle regioni crescono numerose e spontanee negli acquitrini e negli stagni le specie selvatiche, e anche perché ivi la coltura del riso è in uso da tempo remotissimo; da tali regioni si ritiene essersi poi diffusa negli altri continenti, che indubbiamente hanno della coltura tradizioni e documentazioni assai posteriori. Su questa ipotesi non v'è, però, pieno consenso nel campo degli studiosi. È necessario in primo luogo distinguere l'origine delle specie spontanee da quelle coltivate. Sulla regione di origine delle prime, contro la comune credenza che la ravvisa nella Cina o nel Hindostan, è stata autorevolmente sostenuta un'origine africana (R. J. Roschevicz), o anche la possibilità di una contemporaneità di origine nei due continenti, relativamente a specie diverse (A. Chevalier). Queste nuove ipotesi trovano sostegno nelle recenti ricerche che hanno scoperto delle specie selvatiche in quasi tutti i continenti (salvo in Europa), prevalentemente nelle regioni a clima tropicale (tropicali e subtropicali) e, in non pochi casi, anche in climi temperati, ma con condizioni idrotermiche affini. Si ammette, però, per la Malesia e per le Americhe, la possibilità che vi sia stata una preistorica trasmigrazione di detta specie dall'Asia verso la prima, e dall'Africa, all'epoca terziaria dell'Atlantide, verso le seconde. Le specie coltivate si ritengono generalmente derivate da quelle selvatiche o per mutazione, o solo per incrocio naturale, ma fra risi appartenenti tutti alla sezione dell'Oryza sativa Roschev., con prevalenza, ma non esclusiva, della O. sativa L., forma spontanea. La discussione sulla loro origine, quindi, segue le tracce di quella relativa alle specie spontanee, salvo che si riconosce, anche da coloro che sostengono la tesi dell'origine africana, che la maggior diffusione e la loro moltiplicazione siano avvenute in Asia, ove la più intensa coltura e le condizioni più propizie ne avrebbero favorito il processo. Alcune recenti sperimentazioni tenderebbero, però, a dimostrare che la derivazione sia avvenuta solo per successivi incroci, anziché per mutazione (S. Roy). Sulle origini della coltura non si può che seguire le tradizioni storiche, le quali stanno a indicare la Cina, l'Indocina e l'India, paesi contigui e, dal punto di vista della coltivazione del riso, aventi stati climatici similari. L'ipotesi che la coltura possa essere stata iniziata altrove, solo per il fatto che si sono ivi riscontrate delle primitive forme di manovre d'acqua, di raccolta e di conservazione delle vegetazioni spontanee, ha carattere più che altro di teoria, perché, in ordine alla coltura, è necessario tener presente l'importanza, l'intensità e la complessità dei sistemi di coltivazione fin dai tempi più remoti. Tali fattori si riscontrano, soprattutto, nella Cina antica, ove l'imperatore Chin-Nong, vissuto circa 2800 anni a. C., emetteva un'ordinanza, secondo la quale la famiglia imperiale doveva presiedere alle cerimonie per le seminagioni. Fra queste, quella del riso era riservata al solo imperatore: questo prova la grande importanza che fin d'allora aveva il riso nel Celeste Impero. La sua coltivazione nell'India daterebbe, secondo il De Candolle, almeno dall'invasione degli Arî, se si dà valore ad alcuni antichi nomi del riso in sanscrito (Vrihi e Arunya, da cui, per successive trasformazioni, sarebbero derivati i nomi indiani moderni, l'ὄρυζα od ὄρψζον dei Greci, l'oryza dei Romani, il Ruzz o Aruzz degli Arabi, ecc.).
F. Ratzel ritiene, invece, che gli Arî non conoscessero il riso: qui è questione di epoca; con tutta probabilità non lo conoscevano avanti l'invasione del Hindostan, dove non è arrischiato supporre che già fosse in coltura presso i popoli autoctoni, i quali in particolar modo avrebbero coltivata la pianta detta nivara. Alcuni fanno derivare invece, il nome di Oryza da quello della regione di Orissa, posta sulla costa orientale del Hindostan, regione che indubbiamente esportava fin dall'antichità riso in Occidente. Ma pure qui è ammissibile una correlazione di lingua fra il nome del cereale e la zona dove si coltivava. Nella Bibbia non vi è alcun accenno al riso, il che denota che non era conosciuto o non era coltivato presso gli Ebrei; solo nel Talmüd vi si fa allusione. In Occidente la prima precisa conoscenza del riso pare si sia avuta durante le conquiste di Alessandro Magno nella valle dell'Indo, e forse anche prima in quella dell'Eufrate, dove già si coltivava intorno al sec. IV a. C. Teofrasto ne descrive la pianta con esattezza, mentre Strabone parla della coltivazione del riso presso gl'Indiani, "i quali se ne nutrivano e ne ricavavano una specie di vino". Galeno indica il riso come alimento medicamentoso. I Romani conoscevano il riso come uso, non come coltura; il riso presso di essi era una ghiottoneria con cui si faceva una pietanza detta oryza amylata. Plinio il Vecchio descrive col nome di oryza una pianta che non è certo il riso. In tutte queste citazioni non si allude mai a una coltivazione in Europa, dov'è solo entrata all'inizio del sec. VIII in Spagna con l'invasione degli Arabi, che già l'avevano diffusa nel nord dell'Africa nel corso delle loro conquiste. Si crede, ma la notizia è assai incerta, che fossero pure gli Arabi a introdurla in Sicilia nel secolo IX. Per l'Italia, l'ipotesi che trova maggior credito è quella che attribuisce agli Aragonesi il merito di aver introdotto questa coltura nel regno di Napoli nel sec. XV con l'insediamento del loro governo (1442). La terza ipotesi che attribuisce l'introduzione ai Veneziani, i quali esercitavano attivo commercio con l'Oriente, non è documentata. Dalla Campania la risicoltura si sarebbe in breve tempo diffusa verso il nord, in Toscana (nel 1468 nella piana di Pisa, secondo la citazione del Targioni Tozzetti) e nella Valle Padana. Quivi la troviamo per la prima volta argomento di due lettere del duca Galeazzo Maria Sforza, portanti la data del 27 e del 28 settembre 1475, dalle quali, però, si arguisce ch'essa era praticata già da qualche anno. La documentazione della coltura risicola nell'Italia Settentrionale diviene numerosa alla fíne del Quattrocento e all'inizio del Cinquecento, tanto che possiamo affermare con sicurezza ch'essa si estese in quel tempo anche nel Piemonte, nel Veneto e nell'Emilia, particolarmente ove erano acque per irrigare e acquitrini da utilizzare (per quest'utile impiego il riso fu chiamato "il tesoro delle paludi"). Gl'igienisti ne ostacolarono spesso la diffusione, accusandola di essere la causa dell'aggravarsi della malaria. Ciò nonostante nel 1550 contava già in Lombardia oltre 5000 ettari (censimento spagnolo) e nel 1710 nella Valle Padana superava i 50.000 ettari, che si accrebbero continuamente fino a toccare un massimo di 232.000 ettari nel 1870 (dopo l'apertura del Canale Cavour, 1866). Da allora la superficie è andata restringendosi, per stabilizzarsi poi intorno ai 150.000 ettari. Nell'America Settentrionale i primi tentativi di coltura, secondo R.J. Roschevicz, rimontano all'epoca del secondo viaggio di Colombo (1493), ma furono subito abbandonati perché gli Spagnoli non si erano ancora saldamente stabiliti in quelle terre. La coltivazione effettiva fu iniziata nel 1694 nella regione costiera della Carolina con riso proveniente dal Madagascar. Nell'America Meridionale i primi saggi furono compiuti nel sec. XVIII al Brasile, con successiva diffusione negli altri stati viciniori. Nella Malesia la coltura del riso data da tempo indeterminato; nel continente australiano un risveglio produttivo importante è di data recente.
Classificazione e descrizione. - Il genere Oryza appartiene alle Monocotiledoni, famiglia Graminacee; è uno dei gruppi di cui assai poco si sono occupati i botanici, per cui ancora oggi non v'è una classificazione definitiva ed esauriente. Una coscienziosa classificazione non si può fare se non sulla base delle specie spontanee, le quali, per il riso, crescono in gran parte in zona tropicale, ove non v'è facilità di compiere escursioni per raccolte e per studî sistematici. Gli studiosi, quindi, per il passato si sono prevalentemente occupati di specie coltivate, con classificazione di carattere agrario o commerciale.
Così si dica dei vecchi lavori di K. B. Trinius, C. Kunth, A. N. Desvaux, J. Doll, G. Biroli, J. D. Hooker, E. T. Steudel e O. Bordiga. Occorre arrivare al sec. XX per trovare nella letteratura botanica la descrizione di specie nuove spontanee di Oryza. Queste specie sono state descritte recentemente nelle monografie di A. Prodoehl (1922) e di R. J. Roschevicz (1931).
Già prima di queste ricerche botaniche, H. Baillon aveva tentato una classificazione razionale delle specie d'Oryza conosciute nel secolo XIX, dividendo il genere in 4 sezioni:1. Euoryza (O. sativa L.); 2. Padia (O. Meyriana Bn.); 3. Potamophila (Potamophila R. Br.); 4. Maltebrunia (O. leersioides e O. prehensilis). Dopo la descrizione delle nuove specie, R. J. Roschevicz, nel 1931, ha esposto una classificazione più organica, sebbene non ancora pienamente soddisfacente, se si tengono presenti i rilievi di A. Chevalier; essa è tuttavia quanto di meglio oggi esiste. L'autore considera il genere Oryza in senso stretto, escludendo da esso le sezioni Potamophila e Maltebrunia del Baillon, che rientrerebbero così a far parte di altri generi della tribù delle Oryzeae. La classificazione considera pure 4 sezioni:
Sez. 1ª. - Sativa Roschev. - Comprende le specie annuali e perenni: O. sativa L., O. longistaminata A. Cheval. et Roehr., O. grandiglumis prod., O. punctata Kotschy, O. Stapfü Roschev., O. breviligulata A. Cheval. et Roehr., O. australiensis Dom., O. glaberrima Steud., O. latifolia Desv., O. Scahweinfurthiana Prod., O. officinalis Wall. e O. minuta Presl.
Sez. 2ª. - Granulata Roschev. - Comprende solo due specie perenni: O. granulata Nees e O. Abromeitiana Prod.
Sez. 3ª. - Coarctata Roschev. - Comprende le specie perenni: O. Schlechteriana Pilger, O. Ridleyi Hook f., O. coarctata Roxb., O. brachyantha A. Cheval. et Roehr.
Sez. 4ª. - Rhynchoryza Roschev. - Comprende una sola specie: O. subulata Nees.
I risi coltivati sono per la quasi totalità annuali e appartengono tutti alla prima sezione, per la maggior parte alla specie O. sativa L.
Agrariamente i risi vengono classificati pure in comuni, montani e glutinosi. I risi comuni hanno grana trasparente, cornea, e sono normalmente coltivati nelle zone piane con la sommersione dei terreni; quelli montani invece, sono quelli coltivati in regioni collinose del tropico, senza irrigazione, ma bagnati dalle piogge periodiche, ivi abbondantissime, e da un'igroscopicità atmosferica molto elevata; i glutinosi sono risi a granella opaca, farinosa, impropriamente chiamati glutinosi, non perché abbiano più glutine degli altri risi, ma perché hanno la caratteristica di disfarsi alla cottura in una massa mucillagginosa; si coltivano quasi esclusivamente in Oriente. In questa classificazione si devono aggiungere anche i risi selvatici perenni detti galleggianti, coltivati in terreni soggetti alle graduali inondazioni, ove riescono ugualmente a vegetare, perché posseggono la proprietà di crescere in altezza insieme con il livello dell'acqua (anche fino a 4 metri), in modo da mantenere la parte apicale sempre alla superficie; sono risi di scarsa produzione in granella, per cui, il più delle volte, sono utilizzati come foraggio.
Altre classificazioni agrarie-commerciali sono quelle che distinguono i risi secondo la pregevolezza in comuni, semifini e fini; oppure secondo la forma delle cariossidi in risi a grana lunga (caroline), grossa e tonda, e ancora secondo il periodo di vegetazione in risi precoci (p. v. 3-4 mesi), di stagione (p. v. 5 mesi) e tardivi (p. v. 6 mesi).
La maggior parte delle varietà di riso coltivate possiede un'altezza di 90-100 cm. (esclusa la pannocchia), ma si riscontrano dei tipi bassi anche di soli 50 cm., come dei tipi giganti di 140 cm. (salvo il riso galleggiante). Normalmente la pianta porta radici numerose, lunghe, inserentisi al colletto, dal quale si ergono uno o più culmi vuoti internamente, segmentati da nodi in numero di 4 0 5, che conferiscono allo stelo maggior robustezza. Il primo e il secondo nodo possono emettere radichette avventizie, se vengono a contatto col terreno. Dai nodi divergono le foglie guainanti, a lamina molto allungata, parallelinerva, di un colore verde più o meno intenso, a volte con striature longitudinali violacee o gialle, a seconda delle varietà; la foglia si unisce alla guaina con una ligula biloba; le pagine delle foglie sono ricoperte di peli corti e durissimi. L'infiorescenza è una pannocchia composta con un numero vario di spighette, che s'inseriscono sul rachide principale, il quale può avere portamento eretto o cadente a seconda delle varietà; la lunghezza della pannocchia può variare da un minimo di 10 cm. a un massimo di 30. Ciascuna spighetta porta da 5 a 10 cariossidi. Il numero delle cariossidi portate da una pannocchia può variare da 50 circa a 400, escludendo per il minimo i casi di tristizia della pianta; nei casi più frequenti oscilla intorno ai 150. Il fiore di riso è monoclino, e si compone di due glume piccolissime, appena accennate alla base del fiore stesso, e di due glumelle molto sviluppate, normalmente gialle, ma talvolta anche rossicce o viola scuro, delle quali l'inferiore, più grande, porta in certe varietà l'arista. L'androceo consta di 6 stami riuniti in due verticilli uguali, con antere introrse, deiscenti a x; il pistillo è monocarpellato; l'ovario ha forma di ellissoide irregolare, e contiene un ovolo campilotropo, largamente inserito nella linea di sutura ventrale. Lo stilo manca e lo stimma è diviso in due lobi piumosi, a volte bianchi, a volte violacei. Il frutto è una cariosside allungata che a maturazione viene staccata dal rachide e costituisce il riso greggio (risone, paddy); ellissoidale, depressa lateralmente, con dimensioni variabili a seconda delle varietà (da 3 a 11 mm. in lunghezza), con due costole più o meno rilevate e due solcature in senso longitudinale. Il riso, scorzato dalle glumelle, si presenta come un chicco ancora a forma ellissoidale, ricoperto da una sottile pellicola leggermente scura (raramente rossa o viola), che costituisce il pericarpio e ricopre la massa di cellule amidacee, poliedriche, costipate più o meno fra loro (da tale costipamento dipende il grado di trasparenza cornea). Il fiore del riso, normalmente chiuso nelle glumelle, si apre all'atto della fecondazione. È quindi possiblle la sua ibridazione naturale. Si esegue con facilità anche l'ibridazione artificiale, non solo nei climi tropicali, ma anche in quelli temperati, come lo dimostrano i lavori genetici eseguiti da G. Sampietro presso la Stazione sperimentale di risicoltura di Vercelli.
Clima e coltura. - Il clima più propizio per il riso è quello tropicale con abbondanti piogge periodiche, intensa igroscopicità atmosferica, elevata temperatura con moderate escursioni termometriche diurne. Ma il riso si coltiva anche in clima temperato (fino al 45° parallelo in Italia), purché si riesca a somministrargli, mediante l'irrigazione, acqua pari a 250-300 cm. di precipitazione, regolarmente distribuita nel periodo di vegetazione, e verificandosi nel corso di questo una somma di temperature medie giornaliere di 3000° o poco più, per le varietà precoci, e di 4000°-4500° per quelle tardive, in regioni ove non si verificano bruschi e frequenti mutamenti di temperatura, con mesi estivi prevalentemente soleggiati. Inoltre, occorre che la temperatura dell'acqua alla semina non sia inferiore ai 12°, e che essa si elevi nei mesi estivi oltre i 20°; la temperatura dell'aria nei momenti critici della fioritura non deve essere inferiore ai 18°, meglio se raggiunge i 25°-30°. Nelle regioni tropicali si possono fare due colture in un anno: dall'autunno alla primavera, e da questa all'autunno; quivi con varietà precoci, la coltura può durare anche solo tre mesi. Il modo di coltivazione varia a seconda delle regioni e dell'ubicazione dei terreni. Per esempio, in Oriente e in Spagna ha maggior diffusione la coltivazione per trapianto, mentre in Africa e in America si usa seminare solo in posto. In Italia si è sempre seminato in posto per il passato; recentemente s'è introdotto anche il trapianto. Nei paesi a coltura estensiva talvolta si semina in copertura senza lavorare il terreno (pratica rara, però); altrove l'aratura è di norma. Infine nei climi molto caldi si raccoglie il riso già a giusto tenore per la conservazione, mentre altrove deve essere essiccato dopo la battitura. La coltivazione in Italia s'inizia nel mese di marzo con l'aratura, l'arginatura, la slottatura delle zolle e le concimazioni; normalmente si semina in aprile, o a spaglio, sommergendo prima il terreno e livellandolo e intorbidando le acque, oppure a righe con macchine che stampano il terreno a file rialzate. Il riso alligna in tutti i terreni, con miglior frutto in quelli di medio impasto. La semente viene gettata dopo essere stata a bagno alcuni giorni. I quadri di risaia, detti "camere", hanno grandezza varia, da pochi decine di mq. fino a oltre un ettaro. Il consumo d'acqua per ettaro va da l./sec. 1,5 nei terreni impermeabili a oltre 7 nei terreni molto bibuli; consumo medio in terreni di medio impasto, l./sec. 2,5.
Dopo la semina, la risaia, salvo alcune manovre d'acqua, è lasciata a sé fino alla mondatura o estirpamento delle erbe infestanti, eseguita da squadre composte prevalentemente di donne. Le male erbe sono numerosissime, ma prevalgono per danno le alghe, i Panicum, i Cyperus e gli Scirpus. Le alghe si distruggono anche con soluzioni diluitissime di solfato di rame (1: 200.000), innocue ai pesci, mentre le altre erbe nelle semine a righe si estirpano negli interfilari pure con sarchiatrici a coltelli; i ciperi si distruggono anche con rullature. La mondatura si compie dai primi di giugno alla prima quindicina di 'luglio, con 2 0 3 ripassi, fra i quali si usa asciugare la risaia (asciutta) per aerarla e spargervi la concimazione supplementare. Le risaie mediamente infestate richiedono circa 200 ore di lavoro per ettaro per la ripulitura.
Nel mese di giugno si esegue, ov'è stato predisposto, anche il trapianto. Questa innovazione colturale, introdotta in italia da N. Novelli, direttore della Stazione sperimentate di risicoltura di Vercelli, prima della guerra mondiale, si è presto diffusa nel rinnovo delle risaie per i notevoli vantaggi che il Novelli ha elencato nel suo decalogo, fra cui citiamo la raccolta di un primo prodotto primaverile (prato, grano, colza e segale), il ritardo di due mesi di sommersione con maggior igiene del lavoro in risaia, l'eliminazione quasi totale della mondatura, la maggior resistenza all'allettamento, ecc. Il trapianto consiste essenzialmente nel seminare fitto il riso in aprile in piccoli appezzamenti (semenzai) e poi trapiantarlo a dimora in giugno a mano o a macchina. I semenzai sono circa 1/8-1/10 della superficie da trapiantare. In estate si selezionano in campo i risi destinati alla semente, poi si attende la raccolta, che cade alla fine di agosto per i risi precocissimi, nella prima quindicina di settembre per i precoci, nella seconda quindicina di settembre e prima decade di ottobre per i normali e più tardi per i tardivi.
La mietitura si esegue a mano con la falce, benché già si stiano sperimentando con successo delle mietitrici meccaniche. I manipoli, trasportati alla fattoria, sono subito trebbiati; il risone passa poi a essiccare sulle aie o in moderni e perfetti essiccatoi; successivamente si pulisce e s'immagazzina.
In Italia attualmente si coltivano circa 50 varietà, ma solo una decina hanno una reale importanza nella produzione. Esse sono: precoci: Bertone, Allorio, Maratelli e Agostano; di stagione: Vialone, Americano 1600, Chinese originario, Mantova; tardive: Roma e Bologna. I risi più coltivati sono i comuni: Americano 1600 e Chinese originario. I più finì sono: Bertone, Vialone, Allorio, Roma e Bologna. In questi ultimi anni si va diffondendo nelle risaie italiane anche la coltura del pesce, come prodotto secondario, e particolarmente della carpa e della tinca, con risultati soddisfacenti. L'ambiente è adatto anche per l'allevamento del pesce ornamentale (Carassius auratus L.). Il riso viene avvicendato con il grano e il prato, talvolta anche con mais, segale, canapa e barbabietola.
La risicoltura italiana si può ritenere, tecnicamente, la più progredita del mondo e i suoi prodotti i più apprezzati; la sua produzione totale di risone (riso greggio) dal 1915 al 1935 è salita da circa 4 milioni di quintali a 7 milioni, conseguiti su una superficie press'a poco uguale che si aggira fra i 130-140 mila ettari; circa 600 mila lavoratori trovano lavoro per essa. (V. oltre: Produzione e commercìo in Italia).
Avversità, nemici e malattie. - Fra le avversità si devono annoverare la grandine, il vento che disturba la fecondazione e provoea l'allettamento, le brinate primaverili che nocciono alla germinazione, le inondazioni che distruggono le risaie.
Fra i nemici animali si devono citare in risaia: le lumachette, le larve di alcuni insetti (Friganee, Chironomus Cavazzai, Trips oryzae, Stratiomys chamaeleon, Naepa cinerea, Tipula oleracea), le quali danneggiano la giovane vegetazione mangiando i germogli o intaccando gli steli; le coppette (Apus cancriformis), che impediscono l'inradichimento del riso; il grillotalpa che scavando gallerie negli argini provoca fughe d'acqua; il topo di risaia, che rosicchia gli steli alla maturazione. Questi animali si combattono o con le asciutte, o con esche avvelenate, oppure con la caccia diretta. In magazzino danneggiano il riso gl'insetti: Calandra oryzae, Tragosita mauritanica, Sitodrepa panicea, Sitotroga ceratella, che si combattono con gas velenosi.
Fra i nemici vegetali si devono annoverare le male erbe e i risi crudi (selvatici), che avversano lo sviluppo del riso (v. coltura).
Fra le malattie si deve citare in primo luogo il brusone (dal colore bruciato della pianta malata), la cui etiologia non è ancora oggi ben chiarita. Chi vuole che sia di carattere parassitario (Piricularia oryzae, Helminthosporium oryzae, Pleospora oryzae, Sclerotium oryzae); chi invece di natura fisiologica (asfissia del terreno, azione intossicante di eccessi di azoto). Questa malattia nella forma grave può distruggere intere risaie; nelle forme più benigne, in cui attacca solo qualche parte della pianta (radici, fusto, foglie), permette un parziale raccolto. Nel passato in Italia, quando si coltivavano varietà deboli, era assai diffusa; oggi fa la sua apparizione in modo sporadico e lieve. Altre malattie di poco danno sono la bianchetta o gentiluomo, la colatura, la ramificazione, molto rara, e il rachitismo, pure molto raro.
Prodotti: elaborazione e usi. - I prodotti della risaia sono il riso greggio e la paglia. Il riso greggio non è direttamente commestibile, e dev'essere ancora lavorato in appositi stabilimenti prima di passare al consumo. Questi stabilimenti, chiamati comunemente riserie, posseggono generalmente dei silo per la conservazione del risone. Quando s' inizia la lavorazione, meccanicamente il cereale viene portato ai buratti, che lo nettano di tutte le eventuali sostanze eterogenee, rimaste dopo la pulitura in cascina. Dai buratti passa, se è aristato, nei rompireste, poi nella prima scortecciatrice (sbramino) per togliervi le glumelle (lolla). Dalla scortecciatrice il riso sbramato, separato dalla lolla e dalla poca gemma, passa ai separatori oscillanti (paddy) per togliervi le residue cariossidi vestite, le quali fanno ritorno in un secondo sbramino, più piccolo, per essere rilavorate. Appresso, il riso entra nella prima sbiancatrice a cono; ivi subisce la prima asportazione del pericarpo (sbramato speciale); poi passa nella seconda, da dove esce semiraffinato o mercantile; infine nella terza per la definitiva lavorazione detta appunto a raffinato. A parte si separa la pula e il riso viene spolverato in apposite spazzolatrici, per poi passare nei separatori ad alveoli per togliervi la rottura (mezzagrana, corpetto, puntina). Il riso per la brillatura si ripassa in una quarta sbiancatrice.
Il riso così ottenuto è pronto per il commercio, ma spesso viene ancora manipolato per la sua riduzione in tipi speciali: il camolino e il brillato. Il camolino si ottiene oleando leggerissimamente e lentamente il riso raffinato entro un'elica di legno o ghisa smaltata, levigatissima, oppure entro una botte di legno cilindrica. Il brillato, destinato particolarmente all'esportazione, è ancora il raffinato trattato nelle eliche suddette con speciali ingredienti (brillantina, talco, glucosio), in modo da velare il riso con una leggiera patina esteriore lucidissima, che, oltre a dargli un aspetto di riso pregiato, serve per una sua più lunga conservazione. Oltre a queste macchine, i moderni stabilimeoti ne posseggono altre per alcune operazioni secondarie. La pula, per esempio, viene suddivisa in varie gradazioni, dal farinaccio alla pula grigia, mediante buratti centrifughi o plansichters gemelli; così il riso fratturato viene suddiviso-in mezzagrana e risina con separatori ad alveoli; e ancora la lolla viene macinata in sbramini quasi identici a quelli del risone, poi stacciata in buratti, indi schiacciata come la crusca in appositi laminatoi.
Tutti questi prodotti vanno in commercio per diversi scopi. Il riso serve per l'alimentazione umana (solo l'avariato è dato al bestiame); esso è un ottimo alimento; la sua composizione chimica percentuale è la seguente (Originario chinese; N. Novelli-L. Borasio).
La mezzagrana e la risina sono, invece, destinate all'alimentazione animale; la pula anche, molto ricercata per il suo alto contenuto in sostanze proteiche (circa il 12%) e sostanze grasse (pure il 12%). La lolla generalmente si brucia come materiale ingombrante; quella che viene macinata in tondello è destinata per la maggior parte all'estero e usata per la miscela delle crusche.
In Oriente il riso serve pure per la preparazione di una bevanda spiritosa, che si ottiene mediante fermentazione. Dal riso avariato, invece, si ricava alcool combustibile. I Giapponesi ottengmo da esso una bevanda nazionale variamente alcoolica, detta saké. Di fabbricazione domestica è poi l'acqua di riso, ottenuta bollendo il riso con aggiunta di cremore tartaro e limone, bevanda rinfrescante. Infine la farina di riso serve per la fabbricazione delle ciprie.
Nella culinaria il riso è variamente impiegato: in modo prevalente serlente per preparare minestre in brodo e asciutte (risotti); impiego più ridotto esso trova nella preparazitme di antipasti (insalate con frutti di mare, verdure ripiene, ecc.), di piatti con carne e polleria, di dolci, budini, creme, gelati, ecc., in tutto oltre 250 piatti solo in Europa. ll consumo del riso per persona varia enormemente da paese a paese. In India vi sono zone (Bombay) ove ogni abitante consuma circa 280 kg. all'anno, mentre in altre (rovincie del nord) soltanto 50 kg.; nell'Isola di Giava 300 kg. circa; nel Giappone 150 kg. Negli altri continenti il consumo annuo individuaie è molto inferiore: in Italia kg. 6, Francia kg. 6, Inghilterra kg. 4, Germania kg. 4, Spagna kg. 6,6, Stati Uniti kg. 4,8, Brasile kg. 12, Argentina kg. 5. I risi destinati all'alimemazione nella loro quasi totalità non hanno aroma; in Oriente, però, si producono in piccola quantità anche risi profumati, molto ricercati localmente. La farina di riso può essere miscelata in piccola quantità con le farine di frumento per la panificazione e la pastificazione, senza creare difficoltà tecniche e senza diminuire il valore nutritivo degli alimenti. In passato in Italia si preparava un pane (pistino) con forti percentuali di farina di riso, ma difettava di lievitazione.
La paglia viene quasi tutta usata per lettime nelle stalle; una quantità trascurabile è destinata agl'imballaggi. Recentemente si sono escogitati taluni processi per la sua utilizzazione nella fabbricazione della carta, con risultati ottimi, per cui si è iniziato uno sfruttamento su larga scala. Incidentalmente notiamo che in Europa si usa chiamare "carta di riso" una carta che con la paglia di riso non ha nulla a che fare, poiché è fabbricata col midollo del Tetrapanax papyrifer dell'Isola di Formosa.
Alimentazione e questioni igieniche. - Il riso è un alimento sano, nutriente e di una digeribilità superiore a qualunque altro farinaceo. In Asia oltre 600 milioni di abitanti hanno come base alimentare il riso. Ciò nonostante, in passato, credenze non suffragate da studî e osservazioni rigorose tendevano a diminuire l'importanza di questo cereale nell'alimentazione umana. Tali credenze si riferivano esclusivamente al calcolo teorico delle calorie, senza tener conto degli effetti biologici della sostanza nell'organismo umano. Studî più recenti hanno però rivendicato al riso tutta la sua efficacia nell'alimentazione, dimostrando che le sostanze alimentari in esso contenute vengono assorbite nell'alta proporzione del 96%, e che la qualità di alcune di tali sostanze (fosforo fitinico, vitamina B, ecc.) è tale da attivare energiche funzioni secretive e motrici negli organi digestivi e di "assicurare alla gente che lavora la espressione di una grande attività muscolare" (L. Devoto). Nel contempo si riafferma il carattere medicamentoso del riso per le affezioni flogistiche intestinali.
In Oriente sussiste la malattia del beri-beri, la cui etiologia non è ben definita, ma si ritiene in linea generale che dipenda dall'uso del riso brillato, il quale provocherebbe effetti di avitaminosi, oppure lo sviluppo di una forma tossi-infettiva dovuta al B. asthenogenes (N. Bernard). Il beri-beri si curerebbe somministrando agli ammalati la stessa pula di riso, tolta nell'eccessiva lavorazione del cereale. Vere o non vere queste teorie, su cui si attendono più scrupolose ricerche, sta di fatto che è pessima pratica la depauperazione del riso con lavorazioni troppo a fondo, con le quali si accontenta bensì l'occhio, ma si reca un indiscusso pregiudizio al valore alimentare del riso stesso.
Nel passato la coltura del riso in Italia fu osteggiata dagl'igienisti, che la incolpavano di apportare o aggravare la malaria locale. Questa credenza provocò una serie di difficoltà al diffondersi della coltura stessa, per la quale furono emanate leggi che ne regolavano, come ne regolano tuttora, la distanza dai centri abitati. Oggi, però, è stato provato che non v'è correlazione fra malaria e risaia, poiché le provincie italiane più intensamente risicole (in talune zone si giunge anche alla sommersione del 50% dei terreni coltivati), benché conservino un intenso anofelismo, sono divenute indenni da malaria. La risaia in tale senso, anzi, dev'essere considerata una coltura bonificatrice, perché opera il risanamento dei terreni, disciplina le acque di paludamento, permette con i suoi frutti di migliorare le condizioni economiche delle popolazioni rurali.
Produzione dei principali paesi. - Il riso è, insieme con il frumento, il cereale di maggiore produzione nel mondo. Se il grano forma, infatti, la base dell'alimentazione per i popoli dei paesi occidentali, il riso adempie alla stessa funzione in Oriente.
Il massimo paese produttore di riso è l'India Britannica: comprendendo anche la Birmania, la superficie coltivata a riso fu calcolata nel 1930-31 di ha. 33.178.100, non avendo subito notevoli oscillazioni rispetto alla media anteriore alla guerra mondiale (1909-14) che era di ha. 31.991.200. La produzione nel 1930-31 fu stimata di q. 494.355.200, con un rendimento per ha. di q. 14,0.
Viene al secondo posto, per entità di produzione, la Cina, per la quale però non esistono statistiche sicure in merito: secondo stime di fonte cinese, la produzione oscillerebbe tra 270-360 milioni di quintali. Per quanto imponente, tuttavia essa non è sufficiente per i bisogni interni e il mercato deve ricorrere all'importazione dall'estero (specialmente Indocina, Siam e India Britannica), che varia secondo le vicende dei raccolti.
Largo sviluppo ha acquistato la coltivazione del riso nell'Indocina, la cui produzione, oltre a soddisfare al forte consumo interno, dà luogo a una notevole esportazione verso la Cina, le Indie Olandesi, il Giappone, le Filippine, e anche verso i mercati europei della Francia, dell'Inghilterra, della Germania e del Belgio. Da circa ha. 3.460.000 nel 1914, la superficie dedicata alla risicoltura è salita a ha. 5.804.552 nel 1930-31, con una produzione in quest'ultimo anno di q. 58.711.000 circa. La coltivazione è di carattere nettamente estensivo, tanto che il rendimento per ha. è di appena 10 q.; inoltre il prodotto è di qualità scadente, poco omogeneo, cosicché esso viene quotato sui mercati internazionali a prezzi inferiori a quelli degli altri tipi asiatici di riso.
Anche il Siam ha visto aumentare sensibilmente la propria produzione di riso in confronto del periodo anteriore alla guerra mondiale: mentre infatti la media della superficie coltivata a riso negli anni dal 1909 al 1913 si aggirava attorno a ha. 1.830.631, essa raggiunse nel 1930-31 ha. 2.909.518, e la quantità prodotta passò nello stesso periodo di tempo da q. 28.499.246 a q. 48.649.114. Il rendimento medio per ha. è di q. 16,7. Il Siam occupa il terzo posto tra i paesi esportatori di riso, subito dopo l'India Inglese e l'Indocina.
Nel Giappone la coltivazione del riso riveste un'importanza principalissima: i terreni dedicati alla risicoltura rappresentano circa la metà dell'intera superficie agraria. La coltivazione si è andata estendendo e intensificando nello stesso tempo, passando da ha. 2.954.053 di superficie, come media degli anni 1909-1914, a ha. 3.212.481 nel 1930-31, e per quello che riguarda la produzione negli stessi limiti di tempo, da q. 90.875.163 a q. 120.857.667. Questo incremento così notevole ha fatto sì che, malgrado l'aumento della popolazione, il Giappone si trasformasse da paese importatore in esportatore di riso, fin sui mercati d'Europa, e che si formassero anche notevoli giacenze del prodotto che, premendo sul mercato interno, già colpito dal ribasso dei prezzi verificatosi sul mercato internazionale, hanno provocato una forte crisi. Il rendimento medio per ha. è di q. 37,6.
In Australia la risicoltura non è molto estesa, ma assai intensiva, ciò che ha permesso di provvedere per intero alla domanda del mercato interno. Nel 1929-30 la superficie coltivata a riso fu di ha. 8008 e la produzione di q. 497.861, con un rendimento medio per ettaro di q. 62,2.
In Africa, paesi risicoli sono l'Egitto e il Madagascar. Nel 1930-31 la superficie coltivata a riso ammontò in Egitto a ha. 145.156 e la produzione a q. 4.504.873 con un rendimento medio per ha. di q. 31. L'esportazione, diretta principalmente verso i paesi dell'Oriente mediterraneo, fu nel 1930-31 di q. 547.096. Nel Madagascar si ebbe nel 1930-31 una superficie coltivata di ha. 547.847 e una produzione di q. 6.573.600, con un rendimento medio di quintali 12 per ha.
La coltivazione del riso negli Stati Uniti, sviluppatasi su vasta scala durante la guerra mondiale, occupava nel 1930-1931 una superficie di ha. 388.100 con una produzione di q. 8.434.600. Mentre prima della guerra gli Stati Uniti erano importatori di riso, attualmente sono divenuti esportatori, dirigendo il loro prodotto verso i mercati della Germania, dell'Inghilterra, del Belgio, dell'Olanda e dei paesi dell'America Latina.
Altro paese che da importatore si è fatto in questi ultimi anni, in certa misura, esportatore di riso, è il Brasile, dove la produzione fu nel 1929-30 di q. 9.564.970. L'esportazione è quasi tutta diretta verso l'Uruguay e l'Argentina.
I paesi europei produttori di riso sono: l'Italia, la Spagna, l'U.R.S.S., il Portogallo, la Bulgaria e la Iugoslavia. La produzione di questi ultimi tre paesi è però, sul mercato internazionale, di scarsa importanza.
Per la produzione italiana, v. sotto: Produzione e commercio in Italia.
La Spagna coltivò a riso, nel 1930-31, ha. 48.572 di terreno, ricavandone q. 3.126.250 di prodotto.
Paese produttore e importatore nello stesso tempo è l'U.R.S.S.: nel 1931 erano coltivati a riso ha. 134.000. L'importazione fu nel 1929 di q. 468.780, prevalentemente provenienti dalla Persia.
Commercio. - Occorre tener distinti, quantunque le statistiche non sempre lo permettano, i due prodotti, diversi dal punto di vista merceologico e tecnico-economico, che spesso sono confusi sotto il nome generico di riso: il "risone", che è il prodotto delle aziende agricole, e il "riso lavorato", che è un prodotto industriale. Ad essi corrispondono due diversi mercati, quantunque interdipendenti.
Il commercio del risone e quello del riso lavorato s'intrecciano tra loro e diversificano secondo che nei paesi risicoli esistano in numero sufficiente, oppur no, le industrie di lavorazione: in caso affermativo, attivi scambî del prodotto agricolo avvengono nell'interno stesso di questi paesi; altrimenti, qualora le industrie nazionali non assorbano l'intera produzione di risone, questo viene esportato nei luoghi dove sono localizzate le industrie di lavorazione.
A questo movimento di traffici ne succede poi un altro, per il riso lavorato, verso i mercati di consumo.
Questo schema si complica, in realtà, per l'intervento del commercio di intermediazione, attuato in gran parte da commercianti europei, che ha reso il mercato di Londra, anche per ragioni di finanziamento, il centro delle contrattazioni mondiali del riso, e quello sul quale, in conseguenza, si formano i prezzi regolatori dell'intero movimento commerciale di questo prodotto.
Si tratta in massima parte, naturalmente, di contrattazioni soltanto, come avviene del resto anche per altri prodotti, ma un notevole commercio di vera e propria riesportazione viene inoltre attuato dall'Inghilterra, dalla Germania, dall'Olanda, dal Belgio e dalla Francia.
Questo stato di fatto, e la varietà dei tipi prodotti, pongono le condizioni per un vasto movimento commerciale di esportazione e di importazione (v. a pag. 429 le tabelle coi dati relativi agli anni 1929-33).
Produzione e commercio in Italia. - Le condizioni più favorevoli alla risicoltura, per suolo e per clima, si trovano in alcuni luoghi della Pianura Padana, verso la quale man mano la coltivazione si è venuta spostando.
Verso la metà del secolo XIX, con la più razionale utilizzazione delle acque irrigue e soprattutto con l'apertura del Canale Cavour, la risicoltura prese in Piemonte e in Lombardia un grande sviluppo, specialmente nelle provincie di Vercelli, Novara, Pavia e Milano (v. sopra: Origine e diffusione), cosicché quelle due regioni sono attualmente in Italia le massime produttrici di riso: seguono a distanza il Veneto e l'Emilia.
Nella seguente tabella è indicata la distribuzione territoriale, nel 1933, della produzione risicola italiana:
La superficie coltivata si è venuta, dopo il 1870, lentamente restringendo, ma la produzione non ne ha risentito, anzi ha continuato a crescere, essendo aumentato il rendimento medio-per ettaro in virtù di perfezionamenti colturali promossi anche dalle cattedre ambulanti di agricoltura e dalle stazioni sperimentali; fra le quali ultime specialmente benemerita la Stazione sperimentale di Vercelli.
In Italia si coltiva il riso alla latitudine più settentrionale di tutti gli altri paesi produttori del mondo. Questo fatto, che prolunga il ciclo vegetativo ha importanza, insieme con la composizione del suolo, sulle caratteristiche organolettiche e nutritive del riso italiano, in confronto a quello di altri paesi.
La Stazione sperimentale di Vercelli ha riscontrato la seguente composizione dei tre tipi di riso italiano Carolina, Gigante e Originario nei confronti con quelli americani e spagnoli:
Nelle stesse regioni di maggior produzione risiera è localizzata l'industria per la pilatura e brillatura del risone. A essa si dedicano attualmente circa 300 stabilimenti di diversa entità; esiste inoltre gran numero di piccolissime pilerie annesse alle aziende agricole, tanto che il censimento industriale del 1927 rilevò, complessivamente, 659 esercizî per la pilatura e brillatura del riso, nei quali erano addetti 3981 lavoratori.
I prodotti lavorati sono di diversi tipi: raffinati, brillati e oleati (camolini), oltre ai prodotti secondarî come le mezzegrane, le puntine, le risine (adoperate per l'alimentazione del bestiame e anche nelle industrie delle farine e polveri di riso, dell'amido, ecc.), le pule e i farinacci (usati o per l'alimentazione del bestiame o per concime).
Malgrado la sua poca omogeneità, è stata tuttavia tentata anche in Italia la tipizzazione del riso lavorato, per quel che si riferisce ai prodotti destinati all'esportazione. Nel 1930 furono infatti distinti 18 tipi ufficiali garantiti, così suddivisi: 4 tipi italiani Carolina, 3 tipi italiani Gigante e 11 tipi italiani Originario. Queste denominazioni ufficiali devono essere impresse sugl'imballaggi, e questi devono portare il marchio nazionale di esportazione: uno speciale controllo accerta la corrispondenza del riso esportato ai tipi ufficiali indicati.
Il maggior mercato nazionale per l'esportazione del riso è Milano, ma altri mercati, anch'essi di primaria importanza per i risi lavorati, sono Vercelli, Mortara e Bologna. Per il risone grezzo i maggiori mercati sono invece, in ordine d'importanza: Vercelli, Mortara e Pavia.
Anche prima della crisi economica sopravvenuta nel 1929, la coltivazione e l'industria del riso erano state duramente provate. Per impedirne la decadenza, il governo intervenne, e, mediante l'Ente nazionale risi, cercò di svincolare il mercato interno da quello internazionale, per provocare sul primo un rialzo di prezzo. Il compito non era facile, dato che gran parte della produzione italiana è destinata all'esportazione. Si è fissato pertanto un prezzo minimo, ritenuto remunerativo, da valere sul mercato interno e si è cercato, con varî mezzi, d'innalzare fino a quel livello i prezzi correnti.
Inoltre su ogni contratto di compra-vendita effettuato l'Ente nazionale risi riscuote una tassa, e con il fondo così raccolto l'ente stesso paga agli esportatori un premio per indennizzarli del maggior prezzo che sono costretti a pagare per effetto delle misure accennate; questo titolo d'indennizzo escluderebbe, secondo alcuni, il carattere di dumping dal sistema adottato.
Comunque sia di ciò, è certo tuttavia che questi provvedimenti hanno permesso all'esportazione italiana del riso di non declinare negli ultimi anni come, per effetto della generale contrazione dei traffici, era da temere.
La seguente tabella mostra la distribuzione delle esportazioni italiane di riso sui varî mercati e la loro entità complessiva negli anni 1929-1934.
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