Ritardo mentale
Il DSM-IV dell'American psychiatric association, del 1994, indica come ritardo mentale una patologia cognitiva persistente, sia sul versante dell'intelligenza sia su quello della personalità globale, diagnosticata in base a criteri di funzionamento cognitivo corrispondente a un quoziente intellettivo inferiore alla media, di compromissione grave e significativa in diverse aree funzionali (adattamento sociale, apprendimento scolastico, capacità comunicative, autonomie personali e sociali ecc.), di presenza del disturbo fin dall'età precoce.
La definizione diagnostica più utilizzata in Italia fino agli anni Settanta del 20° secolo per indicare il ritardo mentale è stata quella di 'insufficienza mentale' o di 'oligofrenia', caduta in disuso sia perché generica, sia perché la comunità scientifica italiana ha adottato la terminologia delle classificazioni internazionali (American Psychiatric Association 1994). Resta il problema di una definizione tuttora non appropriata. La locuzione ritardo mentale può ingenerare equivoci: fa pensare infatti a uno sviluppo che procede rallentato per poi raggiungere la normalità e da questo punto di vista è errata, in quanto lo sviluppo alla normalità non perviene mai. Inoltre, i criteri in base ai quali può essere formulata per il DSM-IV (Diagnostic and statistical manual of mental disorders) dell'American psychiatric association la diagnosi di ritardo mentale presentano incertezze nella loro applicabilità. La determinazione del quoziente intellettivo (QI) deve essere condotta tenendo conto dei fattori motivazionali, affettivi e sociali, e del fatto che tale misurazione cambia nel tempo; inoltre, non sempre sono disponibili criteri oggettivi per la valutazione della compromissione nelle aree funzionali: il rischio conseguente è che la diagnosi si fondi su fattori soggettivi. La valutazione del QI, o dell'età mentale (EM), si propone di misurare quanto un soggetto si discosti dalla media dei suoi coetanei nel risolvere determinati compiti. Non dà informazioni sulla struttura di personalità del soggetto e sulle sue capacità di adattamento: soggetti con lo stesso QI o con la stessa EM possono avere capacità di adattamento, di apprendimento e strutture di personalità molto diverse tra loro. Maggior valore ha la discrepanza tra età cronologica ed età mentale. Due bambini con uguale età mentale, ma con età cronologiche molto differenti, si comportano dal punto di vista sia cognitivo sia affettivo in modo molto diverso. Occorre inoltre capire come funziona l'intelligenza del bambino ritardato, quando questi acquisisce determinate strutture cognitive e come passa da una certa fase dello sviluppo cognitivo all'altra (Levi-Musatti 1988). Più funzionale è dunque la valutazione che prende in considerazione il sostegno di cui il soggetto necessita rispetto a quattro dimensioni (competenze cognitive e adattative, aspetti psicologico-emotivi, componente organica, componente ambientale). Rispetto a queste dimensioni il sostegno può essere intermittente, limitato nel tempo o continuo, e riguardare gli aspetti scolastico, psicosociale, lavorativo, o infermieristico; comunque sia, deve essere a carico delle strutture educative, psicosociali e sanitarie. Come tutte le diagnosi nosografiche (cioè categoriali) quella di ritardo mentale è una diagnosi generica; vi sono compresi soggetti con capacità cognitive molto diverse, con differenti stili di personalità, con varie capacità di adattamento e di autonomia della vita quotidiana. Se ci si limita alla sola definizione nosografica, si considerano nello stesso modo soggetti con EM di un anno e che necessitano di assistenza continuativa e soggetti con buona autonomia sociale e che possono condurre una vita relativamente autonoma, con un inserimento lavorativo discreto. Se si prende in considerazione la determinazione del QI, si individuano: il ritardo mentale lieve (QI da 55 a 69), che rappresenta l'87% dei casi di ritardo mentale; il ritardo mentale medio (QI da 40 a 54), grave (QI da 25 a 39) e gravissimo (QI inferiore a 25), che rappresentano il restante 13%. Per comprendere quanto il fattore sociale incida sulla prevalenza del ritardo mentale può essere interessante citare i dati epidemiologici di un studio statunitense (Boyle et al. 1996), condotto sulla popolazione da 3 a 10 anni ad Atlanta, in Georgia: nella popolazione di colore la prevalenza del ritardo mentale lieve, medio e grave è praticamente il doppio rispetto alla popolazione bianca; solo nel ritardo mentale gravissimo la prevalenza diventa pari nelle due popolazioni, apparendo quindi più indipendente da fattori psicosociali. È da notare che in questo studio la prevalenza del ritardo mentale è inferiore a quella indicata dalla maggior parte degli studi. J.A. Burack (1990) individua due gruppi di soggetti con ritardo mentale: il primo non evidenzia una chiara eziologia organica; il secondo comprende soggetti che presentano una delle circa 300 cause organiche di ritardo mentale. Nel primo tipo, chiamato familiare, si riscontra una pesante incidenza sia di familiarità del disturbo sia di fattori psicosociali importanti; in questo gruppo prevale il ritardo mentale lieve. Nel secondo gruppo sono compresi diversi sottotipi di cause: prenatali, perinatali e postnatali. Mentre nel primo gruppo sia il funzionamento cognitivo generale sia lo sviluppo nel tempo di tale funzione cognitiva sembra seguire, senza troppo discostarsene, lo sviluppo dei soggetti senza ritardo mentale, nel secondo si osservano peculiarità delle funzioni cognitive e neuropsicologiche che differenziano i soggetti all'interno di specifiche sindromi. Per es., i bambini con sindrome di Down presentano un profilo di sviluppo in cui le abilità linguistiche sono al di sotto del livello cognitivo generale, pur essendo buone le capacità comunicative. I bambini con sindrome di Williams (che comporta deficit congeniti multipli dello sviluppo, ritardo mentale ecc.), presentano, al confronto, un profilo inverso: in questi soggetti le capacità linguistiche appaiono superiori a quelle del livello cognitivo generale. Per il ritardo mentale, negli ultimi venti anni del 20° secolo, nei diversi paesi era indicata una prevalenza del 2% della popolazione. Questo indice tuttavia non tiene conto di alcuni fattori che possono variarlo: 1) il QI non è il solo criterio diagnostico e QI e capacità di adattamento non sempre sono correlate: la correlazione è più forte nei casi di ritardo mentale con QI inferiore a 50, meno forte nei casi con QI superiore a 50; 2) non essendo il QI stabile nel tempo non è certo che tutte le persone diagnosticate a una certa età come portatrici di ritardo mentale mantengano la stessa diagnosi nel tempo; 3) la mortalità dei soggetti con ritardo mentale è diversa da quella dei soggetti senza ritardo mentale. Infatti, anche se l'aspettativa di vita nei soggetti con ritardo mentale è sicuramente aumentata nella seconda metà del 20° secolo (nei soggetti con sindrome di Down l'aspettativa di vita è passata dai 9 anni nel 1912 ai 50 anni negli anni Ottanta), molte condizioni mediche presenti nel ritardo mentale la abbassano. Tutti questi fattori fanno pensare che la prevalenza del 2% sia eccessiva e che si avvicini piuttosto all'1%. Resta tuttavia difficile, proprio per i fattori considerati, una valutazione della prevalenza di questa condizione nelle varie fasce d'età (Levi-Antonozzi 1983). Se nell'età evolutiva i soggetti con ritardo mentale mostrano un progresso nello sviluppo cognitivo, quest'ultimo si arresta successivamente a livelli di sviluppo diversi e con modalità differenti secondo la gravità del quadro clinico: alcuni bambini mantengono un ritardo fisso negli anni, altri lo riducono, almeno in parte, altri ancora lo accentuano nel tempo (Levi-Musatti 1988). Per il ritardo mentale lieve si può prevedere che il soggetto raggiunga da adulto una EM di 8-11 anni; per quello medio di 5,6-8 anni; per il grave di 2,5-5 anni; per il gravissimo inferiore ai 2 anni. Per spiegare tale variabilità, dovuta a diversi fattori, si sono identificati percorsi positivi e negativi nello sviluppo del bambino con ritardo mentale (Capozzi-Sogos 1996). I fattori che determinano questi percorsi e li connotano sono intrinseci o estrinseci al soggetto. I fattori intrinseci riguardano la presenza di condizioni mediche importanti quali: epilessia, disturbi neuromotori, cardiopatie, disturbi neuropsicologici e psicopatologici associati. Quelli estrinseci al soggetto sono: epoca di formulazione della diagnosi; efficienza dei servizi di neuropsichiatria infantile; qualità dell'intervento educativo (che non abbia aspettative troppo elevate o richieste troppo basse o frammentate; Mazzoncini-Musatti 1993); qualità delle condizioni di vita; presenza di gruppi sociali coesi intorno al soggetto; tipo di trattamento riabilitativo adottato.
L'assistenza medica non concerne la sintomatologia del ritardo mentale di per sé, ma le eventuali condizioni associate: epilessia, cardiopatie, paralisi cerebrali infantili, sindromi dismetaboliche, disturbi della vista, disturbi dell'udito ecc. L'associazione di queste condizioni con il ritardo mentale oscilla dal 64% dei casi nelle paralisi cerebrali infantili (ossia 64 bambini su 100 che hanno una paralisi cerebrale infantile hanno anche un ritardo mentale), al 30% nell'epilessia (Boyle et al. 1996). Ovviamente qualsiasi condizione medica associata rende ancora più problematico il disturbo cognitivo del soggetto. Spesso si pensa che il ritardo mentale sottintenda una lesione cerebrale evidente. Se questo può essere vero nelle forme più gravi (alle quali si associano anche altre condizioni, quali l'epilessia o le paralisi cerebrali infantili che sono altri epifenomeni della condizione lesionale), ciò non è vero nelle forme medie e lievi di ritardo mentale, nelle quali più che di lesione si deve parlare di disfunzione neurobiologica. I medici, e in particolare i pediatri, tendono spesso a prescrivere una serie di esami: elettroencefalogramma (EEG), tomografia assiale computerizzata (TAC), risonanza magnetica nucleare (RMN), ritenendo che la loro negatività annulli l'ipotesi diagnostica di ritardo mentale (fino ad arrivare alla paradossale affermazione che se questi esami sono negativi allora il ritardo è di ordine psicologico). In realtà è il quadro cognitivo e psicopatologico che definisce la diagnosi e non eventuali altri segni di compromissione disfunzionale, morfologica, biochimica o neuroelettrica che lo sostengono (non a caso il DSM-IV non richiede per la diagnosi di ritardo mentale la presenza di alterazioni delle indagini strumentali, che quando sono presenti sono registrate su un altro asse). Gli specialisti competenti, il neuropsichiatra infantile per i soggetti in età evolutiva e lo psichiatra, operano in questi casi un lavoro di rete, poiché proprio per il tipo di patologia è richiesto l'intervento sia a scopo diagnostico sia terapeutico di oculisti, audiologi, endocrinologi, genetisti, psicologi, terapisti della riabilitazione, educatori, assistenti sociali. Per i casi che raggiungeranno in età adulta un QI inferiore a 50, la sintomatologia appare prima dell'anno d'età; per quelli che raggiungeranno da adulti un QI superiore a 50, la sintomatologia si può anche evidenziare dopo questa età. Ma, come per altri disturbi evolutivi, occorre dire che il momento diagnostico è perlopiù diverso da quello del riconoscimento dei segni del disturbo: questi possono essere presenti precocemente, ma percepiti dai genitori e dal pediatra in età successive per diversi motivi, quali: fattori culturali, personalità dei genitori, aspetti psicosociali della famiglia (Bernabei et al. 1997). I sintomi con cui si può evidenziare una condizione di ritardo mentale (anche se nessuno di questi da solo significa ritardo mentale) sono: ritardo nelle acquisizioni motorie, nelle competenze comunicative, nello sviluppo del linguaggio, ritardo delle capacità grafiche, degli apprendimenti scolastici. Il bambino con ritardo mentale presenta frequentemente disturbi del comportamento, dell'affettività, dei bioritmi. Anche se non obbligatoriamente presenti, si osservano disturbi della motricità fine e dell'organizzazione motoria generale. Ridefinire con i genitori il livello di sviluppo del bambino è la prima tappa di un lavoro terapeutico che durerà anni e che avrà come tema centrale, appunto, lo sviluppo di un bambino che ha difficoltà di crescita. L'intervento terapeutico deve iniziare precocemente e modificarsi nel tempo, in coincidenza con le diverse fasi di sviluppo e delle crisi evolutive, o all'emergere delle difficoltà specifiche di ogni fase di sviluppo. Per i bambini con ritardo mentale esso è di tipo clinico, riabilitativo e pedagogico; è necessario prevedere un lavoro di supporto per i genitori, e uno di consulenza alla scuola. In età adulta si deve prevedere, in relazione alla gravità del disturbo, l'inserimento in situazioni lavorative protette, o in centri diurni, o in case famiglia. Per i casi con deficit cognitivo medio-lieve è talvolta ipotizzabile anche un intervento psicoterapeutico. Una ricerca di follow up (Capozzi-Sogos 1996) ha evidenziato che i soggetti con ritardo mentale imparano a leggere e a scrivere, ma con notevoli diversità a seconda del tipo di percorso intrapreso. I casi di ritardo mentale lieve ad andamento positivo alla fine della scuola elementare leggono e comprendono un breve racconto, nei casi ad andamento negativo leggono semplici parole. Per i soggetti con ritardo mentale medio, nei casi ad andamento positivo si può prevedere che entro i 14 anni possano globalizzare il significato di parole scritte; nei casi negativi soltanto un piccolo gruppo è in grado di globalizzare sillabe e solo successivamente agli 11 anni.
La presenza di un disturbo psicopatologico è ipotizzabile in tutti i casi di ritardo mentale in cui si osserva: una riduzione delle capacità del soggetto rispetto a quelle prevedibili considerato il livello di funzionamento generale; sintomi comportamentali e psicologici che indicano uno stato di disagio. I fattori di rischio in senso psicopatologico sono di vario tipo, ma agiscono attraverso l'interazione tra fattori biologici e ambientali (Accardo-Capute 1996). Si ricordano: il deficit di competenza sociale, che induce molti comportamenti di rifiuto verso questi soggetti; i deficit del linguaggio e della comunicazione; i fattori temperamentali, quelli connessi con lo stato di coscienza, quelli psicosociali. Si deve notare che le ricerche finora pubblicate sul problema della doppia diagnosi nel caso del ritardo mentale si riferiscono quasi esclusivamente ad adolescenti e adulti e rari sono i lavori che esaminano questo aspetto nei bambini. Tra i più completi è quello di J.W. Jacobson (1982) che trovò un'incidenza del 18% di problemi psichiatrici in un gruppo di circa 3000 soggetti da 0 a 12 anni; la percentuale aumentava in un gruppo di adolescenti, da 13 a 21 anni, nei quali la prevalenza era del 30%. Pur tenendo conto che il dato può variare da un gruppo di ricerca all'altro per i differenti sistemi diagnostici utilizzati, resta tuttavia la certezza che il disturbo psicopatologico si associ con rilevante frequenza al ritardo mentale e sembra anche che questa frequenza aumenti con il progredire dell'età. Riguardo alla psicopatologia presente nei soggetti con ritardo mentale si osservano: disturbi di personalità, disturbi depressivi, anomalie della condotta, sindromi allucinatorie, disturbi generalizzati dello sviluppo. È da ricordare che la tipologia del disturbo psicopatologico è in relazione con la gravità di quello cognitivo (mentre gli aspetti depressivi si riscontrano più frequentemente nei ritardi mentali di grado lieve-medio, per le fasce più gravi prevalgono i disturbi generalizzati dello sviluppo). Il bambino con ritardo mentale mette a dura prova il formarsi della relazione con la madre, tanto più quanto più grave è la condizione del deficit e quanto maggiori sono le problematiche associate. In questo senso è corretto dire che spesso il lavoro del neuropsichiatra infantile deve ricostruire la relazione, ma non è corretto dire che la relazione alterata dipende dalla madre. Il genitore deve essere aiutato a sviluppare messaggi comprensibili per il bambino e nello stesso tempo a comprendere meglio i messaggi, per quanto imperfetti e confusi, che il bambino invia. Questo lavoro necessita di una fase preliminare: è piuttosto improbabile che il genitore possa concentrare tutti i suoi sforzi sulla qualità della relazione con il bambino ritardato se non riceve dall'esterno tutto ciò di cui ha bisogno. Nei primi anni di vita molti bambini che hanno un ritardo mentale ricevono erroneamente una diagnosi di autismo. Questa confusione tra le due sindromi è dovuta a due motivi: il primo è che alcuni bambini con ritardo mentale medio o grave presentano, nei primi anni di vita, appunto, sintomi riconducibili a difficoltà di comunicazione verbale e non verbale, stereotipie, ecolalie, oltre al ritardo nelle capacità simboliche e rappresentative: tutti sintomi comuni ad ambedue le patologie (Bernabei-Camaioni-Levi 1998); generalmente con il tempo e con l'intervento terapeutico i sintomi cosiddetti autistici scompaiono, rimanendo ovviamente i sintomi del ritardo mentale. Il secondo motivo è che l'autismo nei 2/3 dei casi si associa a un ritardo mentale. La diagnosi differenziale non è difficile per il clinico esperto, ma lo è per il clinico non specialista. La differenza con la situazione precedente è che nel caso dell'autismo i sintomi autistici persistono, pur osservandosi una progressione nello sviluppo del bambino (Bernabei 1995). 4. Prevenzione Per quanto riguarda la prevenzione, è possibile ridurre l'incidenza del ritardo mentale (prevenzione primaria) mediante: un miglioramento dei sistemi di screening fetali e neonatali per le malattie genetiche, e in particolare per quelle dismetaboliche; miglioramento delle possibilità di diagnosi e di intervento precoce nei bambini nei primi anni per ciò che riguarda i disturbi visivi e uditivi e i ritardi psicomotori; una riduzione delle nascite a basso peso e, ancor più, di quelle a bassissimo peso, della sindrome fetale da alcol, delle sindromi determinate da uso di alcol e di droghe e da fumo in gravidanza. Infine è da ricordare che un intervento pedagogico ottimale nelle età più precoci può vicariare disturbi di sviluppo per cause psicosociali. Il modello di intervento più attuale per i soggetti con ritardo mentale è quello di prevenzione secondaria che persegue due obiettivi: promuovere lo sviluppo nonostante e contro il deficit cognitivo; eliminare gli ostacoli allo sviluppo che la situazione patologica di per sé pone.
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