Ritmo biologico
Tutti gli organismi, dai più semplici ai più complessi, sono capaci di organizzare i loro processi non solo in senso spaziale, ma anche temporale, e sono quindi in grado di scandire il tempo. Anche il più semplice costituente di una cellula vivente, infatti, può cambiare, nell'arco delle 24 ore, la sua forma, la sua localizzazione, la sua concentrazione, la sua attività. Queste oscillazioni a cui la cellula va incontro nel tempo non sono distribuite a caso, ma ricorrono a intervalli regolari, seguono cioè un ritmo. L'individuazione dei meccanismi con cui particolari cellule 'misurano' con tanta accuratezza le 24 ore costituisce all'inizio del 3° millennio uno dei problemi più affascinanti e non ancora risolti della biologia.
l. Le caratteristiche dei ritmi biologici
Un ritmo è definito dal periodo, dall'ampiezza e dall'acrofase (fig. 1). I ritmi biologici consistono in gran parte in comportamenti definiti oscillazioni semplici, ma in realtà alcuni sistemi seguono oscillazioni periodiche più complesse, fino al caos. Un comportamento di tipo caotico si ritrova, per es., nel ritmo di produzione delle cellule del sangue che, anche in condizioni normali, segue un andamento irregolare; un andamento caotico si configura pure nel caso di un 'deragliamento' dai ritmi circadiani osservabile in alcuni stati patologici, dal tumore alla depressione. Il tempo di un ritmo, il suo periodo, può assumere lunghezze diverse: da alcuni secondi, come il battito cardiaco, che ricorre tante volte in un giorno (ritmo ultradiano), a 24 ore, come il ciclo sonno/veglia (ritmo circadiano, dal latino circa dies, cioè intorno alle 24 ore), fino a lunghezze superiori alle 24 ore (ritmi infradiani, che possono essere settimanali, mensili e annuali). La maggior parte dei ritmi segue però un andamento circadiano e questa coincidenza ha fatto sì che, fino a pochi decenni fa, si pensasse che questi risultassero semplicemente dalla periodicità dell'ambiente, quindi dal ciclo luce/buio. In realtà, caratteristica dei ritmi biologici è la persistenza di questa periodicità anche in condizioni di isolamento ambientale, tanto che la cecità, o la permanenza pur prolungata nell'oscurità di una caverna, non comportano il venir meno della ritmicità circadiana delle varie funzioni. Oggi sappiamo che questa periodicità ha un'origine interna all'organismo, che è una funzione che non riguarda soltanto l'uomo ma tutti gli animali e le piante, che non richiede necessariamente un cervello e che è espressa non solo da singole cellule ma anche da singole molecole. I ritmi circadiani sono presenti da sempre negli organismi viventi e una chiara testimonianza di ciò ci viene dal ritrovamento di fossili, come alcuni coralli appartenenti al Devoniano (350-400 milioni di anni fa), sul cui scheletro sono ben visibili le sottili linee concentriche di accrescimento giornaliero. Ma l'origine è presumibilmente databile a tempi ancor più remoti, ossia a quando, fin dalle prime cellule comparse sulla Terra, l'assorbimento della luce visibile già poteva selezionare processi biochimici compatibili o incompatibili con la luce. Poi, con l'evolversi di un numero sempre maggiore di cellule con funzioni sempre più diversificate, è emersa la necessità di selezionare a loro volta processi tra loro compatibili e sincronizzati, capaci di espletare al massimo la loro funzione in una precisa finestra temporale, segregata e lontana da processi non conciliabili e non finalizzati alla stessa attività. Tale necessità può essere diventata così cruciale per il corretto funzionamento dell'organismo da richiedere una gestione diretta, privata, con orologi interni, non affidata solo all'orologio esterno a cui l'individuo poteva anche temporaneamente sottrarsi (v. ciclo).
Ricorrendo a un paragone un po' approssimativo, possiamo pensare che all'interno del nostro organismo esista una rete di orologi meccanici che, se lasciati a sé stessi, tendono a portarsi alcuni avanti, altri indietro. È necessario, quindi, ristabilire una corretta valutazione del tempo ricorrendo a un'informazione esterna, un orologio che perde solo 2 s ogni 100.000 anni: la rotazione della Terra sul proprio asse, vale a dire il ciclo luce/buio, che ricorre esattamente ogni 24 ore. Questa informazione esterna, attraverso particolari strutture, quali per es. la retina, viene portata all'interno del sistema nervoso e distribuita ai diversi orologi, che possono così sincronizzarsi con la periodicità presente nell'ambiente. In mancanza di questo orologio di riferimento, la periodicità dei ritmi circadiani, pur molto vicina alle 24 ore, se ne discosta gradualmente e, con lo scorrere dei giorni, questo piccolo scarto si accumula: così, i diversi ritmi 'vanno alla deriva' (free-running) e ciascuno per suo conto. Condizione ideale quindi, perché una struttura all'interno dell'organismo funzioni da orologio circadiano, è l'esistenza di una capacità intrinseca di oscillazione, associata alla capacità di recepire la periodicità esterna luce/buio. Le modalità con cui l'organismo animale realizza al suo interno la misura del tempo circadiano sono diverse. All'interno del sistema nervoso, dal moscerino al mammifero, esistono particolari aree in cui le cellule, i neuroni, funzionano da oscillatori, sono capaci cioè di generare spontaneamente scariche di attività elettrica (fig. 2). Queste scariche, che possono essere registrate con appositi microelettrodi nell'animale in vivo, si presentano con una frequenza che è minima a certe ore del giorno e diventa massima a distanza di 12 ore, per poi tornare minima e ricominciare il ciclo esattamente ogni 24 ore. L'aspetto straordinario di ciò è che lo stesso evento può essere osservato in vitro in ognuna di queste cellule isolate. Se, invece, questi gruppi di cellule vengono asportati sperimentalmente oppure lesi, l'animale mantiene le sue funzioni, ma queste non seguono più una periodicità circadiana. Per es., l'animale dormirà la stessa quantità di tempo, ma il suo sonno non sarà più distribuito prevalentemente in un unico periodo, caratteristico della sua specie, e comparirà come tanti episodi sparsi che si alternano ad altrettante veglie. Se poi, in questo stesso animale reso 'aritmico', vengono trapiantati frammenti di tessuto nervoso contenenti quelle particolari cellule, le diverse funzioni potranno ripristinare la loro ritmicità.
Nei Mammiferi, queste particolari cellule si trovano in un piccolo nucleo, il nucleo soprachiasmatico, che è posto alla base del cervello (fig. 3). Esso, oltre a essere costituito da cellule capaci di generare spontaneamente scariche con una periodicità di 24 ore, presenta, attraverso vie nervose dirette e indirette, importanti collegamenti con la retina; ciò gli permette di oscillare e nello stesso tempo di adattare ogni giorno il suo orologio con l'orologio esterno luce/buio. Vi sarebbero quindi le condizioni per ritenere che il nucleo soprachiasmatico possa presiedere al controllo del complesso sistema circadiano, tuttavia è stato visto che la sua asportazione abolisce dei ritmi, ma non tutti e che alcuni, dopo un certo periodo di tempo, tendono a ricomparire. Inoltre, le cellule di cui è costituito sono relativamente poche, e di conseguenza le connessioni che il nucleo soprachiasmatico può formare con il resto del sistema nervoso sembrerebbero insufficienti a coprire l'intero sistema circadiano. Questi aspetti rendono quindi improbabile un suo ruolo esclusivo nella regolazione della periodicità circadiana, sebbene esso svolga senza dubbio una funzione fondamentale. Oltre a cellule che oscillano generando attività elettrica, nel sistema nervoso esistono anche cellule che oscillano producendo un neurormone, la melatonina, dotato di un importante ruolo nella ritmicità circadiana. Tale particolare ruolo è espresso dai pinealociti, cioè le cellule della ghiandola pineale, e dai fotocettori, le cellule che costituiscono la retina (fig. 4). La ghiandola pineale secerne la melatonina esclusivamente durante le ore di buio; in tutte le specie questo ormone costituisce quindi il riferimento temporale della notte (figg. 5 e 6).
Il ritmo circadiano di sintesi e secrezione di melatonina è generato da un oscillatore interno il quale, come per il nucleo soprachiasmatico, si mantiene anche in singole cellule isolate e osservate in vitro. Questo riguarda in particolare la pineale di molti Vertebrati, compresi gli Uccelli, mentre nei Mammiferi la periodicità circadiana della secrezione di melatonina dipende dalla connessione di questa ghiandola con il nucleo soprachiasmatico. Nei Vertebrati più primitivi, infatti, la ghiandola pineale è un organo fotosensibile molto simile all'occhio e, come per il nucleo soprachiasmatico, capace di sincronizzare le sue oscillazioni spontanee con la periodicità luce/buio dell'ambiente. Nei Vertebrati più evoluti, invece, in particolare nei Mammiferi, la sensibilità diretta alla luce è completamente persa e il contatto con la periodicità dell'ambiente viene mediato soltanto dalle vie nervose che collegano la pineale al nucleo soprachiasmatico. L'asportazione della pineale può avere le più diverse conseguenze sul sistema circadiano, a seconda della specie: da scarsi effetti, come in gran parte dei Mammiferi, all'abolizione del ritmo attività/riposo, come nel passero, fino alla soppressione totale della ritmicità in alcuni Vertebrati inferiori. Un aspetto particolare della secrezione di melatonina da parte della ghiandola pineale è il ruolo che questa svolge nei cicli stagionali, funzionando, in pratica, oltre che da orologio, anche da calendario, dato che la durata della secrezione di melatonina riflette la lunghezza della notte. Questo fenomeno è conosciuto sotto la denominazione di fotoperiodicità e agisce come oscillatore per i cicli riproduttivi nei quali la nascita dei piccoli cade in particolari periodi dell'anno. Ma anche funzioni come il cambio di colore delle piume o del mantello, l'accrescimento del pelo e il comportamento di corteggiamento dipendono dalla lunghezza del giorno, cioè dal fotoperiodo. L'uomo non è considerato una specie con fotoperiodicità, tuttavia nelle popolazioni culturalmente ed economicamente meno avanzate delle regioni più a Nord sono stati osservati ritmi stagionali di concepimento.
Nei Vertebrati, anche la retina presenta ritmi circadiani propri, che vanno da variazioni di struttura delle cellule alla secrezione di melatonina. Questi ritmi sono generati dalle cellule fotorecettrici che costituiscono la retina stessa, e funzionano quindi da oscillatori. Se negli Uccelli viene reciso il nervo ottico, e quindi isolato l'occhio dal sistema nervoso, il ritmo circadiano di secrezione di melatonina da parte della retina persiste invariato, come pure la fase di secrezione solo in corrispondenza del buio. Lo stesso comportamento è stato osservato in colture di retina di criceto in vitro, nelle quali la secrezione di melatonina segue indisturbata un preciso ritmo circadiano. L'oscillatore circadiano presente nella retina presiede, oltre che alla periodicità delle cellule che la costituiscono, anche alla regolazione di altri ritmi. Il taglio dei nervi ottici nella quaglia abolisce infatti i ritmi circadiani di attività di questo uccello. La retina sembra svolgere quindi più ruoli nel controllo del sistema circadiano: attraverso vie nervose manda informazioni al nucleo soprachiasmatico sulla periodicità dell'ambiente e, attraverso una secrezione neuroendocrina, funziona essa stessa da oscillatore fotosensibile. L'aspetto singolare è che queste funzioni, pur appartenendo allo stesso organo, sembrano essere dissociate dalla visione vera e propria, persistendo infatti intatte in animali come la talpa, nella quale l'occhio e tutto il sistema visivo sono andati incontro a una regressione pressoché totale. A fronte della complessità dei diversi orologi descritti, un elemento appare evidente e condiviso da tutti, il fatto cioè che la capacità intrinseca di oscillare periodicamente sia una proprietà già della singola cellula. E, come nella ricerca degli ingranaggi che generano il movimento di un orologio meccanico, anche la cellula può essere analizzata alla ricerca di suoi ingranaggi, le proteine, responsabili di quella oscillazione. È stato così scoperto che alcune proteine vengono generate dal codice genetico contenuto nel DNA e tradotto dall'RNA in un tempo pari esattamente a 24 ore. A queste è stato dato il nome di clock proteins e il gene, il segmento di DNA, responsabile della loro codificazione è stato definito clock gene. Le clock proteins sono state particolarmente studiate in Drosophila melanogaster (fig. 7). In questo insetto vi è un gene, il gene per (da period) responsabile del ritmo circadiano di attività locomotoria (cioè del numero di voli) e del ritmo ultradiano del 'canto' (prodotto dalla vibrazione delle ali) durante il corteggiamento. Le drosofile che hanno una mutazione nulla per questo gene sono aritmiche: i loro voli e i loro canti avvengono a caso e non sono più distribuiti regolarmente nella giornata (fig. 8). Se nel moscerino così aritmico viene trapiantato un frammento di tessuto con il gene per di una drosofila normale, in esso ricompaiono i ritmi sia del canto sia dell'attività locomotoria. Inoltre, è risultato da recenti esperimenti che, utilizzando una proteina fluorescente capace di legarsi soltanto al gene per con lo scopo di osservarne la distribuzione, questo gene è espresso non soltanto nel sistema nervoso, ma anche in molti altri tessuti, compresi testicoli e organi escretori. Mettendo questi tessuti in coltura, si è visto poi che l'espressione del gene per continua invariata con la sua periodicità di 24 ore, anche in assenza di sistema nervoso. Proteine clock sono state identificate nel nucleo soprachiasmatico e nella retina di Mammiferi come il topo e il criceto, ed è stato visto che, alla mutazione di uno di questi geni, anche nel mammifero possono corrispondere modificazioni comportamentali, come i ritmi di attività/riposo. Il problema è ora quello di chiarire la presenza e la localizzazione di tali molecole e se queste possano svolgere un ruolo nei tessuti non-clock anche nei Mammiferi. È possibile che queste particolari proteine costituiscano la base su cui si mette in movimento tutta l'organizzazione temporale, ma vi sono ancora numerose informazioni mancanti ed è necessario ancora molto lavoro per dare una risposta a tanti interrogativi.
Il dominio della periodicità luce/buio come sincronizzatore primario dei ritmi circadiani rappresenta verosimilmente una necessità di adattamento alla vita terrestre. Tuttavia, per la sopravvivenza dell'individuo, può essere vantaggiosa anche la capacità di rispondere a segnali diversi in grado di fornire una stima attendibile della periodicità dell'ambiente. Negli organismi più semplici, per es., i ritmi circadiani possono essere influenzati dalla disponibilità di cibo e dalla temperatura dell'ambiente, mentre negli animali sociali per il singolo individuo è vantaggioso sincronizzarsi con gli altri membri del gruppo. Questo aspetto assume particolare importanza per l'uomo, nel quale, evolutivamente, i segnali sociali hanno preso il sopravvento sugli stimoli fisici presenti nell'ambiente e per il quale oggi la periodicità luce/buio generata dall'illuminazione artificiale si discosta ed è diversa da quella naturale. In tali condizioni il sistema circadiano deve essere in grado di rispondere a segnali comportamentali oltre che luminosi. Vi sono esempi significativi della sensibilità dell'uomo a stimoli non fotici. Nelle popolazioni esposte ai lunghi periodi di bassa intensità di illuminazione dell'inverno polare i ritmi circadiani sono regolati soltanto dall'imposizione di orari di attività e di contatto sociale ed è stato osservato che il conoscere l'ora, senza il riferimento a un'attività di tipo sociale, non risulta sufficiente a regolare esattamente il sistema circadiano e questo vale anche per le persone che sono affette da cecità permanente. Alcuni studiosi hanno avanzato l'ipotesi che i disturbi circadiani che caratterizzano la vecchiaia e la depressione possano essere dovuti anche al venir meno di un forte riferimento sociale, come spesso avviene in queste condizioni. L'importanza dell'interazione sociale come segnale di sincronizzazione è stata osservata pure in animali da laboratorio, nei quali anche altri stimoli, come il risveglio o un'iniezione di soluzione fisiologica a ore fisse, si sono dimostrati in grado di regolare la periodicità circadiana in maniera paragonabile alla luce. Inoltre, in questi stessi animali è stato visto che l'organizzazione degli stimoli non fotici all'interno del sistema nervoso converge anch'essa, come accade per gli stimoli fotici, a livello del nucleo soprachiasmatico.
A differenza dell'animale che regola le sue attività su segnali costanti provenienti dall'ambiente, l'uomo segna il tempo prevalentemente su segnali comportamentali, sociali e affettivi. Questi segnali, pur avendo una loro ritmicità, sono soggetti a oscillazioni che rendono il sistema circadiano dell'uomo più flessibile. Si può avere quindi una variabilità individuale anche marcata, come quella molto evidente tra i 'gufi' e le 'allodole', cioè tra individui che presentano prestazioni psicofisiche ottimali nelle ore serali e quelli la cui efficienza è massima solo di prima mattina. La maggiore flessibilità non toglie comunque che anche l'uomo sia soggetto a una precisa organizzazione circadiana delle sue funzioni fisiologiche. Nella fig. 9 sono riportati soltanto alcuni tra i parametri più noti, con il loro massimo di fluttuazione (acrofase) nell'arco delle 24 ore. Come si vede, non solo le grandi funzioni, come quella circolatoria e respiratoria, ma anche le divisioni delle cellule (mitosi) e perfino il calcolo mentale presentano un'evidente periodicità circadiana. La sincronizzazione dei ritmi dettati dagli orologi biologici interni con i ritmi ambientali genera il più vistoso dei ritmi circadiani che è il ciclo sonno/veglia. Nell'uomo, la distribuzione naturale del periodo di sonno corrisponde alle ore di buio e il periodo di attività alle ore di luce e questo si ripete ogni 24 ore (v. sonno). Come tutti i ritmi circadiani, questo ciclo permane anche quando l'individuo è isolato socialmente ed esposto a un ambiente con grado di illuminazione costante, cioè di buio continuo oppure di luce continua. In questo caso tuttavia il ritmo assume una durata non più di 24, ma di circa 25 ore. Di particolare interesse sono anche i ritmi del sistema endocrino. Praticamente tutti gli ormoni secreti dalle ghiandole endocrine vanno incontro a oscillazioni nell'arco delle 24 ore e l'ampiezza di questi ritmi può andare da una deviazione intorno al 20% dal valore medio, come per alcuni degli ormoni stimolanti le gonadi, a deviazioni che superano il 100% come nel caso del cortisolo. Il ritmo di alcuni di questi ormoni può essere in relazione al ciclo sonno/veglia, relazione in alcuni casi obbligatoria, in altri facoltativa. È obbligatoria per l'ormone della crescita (GH, Growth hormone), nel senso che l'entrata nella prima fase del sonno è sempre accompagnata dalla secrezione di GH, ed è facoltativa per prolattina (PRL) e ormone adrenocorticotropo (ACTH, Adrenocorticotropic hormone), nel senso che il periodo di secrezione può dissociarsi dalle ore di sonno, se il sonno viene spostato (fig. 10).
Il sistema circadiano che presiede all'organizzazione temporale dei vari processi fisiologici alla base dell'intero organismo funziona perfettamente finché l'individuo è giovane e sano. Con l'invecchiamento questa struttura temporale vacilla; di conseguenza alcuni ritmi circadiani anticipano la loro distribuzione nelle 24 ore, altri la ritardano, in altri ancora l'ampiezza dell'oscillazione si riduce notevolmente. Tra questi, i ritmi circadiani della temperatura, della pressione arteriosa, di diversi ormoni, della secrezione di melatonina e il ciclo sonno/veglia vanno incontro a variazioni che risultano funzionalmente significative. Attualmente viene avanzata l'ipotesi che questo stato di 'desincronizzazione interna' possa avere un suo ruolo nel determinare il deterioramento generale che caratterizza la senescenza, anche se è probabile che la compromissione dell'assetto circadiano, come quella di tante altre funzioni, sia una delle conseguenze del processo stesso di invecchiamento.
I ritmi circadiani possono andare incontro a importanti modificazioni non solo a causa di una disfunzione degli orologi interni, ma anche quando si perda la sincronizzazione con i ritmi esterni, come nel caso dei turnisti e nel jet-lag. Nei turnisti, l'adeguamento che l'orologio biologico interno compie normalmente rispetto ai ritmi dell'ambiente esterno non è più possibile: il ritmo sociale, invece di essere in fase con il ritmo di luce, può presentarsi in antifase, cioè spostato di 12 ore. Alcuni individui rispondono adeguando i propri ritmi circadiani gradualmente, ma senza problemi, altri incontrano difficoltà, in particolare nel ritmo sonno/veglia, che possono portare all'incompatibilità con il posto di lavoro. Il jet-lag è invece quella sindrome sperimentata nel cambiamento di fuso orario (come nei voli transoceanici), molto variabile da soggetto a soggetto, che va dal lieve malessere a disturbi neurovegetativi come nausea e cefalea fino a disturbi del ciclo sonno/veglia. In ogni caso questa sindrome ha carattere transitorio e può essere alleviata con la somministrazione di melatonina. Vi sono poi alcuni disordini dei ritmi circadiani tipicamente collegati a stati patologici. La condizione patologica oggi maggiormente associata a tali disturbi, è la depressione, malattia in cui è particolarmente coinvolta la struttura del sonno, con risveglio precoce al mattino e sonno REM (Rapid eye movement) distribuito in maniera atipica rispetto al sonno NREM (Non rapid eye movement). Sono, inoltre, presenti alterazioni evidenti dei ritmi della temperatura, del cortisolo e della prolattina. In quella particolare forma di depressione che è associata al cambio di stagione (SAD, Seasonal affective disorder) sono evidenti anche alterazioni del ritmo circadiano della melatonina. Questa forma di depressione sembra rispondere bene al trattamento con la luce. Interpretare il perché della relazione non è semplice: l'alterazione dei ritmi può essere sia causa sia effetto, e sono molti i fattori coinvolti, tra cui un'alterata distribuzione di alcuni neurotrasmettitori (per es., serotonina, dopamina) e una certa predisposizione genetica. Disturbi di alcuni ritmi circadiani, e in particolare del sonno, sono presenti nelle fasi più avanzate di molte malattie, particolarmente di quelle a carattere neurodegenerativo, come il morbo di Alzheimer. Alterazioni dei ritmi circadiani si riscontrano anche in alcune patologie che riguardano l'ipotalamo, perlopiù neoplasie, e in una malattia recentemente scoperta che è l'insonnia fatale. In questa, nel periodo che precede il decesso, oltre alla scomparsa del ciclo sonno/veglia, si hanno profonde alterazioni dei ritmi della pressione arteriosa, del cortisolo, della prolattina, dell'ormone somatotropo e della melatonina.
Biological rhythms in clinical and laboratory medicine, ed. Y. Touitou, E. Haus, Berlin-New York, Springer, 1992.
Circadian clocks and their adjustment, ed. D.J. Chadwick, K. Ackrill, Chichester, Wiley, 1995.
m.h. hastings, Central clocking, "Trends in Neuroscience", 1997, 20, 10, pp. 459-64.
m.h. hastings et al., Entrainment of the circadian system of mammals by nonphotic cues, "Chronobiology International", 1998, 15, 5, pp. 425-45.
e.d. herzog, j.s. takahashi, g.d. block, Clock controls circadian period in isolated suprachiasmatic nucleus neurons, "Nature Neuroscience", 1998, 1, 8, pp. 708-13.
r.y. moore, Circadian rhythms: basic neurobiology and clinical applications, "Annual Review of Medicine", 1997, 48, pp. 253-66.
Physiology and pharmacology of biological rhythms, ed. P.H. Redfern, B. Lemmer, Berlin-New York, Springer, 1997.