robotica
Uomini artificiali e macchine pensanti
La robotica si occupa della ideazione, progettazione e realizzazione di macchine in grado di operare autonomamente, con o senza controllo umano. I primi robot furono costruiti per gioco, poi macchine robotizzate furono utilizzate soprattutto per sostituire l’uomo in lavori pesanti e ripetitivi. Oggi queste macchine sono sempre più presenti nella nostra vita quotidiana: dalle sale operatorie degli ospedali ai magazzini dei supermercati fin dentro la nostra casa, dove si stanno sperimentando apparecchi sempre più autonomi. I robot sono utilizzati per esigenze di tipo militare, ma anche per l’esplorazione spaziale e per l’esplorazione dei pianeti
La robotica è la disciplina che si occupa della progettazione e realizzazione dei robot e delle loro possibili applicazioni. In questa scienza, sia le fasi della ricerca sia quelle della applicazione tecnologica integrano competenze di meccanica, informatica ed elettronica.
I robot sono macchine automatiche che possono essere sia controllate da uomini sia in grado di autocontrollarsi con meccanismi di retroazione, grazie ai quali reagiscono a stimoli o alle mutate condizioni ambientali; in questo sono assistite da programmi molto evoluti che permettono loro di effettuare scelte adeguate alla situazione.
Il campo di applicazione dei robot si sta continuamente ampliando: agli impieghi classici di sostituzione degli uomini in lavori ripetitivi, pesanti o pericolosi, soprattutto nell’industria, si affiancano usi in cui, per esempio, si sfrutta la capacità di precisione, o quella di compiere manovre impossibili alle persone, come, per esempio, in campo medico.
I robot possono avere un’infinità di forme e dimensioni, e dalle finalità che si perseguono nel progetto di un robot derivano anche le capacità e il grado di autonomia che questo deve avere. Sono robot le macchine antropomorfe – ossia di forma umana – costruite da grandi industrie di elettronica, spesso per scopi pubblicitari, così come sono robot anche alcuni animali giocattolo. Ma il nostro mondo è soprattutto popolato di robot non antropomorfi e utilissimi, come i carrelli automatici che spostano e assemblano le merci nei magazzini, i quali sono capaci di muoversi autonomamente, di evitare gli ostacoli e di trovare la destinazione finale dove depositare i carichi. Altri robot ad alta specializzazione sono poi quelli usati in chirurgia, che rendono possibili operazioni con tecniche non invasive, impensabili senza il loro uso, o i mezzi sottomarini che vengono utilizzati nel recupero di relitti fino a elevate profondità.
L’enorme varietà rende anche difficile definire con precisione cosa sia un robot. Possiamo dire che la sua struttura portante è sostanzialmente meccanica e composta di ‘arti’, uniti da giunti che permettono loro di ruotare in tutte le direzioni. Servomeccanismi chiamati attuatori, per esempio sotto forma di pistoni, permettono di muovere gli arti del robot per poter afferrare oggetti e manipolarli. Un robot ha bisogno, a volte, di un sistema di locomozione con relativi motori e può essere dotato di un sistema di sensori per monitorare l’ambiente circostante.
Quello che differenzia i robot fra loro, anche per quanto riguarda la complessità, è il grado di autonomia. Esistono infatti robot telecomandati e altri pressoché autonomi. I primi sono comandati a distanza dalle persone, praticamente come un’automobile giocattolo, mentre i secondi hanno elevate capacità di rilevare l’ambiente in cui si trovano, reagire agli stimoli e di operare di conseguenza. Quest’ultimo tipo di robot è controllato da computer molto potenti e da programmi software in grado di elaborare i dati sull’ambiente ripresi dai sensori, per esempio una telecamera, e reagire in base al compito affidato e alle procedure che il robot deve seguire per assolverlo. Un altro obiettivo, che si sta raggiungendo, è rappresentato dalla capacità dei robot più sofisticati di imparare dai loro stessi errori attraverso l’interazione con l’ambiente e con altri esseri umani o artificiali. Questo li porterà a poter affrontare, e cercare di risolvere, situazioni inattese.
La capacità di reagire agli stimoli che arrivano dall’ambiente, in altre parole la flessibilità dei comportamenti, è forse il miglior parametro per misurare il grado di autonomia di un robot. È questo, infatti, che permette di classificare una macchina come robot e distinguerla, per esempio, da una lavatrice o da un forno a microonde, anche se è sempre più difficile discriminare fra macchine automatiche e robot, dal momento che ci sono lavatrici ed elettrodomestici sempre più sofisticati e potenti, in grado di eseguire procedure flessibili proprio grazie ai computer che li controllano: per esempio, una lavatrice può modificare automaticamente il tempo di lavaggio in relazione al carico inserito.
Nel campo degli elettrodomestici stiamo assistendo a una graduale introduzione di piccoli robot che badano alle faccende domestiche. Al posto dei convenzionali aspirapolvere, che devono essere guidati da una persona, si stanno diffondendo piccoli robot che si muovono sul pavimento da soli aspirando la polvere, evitano i mobili e sono capaci di mettersi in funzione e spegnersi da soli secondo regole prestabilite. La nostra casa sta per diventare uno dei principali campi di applicazione della robotica e presto molti elettrodomestici saranno probabilmente sostituiti da ‘macchine intelligenti’ capaci di svolgere più funzioni e, soprattutto, di farlo in modo autonomo.
Si trovano in un avanzato stato di sviluppo robot, anche antropomorfi, per la cura della persona e per lo svolgimento dei lavori casalinghi. L’aumento della durata della vita media nei paesi industrializzati ha infatti creato un massiccio problema di assistenza agli anziani, anche solo per sollevarli dalla fatica fisica di molte faccende domestiche, e l’utilizzo di robot in questa nuova situazione sembra essere molto promettente.
In campo industriale i robot sono impiegati in tutti le fasi del ciclo produttivo per assemblare i prodotti – per esempio nell’industria automobilistica e in quella elettronica – grazie alla loro capacità di eseguire un lavoro ripetitivo sempre con la medesima precisione e velocità e senza interruzione.
Quando acquistiamo una radio o un computer dobbiamo pensare che praticamente tutto il lavoro di assemblaggio dei pezzi che compongono quell’oggetto è stato svolto da robot, anche se sotto la sorveglianza umana. Robot telecontrollati vengono usati anche in situazioni pericolose, come la manipolazione di sostanze tossiche o comunque dannose oppure per il disinnesco di ordigni esplosivi, mentre quelli autonomi trovano impiego nell’esplorazione spaziale o in quella oceanica, in condizioni praticamente proibitive per l’uomo.
L’esplorazione dello spazio è uno dei campi di elezione per l’utilizzo di robot. Il motivo è duplice. Da una parte dobbiamo considerare che oggi sappiamo come inviare un robot su Marte o su altri pianeti, ma non sappiamo ancora come farci arrivare e ritornare in sicurezza un equipaggio umano.
Se vogliamo sapere quindi qualcosa su Marte o su qualche altro pianeta del Sistema Solare siamo costretti a inviare robot, per esempio per analizzarne il suolo e l’atmosfera.
Dall’altra, occorre considerare che i segnali radio, anche se si propagano alla velocità della luce, ossia 300.000 km/s circa, possono impiegare parecchi secondi o minuti per arrivare a noi da un altro pianeta, e altrettanti per compiere il cammino inverso dalla Terra al pianeta. Perciò controllare in tempo reale a questa distanza, dalla Terra, una macchina che opera su Marte è praticamente impossibile: si rischierebbe di inviare al mezzo l’ordine di svoltare a destra per evitare un ostacolo quando oramai è troppo tardi e il mezzo ha già investito l’ostacolo stesso.
I rovers (letteralmente «vagabondi»), come Spirit e Opportunity della nasa, arrivati su Marte alla fine del 2003, erano per esempio robot in grado di muoversi, analizzare l’ambiente, evitare ostacoli, trasmettere immagini. Ma le successive generazioni saranno in grado di trasportare su di sé veri e propri laboratori chimici per analizzare i campioni di terreno marziano che avranno prelevato direttamente dalla superficie.
Il ritardo nelle comunicazioni dovuto alla distanza aumenta man mano che ci si allontana dalla Terra: per esempio un segnale radio alla distanza di Plutone, il pianeta più lontano da noi nel Sistema Solare, può impiegare più di cinque ore per arrivare fino al centro di controllo. L’impiego di tecniche robotiche è quindi assolutamente necessario per esplorare il Sistema Solare, e i mezzi spaziali più vanno lontano più devono ‘decidere da soli’.
Uno dei campi più promettenti e interessanti della robotica, per ora in fase di ricerca, è rappresentato dall’applicazione delle nanotecnologie alla robotica.
Nano in questo caso non vuol dire semplicemente piccolo, ma delle dimensioni del nanometro, ossia del milionesimo di millimetro. Tra le future applicazioni di questa tecnologia vi sono quelle nel campo della medicina, come la costruzione di microscopici robot che, introdotti nel sistema circolatorio, saranno capaci di curare l’arteriosclerosi rimuovendo dalle pareti interne delle arterie i depositi di grasso, o di eliminare le cellule tumorali asportandole praticamente una a una.
Un’altra applicazione per i micro- e i nanorobot, attualmente studiata dalla NASA, l’ente di ricerca spaziale statunitense, è rappresentata da minuscole navicelle spaziali da lanciare nel cosmo con grande facilità e costi contenuti – vista la massa molto ridotta – per studiare, per esempio, le condizioni esistenti fra la Terra e il Sole.
Nel 1942 lo scrittore statunitense Isaac Asimov pubblicò una fortunatissima raccolta di racconti di fantascienza dal titolo Io robot, nella quale introdusse il termine robotica. I racconti sono ambientati in un mondo in cui la presenza di robot è normale e, per evitare conseguenze dovute alla superiorità di questi esseri artificiali rispetto agli uomini, ognuno di essi deve necessariamente obbedire a tre leggi così enunciate: A) un robot non può recare danno agli esseri umani né permettere che, a causa sua, un essere umano sia danneggiato; B) un robot deve sempre obbedire agli ordini degli esseri umani, a meno che questi non siano in contrasto con la prima legge; C) un robot deve proteggere la propria esistenza, a meno che il farlo non contrasti con la prima o la seconda legge.
I racconti di Asimov sono le più aggiornate costruzioni di fantasia sugli ‘uomini artificiali’, il cui mito risale però sino all’antichità mescolandosi con aspetti magici. Nella tradizione ebraica della cabala magica, per esempio, si parla del Golem, una creatura che prende vita dall’argilla grazie alla magia. Il parallelo con il racconto biblico della creazione è evidente. Ma anche la mitologia degli antichi Greci prevede, per esempio, gli automi meccanici creati dal dio Vulcano, molti dei quali con sembianze femminili.
Dal mito si inizia a uscire nel 18° secolo, quando la tecnologia meccanica arriva a un punto sufficientemente maturo per creare veri e propri automi antropomorfi, come il suonatore di flauto di Jacques de Vaucanson, del 1738. Le nuove possibilità offerte dal progresso portano per due secoli alla produzione di una quantità di meccanismi con fattezze animali o addirittura umane, spesso costruiti soltanto per stupire, sorta di giocattoli sofisticati per adulti. Contemporaneamente inizia anche una letteratura fantastica copiosissima sui robot o su mondi popolati da macchine, che accompagna costantemente il progresso tecnologico. Questa letteratura inizia anche a riflettere i timori e le paure dell’uomo di essere sostituito dai robot che egli stesso ha creato sempre più perfezionati. Un esempio classico è il romanzo Electric man («L’uomo elettrico») di Luis Senarens del 1885, mentre Edgar Allan Poe, il grande scrittore americano, scrisse nel 1835 un pamphlet, La truffa del Turco, per svelare l’inganno con cui un astuto imprenditore e inventore di strumenti musicali, Johann Maelzel, aveva ingannato il pubblico sia in Europa sia negli Stati Uniti. Un finto automa meccanico antropomorfo, rappresentante un turco, era in grado di giocare a scacchi con abilità, arrivando a vincere avversari come Napoleone Bonaparte. Poe, dopo aver visto una esibizione dell’automa a Richmond, in Virginia, dimostrò che in effetti il grosso automa conteneva un uomo che lo manovrava dall’interno. A giudicare da molti film di fantascienza contemporanei si direbbe che anche oggi continuiamo a vedere nei robot il simbolo sia delle nostre paure sia delle nostre speranze. Si pensi alla saga cinematografica di Guerre stellari dove i robot sono in qualche caso utili e servizievoli, in altri servi del cattivo di turno.
Con i robot moderni ci si è trovati di fronte, per la prima volta, al problema esattamente inverso a quello che cinematica e dinamica, due branche fondamentali della meccanica, hanno tentato di risolvere al meglio per centinaia di anni. Un robot, infatti, deve spesso raggiungere un obiettivo, oppure centrarlo, e questo è il problema classico studiato, per esempio, dalla balistica per il lancio dei proiettili. Ma altrettanto spesso il robot deve elaborare una traiettoria per evitare invece gli ostacoli, e questo è esattamente il problema inverso. Per esempio, un robot che debba prendere un pacco da una scaffalatura e portarlo all’altro capo di un magazzino avrà il problema di evitare, e non centrare, gli ostacoli che incontra. Occorre quindi utilizzare al contrario tutte le tecniche sviluppate per la dinamica, calcolando traiettorie e facendo muovere un robot non solo perché giunga a un obiettivo, ma in modo tale che riesca a evitare oggetti e ostacoli, compiendo contemporaneamente il minimo tragitto possibile.
La parola robot proviene dalla lingua ceca, dal verbo robota che equivale al nostro «lavorare»: con robotnik ci si riferiva un tempo a lavoratori alle dipendenze degli aristocratici, persone che erano generalmente adibite a lavori pesanti e che dovevano addirittura lavorare per un mese all’anno gratuitamente, quasi a ripagare il loro signore del diritto di guadagnarsi il pane. Il termine robotnik viene usato anche oggi in quella lingua, ma per indicare genericamente un lavoratore. La parola robot fu utilizzata per la prima volta dallo scrittore ceco Karel Čapek, nel 1920, nel suo romanzo RUR. La sigla che dà il titolo al romanzo (anche nella versione italiana) sta per Rossum universal robots, che potremmo tradurre con «i lavoratori tuttofare di Rossum» . Nel romanzo il protagonista, Rossum, crea lavoratori umani perfetti, eliminando da essi le capacità e i bisogni non finalizzati al lavoro.
La diffusione del romanzo, ai suoi tempi, fu notevole e si affermò contemporaneamente l’uso della parola robot, anche se riferita principalmente a esseri meccanici, nonostante i ‘lavoratori-robotnik’ del romanzo di Čapek fossero certamente artificiali, ma fatti di carne e di ossa.
Nel mondo si svolgono regolarmente competizioni fra robot, con squadre che provengono da tutti i paesi più tecnologicamente evoluti del mondo: Stati Uniti, Giappone e Gran Bretagna in testa, ma anche l’Italia. Gare di calcio e di sumo, battaglie vere e proprie fra robot guerrieri o modelli di navi robotizzate sono i giochi più praticati da centinaia di squadre che coinvolgono decine di migliaia di partecipanti. Ovviamente le gare sono solo l’occasione, a metà fra la passione e la scienza, affinché le squadre partecipanti, composte in genere da giovani studiosi o appassionati, possano cimentarsi per sviluppare robot sempre più perfezionati sia nel controllo del movimento sia nella capacità di reagire autonomamente.