Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Trasferendo la capitale dell’Impero da Vienna a Praga, Rodolfo II fonda un centro di cultura che richiama artisti, letterati e studiosi delle più varie discipline. Il suo mecenatismo, che intende perfezionare la tradizione della casa d’Asburgo, dà luogo alla caratterizzazione praghese del manierismo europeo di fine secolo.
Nell’ultimo quarto del Cinquecento la cultura europea si arricchisce di un’esperienza particolarissima: Praga, città assai fiorente ai tempi di Carlo IV, ma decaduta nel XV secolo per la devastante violenza dell’eresia degli hussiti e della conseguente repressione cattolica, diventa il centro di una fervida attività intellettuale per volontà dell’imperatore Rodolfo II d’Asburgo.
Praga diviene la residenza ufficiale dell’imperatore che vi esercita un mecenatismo attivo e vi impone la propria visione del mondo, i propri gusti e le proprie scelte.
Al centro di un Impero agitato da turbolenze politiche e contrasti religiosi, Rodolfo costruisce per sé un mondo alternativo, cosmopolita, governato da arte, scienza e libero pensiero. In esso raduna cose preziose e richiama uomini di valore, segni di una volontà di potere che si compiace della rappresentazione di sé come signore assoluto, costruttore e demiurgo. Più che contemplare opere d’arte, Rodolfo intende vivere esperienze di conoscenza e di estetica all’interno di una concezione idealizzata della realtà in cui l’esaltazione della dinastia e l’autocelebrazione diventano compulsive. In lui è forte il bisogno di emulazione: non ha pace finché non entra in possesso delle raccolte dello zio, arciduca Ferdinando del Tirolo e signore di Ambras, per aggiungerle alle proprie e ottenere così la più ricca Wunderkammer di tutti i tempi. Dopo essere riuscito a procurarsi il busto di Carlo V, opera di Leone Leoni, l’imperatore ne ordina uno di se stesso, in tutto simile all’altro, allo scultore di corte Adriaen de Vries.
Portare a Praga quante più opere può di Dürer e di Tiziano gli autori prediletti di Carlo V, diventa per lui un’ossessione e sempre a Carlo V si ispira quando progetta enfaticamente la possibilità del gesto eroico di una rinuncia al trono. La personalità di Rodolfo è la chiave per interpretare le vicende del manierismo praghese, sfarzoso e algido, cerebrale ed ermetico, concettoso e languido, chiuso come in una bolla di tempo sospeso.
Rodolfo II nasce a Vienna il 18 luglio 1552. È un Asburgo sia per parte di padre che di madre, essendo primogenito di Massimiliano II, arciduca d’Austria, e di Maria, figlia di Carlo V. Dagli 11 ai 19 anni vive in Spagna alla corte di Filippo II, dove riceve un’intransigente educazione cattolica, apprende comportamenti e modi improntati alle regole di un cerimoniale rigoroso e solenne, e impara a diffidare dei parenti spagnoli e delle loro mire sui suoi beni. È radicato in lui il culto per la sacralità del titolo imperiale che, formalmente elettivo, ma di fatto ereditario dal 1438 – è stato preteso da Ferdinando I per sé e per il proprio ramo dinastico dopo la pace di Augusta.
Rodolfo crede con fede programmatica al motto scelto da un suo avo come divisa: “Austriæ est imperare omni universo”. Già re d’Ungheria nel 1572, di Boemia e di Germania nel 1575, il 1° novembre 1576, a 24 anni, riceve la corona dell’Impero Germanico nel duomo di Ratisbona. Alla sincera volontà di realizzare un grande disegno politico fanno però riscontro un’esperienza e una preparazione inadeguate a svolgere un ruolo egemone nel complesso quadro storico di fine Cinquecento, lacerato tra Riforma Protestante e Controriforma. Rodolfo non sempre riesce a usare opportunamente autorità e diplomazia, e reagisce in modo contraddittorio alle pressioni esercitate su di lui sia nella sfera privata che nella vita pubblica.
Taciturno per indole e incline alla malinconia, Rodolfo II alterna momenti di eccitazione a lunghi periodi di tristezza, segnati anche da episodi di sofferenza mentale e fisica.
Con l’andare degli anni cerca sempre più spesso solitudine e isolamento all’interno di una corte eterogenea, ma coesa dalla generosa e gelosa tirannia del sovrano. Nonostante sia colto e conosca molte lingue, Rodolfo II scrive pochissimo e lascia ai biografi il difficile compito di separare la verità dei fatti che lo riguardano dall’adulazione, ma anche dalla denigrazione e dal sospetto dei contemporanei.
La valutazione storica dell’operato di Rodolfo II è stata condizionata dalla sua passione per le arti, giudicata smisurata e totalizzante, ma anche per le scienze occulte, l’alchimia e l’astrologia. Da ciò è dipesa la sottostima del governo di Rodolfo II, in effetti preoccupato di conservare – con la libertà di professione di fede la pace religiosa, di difendere i confini minacciati dai Turchi e di amministrare responsabilmente le finanze.
Nel 1583, scelta Praga come capitale dell’Impero, Rodolfo si insedia con la corte nel castello di Hradcany che domina la pianura della Moldava e ai cui piedi sta il Malá Strana, la suggestiva “piccola città”. Praga rinasce alla cultura e ai commerci, cui partecipa anche la comunità ebraica, ben integrata nel tessuto sociale e impersonata, anche nella stima dell’imperatore, dal capo della scuola talmudica Rabbi Löw. Il castello di Hradcany viene ricostruito e ampliato, dopo l’incendio del 1541, con l’intervento di architetti italiani che creano uno stile che armonizza motivi nordici sull’impianto rinascimentale degli edifici. Al castello affluiscono allora tesori per le collezioni imperiali: Rodolfo cerca di procurarsi quanto di più raro e prezioso egli possa raggiungere per mezzo dei suoi agenti e quanti più artisti, letterati, scienziati e artigiani, senza preclusioni di nazionalità e di religione, siano disposti a lavorare stabilmente a Praga. Tra questi artisti vi è lo scultore olandese Adriaen de Vries, allievo di Giambologna, che crea opere elegantissime con figure slanciate e flessuose, e bassorilievi morbidi e vibranti al tempo stesso. Anche il favoloso intagliatore e incisore di pietre dure, preziose e semipreziose Ottavio Miseroni (1567-1624), originario di Milano, tiene un laboratorio a corte, al cui successo contribuiscono per generazioni i familiari.
Oltre allo svizzero Jobst Bürgi, costruttore di complessi strumenti di precisione, Rodolfo II chiama a sé anche Tycho Brahe, l’astronomo danese che studia le comete e ha compilato un nuovo catalogo di stelle; a lui l’imperatore chiede anche responsi di astrologia e oroscopi. Alla corte di Praga trova poi ospitalità e protezione Giovanni Keplero, allievo di Brahe, ma copernicano. Allo studioso tedesco vengono garantite le condizioni per potersi dedicare allo studio del movimento dei pianeti: le leggi di Keplero relative al moto dei pianeti pongono le basi della scienza moderna. Espressione paradigmatica del gusto di Rodolfo II è l’opera del milanese Giuseppe Arcimboldi, già pittore di corte del padre. Sintesi intellettualistica del metamorfismo amato dagli eruditi e del simbolismo ermetico praticato dagli occultisti, l’opera di Giuseppe Arcimboldi porta le invenzioni e le bizzarrie al limite della caricatura e vela di arcana melanconia l’implacabilità del tempo che passa e la caducità delle cose terrene. In un dipinto dell’artista, Rodolfo è rappresentato come Vertumno, dio della vegetazione e dei cambiamenti; il ritratto è ottenuto con l’accumulo opportunamente distribuito di frutti, fiori e vegetali diversi.
L’artista che domina la scena della pittura rudolfina è Bartholomaeus Spranger. Nato ad Anversa, frequenta i manieristi di Fontainebleau e quelli lombardi. A Parma apprende la tecnica dell’affresco, lavorando alla Steccata, ed è fortemente impressionato dal Correggio e dal Parmigianino. Stabilitosi a Roma, Spranger conosce Taddeo e Federico Zuccari, e lavora per i Farnese a Caprarola; nel 1570 è nominato pittore pontificio.
È Giambologna – che invano Massimiliano II tenta di avere presso di sé, sottraendolo ai Medici che lo trattengono gelosamente a Firenze – a raccomandare Spranger all’imperatore e a introdurlo alla conoscenza di grandi opere di scultura, soprattutto di Michelangelo. L’artista ne ricava un orientamento verso una ricerca di resa pittorica che conferisce rilievo e sostanza alle eleganti figure delle sue composizioni.
L’arrivo di Spranger a Vienna coincide con la morte di Massimiliano e con l’iniziale indifferenza di Rodolfo II, maggiormente attirato dalle fantasie di Arcimboldi e dalle esplorazioni del mondo misterioso dei prodigi naturali e artificiali. Al di là dell’alto valore tecnico e formale, però, gli aspetti tematici dell’arte di Spranger riescono a conquistare l’attenzione del giovane sovrano, soddisfacendo la sua propensione alla pittura da buen retiro, con Veneri ammiccanti ed Ercoli sedotti, e a quella apologetica con allegorie, trionfi e apoteosi dinastiche. Dal 1581 Spranger è ufficialmente nominato pittore di corte e il suo studio – che viene spesso visitato dal sovrano – diventa il centro di una vera e propria accademia: vi si pianificano, si discutono e si assegnano i lavori che riguardano l’architettura, le decorazioni, le scenografie, l’arte topiaria, le copie di capolavori, la glittica, la ceroplastica, l’oreficeria e la riproduzione a stampa.
Il 27 aprile 1595, con una Lettera di Maestà, Rodolfo II accorda agli artisti dignità propria: non dovranno più essere considerati artigiani e saranno sciolti da qualsiasi obbligo corporativo. Molti di loro ricevono titoli nobiliari e ad alcuni sono affidate missioni di fiducia mercantili e diplomatiche.
Accanto a Spranger lavorano due grandi maestri, Joseph Heintz e Hans von Aachen. La presenza di entrambi gli artisti a Praga nell’ultimo decennio del secolo produce una straordinaria circolazione di informazioni e promuove una vivacità culturale che impronta di sé tutto l’ambiente artistico. Ciò che distingue l’opera di Heintz e di Von Aachen è la consapevolezza d’originalità e di autonomia, ma – al di là del condizionamento del mecenatismo rudolfino – li accomuna soprattutto l’esperienza dell’arte italiana, che riesce a trattenerli sull’orlo di un manierismo estremo, stanco e scorporato, in forza del rispetto di una logica formale tesa e coerente.
Joseph Heintz (1564-1609) è anche architetto. Nasce a Basilea e frequenta la scuola di Holbein il Giovane. La forte impronta tedesca, che caratterizza la sua produzione, gli consente di esaudire con facilità la richiesta di Rodolfo II che desidera copie delle opere di Cranach e non gli impedisce di trarre dalla pittura italiana una corporeità più tonica e un colore già presago del barocco. Heintz viaggia moltissimo come agente antiquario e dipinge – oltre ai tanti Satiro e ninfe, Diana e Atteone, Venere e Adone – una bellissima Sacra Famiglia con le sante Barbara e Caterina (1595-1600).
Hans von Aachen nasce a Colonia. In giovinezza è a Venezia alla scuola di Tintoretto. A Roma dipinge pale d’altare e a Firenze si perfeziona nell’arte del ritratto. Lavora in Baviera alla corte di Guglielmo V e ad Augusta per i banchieri Fugger. Come Spranger e Heintz, anche Aachen viaggia alla ricerca di opere per la collezione imperiale. Estremamente versatile e vitale, egli usa il colore con una perizia e una sensibilità tipicamente veneziane, muovendosi con disinvoltura tra vari generi di pittura senza cadere mai nella ripetitività del mestiere. Dopo la morte di Rodolfo II, è l’unico artista a cui viene confermato l’incarico di ritrattista di corte. A soddisfare l’interesse di Rodolfo II per lo studio di paesaggio provvedono Pieter Stevens (1567 ca. 1624 ca.) e Roelant Savery, entrambi originari delle Fiandre.
Stevens si forma ad Anversa e, durante il suo viaggio di studio in Italia, a Romaammira i paesaggi di Henrick van Cleef e Paul Brill.
Dopo aver frequentato gli olandesi di Frankenthal, si stabilisce a Praga nel 1594 e si perfeziona nella resa degli aspetti pittoreschi del paesaggio con rupi e rovine su fondi chiari, ma anche nella minuziosa descrizione di affollate scene campestri. Roelant Savery soggiorna a lungo in Tirolo; i suoi disegni sono straordinari reportage, eseguiti su espressa richiesta dell’imperatore, allorché questi pensa alla possibilità di ritirarsi nel castello di Ambras presso Innsbruck. Savery tocca la perfezione assoluta nelle vanitates con fiori e insetti, lucertole e piccoli roditori. Oltre a Stevens e Savery, vanno poi ricordati Paulus van Vianen (1570 ca. - 1613), disegnatore limpido e raffinato, ma anche eccellente orafo; Daniel Fröschl (1573-1613), abile miniaturista; Hans Hoffmann (1550 ca. - 1591 ca.), Joris (1542-1600) e Jacob Hoefnagel (1575-1630 ca.), specialisti in emblemi e decorazioni calligrafiche. Celebre per i nudi femminili, alabastrini e ingioiellati, e per l’Allegoria del regno di Rodolfo II (1603) è Dirck de Quade van Ravesteyn (1565 ca. - 1619 ca.). Rilevante, infine, è l’importanza assunta dalla diffusione encomiastica dei fasti imperiali a opera di incisori quali Aegidius Sadeler (1570-1629) di Anversa, calcografo di corte, e l’olandese Hendrick Goltzius (1558-1617), ammiratore e traduttore ideale delle opere di Spranger.
Gli ultimi anni di vita di Rodolfo II sono segnati dai forti contrasti con il fratello Mattia d’Asburgo, che riesce a farlo interdire e a succedergli come re di Boemia nel 1611 e come imperatore alla sua morte, avvenuta a Praga il 20 gennaio 1612. Il tempo della storia oltrepassa presto il tempo sospeso del manierismo praghese. L’insurrezione boema è nell’aria. L’esperienza del mecenatismo tollerante e illuminato di Rodolfo II d’Asburgo si chiude poco prima che la guerra dei Trent’anni sconvolga l’Europa.