Romanticismo
Nonostante le innumerevoli interpretazioni volte a fissarne un coerente sistema di contenuti, il R. risulta ancora fenomeno difficilmente riducibile a definizioni unitarie. La stessa possibilità di individuare elementi comuni all'intero movimento è rimasta questione aperta: oscillante tra le fondamentali, contrapposte posizioni di A.O. Lovejoy, sostenitore di una tale diversità tra i tanti indirizzi accomunati sotto l'etichetta del R. da rendere quest'ultima addirittura inutilizzabile (On the discrimination of Romanticisms, 1924; trad. it. in A.O. Lovejoy, L'albero della conoscenza, 1982, pp. 285-314), e di R. Wellek, che al contrario intese riconoscere tre caratteri costanti in tutte le scuole romantiche: la concezione della natura quale organismo vivente, totalità di cui l'uomo è parte e che in lui si riflette; il ruolo assegnato all'immaginazione come strumento con cui l'arte, organo speculativo per eccellenza, non imitatrice bensì creatrice, si eleva a suprema espressione dell'Assoluto; e un uso rinnovato di miti e di simboli, non più ripresi dalla classicità, ma piuttostocreati a scandagliare come pure a esprimere il mistero della vita (The concept of Romanticism in literary history, 1949; trad. it. in R. Wellek, Concetti di critica, 1972, pp. 145-217). Nonostante l'impostazione descrittiva, estranea ad ambizioni storico-genetiche, la proposta di Wellek è parsa tuttavia non essere in grado d'interpretare pienamente le multiformi espressioni del R. in campo letterario, nel quale si è piuttosto affermato l'orientamento di accettare "la mobilità temporale e spaziale" del fenomeno come suo "connotato costitutivo" (Fasano 2004, p. 1); al contrario, buona accoglienza essa ha riscosso tra gli storici del pensiero, di quello estetico in particolare.
In effetti l'acquisita disponibilità, in edizioni anche critiche, di molte pagine dei primi teorici del R. rimaste a lungo sconosciute o addirittura inedite ha consentito di promuovere le riflessioni di tali autori da frammentarie proposte di poetica (come sono in passato sembrate) a dottrine di una vera teoria filosofica dell'arte, insomma di un'estetica, "ben distinta da quel che dell'esperienza romantica trapassa nelle estetiche dell'idealismo" (D'Angelo 1997, p. 10); e in un quadro così rinnovato, le varie correnti romantiche ancor meglio sembrano rivelare un nucleo concettuale unitario, fondato sulla comune matrice delle teorie elaborate a Jena tra il 1796 e il 1801, entro il circolo costituitosi attorno ai fratelli A.W. e F. Schlegel.
D'altra parte, proprio la circostanza che interesse aggregante di tale sodalizio fosse, più della scrittura letteraria, la teoria dell'arte e della letteratura si è rivelata premessa essenziale all'eterogeneo sviluppo sul piano creativo del Romanticismo. L'assenza di un concreto modello di riferimento, unita alla lenta sistematizzazione dell'ideale teorico, favorì infatti nella stessa Germania il sorgere di scuole diverse (Heidelberg, Berlino), che quell'ideale si proposero di attuare, ciascuna a suo modo. Tanto meno sorprendono, allora, le complesse dinamiche che segnarono il diffondersi del programma romantico nelle altre zone d'Europa, dove pure del R. tedesco si conobbe unicamente, o quasi, l'originaria elaborazione di Jena: divenuta peraltro davvero fruibile solamente dopo la pubblicazione delle Vorlesungen über dramatische Kunst und Literatur (1809-1811) di A.W. Schlegel, o meglio delle sue traduzioni in inglese (1814), francese (1815) e italiano (Corso di letteratura drammatica, 1817); e in gran parte diffusasi nella precarietà di divulgazioni banalizzanti o addirittura di comunicazioni orali, secondo vie talvolta oggetto d'incessanti ricerche, talvolta invece ancora poco sondate.
Molto si è scritto, per es., per ciò che concerne la letteratura inglese, circa una possibile ma discussa influenza del gruppo di Jena sulle poetiche di W. Wordsworth (1770-1850) e S.T. Coleridge (1772-1834), in virtù dei contatti intrattenuti soprattutto dal secondo con il pensiero tedesco; certo è, comunque, che la successiva generazione di poeti inglesi, come P.B. Shelley (1792-1822), G. Byron (1788-1824) e J. Keats (1795-1821), pur subito assunti in Europa quali icone del R., giunsero persino a polemizzare contro i romantici tedeschi, e furono avvicinati in patria ai due nomi precedenti in una comune "romantic school of poetry" solo a partire da un saggio su Coleridge di W. Maginn del 1833 (The noticeable man with large grey eyes - the worthy old Platonist - the founder of the romantic school of poetry, in Fraser's magazine, 1833, 8, p. 64). Una situazione singolarmente opposta rispetto a quella del contesto italiano, il solo in Europa in cui la comparsa del concetto di R. coincise con quella di un movimento identificatosi come 'romantico'; e se l'impegno direttamente creativo prevalse in esso su quello speculativo, anche le reiterate accuse di superficialità teoretica subite dal R. italiano sono parse da ridimensionare grazie a una migliore conoscenza di intellettuali quali L. Di Breme (1780-1820) ed E. Visconti (1784-1841: "il più filosofo dei romantici italiani", Raimondi 1997, p. 2). Proprio alcune pagine di Visconti, si è scoperto, furono non a caso saccheggiate nel Racine et Shakespeare (1823) di Stendhal: ossia nel saggio che, dopo gli inviti di Madame de Staël, pose finalmente le basi per la nascita di un R. francese propriamente detto, che solo nel 1827 elaborò un primo manifesto con la Préface al Cromwell di V. Hugo; a tempi ben più recenti risalendo infatti l'attribuzione d'identità romantica al fenomeno culturale sviluppatosi tra 18° e 19° sec. attorno alla figura di R. de Chateaubriand, sotto importanti aspetti ben diverso, e mai identificatosi con tale etichetta.
Il quadro così delineato, che nell'intreccio tra appartenenze rivendicate e altre fissate dalla critica suggerisce una seconda radice dell'eterogenea immagine del movimento, comporta alcune ulteriori implicazioni. In primo luogo, esso si ispira a una concezione rigorosamente storica della nozione di R., intesa come designazione di un fenomeno culturale cronologicamente ben delimitato (1796-1850, con successive propaggini nelle aree più periferiche). E ciò in accordo da una parte con il declino di un impiego in senso categoriale (non privo lungo il 20° sec. di autorevoli sostenitori, da B. Croce a G. Gusdorf), a indicare l'emergere di emozioni passionali in opere di qualsiasi epoca; dall'altra con la crescente diffidenza nei riguardi della categoria critica del preromanticismo: formula elaborata soprattutto in Francia, anche in ragione dell'interesse per le intuizioni di J.-J. Rousseau (P. van Tieghem, Le Préromantisme, 1924), e approfondita riguardo al panorama italiano da W. Binni (Preromanticismo italiano, 1948), ma oggi dai più ritenuta inadeguata e ambigua nel proiettare verso una successiva stagione aspetti culturali che sono pienamente pertinenti all'articolato panorama settecentesco (v. illuminismo: Letteratura). In secondo luogo, il quadro precedente fa propria la tendenza a coinvolgere nella galassia romantica non solamente gli artisti in essa militanti, ma anche quanti, magari pure senza piena consapevolezza, ne condivisero almeno alcuni dei più tipici orientamenti; tale, per es., fu il caso di Byron e (per molti) quello di G. Leopardi (1798-1837), oppositore costante della nuova scuola, eppure approdato a condividerne la scoperta del legame tra 'poesia sentimentale o malinconica' e 'consapevolezza' moderna, sino a riconoscere la 'ragione' non più come ostacolo alla poesia, ma sua ormai imprescindibile condizione.
La questione del rapporto tra il R. e gli artisti che senza aderirvi ne furono influenzati, resta, naturalmente, tema di discussione sempre aperto, anche perché strettamente legato al giudizio formulato sul movimento nel suo insieme. Giova ricordare, al riguardo, che il successo conseguito dall'estetica romantica su quella classicistica è stato l'ovvio presupposto di una fortuna critica che, in Italia, si è anche nutrita dell'immediato riconoscimento dei romantici quali rappresentanti per eccellenza dello spirito risorgimentale. Neppure però sono mancati oppositori a tale tradizione elogiativa, soprattutto tra quanti, criticandone la vocazione al misticismo, all'individualismo, a un (discusso) irrazionalismo, hanno voluto considerare il R. fenomeno ideologicamente involutivo, o magari 'reazionario', rispetto all'impronta razionalistica dell'Illuminismo. Questa posizione, soprattutto diffusa in ambito marxista (ne fu sostenitore, per es., G. Lukács), ispirò in Italia il riconoscimento di un carattere più compiutamente 'progressivo', persino rispetto al R. democratico (ma pur sempre 'religioso') di G. Mazzini, a quella corrente classicistica che, pur condividendo valori patriottici e 'civili', fu spinta alla polemica antiromantica dalla fedeltà agli ideali illuministici di libertà e di laicismo: appunto la condizione, per S. Timpanaro (Classicismo e illuminismo nell'Ottocento italiano, 1965), di Leopardi. Da tale prospettiva critica, in declino dopo ampio consenso, derivava tuttavia non solo un troppo rigido scenario di 'partiti' culturali contrapposti tra loro e valutati su base ideologica, ma anche un'inevitabile svalutazione delle complesse interferenze riscontrabili tra la riflessione dei singoli (come si è visto, lo stesso Leopardi) e l'estetica romantica.
Di fatto, ogni generale linea interpretativa del R., tanto più se d'impronta ideologica, è risultata finora inadeguata; ed è probabile che il primo ostacolo a una lettura integralmente storica del fenomeno derivi dall'attivo operare delle sue più caratteristiche istanze nel presente. Il movimento romantico ha infatti radicalmente modificato la cultura e la mentalità occidentale sulla base, si è sostenuto, di due fondamentali principi: il rilievo assegnato alla "volontà" e la negazione "di una struttura del mondo alla quale l'uomo debba adattarsi" (Berlin 1999; trad. it. 2001, p. 204). Ne è conseguita l'affermazione di un nuovo sistema di virtù, in cui l'intenzione conta più del risultato, la sincerità con cui si sceglie più delle scelte, la libertà più di ogni altro valore; poiché tutto è divenire, non esistono valori extratemporali, il passato ha dignità pari al presente; tutte le teorie, a partire dai canoni artistici, sono forme di dispotismo; ogni aspetto della realtà (compreso il brutto e il male) si colloca sullo stesso piano, da sottoporre a un modello estetico. Il 20° sec. è poi giunto a proiettare questo impianto teorico in direzioni impensabili per i suoi creatori: con la negazione di ogni valore oggettivo, la conseguente rinuncia all'azione o al contrario il rifugio nel volontarismo; e, nell'arte, la dissoluzione del concetto di bellezza, l'abolizione della stessa parola (anch'essa costrittiva), la disgregazione dell'Io sino alla riproduzione di stati d'incoscienza.
Questa impostazione mentale, assai difficile da sostenere, deve peraltro convivere con gli aspetti più resistenti del modello culturale unitario che le preesisteva: originando un gioco di entusiasmi e diffidenze che ben spiega la difficoltà di valutazioni oggettive. D'altra parte, al di là di ogni vincolo di continuità, l'immagine in genere positiva del R. sembra innanzitutto fondarsi su due lasciti di particolare valore. Sul piano artistico i suoi capolavori, ispirati da "una concezione drammatica" dell'esistenza (per cui ogni armonia nasce dal superamento di contrasti) e dalla disponibilità verso gli aspetti più negativi del reale, ma per "tutti redimerli in una sfera più alta", continuano a rivelare una ricchezza, una profondità, un'aderenza straordinaria "all'essenza mobile e contraddittoria della vita" (M. Puppo, Il Romanticismo, 1951, 19756, pp. 147-48); in chiave antropologica, la nozione romantica della pluralità e del carattere limitato di tutti gli ordinamenti umani pare aver contribuito a diffondere, anche qui ben oltre le originarie intenzioni, la consapevolezza delle "imperfezioni della vita", e quindi della "necessità di salvaguardare un equilibrio imperfetto nelle cose umane" (Berlin 1999; trad. it. 2001, p. 223).
bibliografia
G. Gusdorf, Le Romantisme, 2 voll., Paris 1993.
P. D'Angelo, L'estetica del Romanticismo, Bologna 1997.
E. Raimondi, Romanticismo italiano e romanticismo europeo, Milano 1997.
Storia della letteratura italiana, a cura di E. Malato, 7° vol., Il primo Ottocento, Roma 1998.
I. Berlin, The roots of Romanticism, London-Princeton 1999 (trad. it. Milano 2001).
P. Fasano, L'Europa romantica, Firenze 2004.