Romanzo
Dopo essere stato per secoli un genere minore, non codificato e non canonizzato, oggetto di diffidenze e censure di vario tipo, e dopo essere diventato a poco a poco una forma egemone, capace di esprimere al meglio la sperimentazione dei vari modernismi, all'inizio del 21° sec. il r. si trova ancora di fronte a nuove sfide impossibili. Proprio i motivi che lo avevano tenuto lontano dalla letteratura alta, dal tragico e dal sublime - la scarsa formalizzazione, la pluralità dei livelli stilistici, la vicinanza all'universo quotidiano, l'identificazione patologica suscitata nei lettori - si sono trasformati in punti di forza. Una volta tramontata la visione semiologica e strutturalistica della letteratura, che ne faceva un linguaggio separato, definibile in astratto sulla base di proprietà logiche, il r. si è dimostrato la forma più adatta a esprimerne un'idea differente, impura, in grado di contaminarla di continuo con altri linguaggi artistici (musica, cinema, fotografia, nuovi media) e con altre pratiche discorsive (dal giornalismo al saggio). Ma soprattutto è risultato il genere più concorrenziale in un'epoca in cui la tradizione umanistica ha perso la sua antica centralità, al punto che, per il pubblico non specialistico, la nozione di letteratura tende oggi a coincidere con quella di romanzo.
Difficile dire in una formula che cosa sia diventato il r. nella nostra epoca; da tempo non è solo un genere letterario, ma piuttosto un macrogenere, una galassia di forme più o meno legate fra di loro; un contenitore onnivoro capace di rispondere a esigenze disparate. Negli ultimi tempi si è configurato sempre di più come una forma 'globalizzata', che reagisce in modo proficuo alla moltiplicazione e alla circolazione vertiginosa delle informazioni. Il concetto controverso e un po' abusato di globalizzazione va comunque usato con estrema cautela. Non c'è dubbio che negli ultimi decenni si sia sviluppato il cosiddetto world novel: un r. che ha una vastissima circolazione internazionale in svariati contesti culturali, e che si basa su di una koiné generalmente improntata al realismo magico, sulla scia del grande successo di Cien años de soledad (1967; trad. it. 1968) di G. García Márquez, forse il romanzo che ha avuto maggiore influenza negli ultimi decenni (Denning 2002). Così come è indubbio, più in generale, che una lunga serie di romanzieri, di livello artistico assai disuguale (I. Allende, U. Eco, N. Gordimer, J. Saramago, A.B. Yehoshua, B. Yoshimoto e tanti altri), riesce ormai a raggiungere un pubblico molto ampio, impensabile per gli autori di altri generi letterari. Tutto ciò non implica che il romanzo globale sia una nuova forma che avrebbe sostituito la categoria del postmoderno, come è stato proposto (Calabrese 2005), basandosi su autori troppo disomogenei e, soprattutto, su una retrodatazione del postmoderno, di cui viene data una definizione infondata. Più che sulla circolazione delle opere, che non comporta automaticamente la formazione di nuove poetiche, è interessante soffermarsi invece sulle realtà postcoloniali, in cui il r., sentito al tempo stesso come genere di importazione e come nuova potenzialità creativa, ha permesso ibridazioni complesse fra tradizioni conflittuali, dando vita anche in letteratura a quel fenomeno che si chiama glocale e che indica l'impasto fra globalizzazione e contesti locali. È il caso soprattutto dell'India, paese nel quale la produzione romanzesca (come quella cinematografica) è particolarmente ricca e, spesso, si trova a soddisfare l'interesse per le grandi saghe narrative, ancora vivo in Occidente; o anche dell'Africa, se si pensa ai romanzi del nigeriano C. Achebe (n. 1930), in cui il trauma del colonialismo è smontato e rivissuto in tutto il suo tragico impatto attraverso una mistione di generi e di stili.
È stato sin troppe volte ripetuto che il postmoderno sarebbe caratterizzato dalla fine delle grandi narrazioni, e ciò è forse vero per quanto riguarda le interpretazioni teleologiche della storia, come il marxismo. Nel r. contemporaneo, invece, si nota da tempo, per reazione alla frammentazione postmoderna del soggetto e alla polverizzazione dell'intreccio attuata dal modernismo, un ritorno massiccio alla narratività forte; con una ripresa persino dell'affresco, della saga, del ciclo, ossia di tutti quei procedimenti con cui il r. ha aspirato nella sua storia a una dimensione totalizzante (Calabrese 2003). Da questo punto di vista uno degli esempi più significativi del r. contemporaneo, e più foriero di sviluppi futuri, è Underworld (1997; trad. it. 1999) di D. DeLillo (n. 1936), autentico equivalente postmoderno di quello che l'Ulysses (1922) di J. Joyce ha rappresentato per il modernismo. Il senso di affresco totalizzante sulla società contemporanea scaturisce in questo caso proprio, paradossalmente, dal frammento elevato a sistema: è l'intersecarsi continuo di storie parallele, che contaminano personaggi fittizi e personaggi reali, a produrre una coralità insolita. DeLillo epicizza così i referenti più disparati, dal baseball ai rifiuti, tema ossessivo di tanta arte e di tanta letteratura contemporanea, in quanto fondo oscuro e infernale della società tardocapitalista, e momento culminante di una tendenza antifunzionalistica viva nella letteratura di tutti i tempi (Orlando 1993).
Il modello dell'affresco corale, basato sull'intersezione continua fra diversi piani di storia, non è appannaggio esclusivo di DeLillo; anzi, si configura sempre di più come una tendenza dominante nel r. contemporaneo così come nel cinema: da Short cuts (1993, America oggi) diretto da R. Altman a Crash (2004) di P. Haggis, film che aspira, da vari punti di vista, alle dimensioni monumentali di un'epica postmoderna (Fusillo 2002). Soluzioni simili si trovano in The amazing adventures of Kavalier and Clay (2000; trad. it. 2001) di M. Chabon (n. 1963), sorta di epopea sul mondo dei fumetti ambientata fra Praga e gli Stati Uniti nel periodo precedente la Seconda guerra mondiale; e nel capolavoro di Ph. Roth (n. 1933) American pastoral (1997; trad. it. 1998), meno basato sulla polifonia degli intrecci e più concentrato sul terrorismo e sulla guerra del Vietnam come lato oscuro del sogno americano. Un punto significativo che accomuna queste e altre opere della narrativa contemporanea è l'intreccio tra personaggi fittizi e personaggi reali: questi ultimi sono sia icone dell'arte cinematografica novecentesca, come S.M. Ejzenštejn in DeLillo o O. Welles in Chabon, sia figure chiave della storia recente americana, come E.L. Hoover, che gioca un ruolo primario in Underworld. Dal canto suo Roth ha sviluppato ulteriormente questa tecnica, fino all'ucronia di The plot against America (2004; trad. it. 2005), in cui è narrata una storia possibile, quella degli Stati Uniti se nel 1940 avesse vinto le elezioni presidenziali, invece di F.D. Roosevelt, il candidato repubblicano Ch. Lindbergh, antisemita, filonazista e contrario all'entrata in guerra. Il fascino per la storia controfattuale, per la rappresentazione di una realtà ipotetica non è certo un fenomeno nuovo: è un tema estremamente consono alle poetiche della fantascienza e della distopia. Ciò che rende il r. di Roth innovativo è l'intreccio stretto fra possibile e reale, fra l'incubo di una deportazione degli ebrei americani (tratto dalle dichiarazioni realmente attestate di Lindbergh) e i ricordi autobiografici della famiglia dell'autore in quegli anni; come a voler mostrare che l'universo della potenzialità ha un peso e una percepibilità pari a quelli della storia reale.
A partire da In cold blood (1965; trad. it. 1966) di T. Capote (1924-1984), che ha inaugurato il non-fiction novel, il r. ha lavorato sempre di più sui materiali 'reali' provenienti dalla cronaca nera, dal giornalismo, dalla politica, dal costume. È un fenomeno che si è sviluppato in parallelo con il new journalism, un giornalismo a carattere narrativo, il cui capofila è un romanziere di successo, T. Wolfe (n. 1931), che costruisce i suoi r. come ampi reportage, basati su accurate ricerche sul campo, come nel caso dell'assai corposo I am Charlotte Simmons (2004; trad. it. 2005) sul mondo dei college universitari.
Anche in Italia si sono sviluppate tendenze simili: da un lato un romanziere come G. Mozzi (n. 1960) costruisce le sue raccolte di racconti come se fossero casi di cronaca, giocando sul confine sempre più labile tra finzione e realtà (Fiction, 2001); dall'altro, un giornalista come P. Corrias (n. 1955) in Ghiaccio blu (1997) 'narrativizza' un caso reale dal forte valore simbolico (e dall'altrettanto forte connotazione di irrealtà): la storia di J.P. Jernigan, condannato a morte negli Stati Uniti e giustiziato nel 1993, il cui cadavere venne usato per creare il primo atlante computerizzato del corpo umano. Si è abbastanza lontani dal lavoro di documentazione che intraprendevano e intraprendono gli autori di r. storici e biografici (due generi che continuano comunque ad avere una fioritura ricca anche e soprattutto in età postmoderna: v. biografia); o dall'ideale di fotografia impersonale della realtà che animava il r. naturalistico. Si nota piuttosto una sintonia fra queste esperienze romanzesche e alcuni nodi della teoria letteraria: la riflessione sul ruolo sempre più pervasivo e onnivoro della finzione, ma anche sul suo valore conoscitivo; la contaminazione fra la letteratura e altre pratiche di discorso sociale propugnata dal Neostoricismo americano. Più in generale, in queste nuove configurazioni del r. si risente il ruolo crescente che la narratività ha assunto nella cultura contemporanea: se si pensa alle (controverse) teorie di H. White (1973) sulla natura narrativa della storiografia, alle letture in chiave narratologica della psicoanalisi e dell'antropologia, alle riflessioni della neurobiologia sul valore fondativo della narrazione nella formazione dell'identità umana, al ruolo incisivo che il r. gioca nella filosofia contemporanea quale espressione di modelli di mondo (Givone 2005), al punto che alcuni filosofi si dedicano alla scrittura di r. come a una forma di elaborazione del pensiero. Non stupisce che una figura chiave della cultura contemporanea, il paleontologo S.J. Gould, abbia affermato (1995) che l'etichetta canonica di Homo sapiens andrebbe riformulata come Homo narrator. Il r. diventa così una forma privilegiata (proprio perché aperta all'ibridazione con altri generi, a partire dal saggio) per raccontare e riconfigurare la storia reale e la storia possibile, la politica e la cronaca, i conflitti etnici e la nuova estetica della globalizzazione.
Una simile visione del r. trapela dall'opera summa, peraltro rimasta incompiuta, di P.P. Pasolini (1922-1975), Petrolio (postuma, 1992), che l'aveva concepita come un monumentale Satyricon moderno, in cui si sarebbero affiancati inserti giornalistici, materiale iconografico, fotografie, filmati, canzonette; un metaromanzo menippeo e polifonico, immaginato come un'opera perduta e giunta in frammenti, e in cui vi è ampio spazio per il racconto dei maggiori misteri e scandali della politica italiana negli anni Settanta (soprattutto con riferimento all'ENI), in continuo contrappunto con la rappresentazione diretta e brutale dei meccanismi sadomasochistici della sessualità, come altra faccia del potere. Abbandonato il naturalismo della sua prima narrativa, il r. dell'ultimo Pasolini si presenta dunque come il genere più adatto a veicolare una visione impura e performativa della letteratura (Benedetti 1998), che rifiuta e nello stesso tempo ostenta le convenzioni classiche, e che vuole avere una presa diretta sul reale e sul vissuto; una forma-non forma, con cui lo scrittore rinuncia all'atto di possesso e di potere, all'imposizione di una propria strutturazione degli eventi. Fra i materiali reali che sono presenti in Petrolio emerge anche il vissuto dell'autore, prefigurando così una linea ormai molto vitale, lo spiazzamento dei confini fra r. e confessione autobiografica, praticato sistematicamente da W. Siti (n. 1947) a partire dal monumentale Scuola di nudo (1994).
Proprio l'esempio di Petrolio permette di considerare un altro tipo di ibridazione praticata dal r. contemporaneo: quella con gli altri linguaggi artistici. In un'epoca in cui l'immaginario umano si fa sempre più polimorfico, e il r. entra in concorrenza con innumerevoli altri generi, soprattutto audiovisivi, di racconto, non ha senso arroccarsi nella difesa della purezza di una tradizione letteraria sempre più isolata. Da questo punto di vista, il r. contemporaneo ha accolto da tempo le sfide provenienti dai nuovi media e dall'universo della comunicazione di massa. Basta leggere i romanzieri delle generazioni più giovani per accorgersi subito che la loro cultura è tanto (se non talvolta prevalentemente) visiva quanto letteraria: è ricca di richiami al cinema, alla televisione, al fumetto, alla pubblicità. In generale, la visualità, in tutta la sua ambigua polivalenza e con tutta la sua carica emotiva, è una dimensione sempre più dominante nel r. contemporaneo. Forse uno degli episodi più significativi da questo punto di vista è stato Austerlitz (2001; trad. it. 2002), ultimo (e unico in senso classico) r. di W.G. Sebald, che contrappunta di continuo la narrazione con una serie di fotografie, utilizzate in tutto il loro potere evocativo e non come semplice illustrazione degli ambienti narrati: fra immagini e racconto si stabilisce infatti un dialogo intenso, che produce un amalgama inedito. Come accade spesso nel r. e nell'arte contemporanea (basta ricordare le splendide installazioni di Ch. Boltanski), la fotografia è legata ai temi dell'autobiografia e della memoria, e in particolare all'esperienza tragica e traumatica per eccellenza del Novecento: la Shoah. Il protagonista del r., Jacques Austerlitz, è infatti un professore di storia dell'architettura che vive a Londra e che intraprende un viaggio alla ricerca delle proprie origini, grazie al quale scoprirà di essere uno dei tanti bambini strappati ai campi di concentramento e giunti in nave in Inghilterra. La storia possiede un forte valore simbolico: l'idea che la memoria, e in particolare la memoria tragicamente mitica della Shoah, sia un processo continuo e dinamico, che non va cristallizzato in una vuota monumentalizzazione, e che deve sapersi anche nutrire di oblio (Cometa 2005).
Anche il cinema, oltre e più della fotografia, ha instaurato sin dalle sue origini profondi e complessi rapporti con il romanzo. Dopo averne lentamente eroso il campo di influenza (soprattutto per quanto riguarda l'identificazione patologica del pubblico con i suoi eroi), incalzato a sua volta da nuovi media e da nuove forme di circolazione e di ricezione audiovisiva, il mezzo cinematografico ha moltiplicato le possibilità di scambio con questo importante genere, al di là della tradizionale e ormai consolidata pratica dell'adattamento. Tale pratica peraltro influenza in modo considerevole la diffusione della letteratura nella società contemporanea (è il caso di scrittori riportati in auge dagli schermi, come J. Austen, H. James, E.M. Forster), e si sviluppa anche in senso inverso, con il fenomeno della novelisation dei r. tratti dai film (La novelisation, 2004). L'ibridazione fra i due linguaggi ha coinvolto sempre di più il piano delle tecniche espressive, con il riuso degli stilemi delle sceneggiature, di focalizzazioni esterne e tutte visuali e di ritmi narrativi rapidissimi. Tecniche già ampiamente sfruttate dal r. modernista (soprattutto Dos Passos) e poi riprese e amplificate anche nella narrativa contemporanea, su influsso di altre arti audiovisive come il videoclip (in Italia da scrittori come N. Ammaniti, I. Santacroce, A. Nove). Inoltre si è allargato anche al piano delle tematiche, dando vita a un nuovo genere letterario, il film novel, ossia il r. che ha come tema il cinema (Moses 1995; Maggitti 2006). Nei casi più interessanti e innovativi - O. Soriano (Triste, solitario y final, 1973; trad. it. 1974); M. Puig (El beso de la mujer araña, 1976); A. Tabucchi (Il filo dell'orizzonte, 1986); A. Carter (Wise children, 1991; trad. it. 1992); J. Marías (Mañana en la batalla piensa en mí, 1994; trad. it. 1998); C. Bram (Father of Frankenstein, 1995; trad. it. Demoni e dei, 1999); T. Viel (Cinéma, 1999; trad. it. 2002); P. Auster (The book of illusions, 2002; trad. it. 2003) - la scelta di questo tema diventa anche riflessione sui meccanismi della percezione, sugli scambi fra narrazione e immagine, sulla citazione cinematografica come elemento centrale dell'enciclopedia culturale richiesta al lettore contemporaneo, sull'onnipresenza dell'immagine nella società attuale; motivo, quest'ultimo, declinato spesso dalla narrativa postmoderna anche e soprattutto in relazione all'immagine televisiva, se si pensa alla rappresentazione di interni borghesi in White noise (1985; trad. it. 1987) di DeLillo.
Oltre che con fotografia, cinema e televisione, il r. contemporaneo si confronta anche con i media più recenti: e questo avviene sia sul piano tematico, nel senso che telefoni cellulari, sms, linee chat, diventano oggetto di narrazione; sia sul piano della diversa e più fluida circolazione delle opere in Internet, e del diverso rapporto che si crea con i lettori (basta pensare al fenomeno dei blog aperti da vari scrittori). Da questo punto di vista è assai significativo il caso di Luther Blisset, gruppo di quattro ragazzi bolognesi che ha scelto uno pseudonimo che già circolava in rete, ha pubblicato un romanzo storico poco convenzionale, Q (2000), e ha poi ceduto il nome, assumendone uno nuovo; sia perché le tecniche digitali hanno permesso la creazione di un nuovo genere, il r. ipertestuale (il cui esempio più noto è Afternoon, a story, 1990, di M. Joyce), che si basa sulla visualizzazione dei diversi percorsi narrativi possibili e sulla libera scelta lasciata al fruitore. Per ora, benché la produzione di opere ipertestuali sia già abbastanza consistente, non sembra che questa innovazione tecnologica, come in passato altre innovazioni, sia destinata a trasformare il r., ma solo a offrirgli nuove potenzialità sperimentali; d'altronde la combinatoria dei possibili narrativi era stata già esplorata da autori come G. Perec, I. Calvino e J. Cortázar (Aarseth 2002).
Il r. postmoderno tende a reinventare la categoria dello spazio (così come quello modernista sembrava prediligere la sperimentazione sul tempo), che diventa quindi molto più che una categoria narratologica, legata alla raffigurazione degli ambienti. Le geografie reali e immaginarie entrano a far parte di una ridefinizione performativa delle identità, e di una contaminazione continua fra le culture. Non a caso il nomadismo è una metafora prediletta, da G. Deleuze a R. Braidotti, per definire la soggettività postmoderna. In questa chiave va letta la rinascita del r. picaresco che, iniziata nel Novecento già con Amerika (1927; trad. it. 1945) di F. Kafka e con Bekenntnisse des Hochstaplers Felix Krull (1954; trad. it. 1955) di Th. Mann, e proseguita poi con L.F. Céline, S. Bellow, J. Steinbeck, J. Kerouac, si è incrociata spesso con il gusto camp, e con la riscrittura 'teatralizzante' della cultura di massa. Basta pensare in Italia alla poetica del viaggio di A. Arbasino (n. 1930) e al suo riscrivere il Satyricon, ai romanzi di P.V. Tondelli (1955-1991) e a tanta narrativa di autori più giovani che seguono questa scia, spesso su influsso diretto del cinema. In Les météores (1975; trad. it. 1979) di M. Tournier (n. 1924) - uno degli scrittori più dediti al rifacimento di miti e motivi archetipali - il viaggio e il nomadismo si contrappongono a un tema strettamente legato alla messa in crisi del principio di identità, alla gemellarità come cellula armonica e autosufficiente; la stessa contrapposizione che si ritrova nella trilogia composta dai romanzi Le grand cahier (1986), La preuve (1988) e La troisième mensonge (1991) di A. Kristof (trad. it. Trilogia della città di K., 1998), capolavoro di scrittura scabra e tagliente, in cui la gemellarità diventa ossessione mentale e il nomadismo si riduce a un esilio alienante.
Il carattere poliedrico e polifonico del r. contemporaneo non poteva non riverberarsi sugli studi critici sempre più numerosi dedicati a questo genere letterario. La teoria attuale ripensa criticamente alcune formule che hanno avuto gran successo in passato, come la distinzione fra romance e novel, e contesta la visione che fa del r. unicamente un prodotto della modernità industriale. Come dimostra l'imponente impresa critica coordinata da F. Moretti (2001-2004), ormai si tende piuttosto a sottolineare la poligenesi di questa forma, e a valorizzare esperienze a lungo trascurate come il r. greco ellenistico e poi bizantino, il r. barocco, il r. cinese classico, che mostra sorprendenti parallelismi con quello occidentale; e soprattutto si tende a leggere il r. in chiave antropologica prima ancora che letteraria, come un fenomeno culturale di straordinaria pregnanza.
bibliografia
H. White, Metahistory: the historical imagination in nineteenth-century Europe, Baltimore 1973 (trad. it. Retorica e storia, Napoli 1982).
F. Orlando, Gli oggetti desueti nelle immagini della letteratura. Rovine reliquie rarità robacce luoghi inabitati e tesori nascosti, Torino 1993, 19942.
S.J. Gould, So near and yet so far, in New York review of books, 1995, 46, p. 24.
G. Moses, The nickel was for the movie. Film in the novel from Pirandello to Puig, Berkeley 1995.
C. Benedetti, Pasolini contro Calvino. Per una letteratura impura, Torino 1998.
Il romanzo, a cura di F. Moretti, 5 voll., Torino 2001-2004 (in partic. i saggi di E. Aarseth, Il romanzo nell'epoca di Turing, 2° vol., 2002, pp. 675-700.
S. Calabrese, Cicli, genealogie, ed altre forme di romanzo totale nel xix secolo, 4° vol., 2003, pp. 611-40.
M. Denning, L'internazionale dei romanzieri, 3° vol., 2002, pp. 628-44.
M. Fusillo, Fra epica e romanzo, 2° vol., 2002, pp. 5-35).
La novelisation: du film au livre / Novelization. From film to novel, éd. J. Baetens, N. Lits, Leuven 2004.
S. Calabrese, www.letteratura.global. Il romanzo dopo il postmoderno, Torino 2005.
M. Cometa, Istantanee sulla dimenticanza. Su memoria e identità (anche ebraica), in Dopo la Shoah. Nuove identità ebraiche nella letteratura, a cura di R. Calabrese, Pisa 2005, pp. 189-212.
S. Givone, Il bibliotecario di Leibniz. Filosofia e romanzo, Torino 2005.
V. Maggitti, Lo schermo fra le righe, Napoli 2007.