Arnheim, Rudolf
Psicologo, teorico del cinema e critico dell'arte tedesco, naturalizzato statunitense, nato a Berlino il 15 luglio 1904. Tra i maggiori rappresentanti della Gestaltpsychologie, A. è al contempo uno dei più grandi teorici del cinema. Le sue rigorose ricerche sulla percezione dell'immagine cinematografica (sviluppate all'interno di una più ampia indagine sul mondo dell'arte), sulle leggi della composizione dell'inquadratura in relazione al soggetto che le osserva, sul rapporto tra percezione visiva e attività dell'intelletto sono un costante punto di riferimento negli studi sul cinema e sull'immagine in genere. Di famiglia ebrea, figlio di un fabbricante di pianoforti, A. fin da ragazzo mostrò un forte interesse per la musica, l'arte, la letteratura e il cinema. Si iscrisse alla facoltà di Psicologia dell'università di Berlino nel 1923, entrando in contatto con W. Köhler e M. Wertheimer e interessandosi alla psicologia della Gestalt, che aveva nella città tedesca il suo centro promotore, e si laureò quindi nel 1928 con una tesi sulla radice comune delle diverse forme di espressione artistica. Fin dal 1925 aveva iniziato a collaborare con settimanali berlinesi scrivendo recensioni di film, e nel 1932 pubblicò il suo primo libro dedicato al cinema, Film als Kunst (trad. it. 1960, sulla base della seconda edizione in lingua inglese, Film as art, 1957). L'anno successivo, dopo l'ascesa al potere di Hitler, lasciò la Germania per trasferirsi a Roma dove divenne amico e collaboratore di Guido Aristarco, Fedele d'Amico e Paolo Milano, mentre il suo testo sul cinema venne parzialmente tradotto da Umberto Barbaro a uso degli studenti del Centro sperimentale di cinematografia presso cui A. tenne alcune lezioni. Nel 1936, data l'impossibilità di pubblicare in Germania, uscì in Inghilterra una sua opera dedicata alla percezione radiofonica, Radio (trad. it. 1937). Nel 1937 iniziò a collaborare con il quindicinale "Cinema", diretto da Vittorio Mussolini, e con la neonata rivista del Centro sperimentale, "Bianco e nero", su cui pubblicò tra l'altro uno dei suoi saggi sul cinema più famosi, Il nuovo Laocoonte (1938, 8, pp. 3-33). Nel 1938, dopo la promulgazione delle leggi razziali, lasciò l'Italia per trasferirsi a Londra, dove lavorò inizialmente come traduttore dall'inglese al tedesco per la compagnia radiofonica Overseas Broadcasting Company. Nel 1940 si stabilì definitivamente negli Stati Uniti, dove viveva il suo maestro Wertheimer, fuggito anch'egli dalla Germania, il quale lo invitò a insegnare psicologia alla New School for Social Research di New York. L'anno successivo, su richiesta dell'Office of Radio Research della Columbia University e del suo direttore, P. Lazarsfeld, A. avviò un progetto di ricerca sulle soap opera radiofoniche, da cui sarebbe scaturito il testo The world of the daytime serial (in Radio research 1941-43, ed. P. Lazarsfeld, F.N. Stanton, 1944, pp. 34-85). Nel 1943 iniziò a insegnare psicologia dell'arte presso il Sarah Lawrence College di New York (dove sarebbe rimasto fino al 1968) e nel 1954 pubblicò in California uno dei suoi libri più famosi, Art and visual perception (trad. it. 1962), dedicato al problema della percezione visiva dell'arte. Ritornato dal Giappone, dopo avervi trascorso un anno (nel 1959) come visiting professor, A. sviluppò le sue teorie sul rapporto tra percezione e intelletto che sfociarono nel volume Visual thinking (1969; trad. it. 1974). Subito dopo la pubblicazione del libro, l'università di Harvard gli offrì l'incarico di first professor di psicologia dell'arte, che A. tenne fino al 1974, anno in cui diede alle stampe una seconda edizione, completamente riveduta, di Art and visual perception, approfondendo molti dei problemi che erano emersi dal dibattito seguito alla prima edizione.Una volta terminata l'esperienza a Harvard, A., trasferitosi ad Ann Arbor, ha lavorato come visiting professor al College of Language, Sciences and Arts della University of Michigan. Tra i lavori più recenti: The dynamics of architectural form (1977), The power of the center: a study of composition in the visual arts (1982, 1988²), To the rescue of art: twenty-six essays (1992). Una raccolta dei suoi primi scritti sul cinema, Kritiken und Aufsätze zum Film (1977), è stata tradotta e pubblicata in inglese nel 1997 con il titolo Film essays and criticism. A ulteriore testimonianza della notevole influenza che la sua opera ha avuto sulla cultura cinematografica italiana, nel 2000 gli è stato conferito il premio Filmcritica-Umberto Barbaro per il complesso della sua carriera.
Nella sua prima opera dedicata al cinema, Film als Kunst, A. rielabora, da un punto di vista teorico, le analisi compiute su singoli film durante la sua attività come critico cinematografico. L'intento del libro è quello di definire lo statuto del cinema come arte, vale a dire come forma elaborata che non si risolve in una semplice imitazione della realtà. Risultato di un'attività costruttiva, il cinema permette di ritrovare le proprie regole compositive, le stesse che consentono al soggetto che osserva di comprendere le immagini che scorrono davanti ai suoi occhi. Film als Kunst rappresenta dunque ‒ in relazione al dibattito di quegli anni e ai suoi protagonisti, Walter Benjamin, Bertolt Brecht, Béla Bálazs ‒ una presa di posizione da parte di A. in favore della forma, il cui primato rispetto all'ideologia è netto ed evidente. L'analisi del film deve essere condotta ritrovando le modalità con cui questo mette in scena un mondo, e non secondo il contenuto che trasmette. In questo senso si può dunque parlare di una teoria formalista del cinema, tenendo conto del fatto che per A. l'analisi della forma è in grado anche di smascherare i meccanismi di persuasione e propaganda che i nuovi mezzi di comunicazione di massa avevano sperimentato negli anni del totalitarismo. La centralità del cinema come oggetto di indagine, in quanto moderna arte della percezione visiva, venne ribadita da A. anche negli anni successivi. Nel Nuovo Laocoonte, pur attenuando in parte il proprio giudizio negativo sulla commistione di più mezzi espressivi nella creazione artistica (v. estetica del cinema), il teorico tedesco ribadisce la sua avversione nei confronti del cinema sonoro, visto come forma "ibrida", che decreta la morte del cinema come visione pura, possibilità di descrivere, in termini estremamente rigorosi, il meccanismo della percezione visiva. La riflessione di A. si sviluppò dunque nella direzione di un tentativo di fondare un rapporto più generale tra la teoria della Gestalt, che indaga le strutture attraverso cui l'uomo percepisce la realtà, e le molteplici forme dell'arte (comprese le nuove tecniche di riproduzione dell'immagine e del suono), che rielaborano creativamente quelle percezioni. In Radio e in The world of the daytime serial le forme percettive vengono infatti analizzate dal punto di vista dell'ascolto radiofonico, con particolare riferimento ai programmi di fiction seriali, come le soap opera, dove la costruzione dello spazio e del tempo avviene attraverso la ricezione della voce e dei rumori. In questo senso la radio è arte, allo stesso modo in cui lo è il cinema, vale a dire forma costruita e non semplice imitazione del reale.
A partire dagli anni Quaranta la ricerca di A. si concentrò sempre di più sul problema generale dell'applicabilità degli strumenti analitici della psicologia della Gestalt a tutti i campi dell'arte (non solo il cinema e i nuovi media, ma anche la pittura, l'architettura, la musica). Il concetto a cui A. lavorava in quegli anni era quello di "pensiero visivo" (visual thinking), che si basa sull'assunto secondo il quale i sensi operano in modo attivo e intelligente, contribuendo a costruire l'immagine nella percezione e a orientare il pensiero nella formazione di concetti. Tali ricerche, iniziate con Gestalt and art (in "Journal of aesthetics and art criticism", 1943, 2, pp. 71-75) e proseguite in Art and visual perception, trovarono un'ulteriore sistematizzazione in Visual thinking. In questi testi A. riduce la distanza tra scienza e arte, riconoscendo a entrambe la possibilità di essere forme distinte che però concorrono nella conoscenza del mondo. Nel rapporto tra scienza e arte viene a cadere la distinzione tra percezione e pensiero: "Ogni percezione è anche pensiero, ogni ragionamento è anche intuizione, ogni osservazione è anche invenzione" (Art and visual perception; trad. it. 1978³, p. 27). Nei saggi successivi A. affronta le modalità attraverso cui le varie arti organizzano non solo una percezione del mondo ma anche una forma di interpretazione della realtà: in The dynamics of architectural form, per es., analizza l'architettura dal punto di vista della psicologia della percezione; in The power of the center indaga invece la pittura come modalità di costruzione della percezione visiva a partire da un centro, che è il soggetto che osserva; in Gestalten and computer (in "Gestalt theory", 1999, 3, pp. 181-83) sviluppa l'analogia tra la struttura fisiologica della percezione umana e la struttura logica dei computer. Nella raccolta Film essays and criticism, A. riprende i suoi scritti sull'argomento nell'ambito delle nuove prospettive aperte dalla teoria della Gestalt, riconsiderando, ancora una volta, il cinema all'interno di una concezione dell'arte intesa come forma di conoscenza del mondo.
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