Il successo della democrazia statunitense è da sempre legato all’idea di multiculturalismo. L’esperimento democratico negli Stati Uniti infatti, efficace per le ragioni già elencate da Alexis de Tocqueville (tra tutte, la tendenza all’autogoverno e all’associazionismo, che risolvono problemi che esulano dalle competenze governative), si unisce alla capacità – altrettanto tipicamente americana – di creare un melting pot, una società omogenea in cui i diversi componenti tendono ad armonizzarsi all’interno di un’unica cultura.
Diffondere la democrazia, favorendo nel contempo l’interesse nazionale, è stato componente essenziale della tradizione statunitense per quasi un secolo, a partire dall’internazionalismo liberale di Thomas Woodrow Wilson, passando attraverso la Guerra fredda così come concepita da Ronald Reagan, l’interventismo liberale di Bill Clinton e i pilastri della ‘Dottrina Bush’ (unilateralismo, azione militare preventiva, regime change), fino ad approdare alla promozione multilaterale dei valori americani con Barack Obama. Costante sin dai tempi di Wilson è la nozione kantiana secondo la quale un mondo più democratico è necessariamente un mondo più pacifico. Le democrazie non si combattono a vicenda: piuttosto, sviluppano relazioni commerciali all’interno di un sistema internazionale di regole, incrementando la loro prosperità. Tale pensiero, radicatosi e maturato unitamente agli stessi ideali fondanti della nazione americana, auspica il diffondersi della democrazia oltreconfine affinché sia gli Stati Uniti, sia il mondo nel suo complesso, ne possano guadagnare in sicurezza.
In America, il dibattito sul modo più opportuno di promuovere i capisaldi dell’esperimento statunitense al di fuori del territorio nazionale trascende la consueta contrapposizione politica destra/sinistra: il liberalismo, vigoroso critico dell’idea di nation building, ha pure ricorso all’azione militare a tutela di ideali valoriali (dall’operazione clintoniana per porre fine alla pulizia etnica e al genocidio in Kosovo, alla missione in difesa del popolo libico promossa da Obama). Allo stesso modo, il Grand Old Party non è ricordato unicamente per la lotta contro ‘l’impero del male’ di Reagan e la guerra al terrore di Bush: i repubblicani annoverano rappresentanti illustri anche nella tradizione isolazionista, dal padre nobile del conservatorismo Albert J. Nock al senatore Robert Taft. Seppur l’idea di esportazione della democrazia verrà per lungo tempo associata al nome di George W. Bush, giacché con costui ha raggiunto il suo nadir – per i toni incontrovertibili con i quali i valori devono tradursi imprescindibilmente in azione politica, l’estrangement diplomatico e l’enfasi posta su politiche muscolari che privilegiano il ricorso alla forza militare –, la democracy promotion non si limita a questo. In tale ottica, assume rilevanza il monito alla cautela da parte di Henry Kissinger, e prima di lui George F. Kennan, al fine di abbandonare i toni di «zelo moralistico» (John Ikenberry) per un più sobrio perseguimento dell’interesse nazionale statunitense oltreconfine.
Ciò nonostante negli Stati Uniti, ai tempi di Bush così come oggi, i principi contano. Che Obama abbia saputo declinare gli interessi e le priorità valoriali del paese in una forma diplomatica accettabile per il resto del mondo indica la capacità statunitense di muoversi in modo flessibile, per poter perseguire sempre e comunque la massima utilità, che coincide con l’interesse nazionale. L’America non è una nazione che agisce secondo considerazioni puramente pragmatiche, riconducibili unicamente alla Realpolitik; piuttosto, è consapevole che i valori oggi non possono più essere vissuti in modo imprescindibilmente vincolante per la condotta politica così come invece è accaduto in passato.
Anche l’idea di multiculturalismo ha attraversato mutamenti importanti nell’ultimo secolo: da una società culturalmente tendente all’omogeneità e all’integrazione, si è approdati ad una coabitazione relativamente pacifica delle differenze, che pur conservano il loro carattere distintivo. Ciò che Obama ha aggiunto a questo quadro è un nuovo sogno, basato su valori aggreganti, seppur non omologanti – sogno che si è rivelato più importante di saper pareggiare il bilancio o ridurre il deficit nazionale, come le elezioni del 2012 hanno confermato. Il presidente ha trasmesso tutta una serie di principi (l’altruismo, l’orgoglio nazionale, la fiducia in se stessi e nei propri compatrioti) in un connubio nel quale per la maggior parte dei cittadini statunitensi è stato possibile identificarsi. In questo sta il trionfo del nuovo multiculturalismo: essere americani oggi, nell’era Obama, trascende l’etnia, il genere, l’orientamento sessuale e religioso. Il presidente ha saputo elaborare un concetto attuale ed inclusivo di ‘America democratica’ di grande attrattiva per i suoi abitanti, ma anche per il resto del mondo. In tale senso, multiculturalismo e promozione della democrazia sono e saranno sempre inevitabilmente legati al destino americano.