RUSSIA BIANCA (A. T., 69-70; in russo Belorossija)
Una delle sette repubbliche federate dell'U.R.S.S. (Beloruskaja Socialističeskaja Sovetskaja Respublika), la più piccola come estensione (126.792 kmq.) e comprendente poco più di 1/35 degli abitanti sottoposti al regime sovietico. Ampliata nel 1924 con parte degli ex-governatorati di Vitebsk, Smolensk e Gomel′, le fu annesso ancora un lembo di quest'ultimo nel dicembre 1926.
Il territorio della Russia Bianca ha press'a poco la forma di un quadrilatero: la massima lunghezza da N. (Lago Osvejskoe) a S. (confluenza del Pripjat′ nel Dnepr) misura circa 550 km.; la massima larghezza, da E. (Lhotimsk) a O. (Semežovo) poco più di 240. Si sviluppa tutto sul confine polacco, salvo un piccolo lembo su quello lettone (poco a E. di Daugavpils), comunicando a mezzodì con l'Ucraina e a oriente con la R. S. F. S. R.
Il nome di Russia Bianca discende da quello dei suoi abitanti, così detti dalla prevalenza del bianco nei loro costumi tradizionali (berretto di feltro, giacca). Questa popolazione, che anche per la lingua si distingue tanto dai Grandi Russi quanto dagli Ucraini, appare fissata da lungo tempo nelle regioni dell'alto Dnepr, della Daugava (o Dvina occidentale) e del Niemen nelle quali ha potuto mantenere un tipo etnico in complesso ben differenziato sotto molti rapporti da quello delle genti vicine.
Come per le altre suddivisioni politico-amministrative costituenti l'U. R. S. S., l'individualità della B. S. S. R. poggia sostanzialmente sulla coscienza, già sviluppata nei Bianco-Russi ancora prima della rivoluzione bolscevica, di un proprio contenuto etnico-tradizionale, in opposizione a quello delle popolazioni confinanti, nonostante e fors'anco in grazia alla mescolanza di stirpi che le vicende storiche hanno determinato in queste regioni. Alle quali manca una corrispondente individualità fisica, pur risultando compresa nella Russia Bianca la maggior parte della Polessia: morfologia e clima non diversificano infatti di molto dall'una parte e dall'altra dei confini politici, dei quali non si potrebbe neppur dire per giunta che soddisfino ad esigenze di carattere antropico.
Di contro alla relativa varietà della sua costituzione geologica (dalle arenarie e dai calcarei devonici del N. si passa, verso oriente, ai calcari cretacici, e alle assise paleogeniche dell'estrema sezione di SE.), il terreno mostra quasi dovunque ugualmente diffuse e cospicue le tracce della grande glaciazione pleistocenica, in un paesaggio monotono e uguale, appena mosso dall'emergenza di cordoni morenici, più o meno livellati e smembrati, sui tondeggianti dossi di argille e di sabbie, che l'erosione fluviale tende a isolare. Le altezze, inferiori ai 150 m. nella maggior parte della Russia Bianca, vengono deprimendosi lentamente sui due lati di una serie di groppe che emergono fino a 344 m. nella Lysaja Gora, proprio sul confine polacco, e di qui procedono, tenendosi fra i 200 e i 250 m. d'altezza, tortuose e discontinue, in modo da separare il medio bacino della Daugava, che costituisce la parte settentrionale del paese (tributaria del Baltico), dal ventaglio dei corsi d'acqua che scendono al Pripjat′, alla Beresina e al Dnepr (e finiscono così al Mar Nero). Le valli di questi ultimi, disegnandosi tanto più incerte quanto più esile si va facendo, sulla base cretacica, il rivestimento delle argille e delle sabbie glaciali, si convertono, verso S., in un'immensa distesa di paludi - la Polessia - della quale è caratteristica soprattutto la piatta doccia, in fondo a cui divaga pigro il Pripjat′. Regione di acquitrini, di dune, di sabbie, questa, quasi del tutto priva di blocchi erratici, sbarrata a mezzodì da un lungo allineamento di morene (il cui decorso coincide all'ingrosso con quello del confine politico verso l'Ucraina) e coperta ancora per la maggior parte di boschi; tale dunque da rappresentare a lungo una zona di arresto per le genti finitime, che, urtandosi da opposte parti, furono costrette ad aggirarla, o riuscirono a penetrarvi, contrastandosi reciprocamente. Alquanto diverso, invece, il settore a settentrione dello spartiacque fra i due mari, sebbene anche per esso del tutto tipiche la prevalenza del bosco e l'abbondanza dei terreni torbosi o ricoperti di acquitrini. Immediatamente sui due lati della linea di colline che segna quello spartiacque i lembi utilizzati a spese della foresta si fanno più frequenti: il rapido esaurimento del suolo vegetale determina comunque presto il loro abbandono e la conseguente riconquista da parte del bosco. Inoltre a N. della grande comunicazione stradale e ferroviaria che da Varsavia adduce a Mosca per Minsk ed Orša le conseguenze dell'azione glaciale si rivelano soprattutto nell'abbondanza delle piccole conche lacustri, che dànno il tono al paesaggio nell'angolo NO. della Russia Bianca, come ai finitimi lembi dell'U.R.S.S. e della Lettonia.
Il clima ha carattere spiccatamente continentale, con inverni piuttosto precoci, rigidi e lunghi ed estati brevi, ma calde. Le temperature medie annue oscillano da 5° a 7° (come sulle coste della Norvegia, che è 150 più a N.), e vanno crescendo in complesso regolarmente dal bacino della Dvina verso quelli del Pripjat′ e del Dnepr. Il gennaio, che è il mese più freddo, segna in media da −5° a −8° (−8°,3 a Gorki presso Orša; −7°,8 a Vitebsk; −6°,4 a Vasileviči), ma i minimi assoluti scendono spesso oltre i −30° (−35° nella provincia meridionale di Mozyr′). Nel luglio, che è il mese più caldo, l'oscillazione è minore: da 18° a 19°, in media (17°,7 a Gorki, 18°,4 a Vasileviči, 18°,8 a Bobrujsk), con massimi assoluti che di rado superano i 35°. Come nel resto della Russia, le temperature estive diminuiscono regolarmente da S. verso N., mentre per quelle invernali lo stesso avviene da O. verso E. e soprattutto da O. verso SE. Perciò i caratteri di continentalità si vanno accentuando dal confine polacco verso la Russia centrale, come mostra l'escursione media annua, che da meno di 24° a Minsk sale a più di 26° a Smolensk. Comunque, si tratta in sostanza di differenze di poco peso, né diversamente è da dire di quanto riguarda le precipitazioni, la cui somma è dovunque superiore, in media, ai 500 mm. annui. I minimi si localizzano nella zona depressa della Polessia, dove non si oltrepassa di regola quella cifra; i massimi nell'angolo nord-occidentale (Vitebsk), nel quale ci si avvicina o si supera i 700 mm. La maggior parte della Russia Bianca ha dunque piogge sufficienti alle colture, tanto più che il periodo in cui si concentrano corrisponde alla prima estate, e il numero dei giorni piovosi (all'incirca la metà di quello dei giorni dell'anno) ne mostra in fondo un'equa distribuzione stagionale. La neve rimane sul suolo in media da poco più di 3 mesi (Minsk) a poco più di 4 al massimo (Vitebsk) ogni anno.
Come s'è accennato, il territorio della Russia Bianca è ripartito fra i due bacini della Dvina occidentale (Daugava) e del Dnepr. A quest'ultimo spettano oltre i 3/4 della superficie della repubblica, di cui il fiume attraversa da N. a S. per oltre 350 km. il settore orientale, mentre i suoi affluenti Beresina e Pripjat′ (che hanno le sorgenti in territorio polacco) gli portano il tributo delle acque raccolte in quello occidentale, più ampio; corsi d'acqua, tutti e tre, navigabili e per via di canali congiunti così alla Dvina come al Niemen e alla Vistola. Navigabile è anche la Dvina, di cui però appartiene alla Russia Bianca solo un breve tratto, e che per qualche chilometro segna il confine verso la Polonia. Il reticolo fluviale si viene facendo sempre più fitto a mano a mano che si procede verso S., dove dall'una parte e dall'altra della frontiera occidentale dilata l'immenso padule della Polessia, che attende ancora dalla mano dell'uomo quella disciplina idrografica senza la quale è vano sperare la sua redenzione economica (iniziati nel 1764, i lavori di prosciugamento ebbero vivo e razionale impulso dal governo russo solo verso la fine del sec. XIX, ma restano ancora lontani dal loro compimento).
Sebbene non si abbiano dati statistici attendibili, non si è certo lontani dal vero calcolando che almeno i 3/4 del territorio della Russia Bianca siano occupati da acque (laghi e paludi), torbiere e foreste. L'estensione di queste ultime si è venuta via via riducendo con l'infittirsi dell'insediamento umano; tuttavia il bosco di conifere - cui si associano in sempre maggiore proporzione le latifoglie (massime betulla, carpino, querce e frassino), man mano si procede verso mezzodì - ricopre larghe superficie quasi dovunque, eccezion fatta per la zona inondata della Polessia. Praterie (a Carex ed Eriophorum soprattutto), macchie di ontani e bassi cespugli di salici si alternano qui, secondo la maggiore o minore acidità del suolo torboso, a boschi di querce, frassini e carpini, che preferiscono i cordoni sabbiosi, più elevati ed asciutti.
Su questi terreni, che corrispondono di regola a dune continentali o ad argini morenici, appaiono fissate le prime genti (neolitiche) che presero possesso della regione: analogamente, proprio sui lembi meno depressi e perciò più difficilmente soggetti a inondazioni, si vennero anche in seguito stabilendo gli insediamenti maggiori, mentre la popolazione agricola utilizzava, come si è detto, gli spazî lasciati o fatti liberi dalla foresta.
Secondo il censimento 1933, la Russia Bianca conta 5.439.000 ab., contro 5.246.400 nel 1931, 4.983.000 nel 1926, 3.724.000 nel 1897; la popolazione è quindi cresciuta di circa il 50% nell'ultimo cinquantennio, ciò che rappresenta un tasso poco diverso da quello segnato pel complesso dell'U. R. S. S. Minore vi è comunque, nel dopoguerra, l'indice di natalità, sceso a 38,6% nel 1927 (contro 44,2%, per l'insieme dell'U. R. S. S.), ma minore anche quello di mortalità (14,1% contro 22,3% nello stesso anno 1927), sì che l'eccedenza attiva risulta. delle più alte, se non la più alta, fra quella delle sette repubbliche federate nell'U. R. S. S. È anche interessante notare che la Russia Bianca è, per la sua composizione etnica, una delle più compatte: di fronte all'80,6 di Russi Bianchi, si hanno appena l'8,206 di Ebrei, il 7,9% di Ucraini e il 2% di Polacchi. Per converso, non tutti i Russi Bianchi vivono nei confini della madrepatria, fuori della quale, anzi, è probabile che il loro numero si aggiri sui 21/2 milioni nella sola Europa. Di questi il nucleo più cospicuo è stanziato nelle finitime zone entrate a far parte dello stato polacco, dove occupa due larghi distretti di frontiera fra Pripjat′ e Niemen, e lungo la Dzisna, spingendosi ad occidente fino alla linea Augustów-Białystok-Brześć. In complesso, non meno di 1,4 milioni di Bianco-Russi sono stabiliti in Polonia, circa 650 mila nei territorî finitimi della R. S. F. S. R. (fra alto Dnepr, Desna e Vjaz′ma), 80 mila in Ucraina (sul basso Pripjat′), 40 mila in Lituania (fra Kaunas e la frontiera), 5 mila in Lettonia, ecc.
La densità della popolazione, che nel complesso della repubblica è di 43 ab. per kmq. (inferiore dunque a quella della Russia centrale e dell'Ucraina), oscilla relativamente poco da zona a zona; da quasi 20 sul basso Pripjat′ sale a circa 35 nell'estremo settore di NO., a 40-45 lungo la fascia collinare mediana, per toccare e superare i 50 nel distretto che fa centro a Minsk, il più adatto senza dubbio all'insediamento agricolo. È facile constatare la generale aderenza di queste cifre alla maggiore o minore proporzione del terreno coltivabile, molto minore, naturalmente, nei due lembi depressi marginali alla linea dello spartiacque, e soprattutto in quello meridionale.
La statistica delle occupazioni assegna nel 1926 il 18,5%, nel 1933 il 22% del totale degli abitanti alla popolazione urbana, cifre che differiscono di poco, in sostanza, da quelle relative al complesso dell'U. R. S. S.
Anche nella Russia Bianca la base su cui poggia l'economia dello stato è l'agricoltura. L'area utilizzata a questo fine rappresentava nel 1933 appena 1/30 della superficie totale; dei 3,8 milioni di ha. che la costituivano oltre i due terzi erano dedicati ai cereali, fra cui la segala è almeno altrettanto diffusa quanto il frumento. Notevole importanza hanno la patata (456 mila ha.) e il lino (140 mila ha.), che qui si coltiva quasi esclusivamente per la fibra e dà prodotti pregiati. Il patrimonio zootecnico è cospicuo, specie se messo in rapporto con la debole densità di popolazione della repubblica (3,5 milioni di capi fra suini e caprini; 2,3 milioni di suini; 2,1 di bovini e 1,1 di equini), ma, come per il resto dell'U. R. S. S., in forte regresso rispetto alle cifre dell'immediato anteguerra. Il processo di collettivizzazione delle aziende agricole aveva assorbito già nel 1933 circa la metá di queste, senza riuscire tuttavia a migliorare sensibilmente l'attrezzatura tecnica, per la quale agricoltura e allevamento hanno ancora bisogno di compiere molto cammino.
Più rapida e fortunata è stata la trasformazione industriale, qui costretta a operare su terreno quasi vergine. A parte le industrie alimentari, più o meno già esistenti (molitorie, fabbriche di birra e zuccherifici), e quelle del tabacco, del cuoio e della carta, che hanno ricevuto maggiore impulso, i progressi più cospicui riguardano la siderurgia, la metallurgia e le industrie meccaniche, che figurano rappresentate tutte nei cinque centri urbani più importanti. Il numero degli operai impiegati nelle industrie statali è più che raddoppiato nel quinquennio 1928-1932, passando da 39.386 a 82.760, mentre tra il 1928 e il 1930 il capitale investito in queste imprese saliva da 24,8 a 43,9 milioni di rubli, e il valore della produzione da 171 a 302,1 milioni di rubli.
Sviluppo non trascurabile ha avuto, con la nuova sistemazione politica conseguente alla guerra, il commercio, specie quello di transito, passando per la Russia Bianca non solo la grande via di comunicazione che da Varsavia attraverso Białystok e Baranowicze conduce a Mosca, ma anche tutte quelle che legano la capitale sovietica alla Prussia Orientale, alla Lituania e alla Lettonia. Probabilmente una gran parte del guadagno numerico (in abitanti) che le maggiori città della repubblica hanno registrato nell'ultimo quinquennio - chiusa cioè la fase critica della sistemazione postrivoluzionaria - è da attribuirsi alla cresciuta mole ed intensità di traffici con le regioni vicine.
Questi insediamenti urbani corrispondono quasi tutti a centri storici, le cui origini risalgono all'ultimo Medioevo (secoli XI-XIII), e, nonostante le trasformazioni subite - specie in conseguenza di incendî - conservano ancora abbastanza bene, almeno nella parte nucleare dell'abitato, la topografia più antica, con la piazza-mercato centrale, spesso quadrata, il castello e le strade che ne divergono a raggiera in più direzioni. Tipica la divisione in quartieti, dei quali gli eccentrici hanno un carattere proprio: di quelli un tempo abitati dai Tatari rimane poco più che il nome, mentre si mantengono tenacemente distinti i settori occupati dagli Ebrei, che formano di regola dai 2/5 (Polock e Mogilev 39%, Minsk 43%, Vitebsk 45%) alla metà (Bobrujsk 50%) della popolazione urbana. Cospicua, accanto alla quota dei Bianco-Russi, è, negli stessi centri, quella dei Grandi-Russi (15% a Polock e a Brobrujsk; 20% a Vitebsk), mentre tutte le minoranze etniche sono trascurabili nelle campagne.
Dei centri urbani, tre superavano, secondo il censimento del 1933, i 100 mila ab., primo fra tutti la capitale, Minsk, che contava 110 mila ab. nel 1911 e 124 mila nel 1926. Vitebsk è rimasta pressoché stazionaria nello stesso periodo (da 91 a 108 mila ab.), mentre Gomel′ si è ripresa dopo il 1926 dalla crisi che l'aveva colpita nel dopoguerra (98 mila ab. nel 1911, 83 mila nel 1926, 107 mila nel 1933). Delle altre città, le più notevoli sono Polock, Mogilev e Bobrujsk con oltre 50 mila ab. ciascuna, Borisov con circa 40 mila; seguono altri 8 centri con più di 10 mila ab. È da notare che tutti questi centri sorgono su corsi d'acqua, occupando sempre la sponda destra più elevata; alcuni dei minori si vennero tuttavia sviluppando da villaggi di strada.
L'insediamento rurale presenta solo eccezionalmente forme sparse. Le case coloniche, sempre di legno, si dispongono di regola sui due lati delle strade, raggruppandosi a quattro a quattro entro cortili cintati. La sola parte in muratura è il forno, di solito collocato nel settore interno, più riparato, della casa, in modo da funzionare in pari tempo da stufa nella stagione fredda, in cui viene tenuto sempre acceso. Caratteristici del pari il ripostiglio interno per le cibarie, e il tetto a due pioventi, anch'esso sempre di legno.
Lingua e letteratura.
Lingua ufficiale dello stato lituano, decaduta poi al rango di dialetto - prima nel territorio della repubblica polacca e, dopo le spartizioni della Polonia, entro i confini della Russia - il biancorusso ha riacquistato importanza nel dopoguerra, assurgendo a lingua letteraria. Come tale essa ha il suo centro a Minsk (Mensk), capitale della repubblica federale bianco-russa. Oltreché in essa, il bianco-russo è parlato nelle regioni limitrofe dell'attuale Polonia, e precisamente nei voivodati di Vilna, Nowogródek, Białystok, dove esso è usato da una minoranza, e in quello della Polessia, dove invece è usato da una forte maggioranza. Scarsamente differenziato in dialetti, il bianco-russo si distingue dal grande-russo, e si avvicina invece al polacco, per la pronunzia dz e c (dzekan′e) in luogo del grande-russo d′ e t′: bianco-russo dzed, polacco dziad, grande-russo ded (questa pronunzia si riscontra inoltre, e qui a differenza anche del polacco, nei gruppi tve e dve: cvjardzic′, dzve di fronte al grande-russo tverdit′, polacco twierdzič, grande-russo dve, polacco dwie). Tanto dal russo quanto dal polacco il bianco-russo si differenzia, fra l'altro, per il suono u̯ in luogo di un'antica u- protonica con valore sillabico (p. es., ubogij, u̯ syna), e di una u da vŭ o vĭ (zdarou̯je per il russo zdorov′e, polacco zdrowie).
Gl'inizî di una letteratura scritta bianco-russa si confondono con quelli della letteratura russa e della letteratura ucraina. Solo dal sec. XIV, con gli atti giuridici strettamente locali, si può dire abbia inizio una letteratura rudimentale. Nei secoli XV e XVI si diffondono anche nella Russia Bianca traduzioni dalla Bibbia, di vite di santi, racconti cavallereschi, cronache. Una certa diversità di contenuto si nota solo in una serie di scritti (il diario di Fedor Jevlaševskij, il discorso satirico di Ivan Meleško, ecc.) che riflettono l'influenza del protestantesimo e del cattolicismo. Nella prima metà del sec. XVI, invece, la diffusione di libri sacri stampati in bianco-russo, diffusione che precedette l'analoga diffusione nella Moscovia, avviene come una vera e propria manifestazione di cultura indipendente; la figura del suo fautore Francisk Skorina (nato nel 1490 circa), ci appare anzi come una figura d'eccezione, con le sue aspirazioni europeo-occidentali e la sua simpatia per gli umanisti. Questo inizio di risveglio letterario fu interrotto da avvenimenti esteriori, come l'Unione di Lublino nel 1569 e tramontò con la sostituzione nel 1696 del polacco al bianco-russo anche negli atti ufficiali.
Il bianco-russo sopravvisse quasi esclusivamente nei canti popolari. Infatti, per quanto i canti raccolti nella seconda metà del sec. XIX e al principio del sec. XX siano soprattutto di formazione recente, essi sono tuttavia sempre il riflesso di una tradizione secolare, così i canti di culto, i proverbî, le favole, in particolar modo quelle ispirate dal mondo degli animali, tanto che si potrebbe addirittura parlare di un epos animalesco bianco-russo. Notevoli anche per la loro indiscutibile antichità le leggende a sfondo filosofico, che da una primitiva e ingenua cosmogonia sono andate modificandosi col tempo fino ad assorbire elementi realistico-sociali nei tempi recentissimi. Le raccolte di folklore bianco-russo, da quella di P. V. Šejna, Materialy dlja izučnija byta i jazyka naselenij z sev.-zap. kraja (Materiali per lo studio della vita e della lingua della popolazione della regione nord-occidentale) edita dal 1887 al 1902 dall'Accademia delle scienze russa a quella edita dall'Accademia di Cracovia dal 1897 al 1903, Lud białoruski na Rusi litewskiej, da quella di A. K. Seržputovski del folklore della Polessia a quelle degli studiosi di canti russi, tra i quali venivano compresi anche quelli bianco-russi (Afanas′ev, Veselovskij, Potebnja, Savčenko, Polívka, ecc.), formano un materiale prezioso ancora relativamente poco sfruttato per lo studio del folklore indoeuropeo.
Intanto, quando le raccolte e gli studî erano cominciati, nelle regioni bianco-russe s'era venuta già riformando una letteratura scritta. Da una parte è da segnalare il travestimento dell'Eneide, di V. P. Rovinskij (nato nel 1782, morto intorno al 1840), posteriore tuttavia alla traduzione-imitazione ucraina del Kotljarevskij del 1798 e a quella russa dell'Osipov; dall'altra la vera e propria fioritura poetica, ormai non più anonima, ma individuale, che cominciò con la pubblicazione del volume di canti di Jan Czeczot, amico del poeta polacco A. Mickiewicz. I canti del Czeczot, in parte d'origine popolare, ebbero il destino, anche quando erano d'ispirazione personale, di diffondersi nel popolo al punto da essere poi raccolti come produzione anonima.
Accanto al Czeczot, ricorderemo Jan Barszczewski, che dopo di lui cominciò a poetare in bianco-russo, sebbene assai prima avesse svolto attività letteraria in polacco; e V. Dunin-Marcinkevič, autore di canti popolarissimi intorno al '40 e al '50 e traduttore in bianco russo della prima parte del Pan Tadeusz di Mickiewicz.
Nei decennî seguenti si andò sviluppando una letteratura polemica diretta sia contro la chiesa greco-cattolica, sia contro il dominio russo, che, sebbene di scarso valore artistico, contribuì a richiamare l'attenzione sulla stirpe bianco-russa. Decisiva per il movimento bianco-russo fu la pubblicazione nel 1891 di un piccolo libro di poesie di Maciej Buračok, pieno di sentimento ed orgoglio nazionale, primo vangelo di una indipendenza spirituale, che trovò appoggio anche nei circoli intellettuali russi, per opera di M. Gor′kij e di V. Brjusov. Dalla massa amorfa dei numerosi tentativi si erano levati veri e proprî poeti come Janka Kupala (nato nel 1882), Jakub Kolas (nato nel 1882), Maksim Bogdanovič, poeti di diversa origine sociale e non sordi alle influenze delle maggiori letterature con cui vennero a contatto, ma anche non privi di note originali.
La rivoluzione del 1917 ha dato senza dubbio alla Russia Bianca la possibilità di sviluppare una letteratura indipendente. Essa è rimasta però una letteratura prevalentemente poetica, di origine proletaria o proletarizzante. Il cosiddetto gruppo dei giovani, "Maladnjak", è costituito quasi solo di poeti. Tra i prosatori non mancano tuttavia forze nuove, come il novelliere Ja. Nemanskij e il drammaturgo K. Čornyj. Anche la critica ha avuto un certo impulso per opera di A. Navina, autrice di una serie di saggi sugli scrittori bianco-russi pubblicata nel 1918, e dei giovani T. Glybockij e N. Bajkov.
Bibl.: Per la lingua: P. Buzuk, Sproba linguistyčnae geografii Belarusi (Saggio di geografia linguistica della Biancorussia), Minsk 1928; per la letteratura: E. F. Karskij, Belorussy, III, Očerki, slovesnosti belorusskogo plemeni (Saggi di letteratura della stirpe bianco-russa), I, Narodnaja poezija (La poesia popolare), Mosca 1916; II, Staraja zapadno-russkaja pismennost' (L'antica letteratura scritta russo-occidentale), Pietrogrado 1921; III, Chudožestvennaja literatura na rodnom jazyke (La letteratura artistica nella lingua patria), ivi 1922; id., Geschichte der weissrussischen Volksdichtung und Literatur, Berlino 1926, con ricca bibliografia; M. Garecki, Gistoryja belaruskaj litaratury (Storia della letteratura bianco-russa), ultima ed. Minsk 1926; M. Klinkovič, Literatura Belorussii (La letteratura della Russia Bianca), Mosca 1934; Prostory. Beloruskij Almanach (Orizzonti, almanacco bianco-russo, in russo), Minsk 1927; E. Ljackij, J. Kolos, il poeta della Russia Bianca rinascente, in Rivista di lett. slave, II, i (1927); id., Un poeta bianco russo: Bogdanovič, ibid., III, ii (1928); E. Lo Gatto, La giovane letteratura d'un vecchio popolo, in Note di storia e letteratura russa, Roma 1931.