Le due guerre russo-cecene si inquadrano nei più ampi processi innescati dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica e dalla lotta per l’indipendenza dall’Urss prima, e dalla Federazione Russa poi, delle repubbliche caucasiche.
Nel novembre 1991, contestualmente al conseguimento dell’indipendenza delle tre Repubbliche Socialiste Sovietiche del Caucaso meridionale (Armenia, Azerbaigian e Georgia), la Repubblica Cecena di Ichkeria -che, assieme all’Inguscezia, beneficiava dello status di repubblica autonoma -proclamava la propria indipendenza da Mosca. Tale atto diede origine a un conflitto con le autorità federali -preoccupate del possibile ‘effetto domino’ della secessione cecena -che, con diversi livelli di intensità, è durato fino al 2000, generando strascichi visibili ancor’oggi.
Il personaggio principale del primo periodo di esistenza della Repubblica di Ichkeria fu Džochar Dudaev, prima generale dell’aviazione sovietica, poi guerrigliero indipendentista ceceno e infine presidente della autoproclamata Repubblica fino al 1996, anno della sua uccisione da parte dell’aviazione russa. Nel 1993 il Parlamento ceceno tentò di sfiduciare Dudaev; per anticiparlo, Dudaev dissolse l’assemblea e decise da quel momento di governare in maniera autoritaria. La formazione di un movimento di guerriglia ostile a Dudaev, finanziato e sostenuto da Mosca, sfociò nella prima guerra russo-cecena (dicembre 1994 – agosto 1996), durante la quale i russi occuparono Groznyj. Nonostante la morte di Dudaev, la controffensiva dei guerriglieri ceceni spinse nuovamente i russi a negoziare un cessate il fuoco e a ritirarsi dalla regione.
Il fallito tentativo di riannessione, con la morte di più di 5700 militari russi (a fronte di circa 17.300 morti ceceni), costituì un grave colpo per la coscienza nazionale russa. Tra il 1996 e il 1999 la Cecenia fu preda di una lunga guerra civile che portò la regione al collasso economico, mentre la violenza politica si confondeva con l’estremismo religioso. Il governo di Aslan Maschadov, uno degli artefici della vittoria della prima guerra e presidente della Cecenia tra il 1997 e il 2000, non riuscì a impedire che i signori della guerra stabilissero il loro controllo su vaste porzioni di territorio.
Proprio le azioni di una di queste fazioni, la Brigata islamica internazionale, costituì il casus belli della seconda guerra russo-cecena (1999-2000). Nell’agosto 1999 la Brigata invase il vicino Daghestàn, a sostegno dei separatisti della regione, mentre in ottobre una serie di attentati dinamitardi in alcune città russe provocava 293 morti. Putin, allora primo ministro, decise di invadere nuovamente la Cecenia, promettendo all’opinione pubblica russa una vittoria rapida e decisiva. Le principali operazioni di guerra si svolsero tra l’ottobre 1999 e il maggio 2000: quando i russi rientrarono a Groznyj al termine di un assedio devastante, un quarto della popolazione dell’intera Cecenia era sfollata.
Dal maggio 2000 il governo federale ha lanciato una nuova operazione destinata a colpire la guerriglia che era andata riorganizzandosi, mentre dal 2003 la nuova Costituzione cecena assicurava al paese un ampio grado di autonomia. Gli attentati perpetrati della guerriglia separatista, tanto in Cecenia che in Russia, non si sono tuttavia fermati: nel 2002 la crisi degli ostaggi del Teatro Dubrovka di Mosca ha causato la morte di almeno 170 persone, mentre nel 2004 un altro confronto tra guerriglieri e forze di sicurezza in una scuola di Beslan, nell’Ossezia del Nord, ha provocato più di 385 vittime.