SABAZIO (Σαβάζιος, Sabatius)
Nome d'incerta etimologia, di una divinità traco-frigia della vegetazione e particolarmente dell'orzo e del grano da cui i suoi fedeli traevano una bevanda inebriante. Il suo culto è di tipo orgiastico pari a quello dell'affine Dioniso con il quale venne in appresso confuso; assimilato talora a Zeus, in quanto era la divinità suprema di talune tribù tracie, e talora al Sole. Dall'originaria Tracia il suo culto penetrò in Frigia insieme con l'emigrazione tracia e di lì si diffuse nelle regioni circostanti, fondendosi con le divinità maschili affini: Attis, Men, Mithra. Nel sec. V penetrò in Grecia alimentando la critica di Aristofane e di Demostene e nel II entrò anche in Roma donde fu espulso nel 139 come corruttore del costume romano, ritornandovi tuttavia in piena libertà durante l'epoca imperiale.
Il culto del dio comprendeva una parte essoterica e una esoterica. Di entrambe ci è garante Demostene (De cor., 259-60) che parla di una processione diurna che seguiva una cesta e un vaglio, guidata da un sacerdote che agitava in alto sul capo dei serpenti, composta di uomini e di donne coronati di finocchio e di pioppo, marcianti a ritmo di danza, al grido di εὐοῖ σαβοῖ e di ὕης ἄττης; e di una riunione iniziatica notturna nella quale gl'iniziandi (σαβαζιασταί) seduti a terra venivano prima coperti di una pelle di cerbiatto e strofinati con fango e crusca (simbolo di morte), poi rialzati e invitati a pronunziare la formula ἔϕυγον κακόν, εὗρον "ho fuggito il male, ho trovato il meglio" (simbolo di risurrezione).
La cerimonia era conchiusa da un matrimonio simbolico tra l'iniziando e il dio, realizzato per mezzo di un serpente di oro che s'introduceva dal collo nel seno e si estraeva dal lembo inferiore della veste (ὁ διὰ κόλπου ϑεός; Clem. Alex., Protr., II, 162).
Il culto di S. assurse a un superiore significato religioso quando, in seno alle colonie giudaiche sparse nell'Asia Minore, si fece l'assimilazione tra l'altissimo "Dio degli eserciti" (κύριος Σαβαώϑ) d'Israele e il Signore Sabazio (κύριος Σαβάζιος), cui corrispose in Roma l'equivalenza tra Iuppiter Sabatius e Jahvè Ṣebaoth. Allora Sabazio divenne il dio "santo" purificatore, salvatore (σώζων), onnipotente (παγκοίρανος), che in sé riunisce le prerogative e i simboli degli altri dei, come si vede nella tavoletta bronzea del museo di Copenaghen, ed elargisce benedizioni celesti ai suoi adepti, come dimostrano le mani di bronzo atteggiate al gesto della benedizione latina con le tre prime dita tese e le ultime due piegate. Questo gesto, già in uso nei templi semitici, è decaduto poi a valore apotropaico nella pratica dei sabaziasti; infatti nel palmo e sulle dita di dette mani di bronzo sono effigiati animali varî (tartarughe, lucertole, teste di montone, serpenti), falli, pigne, ecc.
Assai sviluppato presso i sabaziasti nell'epoca imperiale era pure la credenza nella vita ultramondana concepita come un beato Elisio dove gli eletti siedono a banchetto, come si vede nella tomba del sacerdote sabaziasta Vincenzo nel cimitero di Pretestato in Roma dove un angelus bonus guida la moglie di Vincenzo, Vibia, che poi siede alla mensa dei beati (bonorum iudicio iudicati) dinnanzi a un prato fiorito dove altri beati giocano agli aliossi.
Bibl.: F. Cumont, Les mystères de Sabazius et le judaïsme, in Compts rendus Ac. Inscript., 1903, p. 63 seg.; id., Les religions orientales dans le paganisme romain, 4ª ed., Parigi 1929; C. Blinkenberg, Archäol. Studien, Copenaghen 1904, p. 66 seg.; Eisele, Sabazios, in Roscher, Lexikon, d. griech. u. röm. Mythol., IV, 1902-09, coll. 231-264.