SACRA DI SAN MICHELE
Abbazia piemontese (prov. Torino), situata sulla cima dello sperone roccioso del monte Pirchiriano, all'ingresso della val di Susa. La S., detta anche abbazia di S. Michele della Chiusa, fu fondata tra il 983 e il 987 dal nobile alverniate Ugo di Montboissier (Schwartz, Abegg, 1924, pp. 252-255; Sergi, 1983, p. XI; 1990, p. 19; Casiraghi, 1989, p. 29). Ottenuto da Arduino, marchese di Torino, il possesso del monte Pirchiriano, questi affidò al benedettino Atverto, già abate del monastero di Saint-Pierre a Lézat, la direzione della comunità. Il carattere aristocratico della fondazione contribuì a determinare il ruolo del monastero, che, consacrato tra il 988 e il 1002, si configurò fin dall'inizio come confortevole centro di accoglienza per viaggiatori e pellegrini d'alto rango (Sergi, 1983, p. X). Lo spirito autonomistico del monastero, manifestato fin dalle origini dagli abati che abbracciarono una politica dichiaratamente filopapale, raggiunse piena soddisfazione con la bolla del 1114 di papa Pasquale II (1099-1118), nella quale si dichiara la completa esenzione del monastero dal controllo vescovile (Sergi, 1990, p. 20).Nelle notizie relative agli inizi dell'abbazia, narrate nella Chronica monasterii Sancti Michaelis Clusini e nella Vita Benedicti abbatis Clusensis del monaco Guglielmo, non si trascura in verità di considerare la partecipazione agli eventi della fine del sec. 10° anche di s. Giovanni Vincenzo, la cui iniziale esperienza religiosa sul monte Caprasio, posto di fronte al Pirchiriano, è illustrata in queste due fonti, databili tra la metà e la fine del sec. 11°, e ripresa nella Vita sancti Iohannis Confessoris di un anonimo monaco del 12° secolo. Con il preciso intento di evidenziare e rilanciare le radici eremitiche della tradizione clusina, si attribuisce infatti a s. Giovanni Vincenzo la nascita di una prima cappella dedicata a s. Michele, eretta sulla sommità del Porcariano ('monte dei porci'), nobilitato per l'occasione in Pirchiriano, in seguito a una miracolosa apparizione dell'arcangelo che gli indicò esattamente il sito (Chronica monasterii Sancti Michaelis Clusini, XXX, 2; Vita sancti Iohannis Confessoris).Le complesse vicende delle origini della S., articolato organismo nato per addizione, si possono rintracciare nelle tre cappelle absidate, di differenti dimensioni, che sopravvivono come una sorta di cripta sotto il livello pavimentale dell'od. chiesa. Secondo l'ipotesi di Chierici (1966, pp. 530-531) è verosimile credere che accanto al primo vano a N - vera celletta cenobitica di difficile datazione, scavata interamente nella pietra - si aggiunsero sul lato meridionale gli altri due ambienti, di epoca pressoché contemporanea, forse a copertura lignea e realizzati con murature di pietrame legato con malta, attribuibili agli interventi rispettivamente di s. Giovanni Vincenzo e di Ugo di Montboissier, il cui arrivo sul monte, secondo le fonti, sarebbe di poco successivo a quello del santo (Palmas, 1990, p. 239).Tuttavia, mentre conduceva i lavori di restauro della S. alla fine dell'Ottocento, Alfredo d'Andrade trovò sopra la quota delle celle originarie e sotto il pavimento dell'od. chiesa tracce di muri riferibili a una chiesa triabsidata, databile alla metà del sec. 11° e pertanto riconducibile con più probabilità all'impresa cominciata da Ugo di Montboissier e proseguita poi dagli abati costruttori Benedetto I (1002-1045) e Benedetto II, eletto nel 1066 (Chierici, 1966, p. 532; Palmas, 1990, pp. 239-243). Se questa interpretazione aiuta a chiarire il ruolo dell'edificio, del quale sono state lasciate visibili dall'intervento di restauro le tracce di un tratto di fondazione curva in corrispondenza dell'ultimo pilastro della navata destra dell'od. chiesa, rimane comunque aperto il problema sull'origine e sulla funzione dei tre spazi sottostanti. Il complesso a quest' epoca doveva prevedere la presenza di un chiostro, collocato sul lato meridionale in coincidenza dell'od. cortile del monastero, e del primo nucleo di quegli edifici monastici, oggi ridotti a ruderi, che, sviluppatisi lungo il versante nordoccidentale, sono stati oggetto di diverse interpretazioni cronologiche, scalate tra i secc. 11° e 15° (Carità, 1990, pp. 54-62; 1992, pp. 78-80; Palmas, 1990, p. 243). In un periodo compreso verosimilmente tra il 1110 e il 1148 si procedette alla costruzione dell'imponente basamento della chiesa che, se all'esterno evidenzia il ruolo di fortezza inespugnabile, all'interno ospita il c.d. scalone dei morti, scavato parzialmente nella roccia (Carità, 1990, pp. 62-71; Pagella 1990, p. 88). La complessa struttura dello scalone - organizzata intorno al possente pilastro quadrato centrale e articolata attraverso un sistema di archi e volte a crociera, non costolonate e sostenute da robusti pilastri - costituisce la base di appoggio per l'area presbiteriale della chiesa superiore (Palmas, 1990, pp. 245-250). Al culmine di esso, si trova reimpiegato il portale detto dello Zodiaco per il ricco programma decorativo legato alle costellazioni e ai segni zodiacali, che si sviluppa lungo le facce degli stipiti rivolte verso lo scalone.Le originali soluzioni plastiche raggiunte nei rilievi evidenziano l'opera di almeno tre personalità di pari livello, ma di diversa formazione, che dovettero lavorare in anni assai vicini, compresi tra il 1120 e il 1130 ca. (Romano, 1994, pp. 172-175). Solo l'attività di Nicolò, che appose la propria firma sullo stipite destro e corredò il suo intervento con iscrizioni didattico-celebrative, potrebbe essere anticipata di qualche anno, se si accetta la possibilità di un suo precoce arrivo alla S., anteriore alla sua attività per il duomo di Piacenza (Verzar Bornstein, 1985). Accanto al maestro emiliano è possibile individuare nel capitello con l'allegoria della Lussuria e in quello con una sirena, la mano di un secondo artista, identificabile con il Maestro di Rivalta (Pagella, 1990, pp. 81-85; Romano, 1994, pp. 172-175). L'identità del terzo collaboratore è stata di recente svelata confrontando l'uso di una singolare tipologia di foglia d'acanto che compare sui capitelli delle lesene del portale, con l'utilizzo dello stesso raro motivo nella decorazione dell'altare marmoreo nella cattedrale di S. Giusto a Susa, firmato da un tale Pietro di Lione (Romano, 1994, pp. 177-180). Il problema dell'originaria destinazione e collocazione del portale, non ancora risolto, porta tuttavia a escluderne la supposta provenienza dal sepolcro dei monaci, edificio a pianta ottagonale del sec. 12°, posto ai piedi della S. e oggi ridotto a rudere, che deve essere letto come un esplicito riferimento al Santo Sepolcro (v.) di Gerusalemme (Gentile, 1988).All'iniziativa dell'abate Stefano II (1148-1170) si ricollega generalmente l'avvio dei lavori relativi al corpo principale dell'od. chiesa a tre navate, che procedettero per fasi cronologicamente e culturalmente ben distinte, pur raggiungendo un risultato nell'insieme omogeneo e unitario. L'impronta propriamente romanica vede convivere due correnti d'ispirazione: una lombarda - che richiama l'esperienza del cantiere del duomo piacentino nell'uso, per es., del pilastro circolare, dei trifori, dell'arco a doppia ghiera - e una d'Oltralpe, che si rintraccia nei profili mistilinei dei costoloni nella prima campata delle navate laterali e in quelli delle lesene tra le cappelle absidali (Carità, 1992, p. 78). Anche nell'apparato scultoreo di capitelli, lesene e decorazione absidale, il confronto con le maestranze piacentine, pienamente consapevoli della lezione di Nicolò, è stringente (Pagella, 1990, p. 90).L'attività di questo fecondo cantiere si arrestò all'altezza della prima campata, per riprendere, a partire dai primi decenni del secolo successivo, in un clima sensibilmente mutato. Il passaggio dal pilastro-colonna al pilastro a fascio, applicato nelle ultime due campate, segna il confine tra i diversi interventi. Il probabile principio di simmetria che portò ad adottare nella terza campata l'arco a pieno centro, rispetto a quello acuto usato nella seconda campata, rivela quanto il nuovo impianto gotico tenne in debita considerazione quello precedente.La particolarità dei capitelli dei pilastri occidentali, lavorati lungo tutti i lati, induce a ritenere che alla fine del Duecento fosse in progetto un ulteriore sviluppo verso O dell'edificio (Carità, 1992, pp. 79-80). Forse a causa dei primi segnali di quella crisi economica, religiosa, politica e culturale che lentamente trascinò l'abbazia verso la rovina, il lavoro venne interrotto e si procedette più semplicemente all'unione dell'ultima campata con il corpo occidentale della chiesa, il coro vecchio, così definito perché ritenuto pertinente all'antica chiesa del sec. 11° (Carità, 1992, pp. 77-78).Nel 1381 l'istituzione della commenda, che concedeva ad Amedeo VI di Savoia, vescovo di Torino, il diritto di protettorato sul monastero, cambiò inesorabilmente il destino della potente abbazia, che nel periodo di massimo splendore (secc. 11°-12°) era giunta a ospitare un fiorente scriptorium e una rinomata scuola di grammatica (Casiraghi, 1989, pp. 41-42; Sergi, 1990, p. 19).
Bibl.:
Fonti. - Chronica monasterii Sancti Michaelis Clusini, a cura di G. Schwartz, E. Abegg, in MGH. SS, XXX, 2, 1929, pp. 959-970: 961; Guglielmo, Vita Benedicti abbatis Clusensis, a cura di L. Bethmann, ivi, XII, 1856, pp. 196-208; Vita sancti Iohannis Confessoris, in G. Sergi, San Michele della Chiusa, Borgone di Susa 1983, pp. 44-58.
Letteratura critica. - G. Schwartz, E. Abegg, Das Kloster San Michele della Chiusa und seine Geschichtsschreibung, Neues Archiv 45, 1924, pp. 235-255; U. Chierici, Appunti sulle vicende costruttive della Sacra di S. Michele in Val di Susa, in Monasteri in Alta Italia dopo le invasioni saracene e magiare (sec. X-XII), "XXXII Congresso storico subalpino, Pinerolo 1964", Torino 1966, pp. 527-540; G. Sergi, San Michele della Chiusa (cit.), 1983; C. Verzar Bornstein, Nicholaus's Sculpture in Context , in Nicholaus e l'arte del suo tempo, "Atti del Seminario in memoria di C. Gnudi, Ferrara 1981", a cura di A.M. Romanini, Ferrara 1985, I, pp. pp. 333-373; Dal Piemonte all'Europa. Esperienze monastiche nella società medievale, "XXXIV Congresso storico subalpino, Torino 1985", Torino 1988; G. Gentile, "Ecclesia vocata Sepulcrum". Note su funzione, tipologia e significato del "Sepolcro dei Monaci" presso l'abbazia di S. Michele della Chiusa, ivi, pp. 505-532; G. Casiraghi, Gli studi su San Michele della Chiusa: progressi e problemi, in Esperienze monastiche nella Valle di Susa medievale, a cura di L. Patria, P. Tamburrino, Susa 1989, pp. 25-42; La Sacra di San Michele. Storia, arte e restauri, a cura di G. Romano, C. Palmas, Torino 1990 (con bibl.); G. Sergi, Abbazia e Sacra, le due storie di San Michele della Chiusa, ivi, pp. 19-27; E. Pagella, I cantieri degli scultori, ivi, pp. 77-101; C. Palmas, Mille anni di trasformazioni architettoniche: una sfida per la tutela, ivi, pp. 237-262; G. Carità, Fortuna critica della Sacra nel Novecento, ivi, pp. 39-76; id., Architetture nel Piemonte del Duecento, in Gotico in Piemonte, a cura di G. Romano (Arte in Piemonte, 6), Torino 1992, pp. 51-126; E. Pagella, Scultura gotica in Piemonte: tre cantieri di primo Duecento, ivi, pp. 129-163; G. Romano, Cantieri di aggiornamento: Sacra di San Michele e chiostro di Sant'Orso ad Aosta, in Piemonte romanico, a cura di G. Romano (Arte in Piemonte, 8), Torino 1994, pp. 166-190 (con bibl.); La Sacra di S. Michele simbolo del Piemonte europeo, "Atti del IV Convegno sacrense, Abbazia di S. Michele della Chiusa 1995", Torino 1996; Il faro di San Michele fra angeli e pellegrini, "Atti del VII Convegno sacrense, Abbazia di S. Michele della Chiusa 1998", Torino (in corso di stampa).