SALATIELE
– Figlio di Martino di Papa, nacque a Bologna verso il 1210; nulla si sa della madre.
Si sposò nel 1230, o poco dopo, e dalla moglie Bertilla ebbe un figlio, Aliotto, notaio come lui, e premorto nel 1274 (o 1275; Salatiele, Ars notarie, a cura di G. Orlandelli, I, 1961, p. XXII), e una figlia di nome Margherita, ricordata nel testamento (Sighinolfi, 1920, pp. 144-149).
A Bologna Salatiele seguì gli studi giuridici e fu allievo di Odofredo. Dal maestro, ricordato come «dominus meus» (Salatiele, Ars notarie, cit., p. 180), acquisì uno spiccato gusto letterario e una notevole dimestichezza con gli autori della tradizione classica – Cicerone, Virgilio, Orazio, Ovidio, ma anche Aristotele e, fra i cristiani, Agostino e Boezio –, citati spesso e con una certa precisione, in particolare nella prima versione dell’Ars notarie. Fra i giuristi invece, oltre a Odofredo, i più citati sono Irnerio, Bulgaro, Piacentino, Azzone e Roffredo, anche se il vero fondamento della sua cultura e il riferimento costante della sua opera è, senza dubbio, la glossa accursiana (Salatiele, Ars notarie, cit., p. XVII). Nell’aprile 1237 fu esaminato e promosso all’esame di notariato e quindi immatricolato fra i notai bolognesi (Liber sive matricula..., a cura di R. Ferrara - V. Valentini, 1980, p. 79). Subito iniziò un’attività didattica molto apprezzata, che coincise con la fine di quella del suo maestro di arte notarile, Ranieri da Perugia. Espressione di questi primi anni di insegnamento e delle sue approfondite riflessioni teoriche fu la prima versione della Ars notarie, divulgata già nel 1242-43. Nel periodo successivo svolse anche un’intensa attività professionale per i privati e per il Comune di Bologna: un atto sottoscritto nel 1244 presenta per la prima volta la qualifica di «artis notarie professor et doctor», accostata con orgogliosa consapevolezza a quella, consueta per i suoi colleghi, di «imperiali auctoritate notarius» (Fantuzzi, 1789, p. 270; Sarti - Fattorini, 1888, p. 507). Quasi immediate tuttavia dovettero essere anche le severe critiche rivolte alla sua opera teorica, tanto che dal 1242 al 1254 Salatiele si impegnò in una profonda revisione dell’Ars notarie, sfociata in una vera e propria seconda versione dell’opera, profondamente diversa rispetto alla prima.
Fra il 1245 e il 1260, Salatiele partecipò anche con un certo impegno alla vita politica cittadina, militando nella fazione filo-ghibellina dei Lambertazzi. Incarichi di particolare rilievo ricoprì, ad esempio, nel dicembre del 1249, quando partecipò dapprima alle trattative di pace fra Bologna e Modena, poi alla redazione di un importante concordato fra le due città, che per qualche decennio pose termine al lungo e sanguinoso conflitto per il controllo del Frignano (Archivio di Stato di Bologna, Registro Nuovo, cc. 35r-41v). Dieci anni più tardi, Salatiele era ancora attivo nella vita pubblica e, come membro della società d’armi dei Castelli, partecipava a una commissione incaricata di affrontare delicate questioni di approvvigionamento alimentare. A testimoniare la fama di cui il notaio godeva in quegli anni nella società cittadina, cui corrispondeva una situazione patrimoniale piuttosto florida, ci soccorrono gli statuti comunali, che individuano proprio la residenza di Salatiele, situata nella cappella di S. Margherita, come uno dei luoghi destinati alla pubblicazione dei bandi comunali (Statuti 1245-1267, a cura di L. Frati, 1876, p. 557; Statuti 1288, a cura di G. Fasoli - P. Sella, 1937, p. 86). Presso l’abitazione, com’era consuetudine all’epoca, Salatiele teneva anche la sua scuola di notariato, che era certamente, con quella di Rolandino Passaggeri e in vivace concorrenza con il rivale, la più prestigiosa nella città dello Studio, come dimostrano i numerosi candidati notai che nel sesto decennio del Duecento il maestro presentò all’esame pubblico (Liber sive matricula..., cit., pp. 143-203). La sua statio, il banco presso il quale esercitava la professione, era invece nei pressi del palazzo comunale, nel territorio della cappella di S. Croce.
Per ragioni che ignoriamo, Salatiele scompare dopo il 1260, e per un lungo periodo, dalla documentazione comunale; quando vi rientra le vicende politiche cittadine sono ormai avviate verso un esito infausto per la sua fazione e rovinoso per la sua famiglia e per lui.
Nel 1274, infatti, subì le prime conseguenze della sconfitta politica dei ghibellini, cui fu imposto, e solo a loro in quell’occasione, un prestito forzoso molto ingente; l’anno successivo lo troviamo fra i cittadini di parte lambertazza posti al bando e, ancora nel 1277, Salatiele era nell’elenco dei confinati, da cui risulta che era stato inviato alla residenza obbligata di Cereglio, sui rilievi appenninici nei pressi di Vergato (Archivio di Stato di Bologna, Libro dei banditi del 1277, c. 133v).
Nelle vicende drammatiche di questi anni, in uno dei numerosi tumulti cittadini, perse probabilmente la vita il figlio Aliotto, che non troviamo fra gli eredi di Salatiele, né fra quelli della moglie Bertilla (Salatiele, Ars notarie, cit., p. XXII). A differenza di tanti altri ghibellini, riammessi alla cittadinanza negli anni successivi, Salatiele non fece più ritorno in patria, subendo in questo un’ostilità particolarmente feroce da parte dei guelfi radicali, la cui fazione era guidata in quegli anni dal rivale di sempre, Rolandino Passaggeri.
Duramente provato da queste vicende e dalla perdita dell’insegnamento, Salatiele era però ancora in vita nei primi mesi del 1280, quando compare in un atto giudiziario, ma era sicuramente morto il 19 maggio di quell’anno, quando i suoi esecutori testamentari davano corso alle sue ultime volontà (Sighinolfi, 1920, pp. 143-149). Qualche anno più tardi, la figlia Margherita, andata in sposa nel 1280 a Torello Torelli, vendeva a Rolandino Passaggeri alcuni poderi, parte rilevante del patrimonio di famiglia (Salatiele, 1961, p. 506).
Il contributo che Salatiele offrì all’elaborazione teorica della dottrina notarile, attraverso le sue due opere, l’Ars notarie e la Summula de libellis, è davvero enorme: la professione notarile, che prima di lui si basava su di una vivace, ma indubbiamente elementare tradizione di formulari pratici, fu grazie a quelle opere innalzata alla dignità giuridica, «accolta nel cielo del diritto romano» (Salatiele, 1961, p. 507).
Di questo ruolo l’autore manifesta, già nel proemio della prima stesura dell’Ars (1242-1243), un’orgogliosa consapevolezza, atteggiamento che in effetti deborda più volte, nel corso del testo, in sdegnosa rivendicazione di superiorità intellettuale nei confronti dei colleghi notai: famoso e più volte citato il sarcasmo con cui descrive l’atteggiamento in uso da parte degli aspiranti alla professione, che affrontano l’esame recitando a memoria formulette contrattuali, come le beghine fanno con il Paternoster (Orlandelli, 1961, 1994, pp. 350 s.).
Al di là di qualche ingeneroso eccesso, frutto di giovanile entusiasmo e di una naturale esigenza di emulazione nei confronti dei maestri – in particolare Ranieri da Perugia – l’approccio di Salatiele alla sua disciplina era veramente rivoluzionario, dato che mirava a ricondurre le formule contrattuali, codificate dalla prassi sulla base di remotissime consuetudini feudali, alla purezza del corpus iuris civilis, anche quando questo tentativo risultava tecnicamente e teoricamente azzardato (p. 357). E in effetti, rispetto all’opera di Ranieri e alla tradizione scolastica bolognese, la proposta di Salatiele segnava un cambio di prospettiva che dovette risultare sconcertante per i contemporanei: mentre il maestro perugino aveva divulgato, soltanto un ventennio prima, un’opera aggiornata sì alla luce del riscoperto diritto romano, ma essenzialmente pratica e destinata ad agevolare i notai nell’esercizio della professione, Salatiele dedicava al contrario i tre quarti della sua opera alla definizione di una coerente teoria dell’arte notarile, alla luce del diritto romano, e solo un quarto al formulario pratico.
Il suo dunque voleva essere, consapevolmente, non un manuale ma un vero trattato di arte notarile, ispirato alla ricezione integrale del Codice e del Digesto, oltre che a una vasta e spesso esibita cultura letteraria classica. Come dichiara il prologo della prima stesura, l’Ars notarie, che intende rimediare ai danni prodotti dalla decadenza culturale e morale del ceto notarile, si articola in quattro parti, come quattro sono gli elementi che compongono il corpo umano: dottrina civilistica su persone, cose, azioni; contratti riguardanti dominio utile e dominio diretto; ultime volontà e giudizi; formulario generale. Questa prima redazione dell’opera ci è pervenuta attraverso un unico manoscritto, mutilo della seconda e della terza parte, ma arricchito di un’ampia e densissima glossa, in cui si affollano i riferimenti alle fonti giuridiche e letterarie, ma anche aneddoti, etimologie, digressioni polemiche e così via.
Le critiche suscitate dalla fin troppo rigorosa impostazione teorica del trattato e forse anche dal suo tono aristocratico, indussero Salatiele a intraprendere, quasi immediatamente e certo entro il 1247, una seconda versione dell’opera, condotta fino al 1254 (Orlandelli, 1961, 1994, pp. 381 s.). In questa seconda redazione, pervenutaci integralmente, l’autore rinunciava a trattare la materia processuale, cui aveva destinato un’operetta monografica, e proponeva un testo indubbiamente meno ardito sul piano teorico, più essenziale e tradizionale, in ultima analisi più vicino alla pratica notarile. Si affiancava, dunque all’opera maggiore un supplemento pratico, la Summula de libellis, articolata anch’essa in quattro sezioni, in cui si proponevano le formule opportune per ogni genere di atto.
Le finalità dell’operetta, esposte nel prologo (Salatiele, Summula..., a cura di A. Grazia, 1970, pp. 3-5), fanno esplicito riferimento alla necessità di replicare alle critiche invidiose di un emulus, comunemente individuato, senza in realtà ragioni cogenti, nel rivale Rolandino; in effetti però, la stessa operazione di riscrittura dell’Ars notarie e le modifiche apportate al trattato si spiegano solo alla luce del secondo testo. Numerose rubriche presenti nella glossa della prima versione dell’Ars rifluirono infatti nella Summula, e anzi si potrebbe dire che lo snellimento che si riscontra nell’opera maggiore, fra prima e seconda versione, sia effetto della contemporanea pubblicazione della minore. La connessione strutturale fra le due opere è stata del resto un elemento non secondario nel processo che, fra XIX e XX secolo, portò gli storici del diritto ad attribuire a Salatiele anche la Summula, a lungo considerata opera del suo maestro Odofredo (pp. VII-XIV).
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Bologna, Comune. Governo, 32, Registro Nuovo; Comune. Governo, 433/II, Atti concernenti privati, busta 1/II, 1244-1270; Corporazioni religiose soppresse, S. Giovanni Battista, 4/4488; Comune, Ufficio banditi e ribelli, III, Libro dei banditi del 1277; Statuti di Bologna dall’anno 1245 all’anno 1267, a cura di L. Frati, II, Bologna 1876; Statuti di Bologna dell’anno 1288, a cura di G. Fasoli - P. Sella, I, Città del Vaticano 1937; Salatiele, Ars notarie, a cura di G. Orlandelli, I-II, Milano 1961; Id., Summula de libellis, a cura di A. Grazia, Bologna 1970; Liber sive matricula notariorum comunis Bononie (1219-1299), a cura di R. Ferrara - V. Valentini, Roma 1980, Indice, a cura di G. Tamba - D. Tura, Roma 2006.
G. Fantuzzi, Notizie degli scrittori bolognesi, VII, Bologna 1789, pp. 270 s.; M. Sarti - M. Fattorini, De claris Archigymnasii Bononiensis professoribus, Bologna 1888, I, p. 507; N. Tamassia, Odofredo, in Atti e memorie della Deputazione di storia patria per le province di Romagna, XI (1894), pp. 207, 222-225; L. Sighinolfi, S. e la sua “Ars notarie”, in Studi e memorie per la storia dell’Università di Bologna, 1920, vol. 4, pp. 65-149; G. Orlandelli, Appunti sulla scuola bolognese di notariato nel XIII secolo per una edizione della “Ars notarie” di S., in Studi e memorie per la storia dell’Università di Bologna, n.s., 1961, vol. 2, pp. 1-54, poi in Id., Scritti di paleografia e diplomatica, a cura di R. Ferrara - G. Feo, Bologna 1994, pp. 345-398; S., in Il notariato nella civiltà italiana. Biografie notarili dall’VIII al XX secolo, Milano 1961, pp. 505-509; G. Tamba, Una corporazione per il potere. Il notariato a Bologna in età comunale, Bologna 1998, ad ind.; M. Giansante, Retorica e politica nel Duecento. I notai bolognesi e l’ideologia comunale, Roma 1999, pp. 96-98; Id., Pietro e i suoi maestri. Antichi e moderni nella storia del notariato bolognese, in L’opera di Pietro d’Anzola per il notariato di diritto latino. Atti del Convegno di studi storici, Bologna-Anzola nell’Emilia... 2012, a cura di G. Tamba, Bologna 2013, pp. 101-122.