SALERNO di COPPO
Pittore fiorentino, figlio di Coppo di Marcovaldo (v.), documentato a Pistoia nel 1274.La vicenda critica di S. prende le mosse da un documento del 1274 (Bacci, 1912, pp. 32-35) nel quale egli risulta in carcere: si tratta di una richiesta di liberazione indirizzata alle massime autorità cittadine da parte dell'arciprete, i canonici e gli 'operai' della cattedrale dei Ss. Iacopo e Zeno di Pistoia, al fine di permettere al pittore di affiancare il padre nell'esecuzione di una serie di dipinti: un Crocifisso e due tavole, una con l'immagine della Vergine e l'altra con S. Giovanni Evangelista, destinati al coro della chiesa, e un secondo Crocifisso cum una trabe per l'altare dedicato a s. Michele. La richiesta fu accettata previo pagamento di una cauzione anticipata dagli stessi committenti. Il fatto che fosse stata espressamente richiesta la presenza di S. presuppone un già collaudato sodalizio professionale tra padre e figlio e ne attesta forse anche una relativa fama personale. Tra le opere menzionate nel documento, l'unica nota è il Crocifisso con storie della Passione (Pistoia, cattedrale dei Ss. Iacopo e Zeno). Dal confronto con il Crocifisso del 1254 ca. di San Gimignano (Mus. Civ., inv. nr. 30), ritenuto autografo di Coppo di Marcovaldo, emergono significative variazioni di stile in una sostanziale identità di impianto compositivo e iconografico, appena incrinata da alcune incongruenze nella successione delle scene laterali che rivelano la croce di Pistoia essere una copia di quella più antica già nella collegiata di San Gimignano.Chi ha escluso l'intervento di S. (Coletti, 1941; Pittura italiana, 1943) nel Crocifisso della cattedrale di Pistoia lo ritiene il frutto maturo di un'evoluzione interna alla carriera di Coppo, relegando il figlio a figura di secondo piano in un più ampio e sfumato contesto di bottega. Ma, a partire da Bacci (1900), seguito, tra gli altri, da Toesca (1927), Sandberg Vavalà (1940), Garrison (1949), Boskovits (1976; 1977; 1983) e Tartuferi (1990), si è andata sempre più affermando l'ipotesi che il viraggio espressivo verso modi aggiornati sulla pittura fiorentina della seconda metà del secolo e, in particolare, sull'arte di Cimabue, fosse da attribuire piuttosto a un cambio generazionale dovuto all'entrata in scena di S., cui però solo Coor-Achenbach (1946) riconosce la piena autografia del dipinto. Gli altri, senza rinunciare all'idea di una supervisione generale da parte del padre e a una sua diretta partecipazione nell'esecuzione di alcune delle storie della Passione (Compianto, Marie al sepolcro e, forse, Deposizione), assegnano a S. i restanti riquadri e la grande figura del Cristo morto, dove più marcate appaiono le differenze con il Crocifisso di San Gimignano, nel modellato più morbido e fuso, nell'uso del colore e nelle lumeggiature.Sulla falsariga di una stretta collaborazione tra padre e figlio nell'ultimo quarto del Duecento e sulla base delle consonanze formali con il Crocifisso pistoiese, l'attività di S. è stata ipotizzata anche per la Madonna del Carmelo di S. Maria Maggiore a Firenze (Tartuferi, 1990), in particolare nei due angeli, nell'Annunciazione e nelle Marie al sepolcro, così come nell'affresco staccato con la Crocifissione della sala capitolare del convento di S. Domenico a Pistoia (1280-1290 ca.) e in parte delle figure di dannati nella scena del Giudizio universale del mosaico del battistero fiorentino, impresa cui Coppo di Marcovaldo partecipò nell'ultima fase della sua attività artistica.Procacci (1966), seguito da Tartuferi (1990), ha tentato di ampliare lo scarno catalogo di S. includendovi la Madonna con il Bambino dipinta sull'ultimo pilastro della navata sinistra della cattedrale di Pistoia, attribuzione confutata a ragione da Conti (1971), che data l'affresco al 1290 assegnandolo ad anonimo pistoiese vicino alla maniera di Manfredino d'Alberto.Ugualmente dibattuta è l'autografia di S. per il piccolo trittico portatile (Cracovia, Muz. Narodowe; Ragghianti, 1963), già da Garrison (1949) assegnato al senese Maestro delle Clarisse.
Bibl.: P. Bacci, Coppo di Marcovaldo e Salerno di Coppo. Pittori fiorentini del MCC, L'Arte 3, 1900, pp. 32-40: 36; id., Coppo di Marcovaldo e il figlio Salerno pittori fiorentini e il prete Insalato di Jacopo (1261-1276), in id., Documenti toscani per la storia dell'arte, II, Firenze 1912, pp. 1-35; Toesca, Medioevo, 1927; E. Sandberg Vavalà, Paintings by Salerno di Coppo, ArtAm 28, 1940, pp. 47-54; L. Coletti, I Primitivi, I, Novara 1941, pp. XXXIV-XXXV; Pittura italiana del Duecento e del Trecento. Catalogo della mostra giottesca di Firenze del 1937, a cura di G. Sinibaldi, G. Brunetti, Firenze 1943, pp. 199-201; G. Coor-Achenbach, A Visual Basis for the Documents Relating to Coppo di Marcovaldo and his Son Salerno, ArtB 28, 1946, pp. 233-247; E.B. Garrison, Italian Romanesque Panel Painting, Firenze 1949; C.L. Ragghianti, Pittura italiana a Cracovia, CrArte, s. IV, 10, 1963, 59-60, pp. 55-62; U. Procacci, La pittura romanica pistoiese, in Il Romanico pistoiese nei suoi rapporti con l'arte romanica dell'Occidente, "Atti del I Convegno internazionale di studi medioevali di storia e d'arte, Pistoia-Montecatini 1964", Pistoia 1966, pp. 353-367; A. Conti, Appunti pistoiesi, Annali della Scuola normale superiore di Pisa. Classe di lettere e filosofia, s. III, 1, 1971, pp. 109-124; E.T. Prehn, Aspetti della pittura medievale toscana, Firenze 1976; M. Boskovits, Cimabue e i precursori di Giotto, Firenze 1976; id., Intorno a Coppo di Marcovaldo, in Scritti di storia dell'arte in onore di Ugo Procacci, a cura di M.G. Ciardi Dupré Dal Poggetto, P. Dal Poggetto, Milano 1977, I, pp. 94-105; G. Previtali, Il Maestro della Madonna di S. Brizio e le origini della scuola orvietana di pittura, ivi, pp. 106-110; M. Boskovits, Coppo di Marcovaldo, in DBI, XXVIII, 1983, pp. 631-636; J. Polzer, The Virgin and Child Enthroned from the Church of the Servites in Orvieto: Generally Given to Coppo di Marcovaldo. Recent Laboratory Evidence and a Review of Coppo's Oeuvre, AV 23, 1984, 3, pp. 5-18; A. Bacchi, Pittura del Duecento e del Trecento nel Pistoiese, in La Pittura in Italia. Il Duecento e il Trecento, Milano 1986, I, pp. 315-324; A. Tartuferi, La pittura a Firenze nel Duecento, Firenze 1990.S. Manacorda