SALONICCO
(gr. Θεσσαλονίϰη; lat. Thessalonica)
Città della Grecia settentrionale, capoluogo del nomo omonimo e della regione macedone. Il nome greco, assegnatole dal suo fondatore Cassandro nel 316/315 a.C. in onore della moglie Tessalonica, sorellastra di Alessandro Magno, è rimasto invariato fino a oggi; nella Cronaca di Morea del 1300 ca. (v. 1052) compare però anche il nome Saloníkin, derivante dalla forma abbreviata Saloníki, da cui deriva la denominazione italiana.La città venne edificata ad anfiteatro sulle pendici del monte Kissós nel recesso più interno del golfo Termaico. Si sviluppò come importante centro politico, culturale e commerciale della penisola balcanica, con un'economia fondata sull'artigianato, sul commercio, sullo sfruttamento di terreni fertili e sulla ricchezza mineraria dell'entroterra. Al suo benessere contribuì la sicurezza che offrivano le imponenti mura che la circondavano fin dal tempo della sua fondazione.Tratti di muro del periodo ellenistico, incorporati in quelli di epoca paleocristiana, sono stati individuati nella zona nordorientale del centro urbano, a S della grande torre del Trigonio. Il muro paleocristiano, con successive risistemazioni, si è ben conservato sulla strada di S. Demetrio ed è stato localizzato in molti tratti a S della stessa strada. Secondo il modello delle città romane, il tracciato stradale era costituito da decumani e cardini, dall'incrocio dei quali risultavano isolati della superficie di m 100 x 50. Questa organizzazione fu mantenuta, particolarmente nella zona centrale, per tutto il periodo bizantino.Dal punto di vista amministrativo, in epoca tardoantica e protobizantina S. fece parte dell'Illirico Orientale, che comprendeva i territori della penisola balcanica fino al Danubio, tranne la Tracia, e Creta. Dal punto di vista religioso e sino all'inizio dell'iconoclastia fu invece soggetta alla Chiesa di Roma: il suo vescovo, detto haghiótatos ('santissimo'), firmava i documenti dei sinodi per primo dopo i patriarchi.A partire dalla fine del sec. 5° la città divenne un importante centro della cristianità, come testimoniano chiaramente grandi chiese come quelle della Panaghia Acheiropoietos e di S. Menna, la grande basilica a cinque navate al di sotto della chiesa della Santa Sofia, il grande edificio a pianta centrale nella zona ovest della città, nonché il S. Demetrio e la chiesa del monastero di Latomos (Hosios David).I tre secoli successivi al regno di Giustiniano I (527-565) costituirono per S. un periodo difficile, segnato dai ripetuti assedi degli Avari e degli Slavi, con il conseguente dissolvimento dell'economia agricola e il forzato inurbamento delle popolazioni delle campagne.Nella seconda metà del sec. 7° venne ricostruita la chiesa di S. Demetrio, distrutta da un incendio intorno al 626-634. Il nuovo edificio, voluto dal vescovo Giovanni e dal prefetto Leonzio, è una basilica a cinque navate, a copertura lignea, provvista di transetto. Della chiesa precedente, probabilmente a tre navate, mantenne e incorporò il nartece, insieme con alcune parti delle terme romane sulle quali era stata edificata. Del precedente monumento furono utilizzate tutte le sculture ritenute adatte (capitelli dell'epoca di Teodosio con doppia fascia di foglie mosse dal vento), oltre che quelle di epoca romana e altre del 6° secolo. Anche la decorazione pittorica - consistente nei mosaici e negli affreschi che si sono salvati dal grande incendio del 1917 - appartiene a epoche diverse. Le nove rappresentazioni musive sono quasi tutte scene di dedicazione, realizzate cioè dopo qualche evento importante legato alla salute dei fedeli o alla salvezza della città: sono variamente datate dal sec. 5° al 9° e si trovano sui due pilastri del presbiterio e sul muro occidentale del vano principale. Due mosaici con la raffigurazione di S. Demetrio, rispettivamente con un angelo e con due giovinetti, sono pertinenti alla chiesa del 5° secolo. Un altro gruppo di mosaici, che presenta differenze stilistiche rispetto ai precedenti, è datato al sec. 7°: in uno di essi è raffigurato S. Demetrio orante, in altri il santo con chierici, o con chierici e un prefetto; in un altro ancora S. Demetrio è accompagnato da bambini. Infine, vi sono anche mosaici raffiguranti S. Sergio, risalenti anch'essi al sec. 7°, e il pannello della Vergine con s. Teodoro, datato non oltre il 9° secolo. Dei pochissimi affreschi che si sono salvati dall'incendio del 1917, il più importante è un dipinto a carattere storico posto sulla parete meridionale, databile per motivi stilistici al sec. 8°, che probabilmente raffigura l'imperatore Giustiniano II (685-695 e 705-711) nel momento in cui entra in città dopo la vittoriosa campagna contro gli Slavi. Altrettanto importante è l'affresco raffigurante S. Ioasaf (al secolo l'imperatore Giovanni VI Cantacuzeno, 1347-1354, che negli ultimi anni della sua vita si fece monaco con quel nome) con il vescovo di S., Gregorio Palama; il dipinto risale al 1360-1380 e si collega alle contese esicaste del 14° secolo.L'edificazione della chiesa della Santa Sofia è stata recentemente retrodatata intorno alla metà del sec. 7°, sulla base delle ricerche condotte dopo il terremoto del 1978, ma non è del tutto accantonata la tradizionale datazione al 780-788, al tempo in cui regnarono insieme Costantino VI e sua madre Irene (780-788 e 797-802). Dopo la fine dell'iconoclastia, la decorazione aniconica della Santa Sofia fu sostituita.Con la Santa Sofia, citata nelle fonti già dal 797 in una lettera di s. Teodoro Studita (PG, XCIX, col. 918), S. passa sostanzialmente dalle forme espressive paleocristiane a quelle bizantine. La chiesa, dedicata alla Sapienza e al Verbo divino, certamente a imitazione dell'omonima chiesa di Costantinopoli, fu costruita sulle rovine di una grande basilica a cinque navate (m 122 × 53), che probabilmente era stata la prima sede del metropolita di Salonicco. Dal punto di vista tipologico, essa appartiene al gruppo delle chiese con cupola e navate, cioè a una forma di passaggio dalla basilica alla chiesa cruciforme con cupola.L'attuale aspetto esterno della chiesa è dovuto alla sequenza di interventi subìti dall'epoca bizantina fino alla dominazione turca. La muratura, a corsi alternati di blocchetti di pietra e di laterizi, rappresenta una novità nel panorama tessalonicese. La costruzione, pesante all'esterno, specie dopo le aggiunte successive, diviene più leggera all'interno, con la scomposizione dei quattro robusti pilastri che definiscono il vano centrale e sorreggono la pesante cupola. Una galleria a U circonda la zona centrale. I capitelli con foglie mosse, come quelli di S. Demetrio, e alcuni elementi architettonici, stilisticamente prossimi a quelli di S. Polieucto a Costantinopoli, appartengono ai secc. 5° e 6° e provengono probabilmente dalla più antica basilica e da qualche altro monumento.I mosaici della chiesa risalgono a tre diversi periodi. La decorazione aniconica dell'arco del presbiterio e la grande croce dell'abside, in seguito sostituita dalla figura della Vergine, si collocano nel periodo di regno di Costantino VI e Irene. Le ricerche più recenti hanno ormai dimostrato che, al contrario di quanto si era creduto in precedenza, la parte superiore della figura della Vergine è la più antica e quella inferiore la più recente. In una prima fase la Vergine fu infatti raffigurata stante e solo in seguito ne fu variata la posizione, rappresentandola seduta in trono e provocando così la distruzione della scritta alla base dell'abside, che accompagnava la decorazione iniziale. Lo stile della parte superiore colloca la raffigurazione fra i secc. 8° e 9°, piuttosto che fra l'11° e il 12°, perché se in quest'ultimo periodo fosse realmente stata rinnovata la parte superiore sarebbero andate distrutte anche le tracce della croce preesistente (Velènis, 1997).In base al confronto con altre opere, in particolare con affreschi e miniature, alla fine del sec. 9° (forse intorno all'885) si data anche il magnifico mosaico dell'Ascensione nella cupola. Gli affreschi, che furono realizzati nelle aperture del muro occidentale dopo il 1037, quando fu aggiunto il nartece esterno, rappresentano monaci e monache e si distinguono per intensa espressività.Il sec. 9° trascorse pacificamente per la città, che visse una fase di progresso economico e di prosperità in tutti i settori, sia religiosi sia civili. Da S. partirono i fratelli Cirillo e Metodio, che nell'863 furono inviati nella Grande Moravia per convertire le popolazioni slave al cristianesimo. Il sec. 10° segnò una fase importante per la città, che nel 904 cadde nelle mani dei Saraceni di Leone di Tripoli.Il rinascimento artistico verificatosi all'epoca degli imperatori macedoni (secc. 9°-11°) portò i suoi frutti anche a S., dove vennero edificate la chiesa della Panaghia ton Chalkeon, che secondo un'epigrafe risale al 1028, e altre tre chiese (la c.d. chiesa nuova, la chiesa c.d. Kyrtù e S. Nicola Paleofava), note dalle fonti ma non ancora localizzate. Monumento di proporzioni molto agili, la Panaghia ton Chalkeon appartiene alla categoria delle chiese a croce greca inscritta, con quattro colonne composite; è costruita in semplice opera laterizia, come la chiesa costantinopolitana del Myrelaion (od. Bodrum Cami, ca. 920), con la tecnica del mattone arretrato, usata per la prima volta a Costantinopoli.Gli affreschi della chiesa, piuttosto mal conservati, seguono il consueto ciclo iconografico proprio di quest'epoca, con la differenza che, trattandosi di un edificio a carattere funerario, nella cupola è raffigurata l'Ascensione anziché il Pantocratore; dal punto di vista stilistico essi appaiono rappresentativi delle correnti artistiche dominanti a Costantinopoli in questo periodo. La chiesa venne nuovamente decorata nel corso del sec. 14°, con figure di santi, l'inno Acatisto e la scena della Dormizione della Vergine, opere di cui si conservano pochissimi frammenti.Piuttosto recentemente sono stati scoperti nella chiesa del monastero di Latomos alcuni affreschi risalenti alla seconda metà del sec. 12° (1160-1170) e raffiguranti la Nascita di Gesù, il Battesimo e, in stato frammentario, la Purificazione e la Trasfigurazione, uniche testimonianze della splendida pittura realizzata a S. in quest'epoca.Un nuovo restauro delle mura cittadine, forse in previsione di un attacco dei Normanni, poi effettivamente verificatosi nel 1185, è testimoniato nel 1167-1169.Dopo il sacco normanno, S. visse un periodo di gravi difficoltà: tuttavia venne restaurato il monastero di Filòcalo, con la partecipazione di Saba Nemanja, figlio del principe serbo Stefano Nemanja (ca. 1166-1196) e primo arcivescovo di Serbia, che ne fece la propria sede durante le sue visite in città.Le lotte dinastiche all'interno dell'impero bizantino e la richiesta di aiuto fatta alla città di Venezia da parte di Alessio IV Angelo (1203-1204), figlio del detronizzato imperatore Isacco II, per riportare quest'ultimo sul trono, crearono le condizioni per la costituzione di S. in autonomo regno latino, sotto la sovranità di Bonifacio di Monferrato. Il dominio franco ebbe termine nel 1224, con la riconquista della città da parte del despota dell'Epiro, Teodoro Angelo Ducas Comneno. Probabilmente a quest'epoca, o comunque al primo quarto del secolo, risale la decorazione del muro nord della navata meridionale della chiesa della Panaghia Acheiropoietos, con i Quaranta martiri di Sebaste raffigurati al di sopra del colonnato, alternativamente a figura intera e a mezzo busto: in tali affreschi si rilevano elementi stilistici del periodo postcomneno, oltre ad altre caratteristiche tecniche che preannunciano il grande fiorire della pittura paleologa.Il benessere economico e la tranquillità di cui godeva la città contribuirono a far affluire a S. molti uomini di cultura e a donarle una straordinaria fisionomia individuale, che si irradiò verso i paesi slavi confinanti, dove vennero edificate chiese dedicate al protettore della città s. Demetrio (per es. a Peč, nel Kosovo, e a Tărnovo, in Bulgaria). Artisti di S. lavorarono nei monasteri del monte Athos (Manuele Panselino), nella vicina città di Verria (Giorgio Kaliergis) e in Serbia (Eutichio e Michele Astrapas). I pittori di S. organizzarono presso la corte del re serbo Stefano Uroš II Milutin (1282-1321) botteghe-scuola per giovani artisti, destinati a soddisfare le richieste di decorazione dei monumenti voluti dallo stesso re in Serbia e negli altri territori sottoposti.Questa fioritura artistica è riscontrabile nei monumenti conservati risalenti al 1300-1320. In questo periodo, in città vennero edificate quattro nuove chiese e ne vennero ridecorate altre più antiche. Di nuova costruzione sono le chiese di S. Panteleimone, dei Ss. Apostoli, di S. Caterina e di S. Nicola Orfano. Le prime tre appartengono alla categoria degli edifici a croce greca inscritta, con quattro colonne e galleria, mentre S. Nicola appartiene al tipo basilicale a tre navate.La chiesa di S. Panteleimone è stata identificata con il monastero della Panaghia Peribleptos, noto dalle fonti anche come monastero di Kyr Isaak, dal nome monastico del suo fondatore Giacobbe, che fu metropolita di S. fra il 1295 e il 1315. Scarsi resti di affreschi testimoniano l'alto livello raggiunto dalla pittura a S. tra la fine del sec. 13° e l'inizio del successivo.La chiesa dei Ss. Apostoli, dovuta al patriarca di Costantinopoli Nifone I (1310-1314), fu eretta come chiesa del monastero della Vergine, fondato anche da Paolo, allievo di Nifone, che, dopo l'allontanamento del patriarca dalla sua sede, completò con affreschi la decorazione del monumento, seguendo il programma iconografico probabilmente elaborato dallo stesso Nifone. Della ricca ornamentazione pittorica a mosaico e affresco si conserva un buon numero di rappresentazioni. I mosaici ricoprivano completamente le volte e le pareti del vano principale fino all'architrave, ma non la protesi e il diaconico, che sono invece affrescati. Anche la galleria aveva degli affreschi, mentre le parti al di sotto dell'architrave, nell'area centrale, erano ricoperte di rivestimento marmoreo. Dal punto di vista esecutivo e stilistico, i mosaici reggono il confronto con quelli costantinopolitani del monastero di S. Salvatore di Chora (od. Kariye Cami) e del monastero di S. Maria Pammakaristos (od. Fethiye Cami). Anche gli affreschi possono essere collocati allo stesso alto livello di pittura: essi appaiono più eleganti e più aggraziati dei pesanti mosaici, tuttavia si rifanno anche questi alle opere di Costantinopoli piuttosto che a quelle della regione macedone, ove prevale un maggiore realismo.S. Caterina, di cui si ignora l'originaria dedicazione, è architettonicamente vicina alla chiesa dei Ss. Apostoli, ma non ha il nartece esterno. Il monumento appartiene alla fine del sec. 13° o agli inizi del 14°, epoca cui risalgono anche gli affreschi parzialmente conservati nel presbiterio, nella cupola centrale e nel naós. I caratteri stilistici avvicinano queste pitture a quelle di S. Nicola Orfano e a opere serbe del tempo di Stefano Uroš II Milutin (S. Niceta a Čučer, S. Giorgio a Staro-Nagoričino) che sono caratterizzate da tratti forti ed espressività contenuta.La costruzione e la decorazione della chiesa di S. Nicola Orfano, facente parte del monastero forse fondato dal re serbo Stefano Uroš II Milutin, risalgono probabilmente al decennio 1310-1320; l'aspetto attuale del monumento è dovuto a una sua successiva riedificazione, ma il corpo centrale, il muro occidentale e parte di quello meridionale appartengono alla primitiva piccola basilica a tre navate. Si conserva gran parte della decorazione pittorica, il cui ignoto esecutore studiò attentamente l'iconografia complessiva della chiesa, disponendo ogni ciclo di rappresentazioni nel punto più adatto; strette affinità stilistiche connettono queste pitture all'opera di Giorgio Kalierghis nella chiesa del Cristo a Verria (1315).La piccola basilica a tre navate di S. Eutimio, risalente al sec. 10° o all'inizio del successivo (più antica comunque della Panaghia ton Chalkeon) e che si trova addossata all'angolo sudorientale della chiesa di S. Demetrio, fu decorata nel 1303 da affreschi commissionati dal protostrátor Michele Ducas Glabas Tarchaniotes, fondatore del parekklésion della chiesa di S. Maria Pammakaristos di Costantinopoli. L'opera fu eseguita da un ottimo pittore del tempo e il ciclo iconografico, nonostante le ridotte dimensioni del monumento, comprende scene delle Dodici feste liturgiche, la Vita e i miracoli di Cristo, oltre che la Vita di s. Eutimio. Per quanto riguarda lo stile, che è tipico della c.d. rinascenza paleologa, gli affreschi si avvicinano a quelli di Michele Panselino nel monastero del Protaton al monte Athos e a quelli della chiesa della Theotokos Peribleptos di Ochrida.La chiesa dei Tassiarchi, la cui denominazione in epoca bizantina rimane ignota, costituiva il nucleo ecclesiale di un monastero. Nel suo impianto originale essa si presentava come un corpo di fabbrica circondato su tre lati da una galleria, aperta sui lati ovest e sud; la cronologia del complesso oscilla fra la prima e la seconda metà del 14° secolo.La piccola chiesa della Trasfigurazione del Salvatore, che, come hanno dimostrato recenti ricerche, era in origine dedicata alla Vergine, appartiene al raro tipo della chiesa a croce greca inscritta a quattro absidi e, sulla base di una moneta trovata nella muratura della cupola, viene datata a epoca successiva al 1340. Gli affreschi vengono datati fra il 1350 e il 1370 e, insieme con quelli del monastero dei Vlattadi e della chiesa del profeta Elia, sono testimonianze dei progressi iconografici e stilistici della pittura tessalonicese nella seconda metà del sec. 14°, risultato di movimenti culturali nella città, durante l'insurrezione degli zeloti.La chiesa del monastero dei Vlattadi, inizialmente dedicata al Cristo Pantocratore e ora alla Trasfigurazione del Salvatore, fu eretta da Doroteo Vlatís, amico e allievo di Gregorio Palama, tra il 1351 e il 1371, quando lo stesso Doroteo era già divenuto metropolita della città. La forma architettonica costituisce una rara variazione del tipo di chiesa a croce greca inscritta, dove la cupola si appoggia ai muri del presbiterio e a due pilastri sul lato occidentale; la variazione è dovuta alla conservazione e all'incorporamento di parti di una chiesa più antica. Gli affreschi venuti alla luce negli ultimi anni (i Tre fanciulli nella fornace, il Battesimo) e quelli già noti della cappella di Pietro e Paolo forniscono un'idea precisa della pittura tessalonicese del periodo 1359-1380.La chiesa del profeta Elia, che recentemente è stata identificata come pertinente al monastero di Acapnio, dedicato al Cristo, e non più a quello della Nea Moni, appartiene al tipo della chiesa a croce greca inscritta, a tre absidi, con vasto nartece interno e piccoli vani addossati alle absidi laterali, sia a E sia a O. I lacerti di affreschi conservati nel nartece interno, nel corpo principale della chiesa e nelle cappelle rappresentano scene dell'Infanzia e dei Miracoli di Cristo. Nonostante la loro frammentarietà e il cattivo stato di conservazione, sono notevoli per l'espressività dei volti e la resa realistica delle scene e possono essere datati fra il 1360 e il 1370.Durante questo periodo, i cicli iconografici si arricchirono di nuovi temi e si diffusero nelle zone più lontane, a causa dell'influenza irradiata da S., seconda città dell'impero bizantino, che aveva perso ormai molti dei suoi territori e si era fortemente ridimensionato dal punto di vista territoriale. Di conseguenza, i monumenti del sec. 14° possono essere catalogati dal punto di vista cronologico in due gruppi: quelli precedenti le guerre civili (1300-1320) e quelli successivi (1321-1350). Le contese dinastiche, come quella sviluppatasi fra il 1321 e il 1328 fra Andronico II Paleologo (1282-1328) e suo nipote Andronico III (1328-1341), e i movimenti degli esicasti e degli zeloti ebbero ripercussioni nell'arte, che appare caratterizzata da immobilità ed esitazione nella ricerca di nuovi mezzi espressivi. Negli anni tra il 1369 e il 1373 fu despota di S. Manuele Paleologo, figlio di Giovanni V (1341-1391), che riconquistò alcuni territori della Macedonia e della Tessaglia. Nonostante questo, alle porte della città si materializzò il pericolo dei Turchi, che se ne impadronirono facendone una città tributaria. Dopo la battaglia di Ankara (1402), S. ritornò ai Bizantini, ma dal 1423 fino al 1430, facendosi ormai reale il pericolo turco, venne consegnata dal suo signore Andronico Paleologo ai Veneziani. Durante i sette anni di occupazione veneziana, la condizione degli abitanti fu di grande disagio e il metropolita Simeone protestò per la miseria dominante. La conquista turca del 1430 condusse gli abitanti a condizioni ancora peggiori e segnò l'aprirsi di una fase di profonda crisi nella produzione artistica, caratterizzata da una diaspora degli artisti tessalonicesi verso altre regioni del Mediterraneo.
La Rotonda di S. Giorgio è stata fino al 1978 l'unico luogo della città adibito all'esposizione di oggetti e opere d'arte del periodo paleocristiano e bizantino (Byzantine Mus. of the Rotunda of St. George). La ristrutturazione, dopo i terremoti del 1978, della Torre Bianca (costruita dai Veneziani agli inizi del sec. 15°) ha dato alla città il primo museo di arte cristiana, dove sono state esposte alcune opere provenienti dalle collezioni dell'ispettorato delle antichità bizantine di Salonicco. Molti bassorilievi appartengono al periodo medio e tardobizantino, come quello che rappresenta il Dighenis Akritas o Ercole con il leone del sec. 12°-13°, la Madonna orante del sec. 11°, parte di sarcofago con croci del sec. 10°, affreschi da un monumento sepolcrale, probabilmente quello del metropolita Eustazio, che fu eretto dopo il 1224 nella Santa Sofia (lato nord della galleria meridionale, nei pressi del nartece), ceramica invetriata bizantina, diversi oggetti liturgici, i notissimi bracciali in oro decorati a smalto del sec. 10°, oltre a icone e a monete. Dal 1995 ha iniziato a funzionare anche il nuovo Byzantine Mus., con mostre provvisorie soprattutto di icone e bassorilievi marmorei, destinato a ospitare in futuro anche esposizioni permanenti. Inoltre, una piccola collezione di icone e manoscritti di epoca bizantina e post-bizantina, oltre ad altri oggetti e paramenti liturgici, è conservata presso il monastero dei Vlattadi.
Bibl.:
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