(gr. Μακεδονία; bulg., maced. e serbocr. Makedonija) Regione storica della penisola balcanica (circa 70.000 km2 con circa 3 milioni di ab.), divisa politicamente tra Bulgaria (10%), Grecia (51%) e la Repubblica della Macedonia del Nord. Comprende a N il bacino del Vardar (Axiós), si estende a E fino al massiccio del Rodope (fiume Mesta) e a S fino all’Olimpo (compreso il bacino della Vistrizza). È limitata a S dal Mare Egeo. La regione è in gran parte montuosa, soprattutto nella parte centrale e in quella occidentale, con cime che si elevano ben oltre i 2000 m; verso S e soprattutto verso E, il territorio è inciso da ampie vallate, digradando lentamente al mare con pianure costiere, spesso paludose, in parte bonificate. I corsi d’acqua (Vistrizza, Vardar, Struma, Mesta) sono tutti tributari dell’Egeo, hanno portata assai irregolare e corso accidentato. Numerosi i laghi, tra cui maggiori quelli di Prespa e di Ocrida. Il clima, tipicamente mediterraneo sulle coste, con estati lunghe e aride, nelle regioni interne diviene continentale; le piogge aumentano dalle coste verso l’interno, e soprattutto verso O, da 400 mm annui fin oltre i 1000 mm. Si coltivano cereali (frumento, orzo, granturco, segale e avena), tabacco, vite e olivo. Importante è l’allevamento ovino. Le industrie sono poco sviluppate e così pure il commercio interno, sia per le difficoltà delle comunicazioni sia per problemi legati ai confini politici che separano la regione.
La M. bulgara non costituisce un’unità amministrativa, ma è compresa per la maggior parte nella provincia di Blagoevgrad, che include la valle della Struma. Centro principale è Petrič.
La M. greca (34.177 km2 con circa 2.469.322 ab. nel 2008), divisa in 3 province, comprende il territorio che va dal Lago di Prespa alla Mariza, chiuso a N dal confine con la Repubblica della Macedonia del Nord. La sezione orientale, partiti i Turchi in seguito allo scambio delle popolazioni avvenuto dopo il primo conflitto mondiale, è stata ripopolata da Greci provenienti dall’Asia Minore, che vi hanno diffuso su larga scala la coltura del tabacco. La parte a O del Vardar conserva le caratteristiche di territorio aspro, con bacini isolati e montagne ricoperte ancora di una ricca vegetazione. Centri principali, oltre a Salonicco, Kavála, Serre, Dráma.
Dominata dal 7° sec. a.C. dalla dinastia degli Argeadi, la monarchia macedonica fino al 4° sec. a.C. era di tipo arcaico: per l’assunzione al trono di ogni sovrano, era necessario il consenso dell’assemblea popolare in armi. Alla metà del 4° sec. a.C. la M., da piccolo Stato periferico, riuscì a divenire la maggiore potenza greca, grazie da un lato alla volontà di progresso dei vari sovrani (nel 5° sec. Alessandro I Filelleno, Archelao, nel 4° sec. Filippo II) che favorirono largamente nel paese l’assimilazione della civiltà ellenica; dall’altro alla grande cura che essi ebbero nel perfezionare e potenziare le forze armate. Successivamente, priva di interiore vitalità, si cristallizzò nelle posizioni raggiunte grazie alla superiorità militare e, dopo la morte di Alessandro Magno (323), si trovò a essere troppo periferica rispetto al nuovo grande impero, perdendone subito la direzione. Fu uno dei regni ellenistici, meno potente sia del tolemaico sia del seleucidico. La dinastia che successe dopo alcuni anni agli Argeadi, quella degli Antigonidi, dopo la morte di Antigono Monoftalmo (301) e di Demetrio Poliorcete (283) abbandonò il sogno di restaurare l’impero universale; Antigono Gonata, Antigono Dosone e Filippo V limitarono la loro politica essenzialmente alla Grecia, dove la M. costituì, fino alla sconfitta definitiva a opera dei Romani, il maggiore organismo politico.
Roma conquistò la M. al termine delle guerre macedoniche. Nella prima (215-205) Filippo V, alleato di Annibale, combatté contro leghe e popoli greci (soprattutto gli Etoli) suscitati contro di lui dai Romani, che non poterono intervenire con forze rilevanti perché duramente impegnati da Annibale in Italia; la guerra si chiuse con la Pace di Fenice, che assicurava alla M. qualche vantaggio territoriale. La seconda (200-197) si concluse con la sconfitta di Filippo a Cinoscefale e la proclamazione, da parte romana, della libertà della Grecia. Nella terza (171-168), combattuta da Perseo, figlio di Filippo V, la disfatta dei Macedoni a Pidna provocò la fine del Regno di Macedonia. Dopo Pidna, la regione fu divisa dai Romani in 4 confederazioni nominalmente indipendenti, successivamente riunite con il nome di provincia di M., a cui fu aggregata tutta la Grecia, compreso l’Epiro e la Tessaglia. Augusto ne fece una provincia senatoria, Tiberio l’avocò all’imperatore (15), e Claudio la restituì al Senato (44). Diocleziano la divise in 2 province, M. prima (orientale) e M. salutaris (occidentale), appartenenti entrambe alla dioecesis Moesiarum: ma ne furono staccati il litorale adriatico, assegnato alla Epirus nova, e la Tessaglia, divenuta provincia autonoma.
Invasa da Visigoti, Unni, Ostrogoti e Avari, nell’8° sec. gli Slavi slavizzarono interamente la regione, inserendosi poi con la conquista bulgara nel grande impero dello zar Simeone, di cui seguì poi le sorti. Conquistata nell’11° sec. dai Bizantini, nel 1204 passò ai Latini, quindi ai Serbi, che con Stefano Dušan (1336-55) ne fecero il centro del loro impero, con capitale Skopje: ai due imperi, della Grande Bulgaria e della Grande Serbia, si farà riferimento nel 19° e 20° sec. da Serbi e Bulgari per rivendicare il possesso di tutta la regione. Dopo che la M. fu conquistata dai Turchi (1371), non vi emerse un movimento nazionale fino al 19° secolo.
Fra il 1856 e il 1870, la M. prese parte al moto per la formazione di una gerarchia e di un clero strettamente bulgari, conclusosi con la creazione dell’esarcato di Bulgaria, con giurisdizione anche sulla parte nord-orientale della Macedonia Il Congresso di Berlino (1878) troncò le aspirazioni di riunire in uno Stato autonomo M., Bulgaria e Rumelia Orientale. L’irredentismo bulgaro si manifestò allora con la creazione della cosiddetta VMRO (Organizzazione rivoluzionaria interna macedone) in cui si distinsero due correnti: una che voleva l’annessione della M. alla Bulgaria; l’altra che pensava in termini di autonomia e indipendenza. La lotta della VMRO si svolse attraverso i metodi della guerriglia e degli attentati, fino alla grande insurrezione del 1903. Intanto, anche i Serbi e i Greci avevano avanzato pretese sulla M., così che le guerre balcaniche del 1912-13 si conclusero con la spartizione della M.: la Bulgaria ebbe la parte sud-orientale; i Serbi quella settentrionale; i Greci quella meridionale. La Bulgaria durante la Prima guerra mondiale si schierò per questo dalla parte degli Imperi Centrali e subì in M. altri sacrifici territoriali (mentre la M. settentrionale entrava a far parte del nuovo Stato iugoslavo).
Nel 1941 la Bulgaria scese in campo a fianco dell’Asse per assicurarsi il possesso della M., di cui occupò una larga parte. Dopo la fine del conflitto si ritornò ai confini del 1919 (con la M. divisa fra Iugoslavia, Bulgaria e Grecia). La dissoluzione della Iugoslavia nel 1991-92 ha portato alla trasformazione della ex Repubblica federata in uno Stato indipendente, che nel 2019 ha assunto la denominazione di Repubblica della Macedonia del Nord.
L’antica lingua macedone è conosciuta soltanto attraverso glosse e nomi propri che rivelano una sua affinità con i dialetti greci e nello stesso tempo caratteri totalmente peculiari, tra cui la presenza di consonanti sonore di fronte alle consonanti sorde aspirate del greco (maced. Βίλιππος = gr. Φίλιππος), in corrispondenza di un’originaria consonante sonora aspirata ‹bh›.
Il macedone, parlato da circa 2 milioni di individui, appartiene al gruppo meridionale della famiglia linguistica slava. È diviso in gruppi dialettali, fino al 19° sec. considerati parte dell’area linguistica bulgara, pur essendo contraddistinti da ca;ratteri peculiari. Dopo il Congresso di Berlino (1878) la divisione politica ha favorito il differenziamento tra macedone e bulgaro. L’alfabeto, cirillico, comprende alcune lettere serbe, segni diacritici (Ќ, Ѓ ‹t’, d’›) e possiede la lettera S ‹ʒ›. L’accento è costantemente sulla terzultima. Come in altre lingue balcaniche, si incontrano elementi pospositivi, articolari e dimostrativi: knigata «il libro», knigava «questo libro», knigana «quel libro».
Solo dopo la Seconda guerra mondiale, con la creazione di una Repubblica macedone nell’ambito della Iugoslavia, è stata ufficialmente riconosciuta l’esistenza di un’autonoma tradizione letteraria macedone (già rivendicata fin dagli inizi del 19° sec.) il cui patrimonio veniva in genere ascritto alla cultura bulgara.
Alla fine del 18° sec., tra gli Slavi della zona balcanica, la lingua slavo-ecclesiastica fu gradualmente spodestata, come lingua culturale, dai dialetti macedoni. Sorse così, presso i Macedoni come presso i Bulgari, una letteratura a carattere devozionale e didascalico rappresentata da testi essenzialmente tradotti dal greco e compresa sotto la denominazione complessiva di damaskini, dal nome del novelliere greco Damaskinos Studita (16° sec.). L’afflusso di sempre più notevoli gruppi slavo-macedoni nelle città fino ad allora dominate esclusivamente dai Turchi o dai Greci creò, nella prima metà del 19° sec., le condizioni per la nascita di una rudimentale borghesia macedone con autonome aspirazioni culturali. Nel 1838, a Salonicco, il pope T. Sinaitski creò una tipografia destinata alla stampa di libri slavo-macedoni. Dopo di lui la produzione letteraria, fin verso il 1850, continuò a essere opera esclusiva del clero. Valore storico-documentario hanno, in quest’ambito, gli scritti del monaco J. Krčovski e quelli di K. Pejčinoviḱ-Tetoec, bibliotecario del monastero di S. Atanasio a Lešak. Lo scoppio della guerra di Crimea (1854-56) contribuì alla maturazione di una nuova coscienza nazionale, che si espresse nell’aspirazione all’autonomia ecclesiastica e nel tentativo di creare uno strumento linguistico capace di unificare culturalmente il paese. Sorse allora una vera e propria questione della lingua. Una corrente facente capo a P. Zografskij propugnò l’elaborazione e l’adozione di una lingua comune bulgaro-macedone, mentre i ‘macedonisti’ sostenevano, soprattutto con gli scritti e le compilazioni lessicografiche di G. Pulevski, l’idea di una lingua nazionale macedone.
Come presso le altre nascenti nazionalità, la nuova cultura macedone attinse nel 19° sec. ai canti popolari. I fratelli Dimitar e Konstantin Miladinov (patrioti morti nelle carceri di Costantinopoli) realizzarono la prima grande raccolta di canti macedoni, da essi però considerati ancora ‘bulgari’ (Bălgarski narodni pĕsni «Canti popolari bulgari», 1861). R. Žinzifov compose il primo poema macedone, Krvava košulja («La camicia insanguinata», 1870), scritto in una lingua letteraria ancora incerta fondata su elementi di varia provenienza. Valore esemplare assumono sia l’opera poetica sia la complessa biografia di G. Prličev, autore di un poema in greco (῾Ο ἁρματολός «Il condottiero», 1860), che abbandonò in seguito la lingua greca per tradurre in un’astratta lingua ‘slava’ l’Ilia;de e il suo stesso poema.
Nel 20° sec. la questione slavo-macedone venne affrontata anche nella pubblicistica serba e bulgara. Intorno al 1930 furono fatti alcuni tentativi di dramma popolare macedone (V. Iljoski, A. Panov, R. Krleski). Dal 1937 al 1941 la nuova letteratura macedone è rappresentata dai versi di Beli mugri («Albe candide», 1939) di K. Racin e dai componimenti poetici di V. Markovski e K. Nedelkovski, scritti in una lingua basata sui dialetti macedoni centrali. Della poesia partigiana sorta durante la Seconda guerra mondiale sono rappresentanti M. Bogoevski e A. Šopov. Dopo la guerra, a una prima fase in cui poeti come S. Janevski, G. Ivanovski e B. Koneski si rivelavano ancora legati ai temi della resistenza e fortemente influenzati dalla tradizione popolare, subentrò negli anni 1950, in seguito al rifiuto del dogma del realismo socialista, un ripiegamento su motivi intimistici e un abbandono a immagini oniriche e irrazionali ispirate al surrealismo; tra i poeti si ricordano M. Matevski, S. Ivanovski e G. Todorovski. Nel campo della prosa, particolare felicità espressiva è raggiunta all’inizio degli anni 1960 dal romanzo Belata dolina («La valle bianca», 1962) di S. Drakul. Nei decenni successivi la letteratura macedone si esprime soprattutto nell’ambito della poesia dove, accanto alla voce femminile di K. Šenfeld-Oljača si affermano T. Čalovski, A. Vangelov, V. Tocinovski e P. Bakevski. La politica di protezione delle minoranze etniche esercitata dai governi macedoni ha inoltre promosso, prima della guerra civile iugoslava (1991), lo sviluppo di una letteratura macedone di lingua albanese, il cui più eminente rappresentante è il poeta e prosatore E. Baša.
La documentazione archeologica è l’unica fonte per la preistoria e la protostoria della regione: abitati, necropoli, produzione ceramica, bronzi e armi. Tuttavia, fino al 6° sec. a.C. la M. è priva di insediamenti significativi e non partecipa allo sviluppo che in Grecia segna la nascita delle poleis arcaiche. Tra la fine del 6° sec. e l’inizio del 5° a.C. si sviluppa il sito di Aianè (architetture raffinate, tombe monumentali); particolarmente ricche le necropoli di Sindos e di Aigai (ceramica, armi, oggetti d’oro, gioielli). Durante il 5° e 4° sec. a.C. la M. diviene un importante centro culturale e una potenza militare in espansione: la capitale è spostata da Aigai a Pella e importanti città (Dion, Amphipolis) vengono interessate dallo sviluppo urbanistico, che prosegue anche durante il regno di Filippo II, tra l’altro grande committente di santuari (Samotracia, Olimpia) e strutture palatine (Pella). Durante il 4° sec. a.C. nasce un nuovo tipo di edificio funebre, con facciata monumentale decorata da fregi e affreschi (Grande Tomba di Leucadia). Altre tombe presentano ricchi corredi, come la Tomba B di Derveni (vasellame d’argento, cratere in bronzo e argento decorato). Probabilmente alla fine del 4° sec. a.C. risalgono il palazzo di Aigai e il complesso di mosaici in ciottoli rinvenuto nelle ricche abitazioni di Pella, mentre nell’intera M. il processo di urbanizzazione giunge al suo apice.
In periodo romano la M. era una provincia modesta, tuttavia attraversata dalla via Egnatia, importante arteria di comunicazione terrestre. Resti di architettura paleocristiana del 5° sec. sono rintracciabili presso Ocrida, mentre a Stobi rimangono testimonianze di basiliche con affreschi e mosaici pavimentali (4°-5° sec.).
Dall’8° sec. la costante influenza bizantina segna le costruzioni sacre con le tipiche piante a triconco. La basilica con transetto a 3 navate di S. Sofia a Ocrida (1036-57) si è arricchita del nartece nel 1313-17. Anche la pittura decorativa, inizialmente caratterizzata da uno stile narrativo, dal 15° sec. mostra una fusione tra l’iconografia paleologa ed elementi dell’arte italiana. Intensa fu l’attività edilizia durante il periodo ottomano (soprattutto nel 15°-16° sec.: moschee di Murat e di Hadji Kaddi ecc.). La costruzione o la riedificazione di chiese e monasteri prosegue tuttavia fino al 19° sec., insieme a edifici per abitazione di tradizione cristiana e islamica (Ocrida, Titov Veles, Kratovo ecc.). Parallelamente prosegue la tradizionale produzione di icone (nel 19° sec., D. Zograf Krstev), mentre nella pittura emergono elementi di arte popolare e di realismo (M. Šojlev, L. Ličenoski, N. Martinoski).
In architettura nel 20° sec. si registra l’accademismo neoclassico di figure quali D. Leko e J. Mihajlović; nella metà del 20° sec. affiora anche l’influsso del funzionalismo di S. Tomovski e D. Ibler, mentre l’arte risente delle principali correnti artistiche internazionali (P. Mazev, S. Kunovski). Dopo la Seconda guerra mondiale programmi di urbanizzazione socialista si hanno a Skopje, Prilep, Ocrida, Titov Veles ecc.; i primi edifici civili pubblici (scuole, ospedali, istituzioni) si devono a D. Petkov, S. Brezoski, A. Serafimovski ecc. Un ritorno alla tradizione, fuso con le tendenze moderne internazionali, si manifesta nelle costruzioni degli anni 1970-1980 (in particolare a Ocrida e Skopje). Nelle arti, accanto a una produzione non figurativa (R. Anastasov, A. Risteski) compaiono sintesi tra nuove forme di espressione (pop art, neoespressionismo, astrazione geometrica), oltre all’affermazione di fotografia, video, installazioni (G. Stefanov; P. Hadji Boškov; J. Grabuloski-Grabul; S. Šemenov; N. Fidanovski). Un segno della Chiesa ortodossa macedone si ha nella Croce del Millennio (2002) che sovrasta lo skyline di Skopje.