CADEDDU, Salvatore
Nato a Cagliari presumibilmente nel 1729, fu tra i protagonisti dei moti angioiani. Esponente del ceto forense, come avvocato, negli anni '90 faceva capo alla sua persona uno dei tre club cagliaritani, quello che si riuniva in località Palabanda, con la partecipazione di artigiani e studenti; fu tra i capi della "emozione" dell'aprile '94. Membro dello Stamento reale, in veste di procuratore di Alghero, negli anni tra il '95 e il '97 ne fu "prima voce" per lunghi intervalli. Candidato alla carica di segretario di Stato, per l'istituenda terza sala, nell'agosto '94 otteneva 14 voti, risultando terzo, dal braccio militare, 3 da quello reale (primo), nessuno dall'ecclesiastico. Nel '99 l'Angioy ne parlava come di uno dei suoi sicuri sostenitori in Sardegna: i dati esteriori lo vorrebbero piuttosto tra quelli del partito di V. Cabras (col quale rappresentò lo Stamento reale alla riunione presso il viceré che designò il C. all'interinato dell'Intendenza generale), pur senza condividerne le fortune. Né dovette avere vita facile, se, nel 1806, lo citavano in tribunale per un debito inevaso di 1.500 scudi.
La notorietà del C. si deve alla congiura del 1812. Era allora segretario dell'università e contadore della città di Cagliari. Aveva tre figli: gli avvocati Luigi, Gaetano ed Efisio, il quale ultimo, per la tenera età, rimase estraneo alla congiura e, più tardi, seguì la carriera giudiziaria fino al grado di consigliere di Corte d'appello e infine di capo del Tribunale di Cagliari, dove morì nel 1848.
In una Sardegna assediata dal blocco continentale, dilaniata da una feroce carestia, la congiura fece leva sulla disponibilità del ceto forense, che vedeva "stremati i guadagni per cagione delle schiantate curie e per l'istituite prefetture" (Siotto Pintor). Anche i congiurati del '12 s'incontravano in Palabanda, in una villa del fratello del C., Giovanni, tesoriere dell'università. Erano avvocati come Massa-Muroni, universitari come Zedda e Garau, ecclesiastici come il teologo Melis (che il La Planargia, nel '95, qualificava giacobino), e G. Muroni, "forse il promotore principale della cospirazione" (Martini), fratello del più noto parroco di Semestene. C'era un folto gruppo di artigiani, tra cui il conciatore R. Sorgia, già segnalato dal La Planargia come capopopolo. La tecnica delle riunioni sapeva di massonico: "la plebe dei congiurati… così poco era a parte dei segreti, da ignorare" il luogo dei "conventicoli" (ibid.): così come, si direbbe, la gradazione dei fini: "pochi intendevano a grandi riforme, molti all'osservanza del diploma del 1799"(Esperson), riguardante la "promiscuità" degli impieghi, ottenuta e subito persa dai curiali sardi. Tutti sembravano orientati a sfruttare la rivalità tra la corte di Vittorio Emanuele I (nell'isola dal 1807) e quella di Carlo Felice, che "componeva la sua famiglia di sardi" (ibid.), con l'obiettivo, portando costui al potere, di una nuova cacciata degli "oltramarini". Circolavano voci di "assicurazioni" francesi, di "promesse" da parte inglese, non del tutto irreali, se si pensa che, qualche mese prima, in Sicilia, lord Bentinck aveva promosso un sommovimento non molto distante dalle aspirazioni dei congiurati; di "concerti" con nobili sardi legati a Carlo Felice. Queste ultime voci, fattesi insistenti dopo, costrinsero il marchese di Villahermosa, nel giugno 1813, a chiedere l'apertura di una inchiesta, che lo discolpò in termini molto formali.
La congiura doveva scoppiare la notte tra il 30 e il 31 ottobre, con una sommossa dei sobborghi di Stampace, Marina e Villanova, e, appoggiata da elementi del battaglione della Regia Marina, espugnare il castello, sostituire, a comando delle guardie, il Villamarina col magg. Asquer, del seguito di Carlo Felice. Messo sull'avviso il Villamarina, non si sa se dalla leggerezza di qualcuno o da una delazione, i più decisero il rinvio del tentativo insurrezionale, contro la volontà dei popolani di Stampace. Costoro furono i primi ad essere perseguiti: arrestati in gran numero il 5 novembre, con Massa-Muroni, furono in parte prosciolti, in parte mandati alle galere a vita; due, Sorgia e Putzolu, impiccati il 13 maggio 1813. I "capi", eccetto Luigi e Giovanni Cadeddu, che non vollero fuggire e furono presi a metà dicembre, ebbero il tempo di dileguarsi. Il Massa-Muroni, condannato al carcere a vita, assieme a Giovanni Cadeddu (che morì nella torre dell'isola di Santo Stefano), fu rilasciato venti anni dopo, con Luigi Cadeddu, che aveva subito la stessa condanna. Nel gennaio 1813 fu spiccata una taglia di 300 scudi sul C. e Gaetano Cadeddu, Zedda e Garau.
Il C., che si era rifugiato nel Sulcis, preso qualche mese dopo, saliva la forca il 13 sett. 1813.
Gli atti del processo, che, come i molti altri istruiti nel quinquennio precedente - tutti insieme concorsero a sfoltire una generazione d'intellettuali sardi -, poggiava sulla pratica della tortura e della subornazione dei testi minori (Bianchi), finirono in mano del Villamarina e da questo al suo erede, che, si sa, impedì al Manno di consultarli. Da allora se ne è persa notizia.
Il figlio del C., Gaetano, era nato a Cagliari il 21 maggio 1770; intrapresa la carriera forense, fu, nel 1803, delegato di giustizia a Pula, poi a Villasor, e, dal 1808, giurisdicente a Quartu. Egli, di cui il Manno ricorda le "belle giovanili sembianze", poté contare sulla protezione del ministro Rossi e, particolarmente, sui favori della regina Maria Teresa e coprì i suoi incarichi con specchiata probità. Non sembra che, nonostante l'accusa di aver preparato un sollevamento a Quartu, mossagli in sede istruttoria, abbia avuto gran parte nella congiura. Datosi alla macchia nel Sulcis, vi rimase fino all'aprile 1813, quando, spinto dal padre, risaliva verso la Gallura e a Longone s'imbarcava per la Corsica.
A Bonifacio incontrò Zedda, Garau e Moroni, come lui condannati a morte in contumacia. Con essi si trasferì ad Ajaccio, sotto la protezione di Napoleone. Quando Napoleone abdicò, Gaetano lo raggiunse all'Elba, entrò nel suo seguito, lo seguì nell'avventura dei Cento giorni, partecipò alla battaglia di Waterloo come direttore delle ambulanze, guadagnandosi la Legion d'onore. Tornò in Corsica, dove, perseguitato, riparò in montagna finché nel '20 fuggiva in Toscana e si stabiliva a Pisa, col nome di Cadelli. Grazie al mecenatismo del protomedico della corte toscana, A. Vaccà, conseguì, in via breve, la laurea in medicina, e, nel '29, ottenne un contratto presso la Reggenza di Algeri, dove stette poco più di un anno, per rientrare, avventurosamente, in Toscana. Nel '32 era ancora in Africa, a Tunisi: sposata la figlia di un medico francese, da cui ebbe un figlio, sembrò aver trovato quiete, quando una grave malattia lo costrinse a farsi curare a Napoli.
Fu poi console di Svezia, Norvegia e Stati Uniti d'America a Sfax e, dal '45, entrò al servizio del bey di Tunisi, come medico capo dei reggimenti. Da segnalare, nel '48, una fugace visita a Cagliari e, nel '57, i contatti con un giovane esule sardo, E. Besson.
Morì a Tunisi il 16 maggio 1858.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Cagliari: Segr. di Stato, s. 2, voll. 1680, 1681, 1690; Atti Govern. e ammin., vol.12, n. 83; Regie provv., cart. 28, n. 58, cart. 36, n. 38; P. Martini, Storia di Sardegna dall'anno 1799 al 1816, Cagliari 1852, pp. 235-239, 241-244; F. A. Pinelli, Storia militare del Piemonte, Torino 1854, II, p. 224; F. Sulis, Dei moti politici dell'isola di Sardegna dal 1793 al 1821, Torino 1857, p. 30; E. Besson, G. Cadeddu, Cagliari 1858; G. Siotto Pintor, Storia civile dei popoli sardi dal 1798 al 1848, Torino 1877, pp. 71 s., 74-76; I. Esperson, Pensieri sulla Sardegna dal 1789 al 1848, Milano 1878, pp. 4245; G. Musio, V. Sulis e i suoi giudici. Costantino Musio, Cagliari 1879, p. 100; N. Bianchi, Storia della monarchia piemontese dal 1773al 1881, Roma-Torino-Firenze 1885, IV, pp. 474-482, 685 s.; C. Brundo, Ricordi storici di G. Cadeddu e dei suoi tempi, Cagliari 1887; C. Tivaroni, L'Italia durante il dominio francese, I, L'Italia settentrionale, Torino-Napoli 1889, p. 85; D. Carutti, Storia della corte di Savoia durante la Rivoluzione francese e l'Impero, Torino-Roma 1892, pp. 1881-89; M. Meloni Satta, Ricordi storici. Effemeride sarda, Cagliari-Sassari 1895, I, pp. 122; II, pp. 52, 54, 95, 99; S. Lippi, Lettere inedite del barone G. Manno a P. Martini (1835-1866), Cagliari 1902, pp. 21 s., 29; A. Boi, G. M. Angioy alla luce di nuovi documenti, Sassari 1925, pp. 83, 106, 109; D. Scano, Don G. M. Angioy e i suoi tempi, in Scritti inediti, Sassari 1962, pp. 266 s., 289, 368; G. Sotgiu, Alle origini della questione sarda, Cagliari 1967, p. 33; F. Cherchi Paba, Don M. Obino e i suoi moti antifeudali lussurgesi (1796-1803), Cagliari 1969, pp. 20, 23, 105; G. Sotgiu, Alcune conseguenze politiche dell'attacco francese alla Sardegna nel 1792-93, in Annali della facoltà di lettere, Filosofia e magistero dell'università di Cagliari, XXIII(1970), p. 51; V. Lai, La rivoluzione sarda e il "Giornale di Sardegna" 1795-1796, Cagliari1971, ad Indicem.