CORTICELLI, Salvatore
Nacque a Piacenza l'8 dic. 1689 da Alessandro e Elisabetta Gabrielli, ambedue bolognesi.
Di famiglia molto agiata, poté compiere i primi studi letterari a Roma, nel collegio del Gesù. Tornato a Bologna, studiò filosofia e giurisprudenza, laureandosi in quest'ultima disciplina ed ottenendo subito dopo l'aggregazione al locale Collegio dei leggisti. Ma l'attività giuridica non rientrò mai fra i suoi interessi privilegiati, che si concentravano invece sulla grammatica e la retorica. Negli anni giovanili fu assiduo collaboratore dell'abate Lazzarini, studioso di eloquenza e rigoroso purista della linea bembesca, che combatteva il concettismo e le involuzioni sintattiche dell'oratoria secentesca in nome del ritorno al classicismo linguistico dei secc. XIV e XV. Grazie ai suoi studi di grammatica, il C. fu accolto nell'accademia del marchese Orsi, tra le più esclusive e qualificate della cultura bolognese del tempo e fu chiamato in cattedra dall'università di Padova. Ma egli preferì restare a Bologna, dove nel 1718 prese i voti come "prete professo" nella Congregazione di s. Paolo (Ordine dei barnabiti). All'interno dell'Ordine arrivò a ricoprire altissime cariche: venne eletto più volte provinciale e una volta presidente del capitolo generale. Dal 1735 al 1756 fu inoltre penitenziere della metropolitana di Bologna.
L'ingresso in convento rinnovò nel C, l'interesse per gli studi filosofici e teologici. Lesse, glossò e commentò le opere di s. Agostino, insegnò teologia a Foligno e filosofia a Bologna e mise mano a parecchi trattatelli teologici e morali rimasti però incompiuti. L'obiettivo centrale della sua attività di studioso rimaneva comunque la grammatica, e nel 1745 pubblicò a Bologna le Regole ed osservazioni della lingua toscana, opera che ebbe un grandissimo successo (se ne contano ben quarantotto edizioni) grazie anche al carattere manualistico e didascalico che la rendeva molto adatta all'insegnamento scolastico.
Il trattato è diviso in tre libri, dedicati rispettivamente alla morfologia, alla sintassi e alla pronunzia e ortografia. Le regole esposte sono in genere corredate da esempi tratti prevalentemente da scrittori dei sec. XIV e in particolare da Boccaccio, la cui prosa il C. considerava "la migliore che abbia la nostra lingua". Tali preferenze attirarono al C. critiche nell'ambiente letterario bolognese, ostile al fiorentinismo esasperato dei puristi e fautore di una lingua nazionale che accogliesse contributi lessicali "moderni" o comunque provenienti anche da altre aree regionali. E anche per questo probabilmente che nella seconda edizione delle Regole (Bologna 1754) il C. introdusse nel repertorio degli esempi la distinzione fra autori "antichi" (secc. XIVXV) e autori "moderni" (dal sec. XVI in poi), incrementando notevolmente il numero dei passi tratti da questi ultimi. Rispetto ai trattati allora in uso (particolarmente diffusi erano ancora quelli del Buonmattei e del Cinonio, scritti ambedue intorno alla metà del sec. XVII), la novità della grammatica corticelliana consisteva soprattutto nella dichiarata volontà di introdurre un "metodo" complessivo ed esauriente nella trattazione e sistemazione dei singoli argomenti. Il metodo del C., tuttavia, si differenziava profondamente dal Nuovo Metodo di Port-Royal, la cui prima edizione italiana (1722) aveva già determinato la nascita di una vera e propria scuola: l'operazione del C. rimaneva infatti tutta all'interno della tradizione purista che concepiva il metodo come mero strumento di sistemazione didattica della materia grammaticale, approdante a una precettistica rigorosa e onnicomprensiva. Strettamente descrittiva, la grammatica metodica del C. tende costantemente a classificare e suddividere il più minuziosamente possibile la materia, badando più alle esigenze dell'apprendimento mnemonico che a quelle di un accertamento causale e logicamente connesso dei fenomeni e delle loro interdipendenze.
La pubblicazione delle Regole valse al C. l'ammissione all'Accademia della Crusca (1747). Fu la stessa Accademia che lo incaricò di redigere un trattato sull'eloquenza italiana, che il C. pubblicò nel 1752 a Bologna con il titolo Della toscana eloquenza discorsi cento detti in dieci giornate da dieci nobili giovani in una villereccia adunanza.
Plasmato con perfetta aderenza sul modello del Decameron (proemio, introduzione generale, introduzioni alle singole giornate), il trattato dedica ogni giornata alla trattazione di un problema retorico. I problemi affrontati sono, nell'ordine, l'elocuzione toscana, l'amplificazione, la descrizione, la narrazione, l'invenzione, il movimento degli affetti, il costume, la disposizione del discorso, i vari generi di componimenti, la poesia lirica. Le discussioni rappresentate sono naturalmente infarcite di exempla, tratti per la massima parte dal Boccaccio, ma anche da "moderni" come Traiano Boccalini. Compaiono inoltre nel volume alcuni sonetti dello stesso C., addotti come esempio di perfetta imitazione del linguaggio poetico petrarchesco. Sebbene la trattazione dei problemi retorici non si discosti quasi in nulla dalla tradizione classica facente capo ad Aristotele, Cicerone e Quintiliano, il Della toscana eloquenza presenta rispetto alle Regole un evidente ammorbidimento del rigore puristico a vantaggio della libertà dello scrivere che per il C. è la principale garanzia della possibilità di espressione autonoma da parte della fantasia e del talento.
Durante la stesura del trattato il C. curò anche un'edizione purgata del Decameron, pubblicata a Bologna nel 1751 "per uso principalmente dei modesti giovani della toscana lingua studiosi".
Tale pubblicazione provocò un'aspra polemica col frate servita Alessandro Bandiera, autore a sua volta di un'antologia del Decameron attentamente censurata. Il Bandiera accusò il C. di aver privilegiato l'amore della bella lingua rispetto alle ragioni della morale, e di esser stato quindi troppo indulgente nella scelta delle novelle e dei passi. Il C. si difese con una lunghissima lettera (1754 o 1755) in cui riaffermava i diritti dell'illustrazione retorica e confutava le accuse di eccessiva licenziosità mosse dal Bandiera. Un'altra polemica epistolare oppose il C. all'Alamanni, segretario dell'Accademia della Crusca nel 1752; la polemica nacque dai sospetti del C. di non essere ben accolto e sufficientemente appoggiato nell'Accademia perché bolognese e non fiorentino. La disputa si esaurì comunque nel giro di un mese (dal luglio all'agosto 1752) con ampie assicurazioni dell'Alamanni circa l'assoluta equanimità dei membri dell'Accademia.
Negli ultimi tempi della sua vita il C. pose mano a un grosso trattato filosofico-teologico, dal titolo Della cristiana perfezione nella idea e nella pratica; iltrattato, rimasto incompiuto, si proponeva la confutazione del deismo illuministico che cominciava a diffondersi anche in Italia. Ugualmente incompiuti rimasero un Trattato sulla fede, alcuni studi di teologia tomistica e un canzoniere di imitazione petrarchesca dedicato alla Vergine.
Nel 1756, abbandonato per motivi di salute l'incarico di penitenziere della cattedrale bolognese, il C. si ritirò nel vicino collegio di S. Paolo, dove morì il 5 genn. 1758.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. di S. Carlo ai Catinari, A. Griffini, Salvatoris Corticelli Cler. Reg. Sancti Pauli Vita, ms.; Bibl. Apost. Vaticana, Vat. lat. 9281: G. M. Mazzuchelli, Memoriale per servire alle vite dei letterati viventi, I, n. 43; G. A. Morandi, Elogio biogr. di S. C., in Annali letter. d'Italia, Modena 1762, III, p. 480; M. Fontana, Vita del p. don S. C., intr. alla III edizione delle Regole ed osservanze della lingua toscana, Bologna 1775; G. Fantuzzi, Notizie degli scrittori bolognesi, Bologna 1781-1790, III, p. 215; E. De Tipaldo, Biografie degli italiani illustri, IV, Venezia 1837, pp. 384-385; G. Rosasco, Sette dialoghi della lingua toscana, Torino 1777, pp. 323 ss.; F. A. Zaccaria, Storia letteraria d'Italia, Venezia 1750-1753, 111, p. 550; VI, p. 77; X, pp. 7-10; A. Lombardi, Storia della letteratura italiana nel sec. XVIII, Modena 1827-1830, IX, pp. 6 s.; C. Lucchesini, Della illustr. delle lingue ant. e moderne, in Opere, Lucca 1832, VII, pp. 88, 171, 173; A. Garelli, Iscrizioni per celebri bolognesi, Bologna 1874, p. 44; F. Corniani, I secoli della lett. ital., Torino 1856, VII, p. 5; N. Tommaseo, Dizionario estetico, Milano 1850, I, p. 80; G. B. Passano, Novellieri italiani in prosa, Torino 1878, II, pp. 202 ss.; C. Cantù, Della letter. ital., Torino 1894, II, p. 590; P. Ferrieri, Guida allo studio critico della letteratura, Torino 1896, p. 334; I. Pizzi, Storia della letter. ital., Torino 1899, p. 259; B. Morsolin, Il Seicento, Milano s.d., p. 161; T. Concari, Il Settecento, Milano s.d., p. 400; C. Trabalza, Storia della grammatica ital., Milano 1908, ad Indicem; G. Boffito, Scrittori barnabiti o della Congregazione di S. Paolo (1533-1933), Firenze 1933, I, pp. 534-546; M. Sarubbi, Un grammatico ital. del secolo XVIII, Napoli 1941.