FABBRICHESI, Salvatore
Nacque a Venezia nel 1760 da una famiglia di agiati commercianti. La sua passione per il teatro maturò Probabilmente in seguito all'incontro con Francesca Pontevichi, attiva a Venezia come prima attrice giovane nella compagnia Zanerini tra il 1781 e il 1783. Le prime prove del F. come attore non misero in luce alcun particolare talento, tanto che egli dovette accontentarsi di ruoli prima di generico e quindi di caratterista in compagnie di giro. Sposata, probabilmente nel 1786, la Pontevichi, il F. formò con lei una compagnia, prima, come testimonia il Rasi (p. 249), in società con altri oscuri comici e quindi da solo, "acquistandosi gran fama come capocomico". Attorno al 1800 era noto per le sue messe in scena, allestite con spirito innovatore, e per l'impegno dimostrato nella difesa della dignità dei comici, avendo "fatto cessare da' suoi scritturati il zingaresco costume dei viaggi in barca" (Costetti, p. 35) e avendo loro imposto una serie di norme di condotta "sociale" e teatrale estremamente rigide.
Nel 1807 venne chiamato a Milano dal viceré del regno d'Italia, Eugenio di Beauharnais, con l'incarico di formare una compagnia reale, chiamata Compagnia dei commedianti italiani ordinari di S.A.I.R., sul modello della Comédie-Française, che agisse al teatro della Scala o in quello della Canobbiana, quando non vi fossero rappresentate opere liriche o spettacoli di balletto.
L'accordo, stipulato tra il viceré e il F., prevedeva una paga per il capocomico pari a 50.000 franchi l'anno e stipendi altissimi per tutti i componenti della compagnia - dai 1.000 zecchini veneziani (quasi 12.000 lire) per la prima attrice, Anna Fiorilli Pellandi, ai 200 per il generico primario Alberto Tessari. Estremamente favorevoli per il F. anche altre clausole del contratto: il capocomico poteva scegliere liberamente i suoi attori tra i più rinomati del tempo, aveva il permesso di assentarsi da Milano con la compagnia con il diritto di precedenza sulle altre ditte del Regno e la facoltà di aumentare i prezzi dei biglietti di ingresso nei teatri d'Italia. In cambio di questi privilegi, il F. si impegnava a far rappresentare dalla sua compagnia tutti i lavori nuovi, tragici, drammatici e comici, scelti da una apposita "commissione sugli spettacoli", e ad allestire con proprietà "tutte le produzioni del repertorio, secondo l'epoca storica o ideale di ciascuna di quelle" (Costetti, p. 36).
In una sua lettera al caratterista assoluto Luigi Pertica il 24 ag. 1807 (riportata dal Manzi) si trovano numerose conferme della modernità degli intenti del F. alla guida della nuova compagnia: non solo il capocomico impegnava i suoi attori ad una condotta irreprensibile, ma chiedeva loro una serietà e un impegno all'epoca impensabili: "La diligenza nelle prove, nell'apprendere le parti e nella civile subordinazione saranno portati all'apice e il mancare a questi articoli con recidiva darà il diritto di sciogliere il contratto"; così nella scelta dei costumi si chiedeva non solo, "decenza", ma anche coerenza con il carattere rappresentato e con l'ambientazione della messa in scena e inoltre si sottolineava l'importanza di "consultare il capocomico ed eseguirne i suggerimenti". Pur di ottenere un credibile effetto di insieme e il perfetto apprendimento della parte il F. si impegnava ad assegnare i ruoli ta tempo debito" e a dare dei premi in denaro "per i quattro attori più diligenti, studiosi e dal comportamento morale". La compagnia, che, a detta del F., "comprendeva i migliori soggetti della declamazione italiana", era composta nel 1807 da Anna Fiorilli Pellandi, prima attrice assoluta, Carolina Cavalletti Tessari, amorosa, Teresa Angelini, madre nobile, Francesca Pontevichi, caratterista, e quindi due primi attori, Giuseppe De Marini, per ruoli comici e drammatici, e Paolo Belli Blanes solo per ruoli tragici, Giovanni Bettini primo amoroso, Antonio Belloni, padre nobile. Con questi elementi, e soprattutto grazie alle eccezionali doti di interprete romantica della Fiorilli Pellandi e ai furori tirannici del Belli Blanes, che "a motivo delle ferocie rappresentate e dette nella sua parte, suscitava gli odii e i furori del popolo minuto" (Barbiera, p. 42), il F. portò al successo i drammi storici e lacrimosi di S. A. Sografi, divenuto nel 1807 il poeta della compagnia. Oltre alla produzione tseria" del Sografi (Lucrezia Dondi Orologio-Obizzi, La caduta del tempio di Diana in Efeso, Alessandro ed Apelle, Bianca Cappello) e alle sue commedie filosofico-umanitarie (La quarta generazione, L'ingrato, Il vitalizio, Ortensia), il F. mise in scena opere di Goldoni (La moglie saggia, La vedova scaltra, Gli innamorati), di F. A. Avelloni (Le tre Carlotte, Le tre Annette), di Alfieri (Mirra, Antigone, Sofonisba) e di S. Maffei (Merope).
Dal 1807 alla caduta del regime napoleonico il F. continuò a dirigere la Compagnia reale, alternando le stagioni milanesi con alcune tournées in altre città. Il progetto di recitare con continuità a Venezia al S. Samuele, che il F. aveva affittato per cinque anni a partire dal 1806, naufragò di fronte alla decisione del generale S.A.F. Miollis di limitare drasticamente le rappresentazioni teatrali e a nulla valsero le richieste di un indennizzo finanziario da parte del F. (cfr. la lettera del F. al prefetto dell'Adriatico del 18 luglio 1807, in Roma, Biblioteca del Burcardo, Fondo Rasi); il capocomico decise allora di recarsi nel 1808 nell'Italia centrale e, l'anno successivo, a Napoli con una compagnia in parte rinnovata per l'ingresso di Laura Civili e Gaetano Piomarti, e quindi in tutte le città dell'Italia settentrionale, ottenendo dovunque un enorme successo. Il favore del pubblico non lo abbandonò quando, nel 1812, fu costretto a sostituire l'amatissima Pellandi con la Cavalletti Tessari, anche grazie all'accurato lavoro d'insieme che permetteva di mettere in luce le doti di tutti gli interpreti e alla meticolosa cura della scenografia e dei costumi che rispondeva al gusto illusionistico del teatro romantico.
Dopo la Restaurazione, fallito un suo tentativo di creare una compagnia "regia" a Milano. fu a Napoli prima al teatro del Fondo, poi al teatro dei Fiorentini "con grande e meritato successo" (Di Giacomo, p. 454) e a Napoli diede vita al teatro dei Fiorentini ad una compagnia reale stabile su modello francese, con uno stipendio annuo di 12.000 ducati e il ruolo di capocomico unico, ma l'iniziativa non ebbe il successo desiderato, poiché il popolo napoletano rimase attaccato alle sue tradizioni teatrali, preferendo al dramma storico o lacrimoso del repertorio del F. le farse di Pulcinella. Al rinnovo del contratto, le condizioni proposte dalla corte non furono giudicate vantaggiose dal F. che preferì abbandonare l'iniziativa. Tornò quindi nel 1824 al Nord: fu con una compagnia in parte rinnovata (Luigi Vestri primo attore e Amalia Bettini prima donna) a Venezia, Trento, Verona, Milano, ritrovando il successo di un tempo che non lo abbandonò fino alla fine.
Mori a Verona nell'autunno del 1827.
Fonti e Bibl.: Roma, Biblioteca del Burcardo, Fondo Rasi, ms. 153.19: A. Colomberti, Notizie storiche dei più distinti comici e comiche che illustrarono le scene italiane dal 1780 al 1880, p. 134; S. Di Giacomo, Cronaca del teatro S. Carlino, Trani 1854, p. 454; F. Regli, Dizionario biografico..., Torino 1860, pp. 190 s.; L. Rasi, I comici italiani, I, Firenze 1897, pp. 249-253; A. Manzi, Piccole beghe di grandi artisti, in Appendice dell'arte drammatica, Milano 1897, pp. 97-103; G. Costetti, Il teatro italiano dell'800, Rocca San Casciano 1901, pp. 34-38; R. Barbiera, Vite ardenti del teatro, Milano 1931, pp. 41 ss.; N. Leonelli, Attori tragici, attori comici, I, Milano 1940, p. 350; M. Apollonio, Storia del teatro italiano, IV, Firenze 1950, pp. 127 ss.; V. Viviani, Storia del teatro napoletano, Napoli 1969, p. 519; Enc. d. spettacolo, IV, col. 1752; Enc. Italiana, XIV, p. 695; X, p. 994.