FERRAGAMO, Salvatore
Nacque a Bonito piccolo paese dell’Irpinia a 45 km da Avellino, il 5 giugno 1898, undicesimo di quattordici figli (7 maschi e 7 femmine), da un'umile famiglia contadina. I genitori Antonio di Gennaro Ferragamo (1853-1912) e Mariantonia di Girolamo Ferragamo (n. 1856, non si hanno notizie circa l'anno di morte) originari del luogo, erano in grado di sostenere la numerosa progenie solo grazie ai prodotti di due appezzamenti di terra e di un orto di loro proprietà. Bonito era infatti un 'villaggio' di appena 4500 anime, che lo stesso Salvatore Ferragamo definì nella sua autobiografia «un vicolo cieco», tagliato fuori dal resto del mondo, senza alcuna prospettiva.
L’infanzia di Salvatore fu segnata da stenti e avversità. Ancor prima della sua nascita, le speranze per il futuro della famiglia erano state riposte nel primogenito Agostino (1880). L’esiguo reddito derivante dalla vendita delle produzioni più pregiate, insieme ai modesti risparmi accumulati e a tutto il denaro racimolato a prestito, vennero destinati al suo mantenimento agli studi all’Università di Napoli. A pochi mesi dalla laurea in lettere, conseguita nel 1899 ad appena 19 anni, e dall’incarico di insegnamento all’Università di Firenze, Agostino fece ritorno nella casa di famiglia in uno stato di grave deperimento fisico, che lo portò a contrarre prima la polmonite e poi la pleurite, causandone la morte il 2 dicembre 1901.
Le conseguenti difficoltà economiche della famiglia segnarono il destino degli altri fratelli che, già prima della nascita di Salvatore, furono costretti a emigrare negli Stati Uniti: una delle pochissime chance per il futuro della popolazione del luogo.
Il primo a partire fu Secondino appena dodicenne nel 1895, poi fu la volta di Girolamo (1889), di Alfonso (1891), e quindi, a una a una, delle sorelle maggiori, Teodolinda (1884), Clotilde (1886), Alessandrina (1893) e quindi Carmela (1895). In qualità di figlio maschio maggiore rimasto, Salvatore, nel 1907, all’età di nove anni, appena terminata la terza elementare, si mise alla ricerca di un lavoro per aiutare i genitori nel mantenimento dei fratelli più piccoli Elio (1900-1922), Giuseppina e Rosina. Salvatore espresse da subito il desiderio di fare il calzolaio, una passione nata sin dalla più tenera età nei pomeriggi trascorsi nella bottega del ciabattino del paese Luigi Festa, di fronte a casa sua, un mestiere però ritenuto dai suoi genitori troppo umile e poco 'decoroso'. Antonio e Mariantonia cedettero, infine, alle insistenze del figlio quando, dopo le infruttuose esperienze come sarto, barbiere e falegname, in appena una notte si dimostrò capace di realizzare le scarpe bianche delle sorelle per la cerimonia della prima comunione.
Iniziò allora un periodo di apprendistato presso la bottega di Festa, durante il quale il piccolo Salvatore arrivò a realizzare calzature per le signore più in vista di Bonito. A 11 anni, un anno dopo la morte del padre, emigrò a Napoli per perfezionarsi nel mestiere e soprattutto ampliare le sue conoscenze riguardo alle pelli e ai modelli di calzature femminili in voga nella società dell’epoca. Nel 1910, quindi, a soli 12 anni, grazie al prestito di 20 lire dello zio materno Alessandro allestì una propria bottega nella casa di famiglia a Bonito, con due lavoranti. Nonostante l’iniziale diffidenza degli abitanti del luogo, l’attività in breve tempo si guadagnò un crescente successo. La clientela di Salvatore, grazie alla sua abilità e inventiva, si estese ai ceti più abbienti dei villaggi e delle cittadine del circondario. Dati i crescenti ordinativi assunse altri 4 lavoranti, raggiungendo una produzione di 20-25 paia di scarpe la settimana. Quando, nel 1912, arrivò dagli Stati Uniti in visita a Bonito il fratello Alfonso, Salvatore, appena quattordicenne, era già un piccolo imprenditore. Alfonso, operaio in una delle più grandi e rinomate fabbriche di calzature della costa orientale, la Queen Quality Shoe Company di Boston, impressionato dall’attività di Salvatore e soprattutto dalle sue capacità, lo sollecitò ad ampliare i suoi orizzonti e soprattutto a cogliere opportunità di ben più consistenti guadagni in America, dove il settore calzaturiero era in forte espansione trainato dalla crescita economica e dei consumi del Paese.
Dopo lunghi ripensamenti Salvatore nella primavera del 1914, alla vigilia del primo conflitto mondiale, si risolse a partire, cedendo alle insistenze del fratello, che tornato negli Stati Uniti aveva continuato a spronarlo. A Napoli, poco prima di imbarcarsi sul piroscafo diretto a New York, acquistò in un negozio del centro un elegante cappotto di gabardine con il collo di pelliccia e un ombrello: non sarebbe approdato in America come un 'povero provinciale', ma come un vero cittadino. All’arrivo alla stazione di Boston le sorelle Clotilde e Alessandrina e il cognato Joseph Covelli, andati ad accoglierlo, neanche lo riconobbero tanto era ben vestito. Pochi giorni dopo andò in visita alla fabbrica che il fratello gli aveva descritto e dove ancora lavorava il cognato. Rimase 'inorridito' dalla lavorazione a macchina delle calzature: questa produzione non aveva niente a che fare con il mestiere di calzolaio, non vi era alcuna abilità personale. Scrisse immediatamente ai fratelli Alfonso, Girolamo e Secondino, che pochi mesi prima si erano trasferiti a Santa Barbara in California, e li raggiunse. Fermo nella sua determinazione di realizzare scarpe a mano, insieme ai fratelli aprì nel centro della cittadina californiana un negozio di riparazioni e scarpe su misura, che ben presto raggiunse la notorietà grazie alla realizzazione dei cowboy boots e di calzature per le produzioni di lungometraggi western e in costume dell’American Film Company, e – soprattutto – alle ordinazioni private di scarpe su misura da parte di famose attrici, come Mary e Lottie Pickford e Pola Negri.
Salvatore iniziò a sperimentare e introdurre pellami esotici e nuovi modelli e forme di calzature. Per Barbara La Marr inventò e confezionò le prime scarpe con tacco molto alto e la 'punta alla francese', arrotondata. Con la creazione dei primi sandali 'alla romana', realizzati per una principessa indiana – e grazie a un articolo pubblicato sul diffuso quotidiano Los Angeles Times – la sua fama crebbe. Parallelamente alla sua intensa attività lavorativa, in questo periodo, volle affinare e approfondire le sue conoscenze sulla forma e struttura dei piedi e sui processi di lavorazione della pelle e realizzazione dei modelli, iscrivendosi ai corsi serali di anatomia dell’Università della California a Los Angeles, e successivamente ai corsi per corrispondenza di ingegneria chimica della scuola di Scranton, in Pennsylvania, e di matematica della prestigiosa Università di Berkeley. Furono esperienze formative che fornirono a Salvatore una preparazione tecnica e scientifica fondamentale per le sue successive innovazioni, a partire dalla scoperta del segreto del modello della scarpa perfetta, attraverso la realizzazione di una nuova sagoma delle forme in legno del piede e, quindi, l’invenzione del cambrione (inventato nel 1929 e brevettato nel 1931), una lamina di metallo, inserita nella suola, che fungeva da supporto e rinforzo all’arco del piede. Le ottime prospettive di Salvatore – alle quali, oltre ai fiorenti affari del negozio, avevano contribuito la venuta negli Stati Uniti del fratello minore Elio e l’acquisizione della cittadinanza americana – furono compromesse agli inizi degli anni Venti, dallo spostamento a Hollywood dell’American Film Company per ragioni fiscali, che ridussero considerevolmente le ordinazioni di calzature su misura. Salvatore maturò, quindi, il progetto di trasferire l’attività a Los Angeles, trovando la ferma opposizione dei fratelli, a eccezione di Elio. Neanche le drammatiche conseguenze di un grave incidente automobilistico, in cui morì proprio Elio, e lo stesso Salvatore riportò la frattura del femore, da cui riuscì a riprendersi solo dopo sei mesi, lo fecero desistere dal suo proposito. L’apertura nella primavera del 1923 dello Hollywood Boot Shop, dedicato alla fabbricazione di calzature, all’angolo tra Las Palmas Boulevard e Hollywood Boulevard, segnò definitivamente la carriera di Salvatore. Si consacrò come il calzolaio dei divi di Hollywood, da Rodolfo Valentino a Joan Crawford e Jean Harlow, grazie ad ardite e innovative creazioni come i tacchi a cavaturacciolo ornati di perle finte realizzati per Gloria Swanson, le scarpe arcobaleno con tacchi dorati per Dolores Del Rio, le pantofole di raso multicolore per Lilian Gish e i sandali a serpente in scaglie dorate per Esther Ralstone. Il modello più ardito, raro e costoso creato da Salvatore in questi anni furono le scarpe décoletées di piume di colibrì del costo di ben 500 dollari. Al suo crescente successo concorse, inoltre, l’affermarsi di un nuovo stile di abbigliamento femminile, più pratico e moderno, caratterizzato da gonne accorciate che evidenziavano e valorizzavano le calzature. Il rilievo sempre più consistente delle ordinazioni, spinse Ferragamo a organizzarsi su più larga scala e, proprio a questo scopo, fece ritorno in Italia alla ricerca di abili operai per l’avviamento di un’attività artigianale di produzione di calzature. Quindi, nel 1927, dopo aver a lungo peregrinato per l’Italia, scelse Firenze come sede della sua impresa artigianale di calzature da donna. Forte della sua esperienza e profonda conoscenza del mercato americano, Ferragamo vide nella città toscana il luogo ideale per sviluppare il proprio estro creativo, intuendo prima di ogni altro le potenzialità dell’immagine evocativa della città quale culla della civiltà e della tradizione artigianale rinascimentale. Reperito un locale in via Mannelli n. 57, iniziò a realizzare il suo progetto: una catena di montaggio manuale su larga scala per la produzione di calzature sulla base di modelli e forme da lui direttamente preparati. In breve tempo il laboratorio, grazie ai materiali e all’attrezzatura da lui stesso forniti, avviò l’attività con una sessantina di lavoranti. Nel corso degli anni Venti il numero dei laboratori e delle case di moda in città era notevolmente aumentato, a testimonianza del consumo crescente di capi di abbigliamento e accessori, e soprattutto di una nuova cultura della moda, che si stava progressivamente diffondendo anche attraverso le pubblicazioni fiorentine specializzate, come Almanacco della donna italiana (1920) e La moda d’oggi (1923). All’epoca le attività più note nel campo della pelletteria in città erano quelle di Gherardini (fondata da Garibaldo nel 1885 e specializzata in astucci e borsette da donne) e di Guccio Gucci (nata nel 1921 e rinomata per articoli da viaggio e da selleria).
La produzione delle ditte e dei laboratori di moda fiorentini aveva una clientela principalmente locale, a differenza di Ferragamo le cui calzature erano realizzate esclusivamente per il mercato estero, soprattutto americano. Nel 1928, dopo un lungo soggiorno negli Stati Uniti per raccogliere gli ordinativi, Salvatore al suo ritorno trovò il laboratorio nella più totale disorganizzazione. Si risolse, quindi, a licenziare la vecchia squadra di lavoranti per assumerne una nuova di apprendisti da istruire e avviare al mestiere di calzolaio. La scuola di apprendistato ebbe successo e in breve tempo l’impresa riuscì a decollare, arrivando a contare circa un centinaio di addetti. Le calzature Ferragamo iniziarono a valicare le Alpi e a raggiungere dopo l’America anche i principali centri europei di Londra, Parigi e Berlino, eleggendo Salvatore come un pioniere e un artefice del made in Italy.
Dal 1929 Ferragamo iniziò a richiedere i primi brevetti per modelli ornamentali, invenzioni e marchi di impresa, giungendo a realizzarne sino al 1960, anno della sua morte, ben 350. Le ideazioni degli anni Venti risentirono del clima culturale e artistico dell’epoca, come le tomaie 'patchwork' che traevano ispirazione dalle realizzazioni di abiti e copriletti di Sonia Delaunay e dai tessuti della tradizione americana, mentre i sandali dorati con il tacco sfaccettato a piramide si rifacevano alle coeve scoperte archeologiche in Egitto. Non mancarono le invenzioni ardite frutto delle competenze tecniche acquisite durante il soggiorno americano, legate all’utilizzo di materiali del tutto inusitati come la pelle di pesce (di dentice e di leopardo marino).
La progressiva apertura di nuovi mercati spinse Ferragamo a valersi di campagne promozionali, commissionando nel 1930 al pittore futurista Lucio Venna quattro manifesti per un pieghevole pubblicitario e probabilmente l’ideazione dell’etichetta del marchio delle scarpe Ferragamo’s creations. Il contatto con Venna e il secondo futurismo non fu l’unica relazione con i rappresentanti della realtà culturale ed economica locale. Nel 1932 partecipò alle presentazioni della Mostra della moda, organizzate in occasione della manifestazione della Primavera fiorentina, insieme ad alcune delle più note sartorie fiorentine come Aiazzi Fantechi, Yella Bellenghi, Emilia Bossi e Virginia Calabri. L’allestimento delle sfilate intese proporre al pubblico fiorentino una prima vetrina delle creazioni delle case di moda locali, riallacciandosi al più generale progetto mussoliniano di promozione di una moda di origine nazionale, quale simbolo di italianità.
Nonostante il suo fervore creativo e la sua abilità tecnica, all’inizio degli anni Trenta, Ferragamo attraversò un periodo di difficoltà. Gli effetti della crisi del 1929, la svalutazione del dollaro e un’incauta gestione lo portarono nel 1933 alla bancarotta. Tuttavia non si arrese e nel volgere di un anno fu in grado di riprendere e sviluppare l’attività, che nel 1935 si trasferì nei locali di palazzo Spini Feroni, uno dei più antichi palazzi fiorentini, situato nella centrale e prestigiosa via Tornabuoni.
L’emergenza autarchica e la rarefazione delle materie prime, come la pelle, stimolarono l’estro creativo di Ferragamo, che ideò nuovi modelli utilizzando materiali inconsueti, recuperati dalle tradizionali lavorazioni dell’artigianato locale e nazionale della paglia, della rafia, della canapa, della tela e del merletto, come pure dalle lavorazioni più innovative della gomma, delle fibre artificiali e del plexiglass. Nel 1937 brevettò una delle sue più celebri creazioni: il tacco a zeppa di sughero, che lanciò una nuova moda a livello internazionale, segnando la storia della calzatura femminile. La sua fantasia e originalità innovativa vennero encomiate dallo stesso Ente nazionale della moda, e soprattutto pubblicizzate in articoli di importanti riviste di moda italiane ed estere come Vogue America (luglio 1937) e Illustrazione italiana (dicembre 1939), consacrandolo come il principale simbolo della produzione italiana di calzature.
Nel 1938 inaugurò due esercizi di vendita, a Londra e a Roma, cui poi si aggiunsero quelli di Milano, Torino, Genova, Lido di Venezia, Napoli e Viareggio. Agli inizi del 1939 le esportazioni delle scarpe Ferragamo raggiungevano oltre l’America e le principali nazioni europee, i mercati del Canada e dell’Australia. Dopo i divi del cinema americano, personaggi del jet set e del mondo politico – come la regina Elena, consorte del re d’Italia Vittorio Emanuele, Maria José del Belgio, sposa di Umberto II di Savoia, Eva Braun compagna di Hitler e la principessa indiana Maharani di Cooch Behar – iniziarono ad apprezzare la fantasia e la qualità delle calzature Ferragamo. Con l’ingresso dell’Italia nel secondo conflitto mondiale, l’attività dell’azienda di Ferragamo, che nel 1939 contava 400 addetti, e una produzione di 200 paia di calzature al giorno, si ridusse drasticamente. Nell’estate del 1940, all’età di 42 anni Salvatore in visita nel suo paese natale conobbe Wanda Miletti, figlia diciottenne del medico condotto e sindaco di Bonito, un incontro che segnò una svolta nella sua vita sia affettiva sia professionale. La coppia si sposò nel novembre successivo a Napoli e, dopo una breve luna di miele a Sorrento, si stabilì a Firenze nella villa il Maiano a Fiesole, acquistata da Salvatore nel 1938. Dall’unione nacquero sei figli: Fiamma (1941-1998), Giovanna (1943), Ferruccio (1945), Fulvia (1950), Leonardo (1953) e Massimo (1957).
Negli anni centrali del conflitto, in un’epoca di forzata stasi lavorativa, Ferragamo si applicò alla progettazione di macchine da difesa e da combattimento come il «fortino marino» e il «sirulante a lancio plurimo», brevettati nel 1943 (Ricci, 2004, p. 34). Gli anni della guerra furono particolarmente duri per Salvatore e la sua famiglia, anche a causa di infondate accuse di spionaggio prima e di collaborazionismo poi.
Il secondo dopoguerra rappresentò per Ferragamo, per la moda e il design italiani l’epoca della definitiva consacrazione. Nel 1947 ricevette, insieme a Christian Dior, il Neiman Marcus Award, l’Oscar della moda assegnato annualmente dal prestigioso grande magazzino americano ai creatori e addetti del settore distintisi a livello internazionale, grazie alla creazione del sandalo invisibile. Al ritorno in Italia, dopo la consegna del premio, festeggiò a palazzo Spini Feroni con i suoi operai, cui regalò 5 kg di prezioso zucchero a testa. Salvatore intese sempre favorire un clima familiare nei suoi laboratori, condividendo con i suoi dipendenti i tempi di lavoro e quelli di pausa, interessandosi personalmente alla loro vita. Con l’avvio della ricostruzione, il negozio fiorentino di Ferragamo riprese a richiamare l’esclusiva clientela di dive e personaggi del mondo pubblico e politico internazionale, come Greta Garbo, Paulette Godard, Soraya e Wallis Simpson, che insieme alle calzature dell’ormai celebre Ferragamo iniziarono a scoprire e apprezzare le nuove creazioni della moda italiana. Tra il 1947 e il 1948 i modelli di borse in pelle di Gucci, gli abiti creati da Simonetta Visconti di Cesarò e i completi da sci di Emilio Pucci conquistarono le pagine di Harper’s Bazaar, una delle più importanti riviste di moda statunitensi. Il fenomeno del made in Italy si andava delineando, occorreva adesso sostenerlo con iniziative concrete.
Fu questo lo spirito con cui Ferragamo, nonostante l’ormai acquisita notorietà internazionale, aderì a diverse iniziative locali come il grande ballo storico a palazzo Strozzi nel 1948, dedicato alla Donna italiana nei secoli, con abiti creati da Elsa Schiaparelli e la sfilata di alta moda della primavera del 1949 in occasione del Maggio fiorentino insieme a Christian Dior. Nel febbraio 1951 contribuì, quindi, alla nascita ufficiale della moda italiana, progettata e realizzata da Giovanni Battista Giorgini con l’organizzazione delle prime sfilate di moda a palazzo Pitti, con il lancio del sandalo 'kimo' con calzetta intercambiabile, di ispirazione giapponese, indossato dalle modelle con gli abiti del celebre sarto romano Emilio Schuberth.
Negli anni Cinquanta, l’affermazione della moda italiana e la fase di forte espansione economica stimolarono la crescita dell’azienda di Ferragamo, che in quegli anni arrivò a contare circa 700 dipendenti, con una produzione giornaliera di 350 paia di scarpe. Le nuove opportunità di mercato spinsero Salvatore a espandere e diversificare la sua attività produttiva che dal 1955 iniziò a comprendere la fabbricazione e commercializzazione di foulard di seta. L’accrescersi degli affari non lo distolse però dalle sue sperimentazioni creative. Tra il 1952 e il 1956 ideò e brevettò numerosi nuovi modelli: la scarpa a tacco alto con tacco rivestito di pelle flessibile come un guanto, detta gloved arch, la ballerina in camoscio con punta arrotondata e 'suola a conchiglia' (suola avvolgente che risale sul tallone, ispirata ai mocassini degli indiani d’America) creata per Audrey Hepburn nel 1954, divenuta poi un modello iconico, il sandalo con tacco a gabbia in filo metallico e lo stivaletto in tessuto elasticizzato di broccato di seta realizzato per Sofia Loren, entrambi del 1955. Il boom dei consumi contribuì ad accrescere la clientela di Ferragamo, che accanto ai nomi delle grandi star come Ingrid Bergman, Anna Magnani e Marilyn Monroe, iniziò ad annoverare una sempre più folta schiera di anonimi acquirenti. Salvatore avviò, quindi, il progetto di linee secondarie meno costose di calzature, come le Ferragamo Debs e le Ferrina Shoes, realizzate in Inghilterra, almeno parzialmente, con la lavorazione a macchina.
L’aumento sempre più sostenuto degli ordinativi, soprattutto dagli Stati Uniti, lo indusse a implementare il sistema di produzione delle calzature della prima linea utilizzando la lavorazione a macchina. Salvatore intese, comunque, preservare l’artigianalità delle calzature, limitando l’uso delle macchine alle fasi meno importanti della lavorazione, che per il 60% continuò a essere realizzata a mano. Nell’estate del 1960 le sue condizioni di salute si compromisero. Ferragamo morì a Firenze il 7 agosto 1960 all’età di 62 anni.
L’azienda passò, quindi, in gestione alla moglie Wanda, che era stata sempre al suo fianco, e che con l’aiuto dei figli ha saputo proseguire e ampliare la sua attività, tramandare e tutelare la sua memoria. Nel 1995 è stato inaugurato a Firenze nella sede storica dell’azienda, il museo Salvatore Ferragamo, un esempio pionieristico in Italia di museo aziendale, che con la sua ampia raccolta di modelli di calzature, brevetti, forme di legno, disegni, documenti e fotografie celebra e testimonia l’intero arco della sua vita professionale.
L'azienda possiede carte e documentazione personale non ufficialmente accessibile, segnalata come Fondo Documenti conservato presso il museo Salvatore Ferragamo di Firenze. Una filza di documenti sull'azienda si può consultare presso la Camera di commercio di Firenze, Archivio anagrafico delle imprese, Salvatore Ferragamo.
Nell’ambito dell’ampia bibliografia esistente legata principalmente all’attività e alle mostre del museo Ferragamo (e per il quale si rinvia al sito www.ferragamo.com/museo) si segnala a partire dalla fondamentale biografia dello stesso Ferragamo, pubblicata a Londra nel 1957, ma tradotta in italiano solo all’inizio degli anni Settanta: Il calzolaio dei sogni, Firenze 1971, una selezione di testi: G. Vergani, Cronaca di una vita e di un lavoro, in I protagonisti della moda: S. F., 1898-1960, Firenze: Palazzo Strozzi, 4 maggio-30 giugno 1985 (catal.), Firenze 1985, pp. 15-21; K. Aschengreen Piacenti, Scarpe di sogno, in S. F., a cura di G. Buccellati - S. Ricci, Milano 1990, pp. 67-83; S. Ricci, Il mestiere del calzolaio, ibid., pp. 85-94; S. Ricci, I brevetti e i marchi di impresa di S. F. dal 1929 al 1960 e oltre, in Idee, modelli, invenzioni. I brevetti e i marchi di impresa di S. F. dal 1929 al 1964 (catal.), Livorno 2004, pp. 32-43; S. Ricci, Alla ricerca delle calzature autarchiche, in Museo Internazionale della calzatura Vigevano, Lusso & Autarchia. 1935-1945 S. F. e gli altri calzolai italiani, Livorno 2005, pp. 23-38; S. F. Evolving legend 1928-2008 (catal.), Milano 2008; V. Pinchera, La moda in Italia e in Toscana dalle origini alla globalizzazione, Venezia 2009, pp. 20 s., 97 s., 288-291; S. Risaliti, Reminiscenze e ispirazioni in S. F., Ispirazioni e visioni (catal.), Milano 2011, pp. 43-77; I. Inguanotto, Elda Ceccherle and the Italian Fashion World. From S. F. to Roberta di Camerino (1950-1970), in Textile History, 2012,43, 1, pp. 223-249.