GIUSTI, Salvatore
Non si conoscono gli estremi biografici di questo pittore, attivo a Napoli fra il 1815 e il 1845. Tradizionalmente la data di nascita viene fissata al 1773 o al 1793; ma non esiste alcun riscontro documentario a supporto di tali ipotesi. Valutando i dati certi relativi alla sua attività, è comunque plausibile pensare che il G. nascesse a Napoli agli inizi dell'ultimo decennio del Settecento. Il suo primo maestro fu il padre Andrea (Napoli, 1755 circa - 1820), ricordato da Grossi (p. XXVII) come "pittore di fiori e di animali" e, soprattutto, per la sua attività di pittore di decorazioni.
Ornamentista e decoratore molto richiesto dalle più importanti famiglie nobili napoletane, prolifico paesaggista e generista, stimato dalla critica contemporanea e dalla committenza pubblica e privata, il G. fu fortemente influenzato dalla pittura fiamminga del Seicento, sia nelle opere a carattere devozionale (in cui il riferimento a David Seghers e alle sue "Madonne inghirlandate" è trasparente) sia nella trattazione della pittura di paesaggio e di natura morta, quest'ultima filtrata dall'esperienza dei maggiori epigoni napoletani del genere, dai Recco a Baldassare De Caro, da Andrea Belvedere a Giacomo Nani.
Attribuibili al G. sono alcuni disegni preparatori per la decorazione di una sala di Capodimonte, raffiguranti Carolina Murat su una biga trainata da aquile, conservati presso la Società napoletana di storia patria e databili prima del 1815 (Picone Causa, 1974, p. 105); mentre, firmate e datate al 1818, sono due Scene con cavalieri, in pendant, attualmente presso la prefettura di Napoli (Carughi - Martorelli - Porzio, pp. 113 s., tavv. 9 s.), probabilmente, per i soggetti simili e per le misure pressoché identiche, da identificarsi con Cavalieri che fanno alto in un sito pittoresco e Valle con rocce, masse d'alberi e figure, due scene tratte da T. Tasso, citate da Stanislao D'Aloe nella descrizione della collezione di dipinti del principe di Salerno (1842).
Nel 1821 il G. fece richiesta alla Casa reale di occupare il posto vacante di restauratore di quadri antichi, ma senza successo. Nel 1824 concorse al restauro del teatro S. Carlo, distrutto nell'incendio del 12 febbr. 1816, e dipinse la galleria e la sala da pranzo della villa Floridiana, realizzata su progetti di Antonio Niccolini; e sempre sotto la direzione di Niccolini, nel 1826, collaborò alla realizzazione dell'apparato funebre per Lucia Migliaccio duchessa di Floridia. In questo stesso anno copiò da Guido Reni, per la galleria di villa Lucia al Vomero, L'Aurora, inserita fra gli ornati di Gennaro Bisogno (Garzya Romano).
Professore onorario dell'Istituto di belle arti dal 1822 (Lorenzetti, p. 231), il G. partecipò assiduamente alle Biennali borboniche fin dalla prima del 1826, dove espose La s. Vergine col Bambino, Interno di una tana, Cucina con figure, Sacra Famiglia, Un cane da caccia, Suonator di cetra assiso alla marina di Sorrento, due quadri raffiguranti Polli che furono acquistati per la collezione reale, per 48 ducati (Picone Petrusa, 1993, p. 132), e che, dall'inventario di palazzo reale del 1834, risultano nella "Stanza per scrivere, Appartamento della Regina Regnante" (trasferiti nel 1882 nel palazzo di Capodimonte, nel 1939 sono stati collocati presso il palazzo del Quirinale a Roma: Porzio, 1999, pp. 118 s.).
Tra il 1825 e il 1830, il G. fu impegnato nella pittura degli ornati di genere del salottino pompeiano nella reggia di Capodimonte (Id., 1991, p. 855). Partecipò all'esposizione borbonica del 1830 con un Paese con una cerva, per il quale si specificava che era tratto "da un Fiammingo", con La s. Vergine col Bambino in chiaroscuro circondato da una gran ghirlanda di fiori (acquistata dalla Casa reale per 120 ducati, ora a Napoli, al Museo di Capodimonte: Picone Petrusa, 1993, p. 132) e con cinque nature morte con fiori, frutta o pesci. Una di queste ultime, Frutta con uccello, fu acquistata per l'appartamento reale e dal 1951 si trova a villa Rosebery a Napoli (Porzio, 1999, p. 119).
Agli inizi degli anni Trenta, in collaborazione con Gennaro Maldarelli e Vincenzo Longhetti, fu impegnato nella decorazione della galleria di villa Doria d'Angri a Posillipo, dipingendo con motivi ornamentali fixés per sovrapporte, ma anche le sedie e altri elementi dell'arredamento, sotto la direzione dell'architetto Guglielmo Bechi.
Dal 1832 al 1837 il G. risulta essere il maggior responsabile dell'intera decorazione pittorica del palazzo e della villa del principe Ruffo della Scaletta (Garzya Romano).
All'esposizione borbonica del 1833 presentò una miniatura su cristallo - Un putto che prende i pesci da un vaso - e un dipinto, pubblicato sul catalogo della mostra con il titolo Composizione di fiori, di frutti, di quadrupedi, volatili ecc. con vaso di pesci nel mezzo, premiato con la medaglia d'oro "piccola", che fu acquistato per le collezioni reali per 90 ducati, e oggi nel Museo di Capodimonte. Nel 1835 presentò due nature morte con Pesci, fiori, frutta e uccelli, una Madonna in una ghirlanda, un Paesaggio con riposo di guerrieri e due scene di caccia, una caccia di quadrupedi (da identificarsi con Caccia al capriolo del Museo di Capodimonte) e Paesaggiocon caccia: questi ultimi dipinti furono acquistati, per 100 ducati, per le collezioni reali, insieme con "due quadri di farfalle", che però non sono citati nel catalogo dell'esposizione (Picone Petrusa, 1993, p. 132). Del 1836 è la decorazione in stile pompeiano del salone da ballo, della cappella e di altri interni della reggia di Capodimonte.
Il G. fece anche parte del gruppo di artisti chiamati dall'architetto Gaetano Genovese per la sistemazione del palazzo reale di Napoli (1837-42) e di quello di Caserta (1845 circa). Per Napoli, si possono attribuire a lui le decorazioni degli appartamenti di Ferdinando II (attualmente facenti parte degli spazi occupati, all'interno dell'ala orientale di palazzo reale, dalla Biblioteca nazionale Vittorio Emanuele III): in particolare, per l'affresco inserito nel bagno a esedra, esiste un disegno preparatorio raffigurante Il carro di Venere, conservato presso la Società napoletana di storia patria (Porzio, 1991, p. 855).
Nel 1837 prese ancora parte alla Biennale borbonica con Cascata di acqua con armenti, registrato negli inventari di palazzo reale con il titolo Paesaggio degli Abruzzi con cascate, armenti e contadine a cavallo, e con un Paesaggio con contadina, tori e cavalli sciolti, trasferiti presso il Museo di Capodimonte nel 1893. In quell'anno risultano acquistati dalla Casa reale, per una cifra di 400 ducati, altri due dipinti del G., L'isola di Sora e Il ponte della Maddalena. Alla mostra del 1839 partecipò con una Veduta con pergolato, acquistata dalla Casa reale fuori dell'esposizione e registrata negli inventari con il titolo Paesaggio con figure e armenti (L'isola d'Ischia), attualmente in sottoconsegna al Circolo dell'Unione del teatro S. Carlo di Napoli (Id., 1999, pp. 118 s.), con una natura morta di Camelie e con un Paesaggio con riposo di alcuni soldati, di cui è stata proposta l'identificazione con il Notturno con bivacco di cavalieri (Napoli, prefettura: Carughi - Martorelli - Porzio, p. 68, tav. 11). Il G. fu ancora alle Biennali del 1841, con Veduta della montagna di Cannito in Abruzzo, e del 1843, con S. Ferdinando re di Castiglia smontato da cavallo si prostra innanzi alla croce apparsa in testa di un cervo e con una Veduta presa da' Ponti Rossi con pastori che danzano, ed altre figure che camminano.
Fra le sue opere di carattere sacro è nota la pala d'altare con la Natività della Vergine, realizzata per la chiesa di S. Marta a Napoli (Galante).
Nel 1845, il G. è documentato ancora tra Napoli, come "pittore fiorista" con lo studio al n. 47 di salita Tarsia (Album), e Ancona (Napier). Dopo questa data mancano notizie su di lui.
Anche i fratelli del G. si dedicarono alla pittura. Lorenzo, che nacque a Napoli intorno al 1778 (Grossi, p. XXXI), nell'ultimo decennio del Settecento collaborò con il padre Andrea alla decorazione della villa Favorita a Portici (Ortolani); e, sempre come decoratore, nel terzo decennio dell'Ottocento, sotto la direzione di Bartolomeo Grasso, intervenne nei due palazzi contigui della Riviera di Chiaia, a Napoli, del principe Francesco Strongoli Pignatelli (Garzya Romano). Pittore di soggetti sacri, dal 1830 iniziò la sua partecipazione alle Esposizioni di belle arti nel Real Museo borbonico, presentando S. Francesco di Paola in una nicchia circondata di fiori e, in pendant, un S. Francesco di Assisi. Nel 1833 presentò un dipinto dal titolo Il Sacro Cuore di Maria e una Sacra Famiglia; nel 1835, un Gesù addormentato; nel 1841, Il Ss. Cuore di Gesù. Nel 1843 partecipò alla mostra con tre dipinti, Il Ss. Cuore di Gesù, Il Ss. Cuore di Maria e La Vergine, s. Giuseppe e gloria. Un suo piccolo quadro, S. Filomena, datato 1837, fu acquistato per le collezioni private reali, e attualmente risulta essere in sottoconsegna a villa Rosebery (Porzio, 1999, p. 118).
Lorenzo morì nel 1848 e venne inumato nella cappella dei Ss. Anna e Luca dei professori di belle arti, nel cimitero di Poggioreale a Napoli (Registro dei morti, 1848, p. 20, n. 713).
L'altro fratello del G., Giuseppe, nacque a Napoli nel 1789 (Grossi, p. XXXIII). La sua unica partecipazione alle esposizioni borboniche risale al 1830, quando presentò un disegno, L'angelo Gabriele, da Guido Reni. Le poche notizie circa la sua attività di pittore derivano da Grossi che lo definisce "figurista capace a contraffare la maniera del nostro Salvator Rosa, così nelle figure, che nei paesaggi". Giuseppe morì a Napoli nel 1854 e fu sepolto nella cappella del Crocifisso del cimitero della città (Registro dei morti, 1854, p. 261, n. 1520).
Furono pittori e decoratori anche alcuni figli del Giusti. Gioacchino, nato a Napoli nel 1815, si iscrisse al Real Istituto di belle arti e in qualità di alunno iniziò giovanissimo le sue partecipazioni alle esposizioni borboniche: nel 1833 presentò un disegno, Campagna con armenti e nel 1835 un olio su tela raffigurante un Paesaggio, ottenendo la medaglia d'argento di seconda classe (Filioli). Alla mostra del 1837, sempre come alunno, partecipò con quattro dipinti: Paesaggio, Paesaggio con casamento, Veduta generale di Napolipresa dal casino del signor Dupont, Veduta di Napoli dalle paludi del ponte della Maddalena. Quest'ultimo dipinto risulta acquistato in occasione dell'esposizione dalla Casa reale al prezzo di 240 ducati (Picone Petrusa, 1993, p. 131), ed è registrato, con il titolo Mulinoad acqua nelle paludi napoletane con vacca e figure, nell'inventario di palazzo reale del 1874 insieme con un Esterno di villa sulle alture di Posillipo con marinaio che suona il mandolino, probabilmente commissionato a Gioacchino come pendant del Mulino ad acqua, considerate le misure praticamente identiche dei due dipinti e la loro datazione (1837). Attualmente, il Mulino ad acqua risulta essere in sottoconsegna all'avvocatura distrettuale dello Stato; mentre Esterno di Villa è esposto nella retrostanza XXV del palazzo reale di Napoli (Porzio, 1990, p. 390). Sempre a palazzo reale si trova un altro dipinto di Gioacchino firmato e datato 1838, registrato nell'inventario del 1874 con il titolo Veduta della Real Casina di Capodimontecon panorama e gruppi di animali che bevono.
Partecipò all'esposizione borbonica del 1841 con Veduta di Pozzuoli dalla strada che porta a Licola e Veduta della Cava. Negli inventari di palazzo reale, Gioacchino è ancora presente con una Veduta dei dintorni di Napolipresa dal lago di Averno, firmata e datata 1859, che permette di definire quell'anno come l'ultimo certo di attività dell'artista (Id., 1999, p. 117).
Benché la sua formazione artistica avvenisse nel periodo in cui Anton Sminck Pitloo era titolare della cattedra di paesaggio all'Accademia di belle arti di Napoli, Gioacchino, almeno nella sua produzione conosciuta, sembra ignorare le nuove istanze della cosiddetta Scuola di Posillipo, preferendo muoversi nell'ambito della più solida, e gradita alla corte napoletana, tradizione hackertiana, seppur filtrata attraverso le esperienze di quel paesaggismo romantico di cui furono epigoni i tanti pittori stranieri presenti a Napoli fra la fine del Settecento e l'inizio dell'Ottocento.
Guglielmo (nato a Napoli l'8 giugno 1824 e ivi morto dopo il 1916), come il fratello Gioacchino, frequentò il Real Istituto di belle arti e, come alunno, partecipò all'esposizione borbonica del 1859 con due opere, La festa dei gigli di S. Paolino in Nola e Veduta d'Ischia con figure: quest'ultimo dipinto fu premiato con la medaglia d'argento e acquistato dal re Francesco II. Le sue opere ottennero anche una buona segnalazione da C.T. Dalbono, che nella sua recensione osservò che "teneva una bella via tra la vecchia e la nuova scuola". In realtà Guglielmo, pittore di paesaggi, solo nelle sue prime prove appare ancora legato ai modi hackertiani appresi in famiglia; poi, sia per frequentazione diretta dei più moderni paesaggisti napoletani (fu amico e allievo di Teodoro Duclère, oltre che collezionista delle sue opere) sia per la necessità commerciale di incontrare il favore dei collezionisti e mercanti stranieri (con la caduta dei Borbone e della loro corte venivano meno buona parte delle committenze locali), si uniformò ai dettami della Scuola di Posillipo, utilizzando sia la pittura a olio sia, con risultati migliori, l'acquerello e la tempera. Il suo nome ricompare nel catalogo dell'Esposizione nazionale di belle arti tenuta a Napoli nel 1877, dove presentò un acquerello, Porto e castello di Ischia, e in quelli della Mostra della Società promotrice di belle arti del 1883, con Case alla marina di Capri (acquistato dalla Provincia di Napoli) e Isola di Capri, e del 1885, con Capri, Marina Piccola, faraglioni.
Nel catalogo della importante mostra del 1936, Il paesaggio nella pittura napoletana dell'Ottocento, organizzata dal Sindacato interprovinciale fascista di belle arti di Napoli, della famiglia Giusti compare solo Guglielmo con due dipinti della collezione Menotti Bianchi di Napoli: Cava dei Tirreni e Capri.
Le uniche notizie relative ad Andrea, probabilmente un altro figlio del G., sono quelle della partecipazione all'esposizione borbonica del 1843, con un dipinto raffigurante La S. Vergine col Bambino, e della presenza di una sua opera, S. Gennaro, firmata e datata 1854, nelle collezioni reali borboniche (Porzio, 1999, p. 117). In un documento del 1852 relativo alla morte, avvenuta a pochi giorni dalla nascita, di un suo figlio, Andrea è indicato come "dipintore", abitante "alla salita Infrascata 211".
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Napoli, Stato civile, Sez. Avvocata (1852), atto 184; G.B.G. Grossi, Ricerche sull'origine, sul progresso e sul decadimento delle arti dipendenti dal disegno, Napoli 1821, pp. XXXI, XXXIII, XXXVII; G. Filioli, Dialoghi sopra alcune opere di pittura, scultura, architettura ed intaglio messe in mostra nel Real Museo Borbonico il dì 30 maggio dell'anno 1833, in Annali civili del Regno delle Due Sicilie, II (1833), 3, p. 107; S. D'Aloe, Guide pour la précieuse collection des tableaux de son altesse royale le prince de Salerne placés dans deux salles supérieures du Musée Royal Bourbon (1842), in Napoli nobilissima, XV (1906), p. 94; Catalogo delle opere di belle arti. Esposizione nel palagio del Real Museo Borbonico, Napoli 1843; Album scientifico artistico letterario, Napoli 1845, p. 427; F. Napier, Notes on modern painting at Naples, London 1855, p. 130; A. Petti, Guida pittorica ossia Analisi intorno allo stile della scuole di pittura e degli artisti italiani e stranieri antichi e moderni, Napoli 1855, p. 44; P.C. Calá Ulloa, Pensées et souvenirs sur la litterature contemporaine du Royaume de Naples, Genève 1859, pp. 101-103; C.T. Dalbono, Ultima Mostra di belle arti in Napoli…, Napoli 1859-61, p. 35; G.A. Galante, Guida sacra della città di Napoli, Napoli 1872, p. 112; S. Di Giacomo, Luci ed ombre napoletane, Napoli 1914, p. 284; E. Giannelli, Artisti napoletani viventi: pittori, scultori, architetti, Napoli 1916, p. 273; S. Di Giacomo, Catalogo biografico della mostra della pittura napoletana dell'Ottocento, Napoli 1922, p. 87; F. Pfister, La Scuola di Posillipo, in Bollettino del Ministero della Pubblica Istruzione, 1925-26, p. 164; G. Ceci, Bibliografia per la storia delle arti figurative nell'Italia meridionale, II, Napoli 1937, p. 688; M. Biancale, La pittura napoletana del secolo XIX, in La pittura napoletana dei secoli XVII, XVIII, XIX (catal.), a cura di S. Ortolani, Napoli 1938, p. 348; C. Lorenzetti, L'Accademia di belle arti di Napoli, Napoli 1952, pp. 230 s.; S. Ortolani, Giacinto Gigante e la pittura di paesaggio a Napoli e in Italia dal Seicento all'Ottocento, a cura di R. Causa, Napoli 1970, pp. 127, 129; Artecatalogo dell'Ottocento. Vesuvio dei pittori napoletani, II, Roma 1973, p. 159; M. Picone Causa, Disegni napoletani della Società napoletana di storia patria, Napoli 1974, pp. 105-107; C. Garzya Romano, Interni neoclassici a Napoli, Napoli 1978, p. 156; A. Ricciardi, Filippo Palizzi e il suo tempo, Firenze 1988, p. 57; U. Carughi - L. Martorelli - A. Porzio, Il palazzo della prefettura, Napoli 1989, pp. 68, 113-115, tavv. 9-11; A. Porzio, Gioacchino Giusti, in All'ombra del Vesuvio. Napoli nella veduta europea dal Quattrocento all'Ottocento (catal.), Napoli 1990, pp. 161, 218, 390; Id., G. (Giusto), S., in La pittura in Italia. L'Ottocento, II, Milano 1991, pp. 855 s.; F.C. Greco - M. Picone Petrusa - I. Valente, La pittura napoletana dell'Ottocento, Napoli 1993, pp. 131 s.; M. Ricciardi, La costa di Amalfi nella pittura dell'Ottocento, Salerno 1998, p. 251; A. Porzio, La quadreria di palazzo reale nell'Ottocento, Napoli 1999, pp. 117-119; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIV, p. 225; Diz. encicl. Bolaffi…, VI, p. 107.