GRITA, Salvatore
Nacque a Caltagirone il 15 marzo 1828. Fu inizialmente affidato alle monache di clausura, ma più tardi lo presero con loro il padre naturale, il falegname Giovanni che lo riconobbe nel 1854, e sua moglie Marianna Noto.
Il suo primo contatto con la scultura avvenne nella bottega del marmoraro catanese Pasquale Privitera, attivo a Caltagirone; ma nel 1849, grazie a un sussidio del Comune, il G. si trasferì a Catania per ricevere una più qualificata istruzione artistica. Entrò quindi nello studio del pittore classicista Giuseppe Gandolfo e nel 1854 fu segnalato dall'intendente di Catania Angelo Panebianco allo scultore Antonio Calì, allora impegnato in città alla messa in opera della sua statua di Ferdinando I. Alla fine di novembre di quell'anno il G. lo raggiunse a Napoli, dove lo scultore catanese insegnava presso l'istituto di belle arti. Grazie al magistero di questo si impadronì di un mestiere sofisticato e di un controllo classicista della forma che in seguito seppe legare alle istanze del realismo, guardando anche alla scultura toscana quattrocentesca.
Entrambi i motivi si ritrovano esemplati nell'opera di esordio, La speranza nella sventura (gesso), modellata tra il 1855 e il 1856.
Il G. affrontò con quest'opera un nuovo tipo di soggetto contemporaneo "di genere" di ispirazione morale e religiosa, forse suggestionato da quelli introdotti da Domenico Morelli e Saverio Altamura nella pittura di storia e sacra, in grado di alludere all'attualità politica (Damigella, 1998, p. 19). Il gesso verrà poi presentato all'Esposizione nazionale di Firenze del 1861.
Proprio in virtù del soggetto edificante, la traduzione in marmo della scultura, ordinata nel 1856 dal Comune di Caltagirone, ma effettivamente deliberata, dopo continue dilazioni, solo nel 1863 per 5100 ducati, venne destinata all'orfanotrofio di S. Luigi per le fanciulle povere.
Nel 1856 il Comune gli assegnò anche una pensione quadriennale di scultura, equivalente a 432 ducati annui, da riscuotersi nelle città di Napoli e Firenze, essendo interdetta Roma ai pensionati borbonici dopo i fatti del 1848.
L'anno successivo Ferdinando II decretò vincitore il suo bozzetto al concorso per l'obelisco da erigere in piazza Duomo a Caltagirone in onore dello stesso sovrano.
Il tema è svolto in stile gotico e celebra la devozione religiosa del monarca per la Vergine Immacolata, di cui nel 1854 era stato proclamato il dogma (Prudenzano). L'opera non venne realizzata per la caduta del Regno. Il G. dichiarò tuttavia successivamente di aver voluto egli stesso rinunciarvi per scelta politica.
Tra il settembre e l'ottobre del 1860 tentò di raggiungere G. Garibaldi, arrivando a Santa Maria di Capua; immediatamente dopo partì da Napoli per Firenze.
Negli anni successivi si mantenne lavorando all'ornato della Camera dei deputati, facendo il formatore per altri artisti e realizzando alcuni busti, tra i quali quello del ministro Filippo Cordova, modellato dal vero a Torino nel 1863, ancora non rintracciato. Contemporaneamente si dedicò alla sua opera maggiore, mai tradotta in marmo o bronzo e andata in seguito dispersa dopo gli inutili e reiterati tentativi di ottenerne l'acquisto da parte dello Stato, cioè il gruppo La notte del 27 maggio 1860 a Palermo.
Si tratta di un episodio del bombardamento, presentato nello studio di via Barbano, n. 6, presso piazza Indipendenza, nel gennaio del 1867 (fotografia conservata presso il Museo civico di Caltagirone). Il soggetto dell'opera, dedicata "alla coscienza dei governi", era lontano dal tono celebrativo della storia ufficiale, denunciando il dramma delle vicende anonime degli umili, secondo un'ispirazione sociale umanitaria. Diego Martelli vi lesse l'identità tra reale e verità dell'arte, sancendo il ruolo dello scultore nell'affermazione della corrente realista. L'opera nacque in ambiente macchiaiolo: il G. frequentò infatti Telemaco Signorini, Vincenzo Cabianca, Cristiano Banti, mentre Ugolino Panichi fu il tramite per l'aggiornamento sulla cultura figurativa francese. È stato inoltre segnalato il rapporto che l'opera istituisce con la lezione del "bello naturale" di Lorenzo Bartolini, cogliendo anche le analogie iconografiche tra il gruppo del G. e Il mondo. La tavola degli amori dello stesso Bartolini (Damigella, 1998).
Le sculture che seguono ripresentano le costanti dell'impegno sociale, del soggetto ostico per il mercato artistico, ma finalizzato a stimolare la riflessione del pubblico, e un realismo che contempera attraverso il rigore formale le ragioni della correttezza accademica.
Il voto contro natura (Firenze, Galleria nazionale d'arte moderna, già in collezione Martelli), forse memore della Gravida dormiente di Adriano Cecioni (Napoli, Museo nazionale di Capodimonte: Damigella, 1998, p. 45), rappresentazione di una religiosa incinta in cui la disperazione spirituale trova rispondenza nello squallore dell'ambientazione architettonica, è l'anticlericale denuncia delle monacazioni forzate. La Cieca leggitrice (1868-69) è una variazione sul tema dell'intimista Leggitrice di Pietro Magni. L'opera fu il frutto delle visite dello scultore all'asilo dei ciechi di Milano, compiute appositamente per i necessari confronti con il vero, ed è dedicata al pioniere dell'istruzione per non vedenti Valentin Haüy. Esposta a Napoli ottenne alla IV Promotrice del 1869 il premio speciale in denaro di 3000 lire e a quella di Firenze l'anno successivo si aggiudicò la medaglia d'oro. In seguito fu tradotta in marmo e acquistata nel 1880 dal ministero della Pubblica Istruzione per farne dono alla regina Margherita (Roma, Ospizio per i ciechi).
Tra il 1872 e il 1874 il G. realizzò La piccola proletaria (fotografia presso il Museo civico di Caltagirone), omaggio al socialismo umanitario dell'industriale Robert Owen e alle sue riforme in campo pedagogico.
Nel frattempo, con la collaborazione nel 1867 alla redazione del periodico fiorentino Il Gazzettino delle arti del disegno, organo dei macchiaioli diretto da Martelli, iniziò l'attività di polemista e critico d'arte militante che avrebbe caratterizzato sempre più l'ultima fase della sua vita assicurandogli un ruolo significativo nel dibattito sulla scultura monumentale.
Nel 1867 fece parte della commissione per l'assegnazione dei premi al primo concorso artistico di pittura di Firenze e fu coinvolto in una polemica artistica dalla Nuova Antologia, alla quale rispose criticando la burocrazia dei vincoli imposti ai concorrenti, limite alla libertà dell'artista.
Tra il 1872 e l'anno successivo diresse con Adriano ed Enrico Cecioni il Giornale artistico, pubblicandovi articoli a sostegno del realismo e del superamento delle convenzioni accademiche, affermando la centralità dello Stato nel settore della didattica artistica e la missione civile e pedagogica dell'arte pubblica.
Al Convegno artistico di Napoli del 1877 Ettore Ferrari riuscì a far approvare il progetto di una mostra nazionale stabile a Roma, destinata in prospettiva a divenire il centro dell'arte italiana, contro le tendenze localistiche espresse dalle scuole regionali. Il G. si dissociò dagli amici toscani legati a una posizione decentrista, e decise di stabilirsi a Roma. Nello stesso anno partecipò al concorso per il Monumento a Vincenzo Bellini a Napoli: inizialmente fu dichiarato vincitore; ma in seguito perse la commissione e ne ritenne responsabile Giovanni Morelli.
Fedele all'ideale di un'arte destinata all'educazione civile della nazione e avverso ai generi premiati dal mercato, attese acquisti e commissioni pubbliche dallo Stato.
Ottenne alcuni sussidi e l'ordinazione di qualche busto, come quelli di Alessandro Manzoni (1875-76) e Massimo d'Azeglio (1877-78). Le sue pressanti richieste indirizzate a politici come Francesco Crispi e Ferdinando Martini per ottenere incarichi più importanti sono però in contrasto con la vena poco produttiva e l'inadempienza dimostrata quando li ricevette, come nel caso della statua di Gianlorenzo Bernini in travertino, commissionata nel 1881 dal Comune di Roma per l'attico di palazzo delle Esposizioni, non consegnata in tempo e terminata da Augusto Viola dopo l'esclusione del G. dall'incarico. Partecipò ai concorsi nazionali per i monumenti a Vittorio Emanuele II, sia a quello di Torino del 1779, sia a quello di Roma del 1881, dove venne giudicato tra i migliori e premiato con la medaglia d'argento.
Nel 1883 la sezione retrospettiva della prima Mostra nazionale a palazzo delle Esposizioni fece il punto sul realismo, affermando il primato cronologico della scuola napoletana. La notte del 27 maggio 1860 a Palermo fu esclusa, però, sia da quella sezione sia da quella toscana. La vicenda si tradusse nel mancato acquisto dell'opera da parte dello Stato.
Le delusioni professionali si sommarono così all'avversione per la politica artistica del governo nei libelli polemici del 1884 e del 1885 indirizzati contro il presidente del Consiglio Agostino Depretis e negli Schizzi critici del 1898.
Il G. vi chiariva i fondamenti culturali di matrice positivista ed evoluzionista del suo pensiero, cioè gli scritti di Charles Darwin e di Herbert Spencer. Sulla base del legame tra espressione artistica e condizioni socio-economiche postulato da Hippolyte Taine, gli esiti secondo lui fallimentari dei monumenti postunitari riflettevano la decadenza civile dell'Italia che aveva tradito le promesse del Risorgimento.
Dopo gli ultimi busti eseguiti su commissione di Crispi, quello dello stesso F. Crispi (disperso) e della moglie Rosalia Montmasson (1885: Pisa, Museo civico), e di Ruggero Bonghi (Busto della regina Margherita, 1890: Anagni, convitto Regina Margherita), le ristrettezze economiche lo portarono alla perdita e al sequestro dello studio di via Porta S. Lorenzo, n. 92, nel 1897. L'anno successivo dichiarò di abbandonare le idee politiche liberali per il socialismo.
Le ultime collaborazioni del 1902 con le riviste Fantasio e L'Italia moderna esaminavano le recenti rassegne di Venezia e Roma.
Una rinascita della scultura contro le tendenze decorative e classiciste ufficiali era attesa da artisti come Giovanni Prini, di cui frequentava il cenacolo artistico, Michele La Spina, Salvatore Buemi e Carlo Fontana. L'esposizione di "Bianco e Nero", dedicata alla grafica nel 1902 dagli Amatori e cultori di belle arti di Roma, gli apparve infine come il luogo di un rinnovamento formale capace di sviluppi futuri.
Il G. morì a Roma il 18 giugno 1912.
Fonti e Bibl.: F. Prudenzano, Intorno a un nuovo monumento da erigersi nella piazza del Duomo di Caltagirone per l'artista S. G., in Poliorama pittoresco, XVIII (1857), 48, pp. 377 s.; D. Martelli, Esposizione. Del gruppo del sig. S. G. rappresentante La notte del 27 maggio 1860 in Palermo, in Gazzettino delle arti del disegno, I (1867), pp. 12-14; N. Tommaseo - L.V., La cieca leggitrice. Statua di S. G., in La Gioventù, X (1870), pp. 923-925; C. Boito, Rassegna artistica. La scultura nuova in Firenze. Il Cecioni, il G., il Rivalta, il Fantacchiotti figliuolo, in Nuova Antologia, giugno 1872, pp. 415-427; G. Costa, L'Esposizione di belle arti in Roma, in Gazzetta d'Italia (Roma), 25 marzo 1883; Giudizi critici sull'episodio del bombardamento di Palermo la notte del 27 maggio 1860. Gruppo (ora esposto a Palermo) dello scultore S. G., Roma 1892; L. Capuana, Escursioni d'arte. Grafomane?, in Gli "ismi" contemporanei (1898), a cura di G. Luti, Milano 1973, pp. 192-197; A. Cecioni, Scritti e ricordi, Firenze 1905, pp. 76, 141, 179-182, 268, 274, 328, 437; C. Seidel, S. G. è morto, in L'Artista moderno, XI (1912), pp. 231-233; Romanticismo storico (catal.), a cura di S. Pinto, Firenze 1974, p. 309; A.M. Damigella, Il neogotico a Caltagirone e a Catania, in Il neogotico nel XIX e XX secolo. Atti… Pavia 1985, a cura di R. Bossaglia - V. Terraroli, II, Milano 1989, pp. 409 s.; Il palazzo delle Esposizioni (catal.), a cura di R. Siligato - M.E. Tittoni, Roma 1990, pp. 63, 75, 241 s.; M. De Micheli, La scultura nell'Ottocento, Torino 1992, pp. 206 s., 327; L. Berggren - L. Sjöstedt, L'ombra dei grandi. Monumenti e politica monumentale a Roma 1870-1885, Roma 1996, pp. 268, 289; A.M. Damigella, S. G. (1828-1912) e il realismo nella scultura, Roma 1998 (con bibl. completa ed elenco degli scritti del G.); U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XV, p. 58.