IRDI, Salvatore
Non si conoscono la data e il luogo di nascita di questo scultore, probabilmente di origine partenopea, formatosi a Napoli dove svolse la sua attività. A partire dal 1835, anno in cui viene citato un suo Faunetto (rilievo in gesso: Capobianco), i registri delle mostre del Real Museo Borbonico annotano diverse opere dell'artista delle quali, per la maggior parte, non si conosce l'ubicazione.
Nel 1837 scolpì, dall'antico, la statua di un Discobolo. L'anno successivo il suo nome è menzionato nell'elenco degli allievi vincitori del pensionato borbonico della Reale Accademia del disegno di Napoli; durante l'alunnato l'artista eseguì una serie di sculture: i rilievi con Dedalo e Icaro, Teseo (1839), I figli di Giacobbe che riportano al padre la tunica di Giuseppe e la statua di un Cacciatore del 1841 (Ceci).
Incluso nell'elenco dei pensionanti dell'Accademia napoletana presenti a Roma nel 1841, l'I. si perfezionò nella città pontificia sull'esempio delle opere di A. Canova e in particolare di B. Thorvaldsen, dal quale derivò alcuni modelli.
In quell'anno, all'esposizione pubblica dell'Accademia, presentò con scarso successo un Fauno con un grappolo d'uva in marmo (Quattromani, 1841, p. 38). Sempre nel 1841, nell'ambito delle attività promosse dal re Ferdinando II, realizzò per lo scalone del palazzo reale a Napoli un rilievo con la Vittoria tra trofei militari e genietti.
L'artista si dedicò negli anni successivi a opere di vario soggetto: nel 1843 espose due gruppi, raffiguranti una Ninfa con capretto e Sansone e Dalila. Nel 1845 scolpì la statua di un Pastore che suona la piva con un cane, di stretta derivazione da un analogo soggetto di Thorvaldsen, conservata al Museo di Capodimonte (Di Majo, p. 16) insieme con la figura dell'Innocenza del 1848, identificata anche come Castità o come Venere (Capobianco, fig. 15.32). Del 1851 sono i due gruppi La famiglia di Adamo e La Religione trionfa sull'anarchia con l'aiuto di Pio IX e Ferdinando II (Ceci).
Probabilmente intorno al 1851, in pieno periodo di restaurazione del potere papale e di consolidamento di quello borbonico, dopo i movimenti insurrezionali del 1848, scolpì l'altorilievo con La restaurazione delle somme chiavi (bozzetto in bronzo del 1851: Capobianco, p. 622), derivato da Thorvaldsen (Di Majo) e destinato a ornare la ghimberga del portale della chiesa di S. Francesco a Gaeta, completamente ricostruita in stile neogotico su disegno di Giacomo Guarinelli, capitano del genio militare borbonico, per volere di Ferdinando II, in onore di Pio IX.
Nel 1852 lo scultore partecipò al concorso per il restauro dell'arco aragonese di Castelnuovo; ma il suo progetto, privo di rilievi che gli richiedevano "molte e inutili fatiche", orientato a reinventare le parti perdute e indifferente alla risoluzione dei reali problemi statici, non venne preso in considerazione (Avena, p. 35).
Nel 1853 l'I. è citato come "stimato professore onorario dell'Accademia" e apprezzato per l'invenzione del grande monumento equestre di Re Carlo di Borbone (D'Aloe, p. 155): l'ambizioso progetto, mai realizzato, cui lo scultore avrebbe dedicato il proprio impegno per diversi anni, essendone egli stesso ideatore e promotore.
Il monumento era dedicato al sovrano che, nel 1752, aveva dato nuovo impulso alle arti fondando la Reale Accademia del disegno. L'I. intendeva realizzare un'opera prestigiosa per il fulcro del foro Carolino costruito da L. Vanvitelli a largo Mercatello (l'attuale piazza Dante). Del progetto sono note le descrizioni fatte dallo stesso artista, alcune stampe e un modellino in scala, in bronzo e marmo, proveniente da palazzo Farnese, residenza di Francesco II a Roma nei primi anni del suo esilio (Roma, collezione privata: Di Mauro, figg. 1-9). Per finanziare l'impresa, lo scultore dette alle stampe nel 1855 la relazione sul modello presentata all'Accademia di belle arti. Il testo venne ripubblicato due anni dopo, illustrato con alcune tavole calcografiche e corredato con la storia del regno di Carlo di Borbone (Quattromani, 1857). L'I. scolpì anche due bassorilievi in scala 1:1 destinati al basamento.
Nel 1853 l'I. collaborò con altri scultori e fonditori napoletani e romani alla realizzazione dell'altar maggiore della chiesa del Gesù Nuovo a Napoli, sviluppato su disegno di R. Postiglione sul tema dell'esaltazione del sacramento dell'eucarestia. L'I. eseguì il paliotto in bronzo, a destra della mensa, con La promessa dell'eucarestia, raffigurando Cristo al centro tra i giudei di Cafarnao che si allontanano dubbiosi, e gli apostoli Pietro, Giovanni e Giacomo che rinnovano il loro impegno di fede (D'Aloe, con l'incisione dell'opera).
Nel 1865 lo scultore risulta essere professore onorario del Real Istituto di belle arti di Napoli e residente a Roma (Di Mauro, p. 416 nota 25). Per la facciata del duomo di Napoli, riedificata in stile neogotico a partire dal 1877 e inaugurata, ancora incompiuta, nel 1905, scolpì nella torre di sinistra le lunette con gli angeli recanti gli emblemi di s. Restituta (il giglio e la palma).
Lo stile dell'I., improntato a quel classicismo intransigente e imperante dell'Accademia napoletana della metà del XIX secolo, ma anche i suoi diversi scritti, tesi a una costante rivendicazione del ruolo delle arti, rivelano uno scultore strettamente legato alla tradizione. Di particolare interesse, è l'ultima testimonianza dell'I.: un appello rivolto nel 1879 ai consiglieri della Provincia e del Comune di Napoli in cui lamentava l'assenza della committenza pubblica per gli artisti. In quell'occasione propose che il 2% dei finanziamenti stanziati per le opere pubbliche confluisse in un fondo destinato alla realizzazione di opere di pittura e scultura di carattere storico (Di Mauro, pp. 415, 416 n. 31).
Dell'I. non si conosce la data di morte.
Fonti e Bibl.: G. Quattromani, Saggio sopra alcune opere di belle arti, Napoli 1841, pp. 38-40; S. D'Aloe, Il paliotto dell'altar maggiore del Gesù Nuovo, in Albo artistico napoletano, a cura di M. Lombardi, Napoli 1853, pp. 153-155; G. Quattromani, Del monumento a re Carlo di Borbone inventato e proposto da S. I., Napoli 1857; O. Gaetani d'Aragona, Memorie storiche della città di Gaeta, Caserta 1885, p. 16; F. Orgera, Brevi cenni della basilica di S. Francesco in Gaeta, in Archivio storico campano, I (1889-90), 2, p. 133; A. Miola, La facciata del duomo di Napoli, Napoli 1905, p. 28; A. Avena, Il restauro dell'arco di Alfonso d'Aragona in Napoli, Roma 1908, pp. 3-6, 35-40; G. Ceci, in U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIX, Leipzig 1926, p. 219; C. Lorenzetti, L'Accademia di belle arti di Napoli (1752-1952), Firenze 1952, pp. 431 s., 463; A. Venditti, Architettura neoclassica a Napoli, Napoli 1961, pp. 352, 378, 397; M. Errichetti, La chiesa del Gesù Nuovo in Napoli. Notizie storiche, in Campania sacra, V (1974), pp. 72 s.; F. Strazzullo, La facciata del duomo di Napoli, ibid., p. 198; G. Cassese, La storia conservativa, in L'arco di trionfo di Alfonso d'Aragona e il suo restauro, Roma 1987, pp. 29-32; L. Di Mauro, Napoli 1859: un monumento a Carlo di Borbone "dopo XXV lustri nella stirpe del Sire", in Scritti di storia dell'arte in onore di Raffaello Causa, Napoli 1988, pp. 409-416 (con bibl.); Bertel Thorvaldsen (1770-1844) (catal.), a cura di E. Di Majo - B. Jornaes - S. Susinno, Roma 1989, p. 14; E. Di Majo, Thorvaldsen a Roma e in Italia, in Thorvaldsen: l'ambiente, l'influsso, il mito, a cura di P. Kragelund - M. Nykjaer, Roma 1991, p. 17; F. Capobianco, in Civiltà dell'Ottocento, II, Le arti figurative (catal.), Napoli 1997, pp. 324-327, figg. 15.32 s., 622; A. Tecce, La natura tradita dall'arte. Canova e il neoclassicismo nella scultura napoletana della prima metà dell'Ottocento, ibid., p. 293.