MANISCALCO, Salvatore
Nacque intorno al 1813 a bordo di un bastimento in navigazione tra Messina e Palermo. Poco o nulla si sa sulla sua famiglia e sugli anni della giovinezza vissuti prevalentemente a Messina. Avviato alla carriera militare, entrò nella gendarmeria con la quale, con il grado di tenente, fece le sue prime prove nella lotta contro il brigantaggio in Calabria e contro la cospirazione politica. Certamente la sua scelta di campo fu sin dall'inizio quella del lealismo borbonico.
Proprio a Messina conobbe nel 1848 C. Filangieri, principe di Satriano, comandante delle truppe inviate da Napoli per domare la ribellione delle province siciliane, e non faticò a ottenerne la stima. Aggregato al corpo di spedizione con il grado di gran prevosto, il M. fu promosso capitano il 24 nov. 1848 e contribuì al ritorno dell'ordine in Sicilia. Dimostrò molta fermezza, ma non fu solo per questo che il 26 ott. 1851 gli arrivò la nomina a direttore del dipartimento di Polizia dell'isola. In realtà quello che lo fece apprezzare fu il fiuto con cui seppe fronteggiare la cospirazione politica, ripartita in grande stile dopo una breve tregua: "Aveva penetrazione rapidissima e sapeva nascondere ogni sentimento d'ira o di compiacenza sotto un fine sorriso d'incredulità e di ironia", ha scritto di lui R. De Cesare (I, p. 16) tracciandone un ritratto ricco di sfumature, non esclusa quella un po' sinistra del rapporto da lui instaurato con la criminalità mafiosa.
Tra gli obiettivi che perseguì con maggior tenacia ci fu il mantenimento della tranquillità e della sicurezza pubblica contro ogni tentativo sedizioso: adottò perciò una serie di misure eccezionali intese a controllare il territorio con squadre di gendarmi a cavallo, con una efficiente rete di spie e di informatori e col reclutamento di collaboratori negli ambienti della criminalità, ora contrastata nelle sue forme più organizzate, ora favorita per i servigi resi in funzione della stabilità politica.
L'azione repressiva esercitata dal M. raggiunse specialmente intorno al 1854 punte di tale durezza da provocare l'odio di liberali e malavitosi. La protezione del luogotenente Filangieri non bastò a evitargli le inimicizie nell'amministrazione, in particolare da parte di G. Cassisi, ministro dal 1849 al 1859 per gli Affari di Sicilia a Napoli, e di Francesco Statella, marchese di Spaccaforno, chiamato alla direzione degli Interni dopo la rimozione di Filangieri. Tuttavia finché il regno restò in piedi nessuno osò togliergli la direzione della Polizia, probabilmente perché era troppo temuto a causa dei suoi intrecci e di una posizione assai solida a corte; anche la collocazione sociale non era oscura, dopo che nel 1854 su consiglio di Filangieri aveva sposato la figlia di un procuratore generale, Vincenzina Nicastro, che lo avrebbe reso padre sette volte.
Certo è che tra il 1854 e il 1860 il M. non ebbe una vita tranquilla: nel 1856 represse il moto di Mezzojuso guidato da F. Bentivegna e subito dopo diede una caccia spietata alla banda armata di S. Spinuzza. Si procurò così fama di uomo violento, uso a metodi repressivi di efferata ferocia (tra cui la tortura con la celebre cuffia del silenzio), e fu oggetto di una polemica che, enfatizzando oltre misura le sue responsabilità personali, comunque non lievi, oscurò del tutto i suoi meriti di fedele servitore dello Stato.
Per migliorare la propria immagine pubblica, il M. provvide a lasciare traccia di qualche gesto di clemenza a favore di individui il più delle volte ingiustificatamente perseguitati e si diede molto da fare per soccorrere i colerosi dell'epidemia del 1854 e i terremotati del 1857.
Temuto dai liberali, era inviso anche a parte dell'aristocrazia siciliana. Forse va ricondotto a questa sorda ostilità più che alle trame cospirative dei patrioti l'attentato di cui per poco non fu vittima a Palermo il 27 ott. 1859 quando, mentre si recava a messa, fu raggiunto da un paio di pugnalate alla schiena vibrategli da V. Farina, un piccolo delinquente poi indicato come "camorrista". Si salvò e fu compensato da Francesco II con una decorazione e un aumento di stipendio; ma da allora non concesse più tregua alla cospirazione, inasprendo un'attività che già nei mesi precedenti l'attentato si era dispiegata con solerzia (i 43 arresti di inizio luglio; le persecuzioni incessanti dei mesi successivi) e talvolta con veri e propri arbitrî ai danni di un'opposizione liberale resa più intraprendente dalle notizie provenienti dal Nord della penisola; d'altronde il ritorno al potere di Filangieri come presidente del Consiglio gli aveva restituito la più piena libertà di manovra, e il M. se ne servì per tentare di stringere il cerchio attorno alla cospirazione. Intervenne pesantemente per bloccare la rivolta del 4 aprile (13 fucilati e Francesco Riso morto in seguito alle ferite), ma con la consapevolezza, però, che le misure poliziesche non bastavano da sole a fermare il definitivo logoramento di un tessuto sociale e politico ormai compromesso: che fu quanto segnalò il 15 maggio in un "Memorandum personale al Re" sullo stato della Sicilia che costò il posto al luogotenente P. Ruffo di Castelcicala, dal M. accusato di "inanizione", ma non ebbe l'effetto di fermare la rivoluzione. All'arrivo di Garibaldi in Sicilia il M. si affrettò a far salire la famiglia su una nave diretta a Napoli; la seguì a distanza di pochi giorni, dopo che la presa di Palermo ne aveva fortemente indebolito la posizione esponendolo a critiche e accuse di ogni sorta. Tutti insieme, il 28 luglio lasciarono Napoli diretti a Marsiglia, dove si stabilirono dopo un breve periodo ad Avignone.
In Francia, dove era stato insignito della Legion d'onore per la lealtà verso il regime borbonico, il M. continuò a occuparsi delle cose napoletane fungendo da punto di raccordo per i nuclei e i comitati di legittimisti sparsi in Europa: lo sorreggevano nelle sue speranze di riscossa borbonica la considerazione dei primi incerti passi dei governi nazionali nel Meridione e il malcontento che prese a serpeggiarvi assumendo tra il 1862 e il 1863 per effetto della grave crisi finanziaria tratti pericolosamente antistatali. Quando la prospettiva di una restaurazione parve allontanarsi, il M. ne prese atto e si orientò verso una soluzione di stampo autonomistico e federativo.
Il M. morì a Marsiglia l'11 maggio 1864. Non si sono mai trovate le memorie che, secondo una tradizione mai verificata, avrebbe scritto in esilio.
Fonti e Bibl.: D. Avella, All'egregio ed illustre commendatore S. M. in occasione delle sue faustissime nozze, Palermo 1854; Per le fauste nozze del commendatore S. M., Palermo 1854; D. Ventimiglia, Ricordi artistici. Strenna per le nozze, Palermo 1854; S. M., dramma diviso in 3 epoche, Palermo 1860; V. Mortillaro, Leggende storiche siciliane dal XIII al XIX secolo, in Id., Opere, IX, Palermo 1862, p. 380; G. Oddo, I Mille di Marsala, Milano 1863, pp. 30 s., 34; Il Precursore, 17 maggio 1864 (necrologio); G. De Sivo, Storia delle Due Sicilie dal 1847 al 1861, Trieste [ma Napoli] 1868, II, pp. 25 e ss.; E. De Marco, La Sicilia nel decennio avanti la spedizione dei Mille, Catania 1898, p. 111; R. De Cesare, La fine di un Regno, Città di Castello 1900, I, pp. 1, 4-9, 47, 58 s.; II, pp. 58 ss.; G. Costantini, Sessanta giorni di storia (10 aprile - 8 giugno 1850), Palermo 1905, p. 113; G. De Majo, Polizia e profezia di S. M., Roma 1911 (estr. da Memorie storiche militari, X [1911], 3, pp. 131-135); L.M. Maiorca Mortillaro, Vincenzo Mortillaro..., Palermo 1916, p. 260; M. Rosi, L'Italia odierna, II, Torino 1932, ad ind.; C. Maraldi, Documenti francesi sulla caduta del Regno meridionale, Napoli 1935, p. 139; La fine del Regno di Napoli: documenti borbonici 1859-1860, a cura di R. Moscati, Firenze 1960, ad ind.; Storia della guerra di Sicilia, Palermo 1960, p. 43; T. Mirabella, S. M. direttore della polizia borbonica in Sicilia ed esule dopo il '60 a Marsiglia, Milano 1980; O. Cancila, Palermo, Roma-Bari 1988, pp. 14 ss.; P. Pezzino, Una certa reciprocità di favori: mafia e modernizzazione violenta nella Sicilia postunitaria, Milano 1990, ad ind.; Id., Il paradiso abitato dai diavoli: società, élites, istituzioni nel Mezzogiorno contemporaneo, Milano 1992, ad ind.; S. Lupo, Storia della mafia dalle origini ai giorni nostri, Roma 1993, pp. 52, 57, 70.