PUGLIATTI, Salvatore
PUGLIATTI, Salvatore. – Nacque a Messina il 16 marzo 1903 da Giuseppe, impiegato presso l’Università di Messina, e da Paola Anastasi.
Rimase ben presto orfano di entrambi i genitori e per mantenere due fratelli e una sorella svolse attività di stenografo presso il quotidiano L’Eco di Messina e della Calabria. Conseguito nella città natale il diploma di ragioniere presso l’istituto tecnico Antonio Maria Jaci (1921), si impiegò come ragioniere dapprima in una ditta di Reggio Calabria e quindi in una ditta messinese. Da autodidatta si dedicò a studi di teoria musicale e si preparò alla maturità classica, che conseguì brillantemente. Frattanto, nel 1922, pubblicò Jola, la favola è finita (in L’Eco del lunedì, 10 aprile) e Mentre mugghiava il vento (15 maggio). Si iscrisse quindi a giurisprudenza e conseguì la laurea il 5 luglio 1925 sotto la guida di Gioacchino Scaduto. Nel 1926 superò l’esame di avvocato e cominciò a esercitare in uno studio messinese, finché, nel 1929, fu nominato avvocato dell’Istituto per le pratiche legali del Monte di Pietà di Messina.
Il 9 settembre 1933 si unì in matrimonio con Costanza Scuderi, dalla quale ebbe due figlie: Teresa, nata nel luglio del 1934, e Paola, nata nel febbraio del 1938.
All’istituto tecnico Jaci, Pugliatti aveva avuto come compagni di scuola Salvatore Quasimodo, Giorgio La Pira e l’editore Antonino Giuffrè, amici che gli restarono accanto per tutta la vita. Fra il 1929 e il 1930 Quasimodo, impiegato presso il genio civile di Reggio Calabria, di tanto in tanto si recava a Messina per incontrare l’antico compagno di scuola. Pugliatti raccolse un gruppo di cui facevano parte, oltre a Quasimodo, il critico Glauco Natoli, il poeta Vann’Antò (Giovanni Antonio Di Giacomo) e altri ancora.
Costoro formavano la celebre ‘brigata’ della lirica quasimodiana Vento a Tindari. Il «soave amico» che desta il poeta è proprio Salvatore Pugliatti. È lui stesso a parlarci di sé e delle proprie passioni giovanili in alcune pagine dense di preziosi spunti autobiografici: «[…] si parlava di letteratura, di poesia, di politica. Leggevamo Dante, Platone, la Bibbia, Tommaso Moro e Tommaso Campanella, Erasmo da Rotterdam, gli scrittori russi, specialmente Dostoevskij; ma ci incantava anche Andrejev coi sette impiccati […] e sopra tutto ci interessava il Riso rosso, per la tinta di simbolismo che lo imparentava agli scrittori francesi della seconda metà dell’ottocento, e la commedia, anch’essa un poco simbolistica: Quello che prende gli schiaffi; e Massimo Gorki, coi suoi romanzi ‘sociali’. Leggevamo Baudelaire, il primo Mallarmé e Verlaine, che a poco a poco divennero i nostri numi […] Leggevamo le riviste di avanguardia e pochi ‘moderni’. E discutevamo animatamente, per il Viale S. Martino e per Viale Calandra, o nella ‘baracca’ di Aldo Denti (un compagno di corso di Quasimodo), e a volte addirittura si litigava tanto da suscitare l’allarme del vicinato. Le idee che dibattevamo erano spesso polemiche, e lo spirito polemico era anche alimentato da una sorta di fanatismo per i nostri ‘maestri’. Erano i proff. di italiano dell’Istituto Tecnico A. M. Jaci: Clemente Valacca, Federico Rampolla (nipote del cardinale Mariano Rampolla) e Francesco Satullo […]. Proprio in quel tempo, dalle molte e accese discussioni, e fra i tanti progetti, nacque la Società letteraria Peloro, senza fondi, ma con puntuali cariche sociali, non esclusa quella di cassiere. Essa si spense lentamente, per inedia, senza poter dare alcun contributo alla… letteratura nazionale. Ma agli inizi del 1917 si iniziava la pubblicazione del Nuovo Giornale Letterario, di cui era magna pars Francesco Carrozza, passato poi al futurismo; e attorno ci eravamo noi del gruppo dell’Istituto Tecnico: Quasimodo, Fiore, Denti, Ranieri e io; e Giorgio La Pira, che esponeva la rivistina nella rivendita di tabacchi dello zio Occhipinti e la offriva in vendita, colle sigarette e gli altri generi di monopolio» (cfr. Parole per Quasimodo, Ragusa 1974, pp. 39 ss.).
Pugliatti invitò Quasimodo a raccogliere in volume i suoi versi. Il poeta seguì il consiglio dell’amico e così, attraverso il cognato Elio Vittorini, che aveva sposato la sorella Rosina, Quasimodo pubblicò la sua prima opera nel maggio del 1930 con il titolo Acque e terre. Tramite Quasimodo, Pugliatti entrò in contatto con l’ambiente letterario fiorentino. Qui si fece nuovi amici, fra cui Alessandro Bonsanti, Carlo Emilio Gadda, Eugenio Montale.
Collaborò alle principali riviste letterarie di quegli anni, Circoli e Solaria; in quest’ultima apparvero, nel 1931, una recensione alla terza edizione degli Ossi di seppia di Montale, fonte di polemica con Vittorini, che contestò l’interpretazione crociana di Pugliatti, nonché un’analisi critica di Vento a Tindari, pubblicata con il titolo Interpretare la poesia. Su Circoli pubblicò, invece, una recensione a Il passo del cigno di Aldo Capasso, il saggio Riecheggiamenti poetici, una recensione a Il fante alto da terra di Vann’Antò, una recensione a Oboe sommerso di Quasimodo, e una sua novella (Un invito).
Nel frattempo Pugliatti aveva conseguito nel 1930 la libera docenza in diritto privato, mentre l’anno successivo ottenne la cattedra di diritto civile presso l’Università di Messina. Nel 1927, sugli Annali della facoltà di giurisprudenza di Messina, era apparsa la sua prima pubblicazione giuridica (L’atto di disposizione e il trasferimento dei diritti); in quello stesso anno pubblicò del pari due recensioni letterarie e un saggio di storia dell’arte: Guglielminetti, gli occhi cerchiati d’azzurro (In vetrina, I (1927), maggio, n. 4-5); A proposito di un recente libro di F. Flora (ibid., luglio-agosto); Alla ricerca di uno stile moderno in architettura (Rassegna tecnica del sindacato ingegneri, luglio).
Nel 1935 divenne professore ordinario di istituzioni di diritto privato nella città natale e fu eletto preside della facoltà giuridica dell’Ateneo peloritano, incarico che conservò per vent’anni, dal 1934 al 1954. Dal 1955 al 1975 fu rettore dell’Università di Messina.
I suoi interessi non si limitarono ai campi, già vastissimi, della scienza giuridica e della letteratura. Di particolare rilievo è il contributo da lui offerto alla ricerca musicologica: nel 1940 iniziò la collaborazione con La rassegna musicale, nel 1942 tradusse e pubblicò i Canti di primitivi, nel 1943 fu incaricato della cattedra di storia della musica presso la facoltà di lettere dell’Università di Messina (incarico che conservò per un trentennio); nel frattempo, preparò delle note per un’analisi del futurismo in musica, studiò la musica a programma, il poema sinfonico, l’impressionismo musicale.
Si occupò soprattutto della teoria e della trattatistica musicale antica, con saggi su Cicerone e la musica, in La Rassegna musicale, XV (1942), 12, pp. 317-325; La musica nell’opera di Dicearco da Messina e di Cicerone, in Atti della R. Accademia Peloritana, Classe di lettere, filosofia e belle arti, XLV (1943-44), pp. 225-258; S. Agostino e l’estetica musicale dei greci, in Teoresi, I (1947), pp. 182-199; Le “Musicae Traditiones” di Francesco Maurolico, in Atti della R. Accademia Peloritana, Classe di lettere, filosofia e belle arti, XLVIII (1951-67), pp. 313-398: scritti che hanno il carattere della ricerca pionieristica perché concepiti in un’epoca in cui la storiografia musicale, sulla falsariga dell’estetica crociana, tendeva a concentrare i propri interessi esclusivamente sulle opere pubblicate a partire dal Settecento, nella convinzione che tutto quanto fosse stato scritto precedentemente in materia appartenesse a una sorta di preistoria dell’estetica e che l’origine della ricerca musicologica potesse farsi risalire, al più, al secolo dei lumi, nel quale erano state colte quelle verità e quei profili problematici che solo il pensiero romantico, a partire da Hegel, aveva pienamente sviscerato.
In questo suo viaggio continuo e appassionato attraverso i vasti territori della conoscenza, Pugliatti ebbe modo di occuparsi a più riprese del tema dell’interpretazione. In particolare, il problema del valore e della natura dell’interpretazione in musica gli offrì l’occasione per la composizione di uno studio che ebbe vasta risonanza nel panorama musicologico di quegli anni e che, con qualche cautela, e senza affrettate trasposizioni, può essere considerato una sintesi felice delle principali convinzioni di Pugliatti in materia di ermeneutica.
D’altro canto e senza tema di esagerazione, il contributo dato da Salvatore Pugliatti alla scienza giuridica può definirsi monumentale. Come ricorda Angelo Falzea, la riflessione del maestro ha spaziato dai «vertici della cultura giuridica fino alla base. Quando parlo dei vertici intendo riferirmi alla filosofia del diritto e alla metodologia giuridica, la seconda, soprattutto, appannaggio per tradizione degli studi civilistici, che hanno rappresentato poi il campo più coltivato dalla personalità di Pugliatti» (Palumbo, 2001b, p. 43).
In effetti, la chiave per comprendere l’opera scientifica del grande giurista messinese, che investe temi capitali della giuscivilistica, quali la proprietà, la rappresentanza, la fiducia, la pubblicità, la trascrizione, è proprio la riflessione metodologica, che fa da sfondo costante all’attività di ricerca e dà a essa coerenza e unità sistematica (a partire dai saggi fondamentali Fiducia e rappresentanza indiretta e La giurisprudenza come scienza pratica). Tutti i suoi scritti, da quelli dogmatici a quelli dichiaratamente teorico-generali, rappresentano un tentativo di conciliare e far convivere armoniosamente nozioni antitetiche: diacronia e sincronia, forma e sostanza, storia e ragione, tensione sistematica e genesi storica del diritto. Assolutamente centrale nella riflessione scientifica di Pugliatti appare infatti la preoccupazione di verificare la tenuta o la spendibilità delle categorie giuridiche tradizionali, soprattutto alla luce di quell’improvvisa accelerazione temporale che investe e compromette la sfera del diritto aprendola a una dimensione maggiormente relativa e fattuale. Pur all’interno di un discorso che rimane sensibilissimo all’elemento sistematico, Pugliatti portò allora avanti una critica puntuale del formalismo, nel quale intravedeva, a ragione, il vero fattore emarginante, la principale zavorra che impediva alla scienza del diritto di elevarsi a una dimensione genuinamente culturale, costringendola in uno spazio solo apparentemente moderno, ma popolato in realtà di forme prive di un rapporto effettivo con un tempo o una società definiti.
Ma la critica del formalismo e il rifiuto convinto degli eccessi del concettualismo frutto di una profonda sensibilità storica e di un’intelligenza critica immediatamente portata a relativizzare, non si spinse mai sino al punto di negare qualsiasi valore conoscitivo alla dogmatica; essa si trasformò semmai in un deposito di schemi e di soluzioni tecniche, valide e attuali nella misura in cui si dimostravano capaci di ordinare il reale e di fornire immediate direttive per l’azione. Se si vuole recuperare l’identità del giurista e il valore della scienza giuridica, bisogna pertanto sforzarsi di tenere insieme i due momenti, quello teorico e quello pratico-applicativo.
Tale esito è agevolato anche dalle suggestioni strutturaliste e dallo studio della linguistica, che Pugliatti svolse sulla scorta di Ferdinand de Saussure. Dal parallelo tra il binomio langue-parole e il binomio atto-istituzione o Volksgeist-System, Pugliatti intuì la possibilità di un superamento dell’antitesi irriducibile tra sincronia e diacronia. Nella distinzione tra sistema linguistico e fatto linguistico creativo, il divario tra sistema e storia può ricomporsi in un orizzonte in cui le innovazioni, gli sviluppi, originariamente meri episodi individuali, rimessi all’iniziativa più o meno casuale dei singoli e appartenenti alla sfera fluida della parole, vengono riconosciuti e accettati, riscuotono successo e divengono fatti di una lingua, langue tout court. Ne deriva una concezione complessa della giurisprudenza, una sorta di Giano bifronte della conoscenza, attività teoretica e pratica a un tempo, scienza che tende a farsi sistema, a costruirsi per categorie e concetti astratti, ma nella quale il sistema appare mobile, fluido, instabile, storicamente orientato.
Contemporaneamente, Pugliatti portò avanti la sua attività di infaticabile organizzatore della vita culturale peloritana. Dagli anni Cinquanta in poi, sotto il suo impulso, si riunì a Messina, nella libreria dell’Ospe di Antonio Saitta, il gruppo del Fondaco formato da intellettuali e artisti. Qui, dove vide la luce anche la scanzonata Accademia della Scocca, trovavano in Pugliatti un preciso punto di riferimento uomini di cultura siciliani e non solo siciliani di passaggio a Messina: dai critici Giacomo Debenedetti e Manara Valgimigli agli scrittori Beniamino Joppolo e Stefano D’Arrigo; dall’etnologo Giuseppe Cocchiara allo scultore Giuseppe Mazzullo; dai pittori Renato Guttuso e Giuseppe Migneco ai poeti Salvatore Quasimodo e Lucio Piccolo.
Nel 1953 Pugliatti organizzò l’eccezionale mostra Antonello e la pittura del ’400 in Sicilia, in occasione della quale riuscì a far giungere in Sicilia le opere conservate nei musei di tutta Europa. Insignito del premio Feltrinelli per le scienze giuridiche, nel 1955 divenne accademico dei Lincei. All’indomani dell’assegnazione del premio Nobel a Quasimodo, Pugliatti prese l’iniziativa del conferimento al poeta della laurea honoris causa e della cittadinanza onoraria di Messina. Il 25 maggio del 1960 morì Vann’Antò e Pugliatti decise di intitolargli un premio di poesia chiamando a far parte della giuria, tra gli altri, Carlo Bo, Debenedetti, Giorgio Caproni, Giorgio Petrocchi e Quasimodo, sempre presente, sino all’anno della sua morte.
Il 19 dicembre 1973, nell’aula magna dell’Università di Messina, Pugliatti concluse la sua attività di docente tenendo una appassionata lezione sulla centralità del fenomeno giuridico, sugli scenari futuri del diritto, sul ruolo del diritto nella storia e nel tempo presente (Il diritto ieri, oggi, domani: ultima lezione, Milano 1993).
Morì improvvisamente il 22 maggio 1976, mentre si trovava a Ragusa per presiedere la commissione del premio Vann’Antò.
Fonti e Bibl.: L’opera di S. P., in Rivista di diritto civile (dossier), 1978, 5, pp. 534-613 (con contributi di A. Falzea, E. Paresce, F. Santoro-Passarelli, A. Trabucchi, M.S. Giannini, R. Nicolò, G. Petrocchi); G. La Pira, Lettere a S. P. (1920-1939), Roma 1980; E. Montale, Lettere a P. Montale e la critica nel carteggio con S. P. e tre lettere di Elio Vittorini, a cura di S. Palumbo, prefazione di C. Bo, Milano 1986.
S. P., una vita per la cultura, a cura di M. Nicosia - S. Palumbo - M. Passeri, Messina 1990; S. Palumbo, S. P. e il problema estetico coi solariani, in Periferia, n.s., XX (2001a), pp. 7-30; Id., S. P. la cultura come vita, in Scritti in onore dell’Istituto tecnico commerciale e per il turismo Salvatore Pugliatti di Taormina, Messina 2001b, pp. 43-71; S. P. Ricordo nel I centenario della nascita (1903-2003), in Rivista di diritto civile (dossier), 2003, n. 6, pp. 559-654; L. Ferlazzo Natoli, Nel segno del destino, Soveria Mannelli 2007; P. Grossi, S. P. giurista inquieto, in Id., Nobiltà del diritto, Milano 2008, pp. 531-555; V. Scalisi, I professori del genere civilistico istituzionale a Messina. Dalla tragedia del terremoto al secondo conflitto mondiale, in La facoltà di giurisprudenza della R. Università degli Studi di Messina, 1908-1946, a cura di G. Pace Gravina, Messina 2009, pp. 137 ss.; Id., Dalla scuola di Messina un contributo per l’Europa, in Rivista di diritto civile, 2012, n. 1, pp. 1-28.