REBECCHINI, Salvatore
REBECCHINI, Salvatore. – Nacque il 21 febbraio 1891 a Roma da Gaetano e da Giulia Langeli.
Entrambi i genitori appartenevano a influenti famiglie romane, profondamente radicate nella storia della città. Il padre Gaetano (1855-1918) fu un noto ingegnere e svolse la sua attività professionale nello studio di progettazione Rebecchini, fondato nel 1885 e divenuto uno dei più importanti studi professionali romani. Fu, inoltre, consigliere comunale negli anni della prima guerra mondiale guidati dall’amministrazione del principe Prospero Colonna. Candidato nella lista di ispirazione cattolica Unione romana, fu eletto il 14 giugno 1914.
Gli anni della formazione di Rebecchini sono caratterizzati dalla frequentazione del ginnasio e del liceo classico in uno degli istituti più rinomati della capitale, il Massimo, gestito dai gesuiti. Il percorso di studi classici, sebbene non abbia avuto un coerente sviluppo e una prosecuzione sul piano universitario né su quello professionale, è certamente rimasto radicato nella personalità e negli interessi di Rebecchini trovando sbocco in una produzione pubblicistica dedicata alla storia di Roma e ad alcune figure di rilievo, su tutte il poeta Gioacchino Belli. Decisivi rimasero, invece, i legami stretti con gli ambienti dei gesuiti romani, futuro punto di riferimento anche sul piano professionale.
Gli studi universitari furono condotti presso la Scuola di applicazione degli ingegneri di Roma, istituita con il decreto regio del 9 ottobre 1873, che rimase a lungo autonoma rispetto all’Università di Roma, sebbene per accedervi fosse preliminarmente necessario seguirne i corsi fisico-matematici.
Ottenuta la laurea in ingegneria civile nel 1914, Rebecchini intraprese subito la carriera universitaria come assistente volontario assegnato alle cattedre di fisica, tecnica ed elettrotecnica. Coerentemente con la professionalità acquisita con il percorso di studi, prese parte alle vicende della prima guerra mondiale con il grado di capitano del genio, seguendo inoltre un corso di radiotelegrafia presso l’Istituto centrale militare, per il quale fu insegnante civile nella materia gruppi elettrogeni e macchinari elettrici. Nel 1917 venne assegnato per concorso al comando della stazione radiotelegrafica di Padova, un punto di osservazione privilegiato per le fasi del successivo armistizio con l’Austria che Rebecchini poté seguire in virtù della sua conoscenza del tedesco, nonché di altre quattro lingue (lo spagnolo, il francese, il serbo-croato e, meno compiutamente, l’inglese).
Conclusa l’esperienza bellica, conobbe e sposò nel 1920 la marchesa Beatrice Mazzetti di Pietralata, esponente di un’altra influente famiglia romana che aveva ottenuto il titolo di marchese da Gregorio XVI, nel 1842. Dal matrimonio nacquero otto figli: i maschi Gaetano, Francesco, Paolo, Filippo e Luigi; le femmine Annamaria (che morì nel 1944, nel pieno della seconda guerra mondiale), Maria Teresa e Cecilia.
Di questi figli, l’ingegnere Gaetano (nato nel 1924) seguì il padre soprattutto sul versante professionale, lavorando presso lo studio di progettazione di famiglia e contribuendo a realizzare importanti opere – tra le quali l’ippodromo di Tor di Valle (1959), la nuova sede all’EUR dell’istituto Massimo (1960-62), l’ospedale San Giovanni Battista (1962). L’impegno politico caratterizzò invece Francesco (1927-1988), avvocato, che si iscrisse giovanissimo alla Democrazia cristiana (DC), e ricoprì le cariche di consigliere provinciale e comunale a Roma e, successivamente, di senatore dal 1972 sino alla morte, passando per numerosi incarichi governativi.
L’attività professionale di Rebecchini nel campo dell’ingegneria proseguì con evidente successo. Nel 1926 risulta insignito di una prima onorificenza, il cavalierato, e titolare di collaborazioni significative, anche di natura internazionale, come, per esempio, quella con l’ambasciata di Spagna in qualità di ingegnere-architetto per i regi stabilimenti spagnoli di S. Giacomo e S. Maria di Monserrato. Nel periodo immediatamente successivo ottenne la qualifica di perito giudiziario e avviò nuove collaborazioni professionali con società attive nel campo assicurativo e ingegneristico.
Negli anni del regime fascista la sua attività si concentrò dunque su due principali versanti: quello professionale e quello universitario. Non svolse attività politiche e istituzionali di rilievo mentre fu significativa l’iscrizione al sindacato provinciale fascista degli ingegneri nel 1929 e la scelta di prendere la tessera del Partito nazionale fascista nel 10° anniversario della ‘rivoluzione’ (1932). Un non marginale riconoscimento fu l’assegnazione di un’altra onorificenza: quella di commendatore ricevuta negli anni 1939-40. In linea generale, l’adesione al fascismo sembra sostanzialmente funzionale al pieno svolgimento dell’attività professionale e accademica.
Su quest’ultimo versante, Rebecchini conseguì la libera docenza in fisica tecnica, confermata in via definitiva il 20 giugno 1940. Dopo diversi anni di insegnamento alla Scuola di ingegneria aeronautica e alla facoltà di architettura (dove svolgeva un incarico anche per la materia impianti tecnici), con la conferma della libera docenza assunse anche il ruolo di aiutodirettore dell’Istituto di fisica tecnica a fianco del professor Ugo Bordoni.
Negli anni successivi alla seconda guerra mondiale, il principale impegno per Rebecchini non fu però né quello accademico né quello strettamente professionale (attività che pure continuarono), ma quello politico e in particolare amministrativo per la città di Roma. Il partito a cui legò il proprio nome e la propria esperienza politica fu la Democrazia cristiana, nella capitale guidata in quegli anni dall’avvocato Pietro Mosconi. La conoscenza con Alcide De Gasperi era avvenuta, invece, alcuni anni prima alla Biblioteca vaticana.
È proprio alla storia amministrativa di Roma che il nome di Rebecchini è legato. A giudizio di Giulio Andreotti «con Rebecchini alla guida della città andò l’espressione della borghesia romana (o meglio del ‘generone’) dopo il quasi ininterrotto alternarsi delle famiglie nobili» (discorso al Campidoglio per il decennale della morte, 22 novembre 1987). Il primo impegno in questa direzione fu nella deputazione della provincia di Roma, per la quale fu nominato dai partiti del Comitato di liberazione nazionale nell’agosto del 1944, venendo preposto al reparto dedicato ai lavori pubblici. Un incarico che tenne sino al novembre del 1947.
Nel frattempo, il 10 novembre 1946 si erano svolte a Roma le prime elezioni amministrative del secondo dopoguerra. La DC non replicò i consensi ottenuti pochi mesi prima nelle elezioni dell’Assemblea costituente fermandosi al 20,3% e venendo superata dall’Uomo qualunque e dal Fronte popolare. In questa situazione l’11 dicembre 1946, eletto sindaco, Rebecchini si dimise immediatamente in virtù dell’instabilità del quadro politico. Dopo un periodo di commissariamento, alle successive elezioni del 12 ottobre 1947 il partito democristiano ottenne un ottimo risultato (32,7%) e Rebecchini venne nuovamente eletto sindaco, formando una giunta con esponenti qualunquisti e liberali.
Prese avvio da questo momento la cosiddetta egemonia democristiana nell’amministrazione capitolina. Il ruolo della DC romana fu, infatti, cruciale e si espresse in due fondamentali direzioni: la centralità politica che ne faceva il partito-perno delle giunte amministrative e la dimensione ideologica, fortemente caratterizzata dall’influenza di ambienti vaticani molto sensibili al valore simbolico e mitico della Roma ‘città sacra’, sede ed emblema dell’universalismo cattolico.
Di questa specificità romana, Rebecchini fu senz’altro un esponente di primo piano. Professionista influente e radicato nella vita della capitale, di formazione moderata e orientamento monarchico, incarnava quell’idea di conservatorismo su cui poteva fare affidamento lo stesso papa Pio XII per scongiurare l’ipotesi di una Roma condizionata – non solo da un punto di vista politico, ma anche sociale, culturale e morale – dall’influenza delle sinistre marxiste, materialiste, anticlericali. In occasione dell’udienza papale concessa alla giunta capitolina il 17 dicembre 1947, Pio XII sottolineò il delicato compito che spettava a Rebecchini e ai suoi uomini: la perpetuazione della missione cristiana e universale di Roma.
A questa missione Rebecchini venne nuovamente chiamato nelle elezioni del 25 maggio 1952. Dopo il fallimento della cosiddetta operazione Sturzo, che puntava alla formazione di una grande coalizione anticomunista comprensiva della destra neofascista, il 3 luglio Rebecchini venne confermato sindaco costituendo una giunta basata sulla formula centrista proposta da De Gasperi sul piano nazionale. La DC governava la città con liberali, repubblicani e socialdemocratici. Con questa formula portò avanti la propria linea di sviluppo che comprese anche la candidatura di Roma a sede delle Olimpiadi del 1960. I meriti di Rebecchini «per la rinascita della Città Eterna dagli orrori della guerra» furono istituzionalmente riconosciuti con il conferimento del grado di Grande ufficiale il 30 dicembre 1952.
Questa complessiva linea politica e ideologica caratterizzò la specificità della ricostruzione romana. I contrasti con l’opposizione si consumarono, però, soprattutto intorno all’edilizia. Le giunte Rebecchini operarono una profonda trasformazione urbanistica realizzando molte opere, tra le quali la nuova stazione Termini, il compimento di via della Conciliazione, i lavori di via Gregorio VII. Tuttavia, le modalità di espansione della città, i giudizi sull’inadeguatezza del piano regolatore del 1931 e delle sue varianti, le difficoltà di definire regole certe, portarono l’opposizione politica a parlare di un vero e proprio ‘sacco di Roma’. Un’accusa ulteriormente alimentata dalle inchieste giornalistiche sul dilagare della corruzione che, a giudizio del settimanale l’Espresso, caratterizzava l’attività amministrativa romana.
La vicenda, che non ebbe ricadute giudiziarie sulla giunta, portò alla conclusione dell’esperienza politica di Rebecchini. Con la carica di sindaco decaddero anche altre funzioni come, per esempio, la presidenza dell’Associazione nazionale comuni italiani, ma la radicata presenza nelle attività cittadine e il suo profilo professionale lo portarono ad assumere altri significativi incarichi. Mentre continuava il suo impegno come professore incaricato sino al 1962 e si confermava la sua presidenza dell’Ente autonomo Fiera di Roma (sostanzialmente sino alla morte), venne designato dall’Istituto per la ricostruzione industriale (IRI) presidente dell’ATES (Aquila Tubi Elettronici Semiconduttori) per il biennio 1960-62 e assunse incarichi dirigenziali in diverse associazioni culturali, professionali e religiose. In questa direzione, si segnalano, tra le altre nomine, la vicepresidenza dell’Istituto internazionale di arte liturgica, la lunga presidenza dell’Unione romana degli ingegneri e architetti e quella, negli ultimi anni della sua vita, del Gruppo dei romanisti.
Morì il 22 novembre 1977 a Roma all’età di 86 anni a causa di una grave forma di affezione bronchiale.
Opere. Tra le opere di Salvatore Rebecchini si segnalano Fisica tecnica, Roma 1943, e Lezioni di fisica tecnica, I-II, Roma 1960-1961 (con M. Paribeni). Su temi romanisti: Gioacchino Belli e le sue dimore, Roma 1970. Vari gli articoli sulle riviste di ingegneria Ricerche di ingegneria e L’ingegnere e di studi romanisti, quali Studi romani, La strenna dei romanisti, Studi belliani, L’Urbe.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio storico Capitolino, serie dei verbali e delle deliberazioni del Consiglio e della Giunta. All’Archivio centrale dello Stato a Roma, notizie su Rebecchini possono ricavarsi nelle carte dell’archivio IRI (Archivio pratiche degli uffici, numerazione nera, Affari generali, nuovo versamento); del ministero della Pubblica Istruzione (Dir. generale istruzione superiore, Liberi docenti, III serie 1930-1950); del ministero dell’Interno (Gabinetto, Ufficio onorificenze).
Su Rebecchini si segnala il volume S. R., un autentico romano, a cura di U. Leone, Roma 1992; sugli anni dell’amministrazione romana: A. Riccardi, Roma città sacra?, Milano 1979, ad ind.; A. Caracciolo, I sindaci di Roma, Roma 1993, ad ind.; I. Insolera, Roma moderna. Un secolo di storia urbanistica, 1870-1970, Torino 1993, ad ind.; L’amministrazione comunale di Roma, a cura di M. De Nicolò, Bologna 1996, ad ind.; V. Vidotto, Roma contemporanea, Roma-Bari 2001, ad ind.; G. Pagnotta, I sindaci della capitale dal dopoguerra a oggi, Roma 2006, ad ind.; Storie di sindaci per la storia d’Italia (1889-2000), a cura di O. Gaspari - R. Forlenza - S. Cruciani, Roma 2009, ad indicem.