SCUDERI, Salvatore. –
Nacque il 7 luglio 1781 a Viagrande, paesino vicino a Catania, da Gaetano e da Venera Quattrocchi.
Ancora giovanissimo, il padre lo condusse a Catania «dove sotto gli auspici dello zio Francesco Scuderi» (L. Scuderi, Intorno alla vita..., 1846, p. 3), esimio cultore della medicina, studiò le lingue e i classici greci e latini. Completò i suoi studi presso la facoltà di giurisprudenza, laureandosi nel 1800.
Conseguita la laurea dottorale, si recò a Palermo, fece pratica forense presso il giureconsulto Guglielmo Tedeschi e si legò d’amicizia con Agostino De Cosmi, Domenico Scinà, Giuseppe Piazzi, «ossia con il fiore della siciliana sapienza» (p. 4). Tornato a Catania, si presentò al concorso per la cattedra di economia, commercio e agricoltura bandito dall’Università con il real dispaccio del 6 ottobre 1807.
Nominato professore di economia nel 1808, Scuderi svolse attività didattica per più di trent’anni e diede alle stampe le sue dissertazioni, in ottemperanza al dispaccio reale del 4 giugno 1809 che richiedeva «delle prove di sua applicazione»: seguendo il percorso delle sue lezioni, pubblicò a Catania nel 1811 le Dissertazioni economiche riguardanti il Regno di Sicilia, nel 1812 le Dissertazioni agrarie riguardanti il Regno di Sicilia per approdare ai Principj di civile economia (Napoli 1827) e diventando, con le sue idee contrarie al liberismo di Paolo Balsamo, il caposcuola dei protezionisti siciliani.
Riflettendo sui punti nodali della storia siciliana tra Settecento e Ottocento – dal tramonto del mercantilismo alla diffusione della teoria smithiana, dai moti del 1820-21 all’avvento di Ferdinando II – Scuderi formulò i suoi principi di economia civile sia riprendendo alcune delle indicazioni di Antonio Genovesi – lo sperimentalismo, il concretismo operativo – sia mettendo in circolazione tematiche e problemi d’importazione straniera.
L’avvicinamento di Scuderi alle tematiche economiche, la familiarità con gli scritti di Antoine Destutt de Tracy e di Dugald Stewart risalivano agli anni della giovinezza e, in particolare, al periodo palermitano, quando frequentava i migliori intellettuali, da De Cosmi a Scinà. Nella capitale dell’isola, inoltre, aveva avuto la possibilità di ascoltare le lezioni di Vincenzo Emanuele Sergio e di Balsamo, i quali lo avevano avvicinato alla lettura di Genovesi e di Adam Smith e lo avevano sollecitato a riflettere sull’evolversi dei termini del dibattito tra protezionisti e liberisti. Alla logica delle posizioni, semplicisticamente alternative, in termini di scelte di politica economica, tra agrarismo e colbertismo, Scuderi aggiunse altri elementi mutuati dalla teoria smithiana – utilizzata in chiave industrialista – e dalla diffusione delle teorie della scuola francese, da Destutt de Tracy a Charles Ganilh. Il problema del futuro dell’isola – fallito il disegno di sviluppo agrarista gestito da baroni e proprietari terrieri, cambiata la congiuntura economica – fu affrontato da Scuderi scegliendo come elementi strategici l’industria e il commercio.
Tipico economista di transizione, Scuderi tentò di far convivere nella sua opera schemi della cultura genovesiana e nuove elaborazioni, alla luce dei cambiamenti della situazione internazionale e della diffusione delle più innovative teorie. Sul corpo delle prime analisi inserì nuovi elementi – la dottrina del valore-lavoro, desunta da Smith, le considerazioni sul «male oscuro» (Memoria sulla rendita rurale, 1824, p. 28) della rendita rurale, sulle difficoltà degli strati borghesi, travolti dal crollo dei prezzi – e una matura valutazione dei problemi dello sviluppo, che si tradussero in una più puntuale obiezione politica al liberismo in nome non più del vecchio mercantilismo, ma di un nuovo ordinamento civile dalle forti implicazioni democratiche.
In fatto di civile economia gli astratti ragionamenti, i principi generali non avevano, per l’economista siciliano, «un merito assoluto» (Principj di civile economia, 1827, I, pp. XXII s.), ma relativo alla capacità di adattarsi alle posizioni locali, alle circostanze particolari e ai fatti concreti: le dottrine economiche potevano anche essere un puro esercizio intellettuale, ma le loro pratiche operazioni dovevano essere precise perché incidevano sul destino degli uomini; questa la differenza fra il teorico puro, che ragionava in astratto, e l’uomo di Stato che agiva per la sua nazione.
Sostenere che il liberismo servisse a far progredire la Sicilia era, per Scuderi, un ragionare per principi e per semplice analogia, un tentativo di applicare l’identica ricetta a paesi profondamente diversi. Nel caso della Sicilia, con i suoi terreni fertili, con i suoi abitanti inclini all’industria, la prima massima economica doveva essere quella di combinare i progressi delle manifatture con quelli dell’agricoltura e del commercio. Ristabilire l’equilibrio fra queste tre sorgenti di produzione puntando però sulla manifattura e sul commercio protetti come settori strategici dello sviluppo economico era «il gran problema» (Prolusione..., in Dissertazioni agrarie..., 1812, p. 17) della civile economia dalla cui soluzione dipendeva il futuro della Sicilia e il progresso della sua stessa agricoltura; un’agricoltura «libera da ostacoli» (p. 17), senza feudi, senza decime baronali, senza pascoli comuni.
Al modello di sviluppo agrarista e alla libera commercializzazione, Scuderi contrappose proposte di stampo protezionistico e una crescita fondata sull’incentivazione dei settori industriali e del commercio. Prendendo le distanze dalla teoria della rendita di David Ricardo, scrisse una Memoria sulla rendita rurale (1824) definendola «l’annuo frutto del valore che precedentemente si è accumulato o del travaglio che precedentemente si è fatto sulle terre per metterle in istato di coltura» (pp. 20 s.). La Memoria venne fortemente criticata dai liberisti siciliani e ritenuta «più ingegnosa che vera» (Albergo, 1855, pp. 154 s.), nonostante l’economista siciliano avesse anticipato il concetto di ‘servigio’ e alcune delle osservazioni di Frédéric Bastiat e di Henry Charles Carey sulla rendita, che riprodottesi in Francia avrebbero sollevato nel 1848 tra lo studioso francese e quello americano una delle più vive polemiche sul merito di priorità (Albergo, 1855). Il rifiuto di Scuderi della teoria ricardiana era dovuto al fatto che Ricardo aveva «sostanzialmente» ristabilito la centralità della terra e della classe fondiaria e aveva ignorato l’intervento del «travaglio umano» (Cenno critico..., 1834, pp. 34 s.), così come non aveva considerato i miglioramenti, i continui esperimenti di riconversione culturale e di modernizzazione produttiva che contribuivano a rendere più ‘fruttuose’ le terre e più alti i rendimenti.
Nel 1829 Scuderi fu eletto consigliere provinciale di Catania e nel 1830 entrò a far parte dell’Intendenza della Provincia. Collaborò a numerosi periodici tra cui il Giornale di scienze, lettere e arti per la Sicilia, le Effemeridi scientifiche e letterarie per la Sicilia, gli Annali di agricoltura italiani, il Giornale del Gabinetto letterario dell’accademia gioiena di Catania, lo Stesicoro. Istituite in Sicilia, nei primi anni Trenta per volere di Ferdinando II, le Società economiche provinciali, Scuderi, nel Discorso per l’inaugurazione della Società economica della valle di Catania, pubblicato nel 1832 sul Giornale di scienze, lettere e arti per la Sicilia, sostenne che il vero scopo della Società consisteva nell’unire «la pratica con la teoria», nell’essere «un anello di comunicazione tra le braccia operose che compiono il travaglio» (p. 122) e le persone scientificamente istruite.
Eletto nel 1833 presidente della Società economica di Catania, all’impegno accademico ed editoriale Scuderi accompagnò un’intensa attività di organizzazione della Società, definendone i compiti, favorendo i rapporti scientifici, promuovendo iniziative economiche. La sua concezione dell’economia politica, come scienza di utili verità, divenne normativa e interventista e assunse connotati antiaristocratici: per Scuderi lo scioglimento dei diritti promiscui, la divisione dei latifondi, il censimento dei beni comunali, l’adozione delle scoperte e dei progressi realizzati nella teoria e nella pratica delle arti, l’assegnazione di premi per l’introduzione di nuovi ‘artefatti’, la costruzione di strade, la libera esportazione delle proprie produzioni e i vincoli e i dazi sulle importazioni di manufatti stranieri erano provvedimenti indispensabili per migliorare la produzione e i traffici, così come era «un articolo della più grande importanza» introdurre in Sicilia i primi elementi della statistica e liberarla dal ruolo secondario, rispetto all’economia teoretica, in cui voleva relegarla Jean-Baptiste Say.
Economia e statistica erano rami di scienza – come nell’accezione gioiana – e servivano a dimostrare la superiorità scientifica di un modello politico-economico alternativo rispetto al liberismo di Balsamo e dei suoi seguaci, sostanzialmente incapace di risolvere i problemi dell’economia siciliana.
I dati statistici dimostravano che i prodotti agricoli siciliani erano poco richiesti sui mercati esteri poiché non possedevano «alcuna superiorità nei confronti degli uguali prodotti degli altri popoli» (Risposta del professore Scuderi alla lettera del cav. Franc. Paolo Mortillaro, 1833, p. 9) e venivano proposti a più alti prezzi. Solo le arti e le manifatture, utilizzando i prodotti grezzi interni, potevano promuovere lo sviluppo e incrementare i capitali impiegati. Non proteggere le manifatture significava condannare la Sicilia al ristagno economico. Continuare a professare i principi liberisti significava ragionare in astratto senza tener conto della situazione economica dell’isola, degli sviluppi della società industriale e dei nuovi rapporti internazionali.
Nel 1834 Scuderi scese in campo contro il libero cabotaggio tra le due parti del Regno, scatenando le ire di Francesco Ferrara, il quale scrisse che al «grande e vecchio argomento dei colbertisti» sulla necessità di «proteggere l’industria nascente» bisognava «una volta per sempre» rispondere e chiarire che «lo stato della quistione» era ormai «diverso» e il pubblico pretendeva «qualche pensiero di data più fresca» di quelli che uscivano «dalla penna di un professore» che sedeva da trent’anni sulla cattedra di economia civile (Sul cabotaggio delle Due Sicilie, in Giornale di Statistica, 1837, pp. 7-98).
Nel 1835 Scuderi sposò Agatina Fuccio, vedova Alessi, dalla quale non ebbe figli. Nel giugno del 1839 venne colpito da una crisi ulcerosa intestinale che in pochi mesi lo condusse alla morte, avvenuta a Catania il 14 gennaio 1840. Fu sepolto a Viagrande, secondo la sua volontà.
Opere. Dissertazioni economiche riguardanti il Regno di Sicilia, Catania 1811; Dissertazioni agrarie riguardanti il Regno di Sicilia (con la Prolusione allo studio di Economia, Commercio, ed Agricoltura dell’Università di Catania), Catania 1812; Memoria sulla rendita rurale, in Giornale di scienze, lettere e arti per la Sicilia, 1824, pp. 1-28; Principj di civile economia, I-III, Napoli 1827; Discorso per l’inaugurazione della Società economica della valle di Catania, in Giornale di scienze, lettere e arti per la Sicilia, 1832, pp. 121-134; Risposta del professore Scuderi alla lettera del cav. Franc. Paolo Mortillaro, Palermo 1833; Cenno critico intorno alla nuova teoria di David Ricardo sulla rendita rurale, in Giornale del Gabinetto Letterario dell’Accademia Gioenia, 1834, vol. 1, n. 1, pp. 32-41; Sui premi decretati per alcune industrie di Sicilia, Catania 1841, pp. 5-31; Discorso sul progresso della popolazione di Sicilia, Catania 1853.
Fonti e Bibl.: Catania, Archivio storico dell’Università, Concorso alla cattedra di Economia, Commercio, Agricoltura, 1808-1809, vol. 299, ad nomen; L. Scuderi, Intorno alla vita e alle opere di S. S. Discorso di Luigi Scuderi, Catania 1846.
E. Tedeschi Amato, Su la vita e le opere di S. S., Catania 1840; Id., Pensamenti sull’oggetto dell’economia sociale, Catania 1846; G. Albergo, Storia dell’economia politica in Sicilia, Palermo 1855, pp. 154 s.; P. Travagliante, L’economia civile di S. S. Materiali e note per la storia della prima cattedra catanese di economia, Catania 1999; Ead., Un economista di transizione: S. S. (1781-1840), in Il pensiero economico italiano, VII (1999), 2, pp. 1-30. A. Grasso, S. S. Il caposcuola del protezionismo siciliano, Acireale-Roma 2008; M.M. Augello, Gli economisti accademici italiani dell’Ottocento. Una storia “documentale”, I, 3, Pisa-Roma 2013, pp. 1479-1491.