Salvatore
Titolo attribuito a Cristo (v.) per proclamare l'opera di salvezza o redenzione compiuta con la sua passione e morte. Esso, come i termini relativi (salvare, salvezza, salutare o salvifico), compare molte volte nel Nuovo Testamento e quindi nella letteratura cristiana e nella liturgia. D., che oltre a ripetere numerose figurazioni e attributi biblici ricorre anche ad appellativi originali (il grifone della processione mistica; l'ortolano etterno di Pd XXVI 65; l'imperadore di If I 124, Pd XII 40, XXV 41; romano di Pg XXXII 102, ecc.), usa poche volte l'epiteto S., e soltanto nel Convivio, nella Monarchia e nel Fiore (CXXXII 9).
Naturalmente D. non si pone le complicate questioni che hanno assillato gli storici delle religioni in tempi recenti: rapporti del titolo con le religioni misteriche e con il culto dell'imperatore, cui si attribuiva spesso la qualifica di σωτήρ o Salvator: usa il termine semplicemente per indicare Gesù Cristo e lo adopera in maniera indifferente per riferirsi al periodo della sua vita terrena oppure a quello successivo alla resurrezione; ciò avviene in Mn I IV 4 e in Cv II V 4, III XI 3, IV XVII 10, XXII 14 (due volte) e 15, XXIII 10. Nel primo testo D. parla di ‛ summus Salvator ', ma il contesto esclude l'idea di salvatori minori o secondari; l'appellativo, che innanzi tutto vuole esaltare la bellezza della pace (‛ summa salutatio '), va inteso in senso assoluto. In due testi (Cv III XI 3, IV XXIII 10) il titolo è accompagnato da indicazioni cronologiche piuttosto approssimative: nel primo si fissa la nascita del S. nel 750 circa di Roma; nel secondo si afferma che il S. morì nel trentaquattresimo anno de la sua etade, il che - prescindendo dalla conclusione che ne deduce il poeta - è verosimile.