RICCI, Saminiato
RICCI, Saminiato. – Membro di un’illustre famiglia fiorentina, nacque presumibilmente attorno al 1370, figlio di Gucciozzo di Ardingo.
La fama di Ricci è dovuta a un manuale di mercatura da lui compilato a Genova nel 1396. Sono assai scarne le notizie sulla sua vita, pur essendo egli appartenuto a una famiglia nota nella Firenze degli ultimi secoli del Medioevo e che, fin dal tardo Duecento, vide numerosi suoi membri ricoprire cariche pubbliche.
Lo stesso padre di Ricci fu due volte tra i priori, due volte tra i Dodici buonomini e una volta tra i Sedici gonfalonieri, e svolse anche le funzioni di ufficiale della moneta e di ambasciatore nella pace con i pisani del 1364. Come scrisse Scipione Ammirato (1615) riferendosi alla discendenza di Gucciozzo, «di niuna famiglia habbiamo havuto minori notizie di questa» (p. 166). Anche l’origine della casata è dibattuta dai genealogisti, che la rintracciano a volte a Pozzolatico, altre volte a Fiesole. Lo stemma è caratterizzato da un numero molto variabile di ricci (fra 3 e 8) e stelle (fra 3 e 11) d’oro (o gialli) in campo blu.
Gucciozzo «mantenne il traffico già incominciato da’ suoi maggiori, ed alla sua morte (nel 1404) lasciò i figli colla reputazione di essere dei più ricchi tra i mercanti fiorentini» (Archivio di Stato di Firenze, Ceramelli Papiani, 3964). Le numerose genealogie della famiglia presentano dati discordanti per quanto riguarda il numero di figli di Gucciozzo, pari forse a 12-13 maschi e 4 femmine (Manoscritti, 600, ins. 29). La famiglia ebbe dunque una forte connotazione mercantile, tanto che quattro dei figli di Gucciozzo furono immatricolati nell’Arte del cambio, uno nell’Arte della lana e uno – Saminiato, appunto – in quella «de’ mercatanti» (519/III, ins. 50). Tra gli eredi di Gucciozzo spiccarono soprattutto i figli maggiori, Ardingo e Filippo, che proseguirono l’attività paterna incentrando gli affari di famiglia soprattutto sui due poli di Firenze e Genova. I Ricci, anche grazie ad altri membri della famiglia (fratelli, figli e nipoti), ebbero inoltre compagnie attive in diverse sedi (Perugia, Pisa e Roma). All’articolata attività mercantile della casata partecipò anche Saminiato, pur con un contributo che non è facile individuare.
Tra le poche date certe della vita di Ricci è il 1392, quando sposò Bartolomea di Iacopo degli Alberti (che sarebbe deceduta il 10 novembre 1444 dopo essersi risposata, in seguito alla morte del marito, con Bindo di Gherardo Piaciti); questa unione consolidava un legame tra le famiglie Ricci e Alberti che era già stato sancito da un altro matrimonio, quello di Luigi di Tommaso degli Alberti con Sandra di messer Giovanni de’ Ricci, avvenuto nel 1390.
Nel 1393 Ricci fu, come si è visto, immatricolato nell’Arte di Calimala. Nel 1396, come attestato dalla prima carta del suo manuale di mercatura, egli era a Genova, dove da tempo la famiglia aveva impiantato una solida attività commerciale con la partecipazione di alcuni suoi fratelli. Non è noto tuttavia se la permanenza genovese di Ricci sia stata occasionale oppure si sia prolungata per qualche tempo. A ogni modo, almeno nel periodo 1396-1400, egli fu intestatario a Firenze, assieme con uno dei fratelli maggiori, di una ragione denominata Filippo e Saminiato de’ Ricci e compagni. Per conto di questa compagnia effettuò alcuni viaggi, come quello compiuto tra ottobre e novembre del 1400, quando fu a Bologna e Venezia (anche se questo viaggio non ebbe solo ragioni legate agli affari).
Se le notizie sulla vita di Ricci sono ridotte al minimo, non altrettanto si può dire per quanto riguarda quelle sulla sua morte, avvenuta in modo tragico il 19 novembre 1400 in piazza S. Croce a Firenze. In tale data, infatti, egli fu decapitato a causa della sua partecipazione a una congiura contro il governo di Maso degli Albizzi (la famiglia del quale era in aperto contrasto con i Ricci già da qualche decennio).
L’evento fece di Ricci un «traditorem, conspiratorem et subversorem contra commune Florentie et contra regimen et statum presentem pacificum et tranquillum dicte civitatis, hominem male conducte, conversationis, vite et fame» (Borlandi, 1963, p. 32). L’Archivio di Stato di Firenze conserva alcuni documenti processuali che confermano la sua partecipazione alla congiura assieme con alcuni congiunti, a membri delle famiglie Alberti e Medici e altri. La dettagliatissima confessione, resa sotto tortura, dimostra come proprio nel corso del viaggio a Bologna si fossero definiti gli aspetti organizzativi dell’operazione, che mirava – nelle parole di Ricci stesso – a «ridurre quella terra [Firenze] in buono stato et tralla di mano a parecchi tiranni» (Passerini, 1869, II, p. 276).
Nel corso della discussione sulla procedura da adottare nei confronti dei congiurati si manifestarono posizioni più morbide e posizioni più dure, come quella di Rinaldo Gianfigliazzi che, trovando l’appoggio di Marco Strozzi e di Niccolò Davanzati, «chiese doversi adoperare estremo rigore, in specie contro Samminiato de’ Ricci» (p. 280).
Della cospirazione sapeva probabilmente anche il fratello di Ricci, Ardingo, punito con il bando da Firenze; su di lui fu posta anche una taglia, che colpì pure altri due esponenti della casata, Salvestro e Tommaso di Rosso. I Ricci, gli Alberti e i Medici – con l’eccezione di alcuni rami – furono esclusi per un ventennio dai pubblici uffici; inoltre fu decretata la distruzione delle ville fortificate di Canapaia (in cui si era svolto uno degli incontri tra i congiurati) e Zollaia, entrambe appartenenti ai Ricci (pp. 280-293). La cospirazione cui partecipò Ricci era forse stata quantomeno avallata, se non ispirata, da Gian Galeazzo Visconti, molto attivo sullo scacchiere politico della penisola (Borlandi, 1963, p. 32).
Secondo le genealogie Ricci ebbe un solo figlio, Niccolò, nato il 12 agosto 1396 (Archivio di Stato di Firenze, Tratte, 79, c. 149r), anche se altre fonti riportano il 1392 o il 1399. Almeno tra il 1402 e il 1406 esisteva a Roma una compagnia intestata a Filippo e Niccolò de’ Ricci ma, vista la minore età in tale data del figlio di Saminiato, non è certo che si trattasse proprio di lui (anche se era possibile che minori comparissero nelle ragioni sociali delle compagnie mercantili-bancarie). Niccolò sposò Tita d’Antonio Davanzati nel 1421 (o 1419). Nel 1427, con la moglie e quattro figli piccoli, era residente nel quartiere di S. Giovanni, gonfalone Vaio e dichiarava (tra immobili e mobili) beni pari a 4786 fiorini, per il 70% investimenti in titoli del debito pubblico; tolte le deduzioni aveva un valsente pari a 2255 fiorini (Archivio di Stato di Firenze, Catasto, 81, cc. 483v-484v).
A dare fama a Ricci fu un manuale di mercatura, a noi giunto grazie ad Antonio di messer Francesco da Pescia, il quale nel 1416 lo copiò, aggiungendovi successivamente alcune sue integrazioni.
La pagina iniziale infatti recita: «Questo libro è d’Antonio di messer Francesco da Pescia, sul quale scriverò modi e forme che si deono tenere in merchantie e chambi in ongni luogho […] chopiato d’uno quaderno fatto 1396 per Saminiato di Ghucciozzo de’ Ricci in Genova […] chominciato per me Antonio sopradedo adì primo di dicembre 1416» (Firenze, Biblioteca nazionale, Panciatichi, 71, c. 1r). Antonio era in quel momento fattore nella compagnia fiorentina di Giovanni di Bicci de’ Medici, rappresentante di una famiglia che era – come si è visto – molto vicina ai Ricci.
L’opera si colloca all’interno di una tradizione di manuali di mercatura che cominciava a diffondersi – soprattutto in area toscana e veneta – fin dal tardo XIII secolo. Il fatto che essa sia stata compilata a Genova costituisce una rarità; ma bisogna sottolineare che comunque l’ambito in cui essa nacque era pur sempre fiorentino. Un raffronto con una delle pratiche di mercatura più celebri, il Libro di gabelle di Giovanni da Uzzano, redatto circa mezzo secolo dopo, mostra come quest’ultimo abbia ripreso molte notizie dal testo di Ricci, pur aggiornandone alcune con i dati più recenti. Ma già nello stesso 1396 in cui Ricci aveva redatto il proprio testo, un mercante fiorentino di Marsiglia – che evidentemente era entrato in possesso di una copia – ne riprodusse quasi integralmente la prima parte. Meno evidenti sono invece i legami con le pratiche di mercatura precedenti, a dimostrazione dell’originalità dell’opera di Ricci (Borlandi, 1963, pp. 37-39, 48-51).
Il «quaderno» di Ricci, che si trova alle cc. 2r-21v del codice predisposto da Francesco da Pescia, è organizzato sistematicamente solo nella prima parte, mentre è disordinato nella parte successiva. Nei capitoli iniziali un’attenzione speciale viene riservata alla piazza genovese, della quale sono descritte le modalità di scambio con Pisa, Firenze, Bologna, Venezia, Roma, Milano, Avignone e Montpellier: in particolare sono sottolineati i rapporti tra i pesi sulle varie piazze e i costi di trasporto (ma anche le spese accessorie e i dazi doganali). Uno spazio rilevante è riservato anche a Venezia, altro grande polo commerciale della penisola italiana. Il resto del manuale amplia lo spettro geografico, arrivando a comprendere notizie sulle principali aree di interesse per il commercio dei fiorentini, sia nell’Europa nord-occidentale (Bruges, Londra e Parigi), sia in quella mediterranea (Barcellona, Maiorca, Montpellier), sia nel Levante (Alessandria e Damasco). Le informazioni della seconda parte – pur non organizzate in maniera sistematica – riguardano diritti doganali, monete, unità di misura e sono particolarmente numerose per ciò che concerne le operazioni cambiarie, uno dei pilastri dell’attività dei grandi mercanti-banchieri: non solo vengono indicati i tassi di cambio o i «tempi di lettere di paghamento», ma ci si sofferma anche sui periodi di abbondanza o scarsità di denaro sulle varie piazze, sulle regole dei cambi e su suggerimenti sul come operare al meglio: «questo quaderno ti mostra assai chiaro il forte di quello ài a seghuire» (Firenze, Biblioteca nazionale, Panciatichi, 71, c. 20r).
Il lavoro di Ricci fu certamente stimolato anche dalla necessità di sviluppare adeguate strategie commerciali in un periodo complicato per i mercanti fiorentini a Genova, i quali dovevano tener conto di una situazione politica incerta. Genova si era infatti concessa alla Dominazione francese, in un momento in cui mirava al controllo su di essa Gian Galeazzo Visconti. Quest’ultimo, negli stessi anni, mostrava un notevole attivismo, oltre che verso Genova, anche verso Firenze, i due poli commerciali sui quali era incentrata l’attività dei Ricci.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Prato, Datini, bb. 490, 497, 500, 860, 911, 986, 1143-1145 (disponibili on-line: http://datini.archivio distato.prato.it/la-ricerca/, 16 ottobre 2016).
S. Ammirato, Delle famiglie nobili fiorentine, Parte prima, Firenze 1615, pp. 153-174; G.F. Pagnini del Ventura, Della decima e delle altre gravezze &c., t. IV, Lisbona-Lucca 1766; L. Passerini, Gli Alberti di Firenze, Firenze 1869, I, tav. III; II, pp. 96, 266-293; A. Borlandi, Il manuale di mercatura di Saminiato de’ Ricci, Genova 1963.