SAN SALVATORE di Cabras
Località situata nella penisola detta Sinis, nel centro della costa occidentale della Sardegna a 5 km a O del villaggio di Cabras e 6 a N del Capo S. Marco, presso il quale sorgono le rovine dell'antica città fenicia di Tharros (v.), in una bassa e pittoresca pianura di acquitrini e dune. Il nome le proviene da una chiesetta, o cappella, circondata da un quadrato di casupole per lo più disabitate, dove si recano in pellegrinaggio gli abitanti delle regioni circonvicine - pastori, pescatori e contadini - e vi soggiornano soltanto nella prima settimana di settembre quando, all'inizio dell'anno agricolo, vi si celebra la festa del Santo. Dal pavimento della chiesetta una scalinata scende a un ipogeo, solo in parte esteso sotto alla chiesetta stessa, di evidente costruzione antica.
La pianta dell'ipogeo è a cella tricora, i cui tre ambienti, due laterali ellissoidali e uno di fondo semicircolare, si aggruppano attorno ad un atrio rotondo, e sono preceduti da due ambienti rettangolari affiancati a quelli ellissoidali ai lati del corridoio di accesso in cui sbocca la scalinata. Le modeste dimensioni dell'edificio raggiungono i 10 m di larghezza tra i due estremi delle stanze absidate, e circa la medesima lunghezza dallo sbocco del corridoio al fondo della stanza semicircolare. L'edificio è scavato nella roccia per tutta la parte inferiore, e costruito nella metà superiore a filari di mattoni alternati, a regolari intervalli, con un filare di blocchetti più grossi in arenaria; corridoio e cella hanno vòlta a botte, mentre le absidi hanno copertura a quarto di sfera; l'atrio circolare è sormontato da una bassa cupola, aperta in alto nel centro in corrispondenza a un pozzo, che si presenta dunque come l'elemento centrale della costruzione, e dal quale i fedeli fino ai primi anni dell'attuale secolo attingevano acqua durante il loro soggiorno per la festa del Santo. Più piccole aperture quadrate sui soffitti degli altri ambienti rappresentano probabilmente dei semplici pozzi di luce.
La lettura e l'interpretazione della decorazione antica restano difficili, sia per il suo contenuto stesso, sia per l'interpolazione alla decorazione originale di disegni e graffiti di epoche diverse su tutta la superficie conservata dell'intonaco che copriva le pareti fino all'inizio della curvatura dei soffitti.
La forma del triconco, l'esistenza del pozzo come elemento centrale e più cospicuo, lo stile della maggior parte delle figure residue della decorazione originale, come anche il carattere di molti tra i graffiti più antichi, suggeriscono che si tratti di un piccolo santuario dedicato al culto delle acque creato nella tarda antichità, probabilmente nella prima metà del IV sec. d. C.
Un gruppo dipinto di buona fattura - quindi presumibilmente resto della decorazione originale - rappresenta, sulla parete rettilinea a destra entrando nell'ambiente ellissoidale di destra, Ercole che strozza il leone Nemeo stringendone il collo sotto l'ascella. Ercole, tra le divinità del Pantheon classico, è quella forse più strettamente collegata con le acque, sia per i rapporti della sua leggenda con i maggiori corsi fluviali e le sorgenti della Grecia, sia per la protezione da lui accordata ai bagni, e alle acque terapeutiche, associato in tale veste di salutifer, o σωτήρ, ad Asklepios e alle ninfe; era considerato specialmente benefico per alcuni generi di malattie, come l'epilessia, chiamata appunto "malattia di Ercole", mentre per la colica era raccomandato un amuleto rappresentante appunto il dio che strozza il leone (v. eracle). In mezzo a un groviglio di figure ben disegnate, di schizzi ingenui e di graffiti, che copre la parte arcuata della medesima cella, una figura femminile con corona radiata, che con la sinistra discosta un velo dietro le spalle scoprendo il torso ignudo, col collo ornato di collana e reggente uno scettro nella destra, si può riportare al tipo della Venus genitrix; di fronte ad essa, infatti, al di là di un torso virile con testa rivolta verso di lei, dall'aspetto di Hermes, incontriamo un piccolo Eros volante che tende un panno. Al di là di quest'ultimo una figura femminile seduta, che gli rivolge le spalle, con torso apparentemente ignudo e un panno avvolto alle anche, sembra rappresentare una ninfa. Più in là sulla medesima parete v'è un'altra figura nell'atteggiamento delle ninfe danzanti, e le gambe di una terza. Le ninfe sono naturalmente le divinità delle acque per eccellenza; ad esse, in molti culti e in molte rappresentazioni, è associato Hermes. Nella cella ellissoidale di sinistra v'è una piccola rappresentazione di un Eros che sorge sul tronco di un albero di cui scosta i rami: verisimilmente immagine dell'Eros cosmogonico, associato al culto di Afrodite anche in un piccolo santuario popolare sulle pendici settentrionali dell'acropoli di Atene. Ma Afrodite stessa - la dea nata dalle acque - è divinità assai frequentemente ricordata come titolare di santuari situati presso al mare, protettrice dei naviganti come dea Marina, Πελαγία, atta - per la sua stessa origine di divinità lunare - a calmare le tempeste e salvare le navi in pericolo. Simili funzioni aveva anche lo stesso Ercole, il protettore dei viandanti e viaggiatori, sotto l'epiteto di ῾Ηγεμών.
I culti a divinità salutari e protettrici dei marinai possono spiegare anche la maggior parte dei graffiti e scarabocchi che hanno riempito tutti i vuoti tra i resti delle figure originali. Tra questi graffiti una delle categorie più numerose rappresenta infatti ogni genere di navi, barche a remi come velieri; fra questi ultimi ve ne sono a due alberi dritti e verticali, assai rari nella marineria romana (v. nave), ma anche con il solo albero maestro e l'aggiunta della vela di artimone, questa scomparsa verso la fine del IV sec. d. C., che testimoniano quindi l'esecuzione di graffiti ad assai poca distanza dal momento di costruzione dell'ipogeo: rappresentazioni di navi che stanno quali umili ex voto di marinai alla divinità per ringraziamento di scampati pericoli, o preghiera di protezione per le navi del loro viaggio. Altri graffiti sono espressione di credenze superstiziose divulgate nella tarda antichità, contenendo un simbolismo mistico e un valore profilattico e magico: così una seconda numerosa categoria con immagini di aurighi e carri correnti nel circo, e così egualmente un singolo alfabeto greco, con le lettere distribuite su quattro righe e sormontate da un pesce.
In conclusione in Sardegna - l'arida isola dove il culto delle acque da tempi primordiali fino al giorno d'oggi è attestato dalla tradizione letteraria, dalla superstizione popolare, come da un'imponente testimonianza archeologica, tra cui in primo luogo i numerosi pozzi sacri di età nuragica - un santuarietto triconco dedicato a tale culto veniva costruito nella pianura di Cabras, in mezzo agli stagni e poco lungi dalla costa del mare, attorno all'età costantiniana, quando appunto questa forma architettonica si veniva sempre più affermando. Fin dal momento della creazione questo ipogeo è stato decorato da talune pitture monocrome alludenti ai culti in esso venerati: prominente tra esse è l'immagine di Ercole che strozza il leone, in un atteggiamento in cui è conosciuto come divinità salutare. È stato precedentemente osservato come un gran numero di chiese dedicate a S. Salvatore, specialmente in Toscana, sorgono presso acque terapeutiche, ed è stato suggerito che varî culti cristiani odierni in tali località possano conservare nella nuova religione qualche connessione con culti antichi: ora possiamo estendere l'ipotesi, che il nome stesso di S. Salvatore non ci conservi altro che un epiteto di una divinità salutare pagana, e precisamente quello di Ercole Σωτήρ, Salvatore.
Dopo lo strascico di culto nella tarda antichità con tutta verisimiglianza assai presto l'ipogeo si è trasformato in un luogo di pellegrinaggio cristiano, probabilmente essendosi costruita sopra ad esso una chiesetta - di cui la cappella moderna è solo l'ultima erede - quando ancora la coscienza della devozione nell'antico santuario era tanto viva da passare il suo nome al culto della religione nuova. Presto l'ipogeo sotto la chiesa deve essere rimasto ostruito e dimenticato; ma nel Seicento alcuni marinai, penetrativi accidentalmente, vi aggiungevano, accanto ai primitivi ex voto delle navi graffite, schematiche immagini delle loro proprie navi, assieme a un iscrizione col Credo musulmano. Quindi passarono altri due secoli di oblio per il vetusto rudere fino alla sua recente riscoperta.
Bibl.: D. Levi, L'Ipogeo di San Salvatore di Cabras in Sardegna, Roma 1949; id., A Late Roman Water Cult at San Salvatore near Cabras in Sardinia, in Gazette des Beaux Arts, XXXIV, 1948, p. 317 ss.