Antero, santo
Secondo il Liber pontificalis era di origine greca e suo padre si chiamava Romolo. Il suo nome potrebbe indicare una estrazione servile. A torto Eusebio, nel Chronicon e nell'Historia ecclesiastica, ne colloca il pontificato nel primo anno dell'impero di Gordiano III (238-244). Come attesta il Catalogo Liberiano, fu invece ordinato papa il 21 novembre 235 a seguito della rinuncia, il 28 settembre dello stesso anno, di Ponziano, che era stato condannato alle miniere in Sardegna insieme all'antipapa Ippolito su ordine dell'imperatore Massimino il Trace, e morì il 3 gennaio 236, prima, come sembra, del suo predecessore.
La brevità del suo pontificato (poco più di quaranta giorni) sembrerebbe confortare la notizia del Liber pontificalis secondo cui sarebbe morto martire ("martyrio coronatur"), accreditata dai martirologi medievali (forse sulla base della versione rufiniana dell'Historia ecclesiastica di Eusebio), ma che si crede smentita dall'assenza del nome del papa nella Depositio martyrum e dal fatto che il Catalogo Liberiano a proposito della morte di A. ricorre all'espressione "dormit" ("si addormentò"), impiegata abitualmente per indicare la morte naturale.
Già L.-S. Lenain de Tillemont, tuttavia, osservando che lo stesso Catalogo usa il termine "dormitio" per papa Cornelio, ritenuto martire, e che l'espressione "addormentarsi" è impiegata da Eusebio per Alessandro di Gerusalemme, morto in prigione durante la persecuzione di Decio, ipotizzava che A. potesse non essere morto per mano del carnefice, ma in carcere o comunque per qualche altra pena che lo avrebbe fatto considerare martire; e anche L. Duchesne, per cui l'espressione del testo era, al contrario, inequivocabile, non escludeva che il redattore del Liber pontificalis potesse aver consapevolmente sostituito il "dormit" del Catalogo Liberiano con la più precisa informazione "martyrio coronatur" sulla base di documenti o tradizioni relativi alla persecuzione di Massimino il Trace successivamente perduti.
Il Liber pontificalis gli attribuisce una ordinazione episcopale a Fondi (che la stessa fonte segnala come città di origine di papa Sotero); inoltre A. avrebbe incaricato i notai ecclesiastici di realizzare una accurata raccolta degli atti processuali dei martiri, che avrebbe poi nascosto nella sua chiesa, iniziativa connessa in qualche modo con un non meglio identificato presbitero Massimino o Massimo, morto per la fede.
La notizia non ha alcun fondamento storico, ma è espressione del tentativo di ricostruire la storia del corpo dei notarii, la cui istituzione, col compito di raccogliere gli atti dei martiri, è fatta risalire addirittura a papa Clemente.
In ogni caso il Liber pontificalis non sembra istituire alcun nesso di causalità tra l'iniziativa attribuita ad A. e il suo martirio, stando almeno all'edizione restituitane dal Duchesne, in cui si legge: "Hic gestas martyrum diligenter a notariis exquisivit et in ecclesia recondit propter quodam Maximino [o Maximo] presbytero qui martyrio coronatus est [o martyr effectus est]". Questa interpretazione, riproposta da P. Allard, secondo il quale il papa sarebbe stato ucciso "per aver cercato […] gli Atti dei martiri" (p. 193), dipende dalla congettura dell'editore seicentesco di Magonza, che, nel tentativo di rendere comprensibile un testo filologicamente molto incerto e poco chiaro, ipotizzò una corruzione dopo "recondit" e suggerì di correggere "propter quod a Maximo praefecto martyr effectus est [o martyrio coronatus est]". La correzione, accolta da G.B. de Rossi in considerazione della facilità di confondere le abbreviazioni di presbytero e praefecto e del fatto che Pupieno Massimo (il prefetto del testo congetturale) avrebbe ricoperto la prefettura di Roma all'incirca nel periodo del pontificato di A., è stata rifiutata da Duchesne, che ha negato la fondatezza dell'argomento paleografico e ha giudicato poco verosimile la coincidenza del breve episcopato di A. con la magistratura di Pupieno, un personaggio che nel 237 fu scelto dal Senato per sostituire Massimino dichiarato decaduto e pubblico nemico, al quale perciò difficilmente il Trace avrebbe affidato nel 236 la prefettura urbana. A suo giudizio il senso più probabile in base al testo tradito "est que le pape s'occupa de recueillir les actes des martyrs, à propos d'un prêtre Maxime ou Maximin qui était mort pour la foi" (introduzione a Le Liber pontificalis, p. XCV).
Il rinvenimento, da parte di G.B. de Rossi, di una lastra marmorea parzialmente mutila, pertinente in origine ad una tomba a loculo, recante l'iscrizione "ΑΝΤΕΡΩΣ ΕΠΙ[ΣΚΟΠΟΣ]" (Inscriptiones Christianae, nr. 10558), nella cosiddetta cripta dei papi nel cimitero di Callisto, ha confermato la notizia del Liber pontificalis riguardo la sua sepoltura "in cymiterio Calisti", localizzandola inoltre con maggiore precisione rispetto all'altra grande lastra marmorea collocata da Sisto III sul lato interno della parete d'ingresso della cripta recante i nomi dei vescovi, anche di alcuni non romani, sepolti nel cimitero (ibid., nr. 9516: "Xystus Dionysius Stephanus Urbanus / Cornelius Felix Lucius Manno / Pontianus Eutychianus Anteros Numidianus / Fabianus Gaius Laudiceus Iulianus / Eusebius Miltiades Polycarpus Optatus"). A. fu il primo ad essere sepolto nella cripta, prima di Ponziano, le cui spoglie traslate dalla Sardegna furono deposte nella cripta dei papi durante il pontificato di Fabiano. L'autenticità dell'epitaffio di A. non può essere messa in dubbio, in primo luogo per le circostanze del rinvenimento che ne testimoniano la contestualità con una delle tombe a loculo della cripta, in secondo luogo per le sue caratteristiche interne, quali l'uso della lingua greca e l'estrema laconicità, che rientrano pienamente nella prassi epigrafica cristiana del pieno III secolo.
Le spoglie di A., unitamente a quelle di altri papi, vescovi e martiri sepolti nel cimitero callistiano, al tempo di Pasquale I furono traslate nella chiesa di S. Prassede, come documentato dalla nota iscrizione posta nella chiesa, sul primo pilastro della navata destra (cfr. il testo riportato nel Liber pontificalis [II, pp. 63-4]). Una precedente traslazione, evidentemente parziale, è indirettamente testimoniata da un altro documento epigrafico, una lastra marmorea collocata nell'atrio della chiesa di S. Silvestro in Capite: l'epigrafe è stata attribuita da A. Silvagni al papato di Paolo I.
È apocrifa l'epistola riportata a suo nome compresa nella collezione delle false decretali pseudoisidoriane, che consente il passaggio di sede dei vescovi.
I calendari e i libri liturgici romani lo commemorano alla data del 3 gennaio solo a partire dal IX secolo.
fonti e bibliografia
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