Ponziano, santo
La data di inizio dell'episcopato si deve fissare per congettura al 230, in quanto la fonte migliore, il Catalogo Liberiano, presenta indicazioni contraddittorie. Esso stabilisce la durata dell'episcopato in cinque anni, due mesi e sette giorni e lo fa decorrere dal consolato di Pompeiano e Peligniano, cioè dal 231. Le due circostanze menzionate nel catalogo appaiono incompatibili, tenendo conto di quanto dice appresso, ricordando le circostanze della fine di Ponziano. Questi fu deportato insieme con il presbitero Ippolito in Sardegna, e la durezza del provvedimento è chiarita nel testo dalla specificazione: "in insula nociva", con la quale si vuole probabilmente intendere il clima insalubre e la condanna ai lavori forzati nelle miniere. L'anno dell'esilio è fissato al consolato di Severo e Quintiano, cioè al 235. Il catalogo ricorda quindi la data della rinuncia di P. alla carica, rinuncia espressa con il termine tecnico "discinctus est" (cfr. Thesaurus linguae Latinae [...], V, 1, Lipsiae 1909-34, col. 1316), avvenuta in Sardegna ("in eadem insula") il 28 settembre e l'ordinazione, come successore, di Antero il 21 novembre. Tali eventi, in assenza di ulteriori specificazioni, debbono intendersi avvenuti nello stesso 235. Calcolando a ritroso sulla base del lasso di tempo indicato nel testo per l'episcopato di P., si giunge a porne la data di inizio al 21 luglio del 230 e non al 231. L'anticipazione al 230 potrebbe essere corroborata da Eusebio di Cesarea che parla di un episcopato lungo sei anni (Historia ecclesiastica VI, 29, 1), ma non si può insistere troppo su questo, perché per la Sede di Roma nel III secolo le cronologie di Eusebio sono largamente deficitarie. Da notare che il catalogo non dice nulla sulla data della morte di Ponziano. Anche la Depositio martyrum accosta P. a Ippolito dando la notizia della loro sepoltura avvenuta a Roma nello stesso giorno, il 13 agosto: per P. nel cimitero di Callisto, sulla via Appia, e per Ippolito sulla via Tiburtina. L'epitaffio di P. (Inscriptiones Christianae, nr. 10670) fu ritrovato in più frammenti nel 1909 sotto la pavimentazione del cubicolo detto di S. Cecilia, contiguo alla cripta papale, dove attualmente è conservato: l'iscrizione è, come di prassi per l'epoca, in greco: "Pontianos episk[opos] m[a]rt[ys]". Quest'ultima parola è stata incisa da mano diversa, in un momento seriore (cfr. anche l'epitaffio di papa Fabiano, responsabile della traslazione dei resti di P. dalla Sardegna e della sua sepoltura [ibid., nr. 10694]): anche gli epitaffi papali rientrano pienamente - con la sola eccezione della menzione abbreviata della dignità episcopale - nella prassi laconica della documentazione epigrafica cristiana delle origini. Ulteriore conferma alla presenza di P. nella cripta papale è data dalla lastra appostavi da papa Sisto III recante i nomi dei vescovi, romani e non, sepolti nel cimitero di Callisto (cfr. ibid., nr. 9516) nonché dalla menzione della sua tomba nella Notitia Portarum (Codice topografico della città di Roma, a cura di R. Valentini-G. Zucchetti, II, Roma 1942 [Fonti per la Storia d'Italia, 88], p. 149), l'unico itinerario altomedievale che la ricordi. Le spoglie di P., unitamente a quelle di altri papi, vescovi e martiri sepolti nel cimitero callistiano, al tempo di Pasquale I furono traslate nella chiesa di S. Prassede, come documentato dalla nota iscrizione posta nella chiesa, sul primo pilastro della navata destra (cfr. il testo riportato nel Liber pontificalis, [II, pp. 63-4]). Una precedente traslazione, evidentemente parziale, è indirettamente testimoniata da un altro documento epigrafico, una lastra marmorea collocata nell'atrio della chiesa di S. Silvestro in Capite: l'epigrafe è stata attribuita da A. Silvagni al pontificato di Paolo I. Il Liber pontificalis specifica che P. fu romano, figlio di un Calpurnio. Non conviene soffermarsi sui dati cronologici parzialmente discordanti da quelli del Catalogo Liberiano, da cui il Liber dipende per molti versi. Alla notizia dell'abdicazione data dal Catalogo il Liber sostituisce quella della morte di P., avvenuta fra sofferenze ("adflictus, maceratus fustibus") in data 30 o 29 (incertezza dei manoscritti) ottobre. Anche il Liber non dice espressamente in che anno P. muoia. La notizia comunque non ha nulla di inverosimile, perché fustigazioni crudeli erano all'ordine del giorno per i condannati alle miniere ed è facile congetturare che P. non sia sopravvissuto a lungo a quel regime di vita, per cui la sua morte potrebbe essere avvenuta nello stesso 235. Non è accettabile invece il dato del Liber pontificalis che rende Alessandro Severo responsabile della deportazione di P. e Ippolito. Alessandro, favorevole ai cristiani, fu ucciso da Massimino il 18 marzo del 235, mentre si trovava lontano dall'Italia. Fu invece Massimino a colpire i capi delle Chiese cristiane, secondo Eusebio (Historia ecclesiastica VI, 28) in opposizione alla politica del predecessore. Il Liber pontificalis conclude dando l'informazione che fu il vescovo di Roma Fabiano a trasportare solennemente i resti di P. dalla Sardegna a Roma seppellendoli nel cimitero di Callisto. Anche questa circostanza è verosimile: l'immediato successore di P., Antero, regnò infatti solo un mese, per giunta in periodo di persecuzione. Inoltre, come si è detto, non c'è nessuna certezza sull'anno di morte di P., per cui a rigore Antero potrebbe essergli premorto. La traslazione dei resti di P., avvenuta insieme a quella dei resti di Ippolito, come suggerisce la Depositio martyrum, non può essere anteriore alla fine del regno di Massimino (primavera del 238). I limiti cronologici del pontificato di P. consentono di assegnargli con ragionevole certezza (corroborata dal sincronismo indicato da Eusebio in Historia ecclesiastica VI, 23, 4) l'assenso alla condanna disciplinare comminata da Demetrio di Alessandria nei riguardi di Origene a seguito dell'ordinazione presbiterale di cui i vescovi Teoctisto di Cesarea e Alessandro di Gerusalemme avevano insignito il dottore alessandrino all'insaputa di Demetrio stesso. Girolamo (ep. 33) ricorda la riunione di un sinodo a Roma sulla questione ("Roma ipsa contra hunc cogit senatum"), probabilmente avvenuta a seguito di una richiesta di intervento da parte di Demetrio. Non si può dire di più, nonostante le ingegnose ipotesi di ricostruzione (P. Nautin) circa uno scambio di lettere fra Demetrio, P. e i due vescovi amici di Origene. L'intervento di P. corrisponde a una dinamica che nella storia successiva sarà sperimentata più volte. Roma entra in scena su sollecitazione della sede alessandrina e si muove in accordo con le decisioni previamente emanate da questa: il vescovo di Roma tende a corrispondere ai desideri di chi per primo gli muove appello. Volendo andare oltre, si può vedere nella decisione sfavorevole a Origene, che secondo Girolamo non avrebbe riguardato per nulla le sue tesi teologiche ma che vari indizi sparsi nel racconto dei fatti compiuto da Eusebio inducono a pensare le sottintendesse, la conferma della tendenza della Sede romana, affermatasi già con Zefirino e Callisto, a guardare con disapprovazione gli eccessivi approfondimenti in materia dottrinale. Il dato più rilevante presentato dal Catalogo Liberiano a proposito di P. è la notizia della sua rinuncia all'ufficio. Si tratterebbe del primo caso nella storia del papato e, date le circostanze, non può che essere stata volontaria. P. potrebbe essere stato spinto da un ammirevole realismo, avendo dato per certo che non sarebbe uscito vivo dalla deportazione, e che l'assenza di un pastore avrebbe nuociuto al gregge. Ma circostanze particolari potrebbero averlo indotto a un gesto di forte significato simbolico. Se il presbitero Ippolito esiliato con lui, sia o meno da identificare con l'autore dell'Èlenchos (cfr. Ippolito, antipapa, santo), fosse stato il capo spirituale di una comunità romana dissidente con l'orientamento in quel momento maggioritario rappresentato da P., il gesto di quest'ultimo acquisterebbe ulteriore spessore in quanto teso a favorire o sancire una riconciliazione. E se ci si volesse spingere oltre nel campo della congettura l'elezione a Roma di Antero, un greco di origine orientale, come dovrebbe essere stato Ippolito, avrebbe il sapore di una ulteriore apertura alla riunione delle varie componenti della comunità romana. A P. sono assegnate due lettere, in realtà dei falsi. Papa P. martire viene commemorato il 30 ottobre.
fonti e bibliografia
Regesta Pontificum Romanorum, a cura di Ph. Jaffé-G. Wattenbach-S. Loewenfeld-F. Kaltenbrunner-P. Ewald, I, Lipsiae 1885, p. 14.
Le Liber pontificalis, a cura di L. Duchesne, I-II, Paris 1886-92: I, pp. 4-5, 62-4, 145-46; II, pp. 63-4.
Eusebio di Cesarea, Historia ecclesiastica VI, 23.29, a cura di E. Schwartz, Leipzig 1908 (Die Griechischen Christlichen Schriftsteller. Eusebius Werke, II, 2), pp. 570, 582.
Monumenta epigraphica christiana saeculo XIII antiquiora quae in Italiae finibus adhuc extant [...], a cura di A. Silvagni, I, Roma, Città del Vaticano 1943, tav. XXXVII, 1.
P. Nautin, Lettres et écrivains chrétiens des IIe et IIIe siècles, Paris 1961, pp. 123-26.
Inscriptiones Christianae urbis Romae. Nova series, IV, a cura di G.B. de Rossi-A. Ferrua, In Civitate Vaticana 1964.
Dictionnaire de théologie catholique, XII, 2, Paris 1935, s.v., coll. 2553-54; G.D. Gordini, Ponziano, in B.S., X, coll. 1014-15.