Leone II, santo
Eletto nel gennaio del 681, L., figlio di Paolo, venne consacrato pontefice soltanto diciotto mesi più tardi, quando l'imperatore bizantino Costantino IV Pogonato inviò a Roma la iussio necessaria alla ratifica dell'elezione.
Pur essendo, al pari del suo predecessore Agatone, di origine siciliana, Leone doveva risiedere da tempo nell'Urbe. Infatti, il Liber pontificalis, oltre a celebrare la sua vasta erudizione ("vir eloquentissimus, in divinis scripturis sufficienter instructus, greca latinaque lingua eruditus"), ne esalta le capacità nel canto e nella salmodia ("cantelena ac psalmodia praecipuus et in earum sensibus subtilissima exercitatione limatus"; cfr. Le Liber pontificalis, p. 359). Ciò fa ipotizzare che egli avesse fatto parte, o fosse stato addirittura alla guida della "schola cantorum" lateranense. Al di là di tale ipotesi non sono tuttavia giunte altre notizie sulla sua precedente carriera ecclesiastica, che presumibilmente si svolse in ambito romano. È comunque probabile che siano state proprio l'erudizione e la padronanza della lingua greca a configurarlo come il candidato più adatto a dare continuità all'operato di Agatone.
L'arrivo a Costantinopoli (10 marzo 681) della notizia della morte di papa Agatone e dell'elezione di L. coincise con la fase cruciale del VI concilio ecumenico, che aveva avuto inizio il 7 novembre del 680. Infatti, proprio in quei giorni, il patriarca costantinopolitano Giorgio aderì formalmente alle tesi formulate nel sinodo romano del marzo 680, ben presto imitato dalla stragrande maggioranza dell'assemblea, preludendo alla definitiva condanna del monotelismo e all'estromissione dei suoi sostenitori, guidati dal patriarca di Antiochia Macario. Tali circostanze finirono per favorire le manovre della corte e del clero bizantino, che avevano tutto l'interesse a subordinare il formale riconoscimento del nuovo pontefice alla conclusione del dibattito conciliare. Pertanto, desiderosi di bilanciare in certo qual modo le rinunce sino allora fatte in favore di Roma, costoro approfittarono della vacanza della Sede apostolica per imporre la condanna degli incauti scritti di papa Onorio I, percepiti come un sostanziale riconoscimento delle tesi eterodosse. Onorio venne così accomunato agli esponenti di maggior rilievo del monotelismo, senza che i delegati romani presenti al concilio, ancora in attesa della ratifica imperiale necessaria alla consacrazione di L., potessero concretamente difendere il prestigio di Roma.
Le decisioni del concilio, conclusosi il 16 settembre del 681, furono approvate e sottoscritte, con valore di legge, dall'imperatore. Costantino IV, attraverso la ricomposizione della questione monotelita, mirava a porre la figura del basileus, configurato come primo garante del mantenimento dell'ortodossia e dell'unità della Chiesa, in una posizione di preminenza rispetto alla gerarchia ecclesiastica, compreso il vescovo di Roma. Gli atti conciliari, ufficialmente indirizzati a papa Agatone, vennero inviati a L. tramite la delegazione pontificia, che, lasciata Costantinopoli certamente dopo il 13 dicembre del 681, giunse a Roma fra il maggio ed il giugno dell'anno successivo. Oltre ad una serie di lettere imperiali destinate al nuovo pontefice ed alle Chiese dipendenti dal vescovo di Roma, i delegati erano latori anche del riconoscimento dell'elezione a papa di L., che poté pertanto essere finalmente consacrato il 17 agosto 682.
Successivamente, l'imperatore provvide anche ad inviare a Roma il patriarca antiocheno Macario e un piccolo gruppo di sostenitori del monotelismo, auspicando che il pontefice riuscisse a farli desistere dalle loro posizioni. Tuttavia, soltanto due di costoro, il presbitero Anastasio ed il diacono Leonzio, che peraltro nel corso del concilio non erano stati colpiti da anatema, accettarono di sottomettersi al papa, e il 6 gennaio 683 sottoscrissero una professione di fede conforme al dettato conciliare. Gli altri, persistendo con tenacia nell'eresia, vennero rinchiusi in alcuni monasteri.
Nei dieci mesi che intercorsero fra la sua consacrazione e la morte, l'attenzione di L. fu comunque principalmente rivolta alla divulgazione delle tesi sancite dal concilio. Il papa diede infatti ben presto inizio alla revisione e alla traduzione latina degli atti conciliari, che (come si può desumere dalle lettere papali inviate tra il settembre ed il dicembre 682 alle sedi episcopali e ai principali esponenti politici del Regno visigoto di Spagna) vennero via via trasmessi e fatti sottoscrivere ai vescovi e ai sovrani dei Regni d'Occidente, investiti della capillare diffusione di tali scritti nei rispettivi territori. Tuttavia, notificando alle Chiese occidentali le decisioni e le condanne formulate dai padri conciliari, compresa quella di papa Onorio, L. lasciò trasparire una concezione ecclesiologica che, oltre a non coincidere con quella bizantina, implicava la possibilità di sviluppi autonomi e in contrasto con le posizioni della Chiesa orientale. Ciò non soltanto perché ad Onorio si imputava solo la mancata opposizione al monotelismo, e non l'adesione alle sue tesi, quanto piuttosto per il fermo richiamo alla centralità del ruolo di Roma e del vicario di Pietro, presentato quale unico garante dell'ortodossia e dell'unità della Chiesa, seppur con l'indispensabile contributo dell'imperatore. Concetti analoghi a questi vennero espressi anche nella missiva inviata a Costantino IV nel maggio del 683, con la quale L., approvando, fra l'altro, le deliberazioni del concilio, lodava l'operato dell'imperatore, tuttavia ricondotto al ruolo di nuovo Davide della Chiesa, filius-defensor della Sede apostolica. Ad ogni modo, al di là di tali questioni, è certo che la vittoria sul monotelismo finì col determinare una sensibile distensione dei rapporti tra Roma e Bisanzio.
Infatti, pur restaurando l'obbligo di sottoporre direttamente all'imperatore il decreto di elezione del nuovo pontefice, Costantino, aderendo alla richiesta formulata precedentemente da Agatone, ridusse l'entità del canone relativo all'intronizzazione papale, e diminuì il carico fiscale imposto ai Patrimoni di S. Pietro sia in Sicilia che nei Bruzii (dicembre 681). L., dal canto suo, inviò a Costantinopoli il suddiacono Costantino in qualità di apocrisiario residente, e soprattutto, dando compimento alle trattative già avviate dal suo predecessore fin dal 680, di comune accordo col sovrano bizantino riuscì a porre fine all'autocefalia della Chiesa ravennate, a suo tempo sanzionata da un privilegio dell'imperatore Costante II (1° marzo 666) in favore dell'arcivescovo Mauro. La revoca di tale privilegio, emanata da Costantino tra il 682 e il 683, fu accompagnata da un accordo stipulato fra papa L. e il vescovo ravennate Teodoro. Quest'ultimo, restituendo il decreto di Costante, ed accettando che in futuro i suoi successori venissero consacrati in Roma dal pontefice, ottenne l'abolizione dei consueti versamenti dovuti al fisco papale in tali circostanze, e la facoltà di delegare ad un suo sottoposto l'onere della visita annuale presso la Sede apostolica.
Poiché il Liber pontificalis definisce L. come "paupertatis amator et erga inopem provisione non solum mentis pietate sed et studii sui labore sollicitus" (p. 359), sembra lecito pensare che il pontefice abbia favorito le opere di carità esercitate dalle comunità monastiche delle diaconie romane. Stando alla suddetta fonte, L. avrebbe ordinato l'edificazione di un luogo di culto (dedicato a s. Paolo il 22 febbraio del 683) nei pressi della chiesa di S. Bibiana sull'Esquilino, dove avrebbe fatto traslare le spoglie dei martiri Simplicio, Faustino e Beatrice dal cimitero di Generosa al VI miglio della via Portuense. I resti monumentali di questo oratorio furono visti dal Bosio, il quale riporta la trascrizione di un'epigrafe che ricordava la dedicazione della chiesa da parte del pontefice. A tale intervento edilizio occorre presumibilmente aggiungere anche quello relativo alla costruzione della chiesa di S. Giorgio al Velabro (forse dedicata il 23 aprile del 683), testimoniato da una tarda aggiunta al Liber pontificalis, presumibilmente attinta da una fonte degna di fede.
Secondo l'ipotesi avanzata dal Deshusses, è alquanto probabile che durante il breve pontificato di L. abbia avuto luogo un rimaneggiamento del Sacramentarium Gregorianum, cui, tra l'altro, vennero aggiunte le messe relative a S. Giorgio e a S. Pietro in Vincoli. Occorre inoltre ricordare che, come riferito dal suo biografo, il 27 giugno del 683 L. consacrò nove presbiteri, tre diaconi e ben ventidue vescovi.
Questo fu presumibilmente il suo ultimo atto ufficiale, dal momento che la morte lo colse a distanza di qualche giorno. Fu sepolto in S. Pietro il 3 luglio del 683, giorno successivamente dedicato alla sua festività.
Nel corso del Medioevo a questo papa venne erroneamente attribuita la festa del 28 giugno, relativa invece alla traslazione in S. Pietro delle spoglie di s. Leone I (evento avvenuto durante il pontificato di Sergio I), altrimenti festeggiato l'11 aprile. L'uso di celebrare L. il 3 luglio, poi accolto anche dal Martyrologium Romanum, trovò infine una sorta di ufficializzazione durante il pontificato di Pasquale II, quando le spoglie dei papi Leone I, L. II e Leone IV furono definitivamente traslate nell'oratorio fatto a suo tempo edificare da quest'ultimo. Ma nelle recentissime riforme la festa di L. è scomparsa dal calendario della Chiesa universale e anche dal Proprium romano.
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