MAZZARINO, Santo
– Nacque a Catania il 27 genn. 1916 da Luigi, contabile, e da Vincenza Luna, casalinga.
Battezzato con i nomi di Santo Pietro Giovanni, avrebbe usato quello di Pietro nel suo primo contributo scientifico.
Scolaro presso i salesiani, nell’ottobre 1928 si iscrisse al liceo-ginnasio Cutelli, conseguendo precocemente la licenza liceale nel 1932; nel novembre dello stesso anno si iscrisse alla facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Catania, dove si laureò il 18 giugno 1936, con lode e diritto di pubblicazione, con una tesi dal titolo «Intorno alla storia romana nel periodo stiliconiano», sotto la guida di L. Pareti.
Il primo scritto del M., non ancora laureato (Achei d’Italia e del Peloponneso, in Arch. stor. della Sicilia orientale, XI [1935], pp. 89-100), si muove sostanzialmente, e comprensibilmente, sulla linea di un programmatico saggio di Pareti, Sui primi commerci e stanziamenti fenici nei Paesi mediterranei e specialmente in Sicilia (ibid., X [1934], pp. 3-28); e a Pareti, acuto studioso della storia della Sicilia e della Magna Grecia, il giovane M. appare debitore dell’interesse per la grecità periferica e, soprattutto, per il concetto di koinè culturale.
Grecità periferica e problemi di «interazione culturale» costituirono il terreno su cui si mosse il M. tra la fine degli anni Trenta e i primi Quaranta, come confermano le sue stesse dichiarazioni sulla genesi dei primi libri: Fra Oriente ed Occidente. Ricerche di storia greca arcaica (Firenze 1947), principiato già dal 1935, e Dalla monarchia allo Stato repubblicano. Ricerche di storia romana arcaica (Catania 1945), iniziato nel 1940. La produzione «minore» di questi anni, quando non tocca qualche punto particolare di storia tardoantica, tratta di storia «coloniale» siciliana. In singolare, ma assolutamente spiegabile, parallelo con lo studio della storia tardoromana appare evidenziarsi quella opzione «anticlassica» (cfr. Giarrizzo) che il M., in varie forme e modi, mantenne per tutto il corso della sua riflessione storica.
Nel dicembre 1936, avendo vinto (oltre al premio Cantoni presso l’Università di Firenze per la migliore tesi di laurea) una borsa di perfezionamento per l’estero, si trasferì a Monaco.
L’esperienza monacense fu particolarmente importante non tanto per il rapporto con il filologo e storico della filologia classica R. Pfeiffer, quanto per il confronto con W. Otto, studioso della grecità «periferica» dell’Egitto tolemaico e scevro di fervori «classicisti», nella cui concezione della storia antica rivivevano le posizioni «universalistiche» di E. Meyer.
Nel 1937 il M. vinse il concorso per la cattedra di lettere greche e latine nei licei e fu assegnato al liceo Gulli e Pennisi di Acireale, dove insegnò dal 1937 al 1939; in quell’anno fu comandato presso l’Istituto italiano per la storia antica a Roma, dove rimase fino al 1944, conseguendo nel 1942 la libera docenza in storia romana. Dall’anno accademico 1945-46 fu incaricato di storia antica (greca e romana) e di storia orientale antica presso la facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Catania; dal 1946-47 al 1952-53 ricoprì, per incarico, anche la cattedra di storia antica all’Università di Messina.
Nel periodo trascorso presso l’Istituto italiano per la storia antica il M. lavorò moltissimo nel campo dell’epigrafia redigendo voci per il Dizionario epigrafico di E. De Ruggiero (soprattutto per i fascicoli 11 e 12 del IV volume): sono sue tantissime voci, molte nuove (come Lairbenus [Apollo], Lampsacus, Lanciarii, Laodicea ad Lycum, Laodicea ad mare), altre elaborate sui materiali di De Ruggiero; si impegnò, inoltre, in lavori specificatamente epigrafici (Su un’iscrizione trionfale di Turris Libisonis, in Epigraphica, II [1940], pp. 292-313; Su una nuova iscrizione di Ostia, in Riv. di filologia e di istruzione classica, n.s., XIX [1941], pp. 38-40; Per la storia della Sicilia nel V sec. (A proposito di una nuova epigrafe siracusana), in Boll. stor. catanese, VII-VIII [1942-43], pp. 1-14), rivelando un’indubbia capacità di passare da analisi e problematiche strettamente tecniche a interpretazioni storiche generali, che si ritrova in tanti suoi lavori epigrafici, e specialmente in quelli degli ultimi anni (L’iscrizione del Toutonenstein è un’«incompiuta»?, in Quaderni catanesi di studi classici e medievali, I [1979], pp. 567-602; Un nuovo epigramma di Gallus e l’antica lettura epigrafica (un problema di datazione), ibid., II [1980], pp. 7-50; Sull’epigrafe dioclezianea di Afrodisiade «Bicharactam». Per l’interpretazione romana delle misure inflattive, in Scritti sul mondo antico in memoria di F. Grosso, a cura di L. Gasperini, Roma 1981, pp. 333-370; L’iscrizione latina nella trilingue di Philae e i carmi di Gallus scoperti a Qasr Ibrim, in Rheinisches Museum für Philologie, CXXV [1982], pp. 312-337). In un importante saggio storiografico (Il mutamento delle idee sulla «antichità» classica nell’Ottocento, in Helikon, IX-X [1969-70], pp. 154-174) il M. espresse la sua interpretazione del rapporto tra storia ed epigrafia e dello statuto stesso dell’epigrafia. L’epigrafia è parte della filologia, cioè della storia; il mutamento ideale dell’Ottocento, il comune denominatore del nuovo atteggiamento del secolo della storia rispetto al mondo classico si deve cercare «in una esigenza critica, la quale, appunto perché critica, vede gli uomini dell’antichità come uomini vivi, cerca cioè di indagare in concreto le loro esigenze di ogni giorno […] e nell’operare questa considerazione del concreto, usa i mezzi scientifici (‘filologici’) più raffinati e perfezionati, a cominciare da quelli epigrafici» (p. 156).
Nel corso degli anni Quaranta il M. portò a compimento le opere concepite negli anni giovanili: la rielaborazione della tesi di laurea, Stilicone. La crisi imperiale dopo Teodosio (Roma 1942), e i già ricordati Dalla monarchia allo Stato repubblicano e Fra Oriente e Occidente; nel 1947 uscì la monografia Introduzione alle guerre puniche (Catania). Nell’arco di dodici anni dunque il M., oltre a specifici problemi, affrontò i grandi temi della storia antica: la crisi dell’Impero romano d’Occidente; la transizione di Roma dal regime monarchico allo Stato repubblicano, dunque la formazione della Repubblica e delle magistrature romane; i rapporti tra la Grecia arcaica e il mondo orientale, con la nascita della polis, della città-stato e in essa dell’esigenza isonomica, della «democrazia» insomma; e ultima, ma anche questa importante, la questione dell’origine della seconda guerra punica, che per il M. significava l’unificazione del Mediterraneo occidentale, premessa necessaria dell’imperialismo romano. Con questi lavori egli si pose in una posizione del tutto particolare nel quadro della storiografia antichistica.
Lo Stilicone segna una reale novità. La monografia si presenta come un’opera di storia politico-istituzionale e parte da un problema specificamente affrontato da Th. Mommsen: se l’Illirico appartenesse alla prefettura d’Italia o a quella d’Oriente, e se quindi la fallimentare politica di Stilicone fosse determinata dalla mal posta ambizione di unire la prefettura illirica all’Occidente, cioè alla parte dell’Impero a lui riservata. Il M., pur riconoscendo a Stilicone la volontà politica di mantenere l’unità dell’Impero, supera questa impostazione politico-istituzionale ponendo il problema della politica di Stilicone in rapporto alla situazione religiosa e sociale delle due partes dell’Impero. Stilicone fallisce perché ormai le due partes sono differenti: all’Oriente religioso, ormai «bizantino» nella stretta unione di potere e religione, di Stato e Chiesa, in cui le «classi medie», i curiali, sono solidali con lo Stato e con le gerarchie ecclesiastiche, si oppone l’Occidente, nel quale lo Stato e la Chiesa costituiscono entità autonome, l’aristocrazia senatoria, che possiede domini immensi e ha in mano tutta l’economia, si è ritirata nelle campagne e le classi medie cittadine non hanno alcun peso e ruolo. Da questo «fallimento», dall’insuccesso del tentativo – di Teodosio e del «teodosiano» Stilicone – di tenere uniti l’Oriente e l’Occidente che si riconoscono ormai diversi e ostili, nasce la società europea.
Oggetto dell’opera Dalla monarchia allo Stato repubblicano è la formazione costituzionale dello Stato romano, dalle origini protolatine alla sua costituzione in epoca storica, «a contatto con il mondo italico». Tema apparentemente tradizionale, ma che il M. imposta, anche in questo caso, in maniera del tutto originale. Non era Roma e l’evoluzione interna delle sue magistrature, nella prospettiva «mommseniana», il fulcro della sua indagine; essa nasceva invece dal contesto dei contemporanei studi sui rapporti tra linguistica e storia, tra sostrato e cultura nella penisola italica, dove confluivano le tradizioni politiche, sociali e istituzionali di Etruschi, Osco-Umbri, Latini, nonché dei Greci dell’Italia meridionale e della Sicilia. Così, il M. analizza l’evoluzione del sacerdozio arcaico, pone il problema della «collegialità diseguale», esamina il rapporto tra le magistrature italiche e quelle romane. La creazione della Repubblica, il passaggio dallo «Stato primitivo allo Stato repubblicano» non è un fatto esclusivamente politico, non si può intendere solamente sul piano giuridico-istituzionale; è un fatto culturale e sociale.
Fra Oriente e Occidente deve essere letto in stretto rapporto con il precedente volume; anche in questo libro si mostra l’interesse per i momenti aurorali di nascita di realtà politiche e socioculturali in vaste zone del Mediterraneo di epoca arcaica: dalla grecità dell’Asia Minore agli insediamenti in Arabia meridionale e in Cirenaica, dalle colonie di Tunisia e di Spagna alla colonizzazione dell’Italia, con la creazione, insieme con Etruschi, Latini, Osco-Umbri e Messapi, di un’originale e autonoma koinè culturale «italica». Qui il tema di fondo è la nascita della polis isonomica e dell’esigenza isonomica della città-Stato: il M. perviene alla scoperta, nelle città-Stato greche, dell’idea di isonomia come risposta «politica» alla crisi sociale che contrappone alle eterie nobiliari il demos impoverito e turbolento, «travaglio costituzionale», esclusivamente greco, senza alcun imprestito o apporto straniero, lidio o comunque orientale. Sullo sfondo di queste ricerche sulla storia arcaica di Grecia e di Roma sta la visione dell’unità del Mediterraneo già in epoca arcaica.
Il denso libretto Introduzione alle guerre puniche affronta un tema tradizionale della storiografia antichistica come la questione dell’origine della seconda guerra punica; tuttavia, nell’interpretazione del M. questo non è più il problema della responsabilità dello scatenamento della guerra, ma diviene il grande problema storico dell’unificazione del Mediterraneo occidentale, dei presupposti necessari dell’imperialismo romano.
Con Aspetti sociali del quarto secolo. Ricerche di storia tardo-romana (Roma 1951) si chiude una prima fase dell’attività storiografica del M., che riprende il problema lasciato aperto nello Stilicone: la divisione tra Oriente e Occidente, la divaricazione, anche sul piano delle strutture economiche e sociali, della pars Orientis da quella occidentale.
Il M. spiega che, nell’avanzato Impero romano, a fianco di una economia monetaria si era determinata un’economia naturale (Oikoswirtschaft), con la formazione del latifondo senatorio da un canto e, nel contempo, la concessione di privilegi alla plebe urbana e ai soldati; l’andamento depressivo dell’economia e la diminuzione degli scambi monetari aveva avuto come sbocco inevitabile l’accentuarsi dell’economia naturale «con tendenza al dissolvimento dello Stato unitario fondato su economia monetaria e corrispondente organizzazione burocratica» (p.372). L’Oriente, con condizioni demografiche migliori, e nel quale l’eccessiva durata del servizio militare (la stipendiorum tarditas) non aveva distrutto l’equilibrio fra vita cittadina e produttività contadina, superò la crisi e l’Impero dei «Rhomaioi» (nella sua forma bizantina), sopravvisse. L’Occidente invece non riuscì a raggiungere un sufficiente equilibrio tra le forze produttive impegnate nell’agricoltura e le forze armate alla difesa e si consegnò ai barbari.
Straordinario di storia antica nel 1948, quale vincitore del concorso bandito dalla facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Catania, il M. vi divenne ordinario dal 1951 e vi rimase fino al 1963, quando fu chiamato a Roma. Negli ultimi anni della sua permanenza in Sicilia fu consigliere provinciale, eletto da indipendente nelle file del Partito comunista italiano (PCI). Nella seconda fase catanese il M. da una parte continuò la sua ricerca sull’età imperiale, che si sarebbe tradotta nel trittico costituito dal volume L’Impero romano (Roma 1956), preceduto dal saggio Storia romana e storiografia moderna (Napoli 1954) e concluso con La fine del mondo antico (Milano 1959); dall’altra, si impegnò in una complessa riflessione sulla storiografia antica, greca e romana, che si sarebbe concretizzata ne Il pensiero storico classico (I-III, Roma-Bari 1965-66). Questi possono considerarsi anche gli ultimi lavori unitari; in seguito il M. pubblicò raccolte di saggi e articoli, e postumi uscirono l’incompiuto Storia sociale del vescovo Ambrogio (Roma 1989) e, da ultimo, l’originale volume Pirandello. Die neuere und die alte Geschichte Italiens (Bonn 2007).
Storia romana e storiografia moderna costituì, in certo senso, la premessa storiografica del volume sull’Impero e si propose come una «messa a punto» della problematica emergente dal travaglio storiografico moderno («ormai antico di quattro secoli») sul mondo romano, ponendo originalmente la centralità dell’indagine sul tardo Impero. Da questa premessa discendono notazioni e tesi profondamente originali e tali da ispirare una visione «positiva» del tardo Impero: l’attenzione alla precocità della storiografia sull’Impero rispetto a quella sulla Repubblica, in quanto «funzione» di un atteggiamento storico-critico nei riguardi del mondo romano che passa attraverso lo studio della documentazione giuridica del tardo Impero; la riscoperta di giuristi quali D. Herauld, con le sue considerazioni sulla capitatio; la valutazione del commento (1665) al Codex Theodosianus di Gotofredo (J. Godefroy).
L’Impero romano (secondo volume del Trattato di storia romana, di cui G. Giannelli aveva curato il primo) non può considerarsi un semplice manuale o trattato. Per quanto destinata all’insegnamento universitario, l’opera costituisce una nuova e originale ricostruzione della storia dell’Impero romano, dal principato augusteo fino alla crisi della pars Orientis. Inusuale dunque il punto terminale, inusuale anche la struttura, con la ripartizione in due parti quasi uguali tra principato e «basso impero» (tarda antichità), con il III secolo a fare da cerniera, e considerato come «il metro della storia imperiale». Conseguentemente, il vero nucleo dell’opera sta nel rilievo dato all’Impero tardoantico, dalle vicende dell’Impero di Costantino fino alle invasioni arabe. Ma essa è originale soprattutto per l’importanza attribuita al fattore «religione» nella vicenda sociale e culturale dell’Impero, laddove tale fattore viene sussunto all’interno della categoria di «rivoluzione», in particolare la decisiva «rivoluzione» (non «svolta» [Wende] secondo una terminologia confessionale) di Costantino. Il M. presenta, dunque, un’originale diagnosi della crisi culturale e sociale del mondo antico; in realtà la «cristianizzazione» dell’Impero, definitivamente sancita con Costantino, non è che un aspetto di un processo più generale, la «democratizzazione della cultura» antica, della cultura classica. Di ciò il cristianesimo è il fenomeno – e insieme anche uno dei fattori – principale, con l’irruzione delle masse nella vita spirituale dell’Impero. «La crisi dell’unità imperiale è dunque crisi culturale (religiosa) ed economica. È caratterizzata da un duplice fenomeno, apparentemente contraddittorio, in verità ben coerente: da una parte, fondazione costantiniana di una società a piramide con depressione degli humiliores; dall’altra, penetrazione di culture popolari-regionali sollecitate dalla viva partecipazione degli humiliores alla vita spirituale cristiana e alla corrispondente predicazione (in celtico, in aramaico, in copto, etc.)» (p.533).
La fine del mondo antico fu invece opera di altissima divulgazione, libro fortunatissimo, certamente il più noto e forse il più leggibile fra quelli del M., avente un duplice obiettivo: da una parte, tracciare una storia delle idee di «decadenza» e della «“morte di Roma”, com’esse furono intuite e svolte dal II secolo a.C. ai nostri giorni» (p.5); dall’altra, attraverso l’analisi delle varie tesi e spiegazioni, presentare «un’interpretazione moderna della fine del mondo antico», dove si dispiegano la dottrina storiografica del M. e la sua capacità di riportare all’attenzione anche degli specialisti personalità dimenticate o trascurate ma anche di ripensare, con soluzioni affatto originali, problemi affrontati da studiosi recenti e del calibro di O. Seeck, M. Weber, G. Mickwitz.
Con la relazione all’XI congresso internazionale di scienze storiche di Stoccolma (1960; La democratizzazione della cultura nel basso Impero) il M. concluse la sua ricognizione-ricostruzione della storia antica, greca e romana, da cui risultano concetti interpretativi «forti»: appunto democratizzazione della cultura; l’emergere delle culture «locali», veicolate dalle masse non integrate con la cultura ellenistico-romana; il costruirsi delle divisioni regionali. Da allora il M. si dedicò alla pubblicazione dei tre volumi de Il pensiero storico classico, sui quali era impegnato da molti anni e nei quali intese riassumere la sua visione generale del mondo antico, almeno nell’aspetto forse più significativo per lo studioso di storia, appunto la vicenda del pensiero storico classico.
Preso alla lettera, il titolo dell’opera può fuorviare; in realtà essa costituisce un’interpretazione complessiva della cultura greco-romana, dalle origini fino alla sua ricezione medievale. Per il M., infatti, la storiografia è un’attività globale, che non può prescindere dalla concreta realtà storica: essa si nutre dei fatti economici, sociali, politici. Sono quei fatti a rendere vive le opere degli storici antichi. L’indagine del M. si svolge quindi su un duplice registro: da un canto l’enucleazione e l’analisi delle categorie presenti nelle opere degli storici antichi – rapporto tra passato e presente, la concezione del tempo storico, il ruolo dei fattori naturali e soprannaturali, e via enumerando –; dall’altro, l’individuazione dei nessi di tali categorie con la realtà sociale e culturale cui appartengono gli eventi narrati dagli storici antichi. Di qui l’ampiezza della trattazione – che per la verità non elude alcune prolissità e oscurità – ma anche l’efficacia rievocatrice di tante pagine. Il pensiero storico classico può anche considerarsi una lunga, ininterrotta, meditazione sulla valutazione che di sé ebbero gli antichi, ma per comprendere il presente.
Dalla metà degli anni Sessanta e negli anni successivi il M. appare impegnato a ripensare sia l’imponente lavoro compiuto negli anni precedenti sia i suoi auctores in campo storiografico.
È il periodo degli interventi, dispersi in varie sedi, su J. Burckhardt, Mommsen, B.G. Niebuhr, e dei saggi su G.B. Vico, riuniti nel volumetto Vico, l’annalistica e il diritto (Napoli 1971) e del chiarimento del suo distacco dallo storicismo assoluto della linea Hegel - Croce, in favore dello «storicismo degli storici», come designa quello di Niebuhr, L. von Ranke, Burckhardt.
Nella produzione scientifica del M. i tre imponenti volumi sul pensiero storico antico sembrano rappresentare un culmine, e un punto di svolta. In essi l’analisi è in funzione della sintesi e si tende sempre a un’interpretazione generale. Anche se gli stessi caratteri sono presenti in molti dei saggi raccolti in Antico, tardoantico ed era costantiniana (I-II, Bari 1974-80), tuttavia quest’ultimo lavoro sembra piuttosto indicare una fase prevalentemente analitica del M., coincidente peraltro con un ripiegamento critico che, dalla fine degli anni Sessanta e con il decennio dei Settanta, coinvolse tutta la storiografia italiana, e non solo italiana.
Rappresenta comunque un tentativo di sintesi di storia imperiale e storia ecclesiastica il saggio postumo, non rielaborato e sviluppato secondo le sue intenzioni, Storia sociale del vescovo Ambrogio (da una conferenza tenuta nel 1974 a Milano, in occasione della celebrazione ufficiale del vescovo, quindi divenuta un primo saggio, Ambrogio nella società del suo tempo, Milano 1977).
Il M. morì a Roma il 18 maggio 1987.
Fonti e Bibl.: L’elenco più completo degli scritti del M., a cura di A. Filippini, si legge in appendice a S. M. e la storiografia moderna. Atti del Convegno… 2008 (in corso di pubblicazione: contiene interventi di C. Ampolo, J.-P. Callu, L. Cracco Ruggini, A. Di Vita, W. Eck, J.-L. Ferrary, A. Giardina, G. Giarrizzo, G. Gnoli, M.J. Hidalgo de La Vega, J.H.W. Liebeschuetz, M. Liverani, M. Mazza, G. Sasso, F. Tessitore). Si vedano: Studi in memoria di S. M. Atti del Convegno, Catania… 1988, I-III, in Quaderni catanesi di cultura classica e medievale, I-II (1989-90) [ma 1993], e Atti del Convegno per S. M.… 1991, Roma 1998.
Molto utili e importanti risultano le prefazioni alle riedizioni (tutte pubbl. a Milano) delle principali opere del M.: P. Citati, In ricordo di S. M., in La fine del mondo antico, 1988, pp. 7-10; F. Cassola, Introduzione, in Fra Oriente ed Occidente, 1989, pp. VII-XXX; A. Giardina, Stilicone o l’antico destino degli uomini vinti, in Stilicone, 1990, pp. VII-XXXVII; A. Fraschetti, Introduzione, in Dalla monarchia allo Stato repubblicano, 1992, pp. VII-XXXIII; E. Lo Cascio, Introduzione, in Aspetti sociali del quarto secolo, 2002, pp. I-XXIX; D. Musti, Prefazione, in Introduzione alle guerre puniche, 2003, pp. 5-41. La casa editrice Bollati Boringhieri ha avviato, inoltre, la riedizione dei principali testi del M. a partire da Fra Oriente ed Occidente (Torino 2007) e La fine del mondo antico (ibid. 2008). G. Susini, S. M.: commemorazione tenuta nella seduta del 13 maggio 1989 (Acc. nazionale dei Lincei), Roma 1990, pp. 157-167; A. Giardina, S. M., in Gnomon, LXII (1990), pp. 374-379. Vedi ancora L. Cracco Ruggini, La società tardoantica secondo S. M., in Riv. stor. italiana, CI (1989), pp. 696-701; A. Forni, Ragione e storia. L’interpretazione del mondo antico in S. M., in La Cultura, XXVII (1989), pp. 346-386; F. Tessitore, S. M. e la «Decadenzidee», in Arch. di storia della cultura, II (1989), pp. 95-111; M. Mazza, S. M. y Arnaldo Momigliano en el recuerdo. Conversaciones con Mario Mazza (interv. raccolto da J. Cortadella i Morral), Madrid 1990; Id., Ricordo di S. M. e Arnaldo Momigliano, in Orpheus, XII (1991), pp. 317-341; E. Gabba, S. M. e Arnaldo Momigliano: due maestri, in Riv. stor. italiana, CIV (1992), pp. 545-557; G. Giarrizzo, S. M.: un maestro, in Id., La scienza della storia. Interpreti e problemi, a cura di F. Tessitore, Napoli 1999, pp. 551-616 (lo studio finora più completo e importante).