Santo Mazzarino
Per solidità di dottrina, per varietà e vastità di interessi, per originalità di pensiero Santo Mazzarino può considerarsi uno dei maggiori storici dell’antichità del 20° secolo. La sua produzione scientifica ha affrontato tutti i nodi fondamentali della storia antica, spaziando dalle età arcaiche e dal mondo orientale fino alla tarda antichità – e all’impero sassanide. Una dottrina impressionante, tradotta in opere e saggi di grande leggibilità e suggestività e in cui la sapienza filologica si sposa alla novità e all’originalità delle concezioni. Nel quadro della storiografia italiana del Novecento Mazzarino spicca pertanto come una figura di assoluta preminenza, manifestando tutte le caratteristiche della sua singolare personalità scientifica: la capacità di dominare una materia estremamente vasta, l’ampiezza di respiro storiografico, l’abilità analitica e insieme le straordinarie doti di sintesi, l’eccezionale capacità di rapportarsi ai problemi generali della cultura contemporanea e la raffinatissima erudizione su temi e aspetti particolarissimi della cultura antica e moderna. Per Mazzarino lo studio della storia antica è un’attività globale che non considera solo le fonti letterarie, epigrafiche, monumentali: è una ricerca che si nutre di fatti politici, sociali, economici; è, per così dire, una histoire à part entière.
Santo Mazzarino nasce a Catania il 27 gennaio 1916, da famiglia modesta, dignitosa e profondamente religiosa. Un fanciullo prodigioso, di sorprendente precocità: a dodici anni iscritto al liceo, ne esce a sedici; immatricolatosi alla facoltà di Lettere e filosofia dell’Università di Catania, si laurea ad appena vent’anni, relatore Luigi Pareti (1885-1962), con il massimo dei voti e la dignità di stampa. Da allievo del Pareti, complessa personalità di uomo e di studioso, sulla linea del maestro pubblica, diciannovenne ancora non laureato, il suo primo articolo. Non facile da definire il rapporto con il maestro Pareti, che pur accompagnerà e faciliterà la carriera accademica dell’eccezionale allievo, proponendo motivi significativi della matura storiografia mazzariniana – la sensibilità per i processi di interazione culturale, l’attenzione per le situazioni di koinè culturale. Determinante nella sua formazione una fondamentale esperienza di studio e di vita: il soggiorno a Monaco, alla scuola di Walter Otto e Rudolf Pfeiffer con una borsa di studio ottenuta nel dicembre 1936. Decisivo soprattutto il rapporto con Walter Otto (1878-1941), fondatore della moderna papirologia, studioso della grecità ‘periferica’ dell’Egitto tolemaico ed erede, nella sua visione della storia antica, delle concezioni di Eduard Meyer (1855-1930) di storia universale.
L’esperienza monacense lascerà tracce profonde in Mazzarino, per sempre interessato alla cultura, non solo storica, tedesca. Intanto, con impressionante rapidità, si svolge la sua carriera ‘pubblica’. Ad appena ventuno anni, nel 1937, primo tra vincitori e abilitati, supera il concorso per la cattedra di lettere greche e latine nei licei. Ma l’insegnamento secondario non è per lui. Nel 1939, ottiene il comando per l’Istituto italiano per la storia antica, dove resta come ‘comandato’ fino al 1944; nel 1942 aveva intanto conseguito la libera docenza.
Dall’anno accademico 1945-46 è incaricato di storia antica greca e romana e di storia orientale antica presso la facoltà di Lettere e filosofia dell’Università di Catania; dal 1946-47 fino all’anno accademico 1952-53 è anche incaricato di storia antica presso l’Università di Messina.
Nel 1948 Mazzarino è straordinario di storia antica; chiamato a Catania, dove è ordinario dal 1951, insegna fino al 1963, anno della sua chiamata all’Università di Roma come successore di Aldo Ferrabino. Tanto a Catania quanto a Roma Mazzarino si dimostra un docente eccezionale, chiamando attorno a sé i giovani – e non solo i giovani – più intellettualmente dotati. Laureato honoris causa a Bonn, accademico nazionale dei Lincei dal 1973, si spegne improvvisamente a Roma il 18 maggio 1987.
La stupefacente precocità intellettuale di Mazzarino concorre paradossalmente a oscurare la genesi della sua formazione scientifica. Nella prima fase della sua attività scientifica egli indaga ad ampio spettro, muovendosi dalle epoche arcaiche alla tarda antichità. Oltre ai numerosi articoli, pubblica così in rapida successione Stilicone. La crisi imperiale dopo Teodosio (1942), Dalla monarchia allo Stato repubblicano. Ricerche di storia romana arcaica (1945), Introduzione alle guerre puniche (1947), Fra Oriente e Occidente. Ricerche di storia greca arcaica (1947) e Aspetti sociali del quarto secolo. Ricerche di storia tardo-romana (1951).
Nell’arco di una quindicina di anni Mazzarino, dunque, si confronta con i grandi temi della storia antica: la crisi dell’impero romano d’Occidente, con i suoi presupposti di carattere sociale ed economico nel 4° sec.; la transizione della piccola città sul Tevere dal regime monarchico allo Stato repubblicano: la costituzione della Repubblica e la formazione delle magistrature romane; i contatti, e il confronto, tra la Grecia arcaica e il mondo orientale, con la genesi della polis, della città-Stato e, con essa, dell’esperienza isonomica, in altri termini della democrazia; il vessato problema dell’origine della seconda guerra punica, che giustamente per Mazzarino significava l’unificazione egemonica del Mediterraneo occidentale, premessa necessaria dell’imperialismo romano.
Sono chiaramente riconoscibili, in questi come nei primi lavori, i motivi significativi della storiografia mazzariniana: da un canto, l’attenzione per le situazioni di koinè culturale, la sensibilità per i processi di interazione culturale, dall’altro, un sostanziale aclassicismo. Motivi in parte derivati dal suo maestro Pareti e dall’ambiente di studiosi interessati alla grecità periferica, ‘coloniale’; ma anche rielaborati e sviluppati nel corso di quella fondamentale esperienza di studio rappresentata dalla permanenza monacense, alla scuola di Otto.
Con questi suoi lavori Mazzarino assumeva una posizione del tutto particolare nel quadro dell’antichistica italiana degli anni Trenta e dei primi anni Quaranta. I campi in cui egli si muoveva non erano allora particolarmente coltivati e l’opera su Stilicone segnava una reale novità. La monografia, formalmente di storia politico-istituzionale, partiva dal problema squisitamente mommseniano della controversa appartenenza dell’Illirico alla prefettura d’Italia o dell’Oriente – con la conseguente valutazione della fallimentare politica di Stilicone come determinata dall’ambizione di riunire la prefettura illiriciana alla parte dell’impero a lui riservata –, ma superava sostanzialmente l’impostazione mommseniana, ponendo il problema della politica di Stilicone in rapporto alla situazione religiosa e sociale delle due partes dell’impero. Non era poco, per un giovane esordiente.
La divergenza da Theodor Mommsen era nettissima. Per Mazzarino, il fallimento di Stilicone era determinato dalla sostanziale differenza delle due partes dell’impero: all’Oriente religioso, ormai ‘bizantino’ nella stretta unione di potere e religione, di Stato e Chiesa, in cui le classi medie, i curiali, erano solidali con lo Stato e la gerarchia ecclesiastica, si opponeva l’Occidente, nel quale Stato e Chiesa erano entità autonome, l’aristocrazia senatoria possedeva feudi immensi, aveva in mano l’economia, si era ritirata nelle campagne, mentre le classi medie cittadine non avevano più peso e ruolo. Con maggior coscienza storica e con nuove conoscenze di fatto, Mazzarino ripropone il grande problema, che era già di Montesquieu, della partitio imperii e della divergenza delle due partes: «la diade Oriente-Occidente si definisce chiaramente come opposizione di religione a politica, di burocrazia a dittatura militare, di classi cittadine a senato feudale» (Stilicone, cit., p. 244). Non deficienze personali, mal riposta ambizione di potere, o perché semibarbarus proditor (Orosio), ma ragioni oggettive condussero dunque al fallimento la politica di Stilicone – cioè, in senso più generale, dello stesso imperatore Teodosio: questa politica è nei fatti superata dalla storia e dalla ‘necessità’ come conseguenza di una non evitabile ‘evoluzione culturale e politica’ (Stilicone, cit., pp. 236 e segg.). Da questo ‘fallimento’, dall’insuccesso del tentativo di Teodosio e del ‘teodosiano’ Stilicone di tenere uniti Oriente e Occidente, ormai diversi e tra di loro ostili, nasce per Mazzarino la società europea.
All’influenza mommseniana Mazzarino si sottrae anche nel secondo libro. Dalla monarchia allo Stato repubblicano tratta della formazione costituzionale dello Stato romano, dalle origini protolatine alla sua costituzione in epoca storica, «a contatto con il circostante mondo italico». Non è più la prospettiva mommseniana dell’evoluzione interna delle magistrature romane a guidare l’indagine di Mazzarino; questa ora soprattutto nasce dal contesto dei contemporanei studi sui rapporti tra sostrato e cultura, tra linguistica e storia. L’oggetto dell’indagine è la comunità «formatasi nella penisola italica, dove confluivano e interagivano le tradizioni politiche sociali ed istituzionali degli Etruschi, degli Osco-Umbri e dei Latini» (F. Cassola, introduzione a S. Mazzarino, Fra Oriente e Occidente, 1989, p. IX) – e dei Greci dell’Italia meridionale e della Sicilia, possiamo anche aggiungere. La categoria di ‘koinè culturale’, categoria centrale nell’armamentario teorico di questa prima fase della produzione scientifica di Mazzarino, costituisce la chiave di volta di tutta la sua ricostruzione. La creazione della Repubblica, la transizione dallo «stato primitivo allo stato repubblicano» è in primo luogo un fenomeno culturale, e sociale, non un fatto esclusivamente politico, da intendere solamente sul piano giuridico-istituzionale. In una densissima pagina conclusiva Mazzarino sintetizza la vicenda, affermando che: «in Roma confluivano, a un tempo, evoluzione e rivoluzione. Questo fu veramente il ‘miracolo’ romano».
Ricerche di storia greca arcaica è il sottotitolo di Fra Oriente e Occidente, il libro forse più caro a Mazzarino. Esso va letto in stretto rapporto con Dalla monarchia allo Stato repubblicano. Insieme, le due opere appaiono disegnare «una vera e propria storia di ampi settori del Mediterraneo in epoca arcaica» (A. Fraschetti, introduzione a S. Mazzarino, Dalla monarchia allo stato repubblicano, 1992, p. X). Anche in questo splendido, avvincente libro Mazzarino si mostra autonomo sia rispetto alla contemporanea ricerca italiana sulla storia greca, sia rispetto alla problematica di un De Sanctis, di un Ferrabino, di un Momigliano. Non la grecità classica, ma la grecità periferica è lo spazio ideale dell’opera: dalla splendida grecità dell’Asia Minore agli insediamenti in Arabia meridionale e in Cirenaica, dalle colonie di Tunisia e di Spagna alle colonie in Italia, con la creazione, insieme a Etruschi, Latini, Osco-Umbri e Messapi, di un’originale e autonoma koinè culturale ‘italica’. Splendono le due ali del dittico: la nascita dello Stato romano, della democrazia oplitica romana in Dalla monarchia, la creazione della polis isonomica, dell’esigenza isonomica della città-Stato in Fra Oriente e Occidente.
Mazzarino ha già individuato, nello Stilicone, la crisi politica dell’impero tardoromano, dovuta all’egoismo di classe dell’aristocrazia senatoria latifondista dell’Occidente e alla volontà separatista delle ‘classi medie’ dell’Oriente cristianizzato e antibarbarico; ha ricostruito la formazione ‘costituzionale’ dello Stato magistratuale repubblicano, per l’intesa fra il patriziato e la plebità ‘abbiente’, in Dalla monarchia; ora, in Fra Oriente e Occidente perviene alla scoperta, nelle città-Stato greche, dell’idea di isonomia come risposta ‘politica’ alla crisi sociale che contrappone alle eterie nobiliari il demos impoverito e turbolento (Giarrizzo 1999, p. 573). Travaglio costituzionale, specifica Mazzarino, «gelosamente greco», indipendente da qualsiasi prestito o apporto ‘straniero’, lidio o comunque orientale.
In esso l’anima dell’Occidente si è per la prima volta rivelata. Partendo da condizioni economiche e sociali analoghe a quelle delle città-stato orientali, i greci hanno tuttavia ‘scoperto’ qualcosa che gli Orientali non sospettavano: l’esigenza isonomica (Fra Oriente e Occidente, cit., p. 296).
Questo è l’inestimabile legato che la Grecia trasmette ai posteri; «Questa fu la nascita dell’Occidente». Così, le due Ricerche, è stato finemente osservato «diventano un contributo all’origine (classica) della democrazia moderna» (Giarrizzo 1999, p. 571). La Seconda guerra mondiale è finita, con la sconfitta dei regimi autoritari: Mazzarino da vero e grande storico, mostra in queste pur giovanili opere, con piena evidenza, il nesso tra storiografia e politica.
Con queste ricerche Mazzarino ha acquisito la concezione dell’unità del Mediterraneo, la visione di un mare aperto, già in epoca arcaica, alla navigazione, ai traffici, ma anche agli incontri, e scontri, di culture, a interessi politici ed economici, a egemonie e imperialismi. Il denso saggio Introduzione alle guerre puniche affronta il problema dell’origine della seconda guerra punica. Tema tradizionale, ma che, da questione giuridico-costituzionale della colpa della guerra (la cosiddetta Schuldfrage), nell’interpretazione di Mazzarino diventa il grande problema storico dell’unificazione del Mediterraneo occidentale – dei presupposti necessari, delle premesse dell’imperialismo romano. La seconda guerra punica significò l’affrontarsi di due imperialismi, quello romano e quello cartaginese. Che potevano arrivare a compromessi, ma che erano destinati a scontrarsi: l’unità del Mediterraneo occidentale non tollerava più divisioni in zone d’influenza: «il dominio del mare non sembrava più divisibile».
Quel che aveva pienamente compreso Annibale. Attaccando Sagunto egli sapeva di infrangere il trattato dell’Ebro – ma anche di svelare che era una volontà imperialistica a portare Roma in Spagna. Chiara la responsabilità di Annibale, ma evidente anche il suo opporre alla «volontà di espansione» romana la sua «volontà di guerra». Nessuna necessità di giustificazione, nessuna preoccupazione di esporre le proprie ragioni: Annibale anelava a realizzare il suo «sogno di soldato» che coincideva con il suo sogno politico di «ridurre Roma a una potenza limitata all’Italia o, se possibile, all’Italia centrale». Sogno che sarebbe dovuto sfociare nell’unificazione del Mediterraneo occidentale, in «un equilibrio di potenze, sotto l’egemonia di Cartagine», ma che si infranse nello scontro con le legioni di Roma. Di quel sogno si verificò l’opposto: l’unificazione del Mediterraneo occidentale sotto l’egemonia romana.
Ricerche di storia tardo-romana, recita il sottotitolo di Aspetti sociali del quarto secolo, lo splendido libro con il quale Mazzarino appare chiudere questa prima luminosa fase della sua attività storiografica. La ricerca di Mazzarino si è ora nuovamente volta alla tarda romanità, riprendendo il problema lasciato aperto nello Stilicone: la divisione tra Oriente e Occidente, il perché della divaricazione, anche sul piano delle strutture economiche e sociali, della pars Orientis da quella occidentale. Nell’articolata risposta a questo interrogativo sta il senso del libro. Mazzarino indica come, nel tardo impero romano, a fianco di un’economia monetaria, fosse venuta costituendosi un’economia naturale. Le conseguenze furono: formazione del latifondo, da una parte; dall’altra, privilegi alla plebe urbana e ai soldati. L’accentuarsi dell’economia naturale fu l’esito inevitabile dell’andamento depressivo dell’economia «con la tendenza al dissolvimento dello Stato unitario fondato su economica monetaria e corrispondente organizzazione burocratica». Si configurarono così i due sbocchi dello Stato unitario tardoromano: l’Oriente, con migliori condizioni demografiche, e nel quale l’eccessiva durata del servizio militare (la stipendiorum tarditas) non distrusse l’equilibrio tra vita cittadina e produttività contadina, riuscì a superare la crisi – e l’impero dei Rhomaioi, nella sua forma bizantina, sopravvisse. L’Occidente non riuscì invece a raggiungere un sufficiente equilibrio tra le forze produttive impegnate nell’agricoltura e le forze armate nella difesa e si consegnò ai barbari.
Con Aspetti sociali si conclude una fase della riflessione storica di Mazzarino. Dalle ‘ricerche’ Mazzarino si apre alle sintesi. Nello spirito di un sostanziale aclassicismo ha indagato momenti aurorali di organizzazioni politiche e di culture – e specialmente periodi di crisi politica e sociale – individuando temi e concetti forti che si ripresenteranno nella successiva produzione scientifica: i concetti di sostrato, di koinè culturale, di evoluzione/rivoluzione, del rapporto nazionalità/religione, delle relazioni tra linguistica e storia. Da una parte egli si volge a una sua autonoma ricostruzione dell’età imperiale, con il trittico costituito dal grande volume su L’impero romano (1956), preceduto dal saggio Storia romana e storiografia moderna (1954) e concluso con le suggestive riflessioni su La fine del mondo antico (1959); dall’altra si impegna in una complessa riflessione sulla storiografia greca e romana: sono i tre imponenti volumi de Il pensiero storico classico (1965-1966). Che sono anche gli ultimi lavori unitari: in seguito Mazzarino pubblicherà articoli e raccolte di saggi – resterà incompiuta la Storia sociale del vescovo Ambrogio, pubblicata postuma (1989), come le originali riflessioni su Pirandello. Die neuere und die alte Geschichte Italiens (2007).
L’agile saggio Storia romana e storiografia moderna, pur proponendosi come «una ‘messa a punto’ della problematica moderna sulla storia romana», può apparire – e in qualche modo è – la giustificazione, e insieme la premessa, del lavoro di Mazzarino sulla storia romana. Ma il risultato supera in ogni caso le intenzioni. Il libretto è un acutissimo ripensamento della moderna storiografia su Roma. Assolutamente originale l’assunto di base: la centralità dell’indagine sul tardo impero. Essa sola può prospettare in termini chiari il problema della crisi imperiale «punto di estrema importanza per la valutazione della storiografia moderna in generale, dell’antitesi Mommsen-Burckhardt in particolare» (p. 9). Fondamentale, la riscoperta di Gotofredo (Jacques Godefroy), il cui commento al Codex Theodosianus (1665) resta
ancor oggi la principale opera a cui lo studioso del mondo tardo romano debba rivolgersi per intendere l’organizzazione amministrativa e giuridica dell’impero (p. 14).
Opera insigne, tale da ispirare una visione ‘positiva’ del tardo impero. Mazzarino batte insistentemente su questo punto: il tardo impero (noi ora diciamo la Spätantike) costituisce «la chiave per intendere, su un piano di ricostruzione scientifica, la storia dell’impero romano e la sua connessione col mondo medievale e moderno» (p. 16). Si spiega così la «precocità» della storiografia sull’impero rispetto a quella sulla repubblica: la prima, prendendo come punto di partenza e di riferimento il tardo impero, nella sua documentazione giuridica poté assumere un atteggiamento storico-critico nei riguardi del mondo romano; la seconda, invece, rimase ferma nell’accettazione acritica di una tradizione pervenutaci attraverso Livio, Diodoro, Dionisio di Alicarnasso. Già nel Seicento, l’età imperiale troverà in Gotofredo e in Louis-Sébastien Le Nain de Tillemont i suoi grandi storici; per la repubblica ci sarà soltanto la critica di Iacopo Perizonio (Jacob Voorbroek) al pirronismo storico. E se nel Settecento questa potrà contare su Giambattista Vico, l’età imperiale annovererà il Montesquieu critico delle cause della grandezza e decadenza di Roma, il David Hume primo indagatore della demografia antica, l’Edward Gibbon della grandiosa History, lo Johann Winckelmann della dialettica Grecia-Roma, sulla quale «[…] era ormai impostata l’interpretazione della cultura antica» (p. 31).
Solo lo storicismo dell’età romantica avrebbe reso possibile una storia dell’età regia e repubblicana di Roma. Barthold Georg Niebuhr, per Mazzarino, è l’eroe di una rivoluzionaria conquista: la scoperta della ricostruibilità della storia romana arcaica e repubblicana attraverso la critica delle fonti; si passa con lui da una fase erudita a una fase scientifica. E se Niebuhr, con i suoi discepoli e continuatori come Friedrich Karl von Savigny, appartiene ancora a un’epoca ‘eroica’ della storiografia sul mondo romano, con Mommsen ne abbiamo il sistematore. Grazie alle iniziative da lui promosse, oltre che alla sua immensa produzione scientifica, con Mommsen si passa alla ricostruzione storica ‘positiva’ , e all’organizzazione del lavoro ‘specialistico’. Positività ricostruttiva distinta e profondamente diversa dall’atteggiamento di Jacob Burckhardt, con la sua viva sensibilità verso i problemi di crisi e di decadenza. Burckhardt può considerarsi, oltre che grande alternativa storiografica a Mommsen, anche fondamentale punto di riferimento della riflessione storica di Mazzarino. Soprattutto, dopo la crisi europea conseguente alla Prima guerra mondiale, per Mazzarino il pessimismo burckhardtiano sembra aver trovato la più ampia giustificazione e ricezione; gli studi romani appaiono configurarglisi «sempre più come un momento degli studi sulla cultura antica nella sua crisi» (corsivo nostro); il loro aspetto più evidente consisterebbe, per Mazzarino, nella conquista di un equilibrio fra Mommsen e Burckhardt, fra «considerazione positiva» e «Dekadenzidee».
Per quanto opera destinata all’insegnamento universitario, L’impero romano costituisce una nuova e originale ricostruzione della vicenda dell’impero romano, dal principato augusteo fino alla crisi della pars Orientis, con la perdita della diocesi egiziana e siriaca. Inusuale il punto terminale, inusuale la struttura, con la ripartizione in due parti quasi uguali tra principato e «basso impero» (cioè tarda antichità), con il 3° sec. «metro della storia imperiale» a fare da cerniera, originale nel rilievo dato all’impero tardoantico, da Costantino fino alle invasioni arabe. Soprattutto originale nel rilievo dato alla storia religiosa, nell’importanza attribuita al fattore religione nella vicenda sociale e culturale dell’impero, la cui cristianizzazione è analizzata fin dalle prime fasi ed è vista in parallelo con la vicenda sociale e culturale dell’impero. E, quel che più importa, il fattore ‘religione’ viene sussunto all’interno della categoria di ‘rivoluzione’.
Coerentemente, non tanto Augusto, quanto Costantino è la personalità di massimo rilievo ne L’impero romano. Egli è, per Mazzarino, «il più violento rivoluzionario della storia romana». Non ha esitato a infrangere i vecchi schemi, ma ha saputo accettare, «senza grandi compromessi», i risultati della profonda trasformazione compiutasi nell’impero:
La sua rivoluzione religiosa è parallela alla sua [dell’impero] rivoluzione economico-sociale e alla trasformazione degli ordinamenti militari: all’opposto di Diocleziano, egli non si è affannato a spegnere l’incendio che divorava il vecchio mondo, ma viceversa ha costruito il nuovo stato con gli elementi fornitigli da un processo conseguente (L’impero romano, cit., pp. 450-51).
Alla fondazione dell’impero cristiano corrisponde, sul piano economico-sociale, la fondazione di una «società a piramide», al cui vertice sono i detentori di oro e alla base sta l’afflicta paupertas. A Costantino, vincente perché ha saputo intendere il corso storico del 3° sec., si contrappone Giuliano, perdente nella difesa del vecchio mondo pagano. Giuliano, il ‘filosofo sul trono’, fallisce nell’impresa persiana e nella politica religiosa – ma non nella politica economica, nel suo generale indirizzo di deflazione e di contenimento dei prezzi. Si mostra il duplice volto della ‘grandiosa’ personalità di Giuliano, «aristocratica nel ritorno alla religione e alla cultura degli Elleni (‘ellenismo’) ma conscia dell’importanza degli umili e degli oppressi nella conservazione della res publica» (p. 472). Per Mazzarino Costantino e Giuliano sono «i dominatori del quarto secolo. L’antitesi fra il nipote e lo zio è la chiave per intendere la storia dell’impero romano» (p. 472).
Ne L’impero romano Mazzarino produce un’originale diagnosi della crisi culturale e sociale del mondo antico. Nella sua prospettiva, la ‘cristianizzazione’ dell’impero non sarebbe che un aspetto di un processo più generale – la «democratizzazione della cultura antica», della cultura classica greco-romana. Il cristianesimo sarebbe il fenomeno – e insieme uno dei fattori – principale di questo processo. È con l’età dei Severi, con il cruciale 3° sec., che prende l’avvio questo processo di democratizzazione della cultura, con l’irruzione delle masse nella vita spirituale dell’impero. Proseguendo il discorso avviato nello Stilicone, a Mazzarino ora la fine del mondo antico appare coincidere con le divisioni regionali, con il processo irreversibile di formazione delle culture ‘locali’, ‘nazionali’ (etniche), avviato nell’età severiana.
Questo tema della «democratizzazione della cultura», della formazione delle culture ‘locali’, ‘regionali’, formulato nella fondamentale relazione all’XI Congresso internazionale di scienze storiche di Stoccolma (1960), ha fortemente influito sull’attuale ricerca sulla tarda antichità. Esso costituisce uno dei motivi di fondo di un’altra opera di Mazzarino, La fine del mondo antico (1959): libro di alta divulgazione, che conclude e sintetizza la sua ricerca sull’impero romano.
Non è possibile, né avrebbe senso, indicare in questa sede tutti i motivi che compongono il complesso e variegato affresco che Mazzarino ci presenta della fine del mondo antico. Uno però va soprattutto considerato, perché appare tutti comprenderli e unificarli: il motivo di una rivoluzione spirituale cristiana, di un agente
che irrompe nella vita dell’impero e opera in profondità sul piano morale, culturale (la democratizzazione della cultura) e poi ancora su quello sociale e politico. Con la prospettiva di Ippolito […] non si può guardare alle forze unificanti dell’impero bensì ai popoli soggiogati che si separano o si ribellano e ad un potere dispotico che deve inevitabilmente cadere (E. Gabba, Rileggendo “La fine del mondo antico” di Santo Mazzarino, «Athenaeum», 1989, 77, p. 308).
Nel percorso scientifico di Mazzarino la relazione di Stoccolma segna un momento cruciale: egli ha completato la sua ricognizione/ricostruzione della storia antica, greca e romana. Risultano, da essa, concetti interpretativi forti: la «democratizzazione della cultura», l’emergere delle culture ‘locali’, il costruirsi delle divisioni ‘regionali’. Mazzarino ha precisato la sua teoria della combinazione tra sostrati e rivoluzioni religiose e sociali ‘dal basso’. Attraverso una continua riflessione sui momenti di crisi rivoluzionaria nella storia ha superato lo storicismo evoluzionistico degli anni Quaranta; riflette sull’opportunità di interpretare questi momenti per confronti e nella prospettiva dei tempi di attesa – è il tema della ‘profezia sul passato’. Ora è il momento di dedicarsi tutto alla pubblicazione dei tre volumi de Il pensiero storico classico, ai quali lavora da anni e nei quali intende riassumere la sua visione generale del mondo antico.
Il pensiero storico classico è un’opera di grande impegno e di indubbio vigore storiografico, che occupa un posto di tutto rilievo nel panorama della moderna storiografia sul mondo antico. La ricostruzione di Mazzarino si muove su un duplice registro: l’enucleazione e l’analisi delle categorie presenti nelle opere degli storici antichi – rapporto tra passato e presente, la concezione del tempo storico, il ruolo dei fattori naturali e soprannaturali e così via – da un canto; dall’altro, l’individuazione dei nessi di queste categorie con la realtà sociale e culturale cui pertengono gli eventi narrati dagli storici antichi. Da qui l’ampiezza della trattazione, ma anche l’efficacia rievocatrice di tante pagine; da qui, ancora, l’incessante ricerca di nessi costanti e profondi tra società, cultura e storiografia; da qui, infine, l’esemplarità, nell’analisi mazzariniana, della storiografia classica – e la sua importanza nella formazione della cultura occidentale. In sintesi, possiamo considerare Il pensiero storico classico una lunga, ininterrotta, meditazione sulla storia – sulla valutazione che di sé ebbero gli antichi – ma per comprendere il presente.
La grande opera sul pensiero storico classico chiude il periodo delle sintesi. Si apre ora una nuova fase dell’attività scientifica di Mazzarino. Dalla metà degli anni Sessanta e negli anni successivi egli appare impegnato a ripensare sia l’imponente lavoro compiuto negli anni precedenti sia i suoi grandi auctores in campo storiografico. Ristudia così, in interventi purtroppo dispersi in varie sedi, l’amato Burckhardt, Mommsen, Niebuhr – e ripensa Vico, nei saggi raccolti nel volumetto Vico, l’annalistica e il diritto (1971). In questi – e già in un saggio del 1964 – Mazzarino chiarisce il suo distacco dallo storicismo, dallo storicismo assoluto della linea Hegel-Croce, a favore dello «storicismo degli storici», come egli designa quello di Niebuhr, di Leopold von Ranke, di Burckhardt.
Il distacco di Mazzarino dallo storicismo ‘assoluto’ si compie lungo tre linee di fuga. In primo luogo, la riflessione critica sulla Dekadenzidee, che lo porta al rifiuto dell’assolutizzazione della ragione e della storia universale come ottimistica continuità. In secondo luogo, l’adozione del concetto di evoluzione/rivoluzione nell’analisi del divenire storico – evoluzione/rivoluzione sociale che determina anche la storiografia e, in generale, la cultura. La riflessione, infine, sul problema del tempo, ciclico o rettilineo – che in Mazzarino si configura anche come il problema dell’aspettazione apocalittica, della profezia, dell’Utopismus: nella concezione di Mazzarino, è stato acutamente osservato da Giuseppe Giarrizzo (1999): «bisogna togliere al pensiero antico la macchia del tempo ciclico, e farlo respirare ancor esso nella prospettiva del tempo lineare attraverso l’utopia» (p. 615).
Nei libri di Mazzarino, anche nei tre imponenti volumi sul pensiero storico classico, l’analisi è sempre in funzione della sintesi e si tende sempre a un’interpretazione generale. Pur mantenendo questo carattere, molti dei saggi raccolti nei due volumi Antico, tardoantico ed èra costantiniana (1974-1980) rivelano altri aspetti della storiografia mazzariniana. Superbi esempi di analisi storica, mostrano quanto Mazzarino eccellesse anche nell’ars critica. Non c’è dubbio che in quest’ultima fase di ricerca, analitica e di somma erudizione, nella quale peraltro egli tenta la tanto da lui auspicata sintesi di storia imperiale e di storia ecclesiastica nel saggio, purtroppo incompiuto, Storia sociale del vescovo Ambrogio, è indubbio che vada ascritta a merito di Mazzarino la promozione, per non dire la fondazione, in Italia, degli studi sulla tarda antichità.
Espressione ultima di questa fase analitica si può considerare il libro Pirandello. Die neuere und die alte Geschichte Italiens. Scritto direttamente in lingua tedesca a Bonn, nel 1984, ma pubblicato postumo nel 2007, a cura dell’allieva Maria Adele Cavallaro, il singolare saggio è dedicato a Luigi Pirandello e al suo rapporto con la storia antica e moderna dell’Italia. Attraverso l’opera del grande drammaturgo Mazzarino ripensa momenti cruciali della storia della Sicilia e del suo ingresso nell’Italia postunitaria. È indicativo della sensibilità storiografica di Mazzarino il fatto che il momento analitico abbia coinciso con un ripiegamento critico, dalla fine degli anni Sessanta e per tutto il decennio Settanta, di tutta la storiografia italiana – e non solo italiana. Ha un suo significato che lo studioso, in questi ultimi suoi anni, abbia voluto dedicarsi a un lavoro di analisi, cercando forse nuovi esiti formali per quella meravigliosa circolarità tra problemi particolari e prospettive generali che costituiva l’essenza del suo genio storiografico.
Stilicone. La crisi imperiale dopo Teodosio, Roma 1942, poi, con introduzione di A. Giardina, Milano 1990.
Dalla monarchia allo Stato repubblicano. Ricerche di storia romana arcaica, Catania 1945, poi, con introduzione di A. Fraschetti, Milano 1992.
Fra Oriente e Occidente. Ricerche di storia greca arcaica, Firenze 1947, poi, con introduzione di F. Cassola, Milano 1989.
Introduzione alle guerre puniche, Catania 1947, poi, con prefazione di D. Musti, Milano 2003.
Aspetti sociali del quarto secolo. Ricerche di storia tardo-romana, Roma 1951, poi, con introduzione di E. Lo Cascio, Milano 2002.
Storia romana e storiografia moderna, Napoli 1954, poi, con revisione e introduzione di M. Mazza, in «Archivio di storia della cultura», 2009, pp. 361-431.
L’impero romano, in G. Giannelli, S. Mazzarino, Trattato di storia romana, 2° vol., Roma 1956, 19622.
La fine del mondo antico, Milano 1959, poi, con introduzione di P. Citati, Milano 1988.
Il pensiero storico classico, I-II 1-2, Roma-Bari 1965-1966.
Vico, l’annalistica e il diritto, Napoli 1971.
Antico, tardoantico ed èra costantiniana, 2 voll., Bari 1974-1980.
Storia sociale del vescovo Ambrogio, Roma 1989.
Pirandello. Die neuere und die alte Geschichte Italiens, hrsg. M.A. Cavallaro, Bonn 2007.
L’elenco più completo degli scritti di Mazzarino, curato da Alister Filippini, si legge in appendice agli Atti del Convegno internazionale su Santo Mazzarino e la storiografia moderna, Roma (21-23 aprile 2008), Roma 2013.
Manca ancora un lavoro complessivo sullo studioso. Lo studio finora più completo e importante è quello di G. Giarrizzo, Santo Mazzarino. Un maestro, in Id., La scienza della storia. Interpreti e problemi, a cura di F. Tessitore, Napoli 1999, pp. 551-616.
Si vedano inoltre:
A. Forni, Ragione e storia. L’interpretazione del mondo antico in Santo Mazzarino, «La cultura», 1983, 27, pp. 346-86.
F. Tessitore, Santo Mazzarino e la ‘Dekadenzidee’, «Archivio di storia della cultura», 1989, 2, pp. 95-111.
Studi in memoria di Santo Mazzarino, Atti del Convegno, Catania (21-24 aprile 1988), «Quaderni catanesi di cultura classica e medievale», I-III, 1989 (ma 1993), 1-2 (in partic. M. Mazza, Santo Mazzarino e la storia religiosa dell’impero romano, II, 1, pp. 187-232; E. Lo Cascio, Crisi demografica e storia socioeconomica tra principato e basso impero: dagli “Aspetti sociali del IV secolo” a “La fine del mondo antico”, III, 2, pp. 67-92; N. Loraux, Note sur Santo Mazzarino, la stasis et la révolution, III, 2, pp. 107-20; S. Calderone, Mazzarino e le cause storiche, III, 2, pp. 175-83).
Convegno per Santo Mazzarino, Atti del Convegno, Roma (9-11 maggio 1991), Roma 1998 (in partic. F. Tessitore, Weltgeschichte o Universalgeschichte? Lo storicismo dei filosofi e lo storicismo degli storici, pp. 221-51; I. Cervelli, «Tempo e storia» nella riflessione di Santo Mazzarino, pp. 253-80).
M. Mazza, Santo Mazzarino (27.I.1916 - 18.V.1987). In memoriam, «Studi romani», 2007, 3-4, pp. 511-74.
M. Mazza, Il dialogo con i maestri: Santo Mazzarino e la storiografia tedesca dell’Ottocento, «Mediterraneo antico», 2008 (ma 2009), 1-2, pp. 341-58.
M. Mazza, Mazzarino Santo, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 72° vol., Roma 2009, ad vocem (con bibl. precedente).
M. Mazza, Due maestri. Storia e filologia in Theodor Mommsen e Santo Mazzarino, Catania 2010.