Pio X, santo
Papa (Riese 1835-Roma 1914). Giuseppe Melchiorre Sarto, di modesta famiglia (il padre Giovan Battista era cursore del comune e la madre, Margherita Sanson, sarta), seguì gli studi nel seminario di Padova e fu ordinato sacerdote il 18 sett. 1858. Cappellano a Tombolo, poi parroco a Salzano, cancelliere vescovile a Treviso nel 1875, fu fatto vescovo di Mantova nel 1884; cardinale nel 1893 e promosso alla sede patriarcale di Venezia, ebbe però l’exequatur solo nel novembre del 1894. Nel conclave del 1903, durante il quale nel contrasto delle tendenze si interpose il «veto di esclusione» dell’imperatore d’Austria Francesco Giuseppe contro il cardinale M. Rampolla, i cardinali finirono per accordarsi sul nome di Sarto, per la fama della sua vita esemplare e delle sue doti di pastore. Fu eletto papa (con 50 voti su 62) il 4 agosto 1903, in una situazione generale difficile, per i rapporti tesi fra Chiesa e Stato in Italia e in Francia, per il fermento e l’agitazione sociale, per le richieste all’interno della Chiesa di riforme della disciplina, della cura pastorale, della liturgia e soprattutto degli studi sacri. Nei rapporti con la Francia, P. si trovò ad affrontare una situazione di contrasto che si acuì per la visita del presidente É. Loubet al re d’Italia nel 1904; alla protesta della Santa Sede e al ritiro dell’ambasciatore francese seguirono l’approvazione, alla Camera e al Senato di Francia, della separazione fra Chiesa e Stato (luglio-dic. 1904) e la completa rottura dei rapporti diplomatici (30 luglio 1904): con l’enciclica Vehementer nos (11 febbr. 1906) P. condannò tale separazione (che aveva provocato, tra l’altro, l’incameramento dei beni ecclesiastici), la limitazione delle funzioni sacerdotali al semplice culto e infine le associazioni cultuali proposte dallo Stato. A complicare la situazione si aggiungevano le divisioni politiche tra i cattolici francesi: da un lato vi erano quelli dell’Action française, conservatori e monarchici, dall’altro i cattolici repubblicani, detti abbés démocrates. Nei riguardi del regno d’Italia, pur senza revocare il non expedit, nel 1909 lasciò ai vescovi la facoltà di permettere ai cattolici la partecipazione diretta alla vita politica «per superiori motivi di pubblico bene»; ciò permise il primo ingresso di deputati cattolici (52) nel Parlamento italiano. Sul terreno delle dottrine, P. condusse una battaglia assai dura per contrastare il modernismo, contro il quale promulgò l’enciclica Pascendi (7 sett. 1907). Intervenne nelle questioni di organizzazione del laicato, sciogliendo nel 1904 l’Opera dei congressi di cui mantenne solo la 2ª sezione, quella dell’Azione popolare cristiana e della Società della gioventù cattolica. In quest’ultima aveva avuto successo per qualche tempo il democratismo di R. Murri, che però ben presto fu rifiutato dalla Chiesa. Con l’enciclica Il fermo proposito (11 giugno 1905) P. tracciò le basi su cui poi rimasero costituite le organizzazioni del laicato fino a Benedetto XV. La sua opera si esplicò ancora in provvidenze multiformi: nei riguardi dell’educazione del clero, dando norme per la disciplina degli studi e sollecitando la cultura ecclesiastica (costituzione dell’Istituto biblico a Roma, revisione della Vulgata, motuproprio per lo studio della filosofia di s. Tommaso); nei riguardi dei fedeli, promuovendo con i suoi decreti la frequente comunione, curando l’educazione catechistica ecc. Promosse inoltre la codificazione del diritto della Chiesa. Nove anni dopo la sua morte fu iniziato il processo che doveva proclamarlo beato (3 giugno 1951) e poi santo (25 maggio 1954).