ROBERTI, Santo
ROBERTI, Santo. – Nacque a Castelluccio Inferiore, in Basilicata, il 28 marzo 1802 da Biagiantonio e da Carmela Celano.
Da una nota della sua principale opera, il Corso completo di diritto penale del Regno delle Due Sicilie secondo l’ordine delle leggi penali (I-VI, Napoli 1833-1836, VII, Napoli 1858), è possibile ricavare qualche notizia biografica relativa alla sua adolescenza.
«Nell’epoca in cui il Regno fu dominato dall’occupazione militare, ricordo con orrore la niuna impressione che destavano le tante fucilazioni, e tutto che fanciullo, veniva poco o niente sbigottito dal frequente passaggio per le strade de’ teschi umani ancor grondanti di sangue che si menavano in trionfo, e dalla esposizione che se ne faceva nelle pubbliche piazze. Non entro a parlare della convenienza o non convenienza di tanti e sì frequenti supplizj senza forme, e senza giudizio; ma lo avvezzare i popoli a veder con indifferenza tanto sangue non poteva non depravare i loro costumi» (I, p. 40).
Forse questo «orrore» fu la molla che lo spinse verso il diritto e in particolare il diritto penale, di cui fu un ottimo studioso, riuscendo a conciliare, nelle sue opere e nella sua attività di magistrato, teoria e prassi.
Nel marzo del 1823, ad appena ventuno anni, fu chiamato alla cattedra di diritto criminale nel Real liceo di Salerno. Contemporaneamente iniziò la carriera in magistratura come giudice di circondario, carica che mantenne fino al 1831, quando risulta «in assegnazione di destino» (Archivio di Stato di Napoli, Ministero di Grazia e Giustizia, b. 2983, f. 281: Statistiche dei magistrati, 9 aprile 1831). In quegli anni, divisi tra insegnamento e attività giudiziaria, concepì la realizzazione del suo Corso completo: un’opera sul diritto penale che, oltre a trattare in modo elementare le «già esposte teorie di diritto universale», fu pensata per offrire un commento alle leggi penali che si «diramasse ancora sulla Giurisprudenza delle Corti, e sull’esame delle massime d’interpretazione che quella ha di già proclamato» (I, Napoli 1833, pp. IX s.).
Un’opera siffatta, di «evidente utilità», non era stata, a suo giudizio, ancora pubblicata: in effetti un commento alla legislazione penale che desse il giusto risalto alle massime della giurisprudenza rappresentava un elemento di novità nel panorama della pubblicistica giuridica anche perché, fino alla fine degli anni Venti, la giurisprudenza napoletana era stata molto vincolata a quella d’Oltralpe.
Nel pregevole Trattato preliminare al Corso completo Roberti si pose in stretta corrispondenza con i più importanti esponenti dell’Illuminismo penale italiano, come Gaetano Filangieri, Saverio Mattei, Cesare Beccaria, Giovanni Carmignani, Gian Domenico Romagnosi e Giuseppe Raffaelli (non mancano peraltro riferimenti a Montesquieu, a Jean Jacques Rousseau e a John Locke); in particolare Roberti insiste lungamente sull’opportunità di pene strettamente necessarie e assolutamente proporzionali alla gravità del reato commesso. Tuttavia egli non prende posizione sull’importante questione della pena di morte. In merito, pur presentando una lunga e articolata disamina sulle diverse teorie a favore e contro, rileva che «in somma è pur troppo vero che quasi tutte le teorie ammesse finora intorno al diritto di punire non valgono per ombra a dimostrare né la legittimità, né la giustizia della pena di morte. Noi ci atterremo perciò al sistema che abbiamo già ammesso, perché è il solo atto ad offrire delle norme più decisive su questo riguardo» (p. 73). In questa riflessione si coglie il limite del Roberti penalista, il quale parte dal Codice per lo Regno e resta sempre al suo interno, badando a non discostarsi dal dettato di un’opera di legislazione che ritiene un monumento della scienza giuridica. Riteneva, infatti, che il legislatore borbonico fosse riuscito nella non facile impresa di tradurre in norme di diritto positivo i precetti del diritto naturale, tenendo conto anche della tradizione giuridica del Regno, come peraltro dimostrava la scelta di eliminare le ‘pene infamanti’, previste dal codice penale francese.
L’opera, elegante, dotta, documentata e utile a studenti, avvocati e magistrati, gli valse un’ottima accoglienza nell’ambiente della nuova generazione di giuristi raccolti intorno alla rivista Il Progresso delle lettere delle scienze e delle arti – dove fu recensita in modo assai elogiativo da Emanuele Rocco nel 1834 (III, vol. 6, p. 109) – e l’elogio di Enrico Pessina (1868, pp. 74 s.) che lo consacrò come uno dei migliori penalisti napoletani dell’Ottocento dopo Niccola Nicolini.
Il 26 dicembre 1836 fu nominato giudice del Tribunale de L’Aquila. Dopo appena un anno fu trasferito in Sicilia come procuratore regio del Tribunale di Trapani.
In quegli anni Ferdinando II stava portando a termine un programma, avviato subito dopo la sua ascesa al trono, volto alla ‘bonifica’ della magistratura del Regno, mettendo a riposo giudici anziani e corrotti e inserendo giovani preparati e affidabili. Alla fine degli anni Trenta la riforma interessò la Sicilia, dove vennero trasferiti alcuni giudici della parte continentale del Regno e tra questi Roberti.
Roberti ben si dovette distinguere, se nel giro di quattro anni ebbe tre promozioni: il 10 luglio 1838 fu nominato presidente del Tribunale di Palermo; il 5 maggio 1841 giudice della Gran corte civile di Palermo e il 1° dicembre dello stesso anno procuratore generale della Gran corte criminale di Palermo. Nel 1848 fu distolto da incarichi giudiziari e chiamato alla carica di intendente della provincia dell’Abruzzo Ulteriore (Roberti pubblicò diversi discorsi da lui pronunciati in occasione delle sedute inaugurali dei Consigli generali della provincia dell’Abruzzo Ulteriore). Nel 1857 fu nominato consigliere della Suprema corte di giustizia di Napoli e l’anno successivo diede alle stampe a Napoli il settimo volume del suo Corso completo. Nel 1858 pubblicò, sempre a Napoli, Della falsità nelle scritture pubbliche o private secondo le leggi penali del Regno delle Due Sicilie, dove poteva fregiarsi dei titoli di Commendatore del Real Ordine al merito civile di Francesco I e dell’insigne ordine pontificio di S. Gregorio Magno e di socio della Reale Accademia Pontaniana.
Era all’apice della carriera e nel 1859 ottenne la cattedra di diritto e procedura penale dell’Università di Napoli, succedendo a insigni giuristi come Giuseppe Lauria e Nicolini, ma si dimise dopo appena un anno.
Nella prolusione Per la riapertura della cattedra di diritto e procedura penale della Regia Università di Napoli: discorso pronunziato nel dì 13 dicembre 1859 dal professore Santo Roberti (Napoli 1860) Roberti, dopo una lunga premessa sul significato e sull’importanza della legislazione penale, articolata principalmente sulla base delle fonti romanistiche, annunciava il suo programma: «Io non farò giammai ricorso a leggi antiche diverse da quelle che hanno avuto tra noi osservanza, e ciò al fine di seguirle l’una dopo l’altra, avvegnaché in questa guisa si facilita la intelligenza dell’ultima, e nel confronto se ne apprezzano i pregi. Io accennerò a tutte le leggi posteriori che hanno modificato quelle del codice, o vi han prestato spiegazione. Io in fine non ometterò di accennare alla interpretazione usuale, nel che mi propongo di evitar qualunque servilità per non rendere omaggio che alla ragione e alla legge. Esaurirò in somma tutte le mie forze perché la conoscenza della nostra legislazion penale, lungi dall’essere il patrimonio di pochi, sia quanto più diffusa» (p. 18).
Alla fine della prolusione Roberti individuava i suoi punti di riferimento: Giambattista Vico, Filangieri, Raffaelli e Francesco Mario Pagano.
Nel 1860 fu nominato avvocato generale presso la Suprema corte di giustizia di Napoli e in quella veste ebbe modo di denunciare al ministro lo «assurdissimo principio» per il quale il supremo organo di legittimità, da oltre trent’anni e nonostante le proteste del suo predecessore, Nicolini, continuava ad annullare le sentenze dei tribunali criminali perché nelle stesse non venivano riportate tutte le posizioni a discolpa degli imputati ricavate dall’esame dei testimoni e nelle motivazioni non si procedeva a una loro confutazione specifica (Archivio di Stato di Napoli, Ministero di Grazia e Giustizia, b. 5293, Santo Roberti al ministro di Grazia e Giustizia, maggio 1860).
Con l’Unità d’Italia fu estromesso dalla magistratura e si dedicò allo studio.
Nel 1861 pubblicò a Napoli Le quistioni di diritto esaminate nelle decisioni della corte suprema di giustizia di Napoli e nelle conclusioni profferite all’udienza, non che in altri lavori: nel titolo dell’opera l’autore specificava che «si sono aggiunti il confronto e l’analisi dei Codici sardi per le materie che formano oggetto delle quistioni». Le Quistioni intendevano raccordare teoria e prassi, sviluppando le tematiche penalistiche attraverso l’esame della giurisprudenza. In essa Roberti criticava la scelta del governo di estendere la legislazione penalistica del Regno di Sardegna al Mezzogiorno, dove sarebbe stato opportuno lasciare in vigore le parti penalistiche del Codice per lo Regno perché le leggi napoletane «avevano a loro favore una presunzione di efficacia garentita da oltre quarant’anni di pruova e sopra il più vasto e popoloso degli Stati d’Italia, ed avevano richiamato l’ammirazione delle nazioni anche più colte d’Europa» (p. VII).
Morì a Napoli il 18 novembre 1870.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Napoli, Ministero di Grazia e Giustizia, bb. 2983, f. 281: statistiche di magistrati; 2980, f. 89; 5293; Novissimo Digesto Italiano, XVI (1969), p. 247; E. Pessina, Dei progressi del diritto penale in Italia nel secolo XIX, Firenze 1868, pp. 74 s.; P. Saraceno, I magistrati italiani dall’Unità al Fascismo: studi biografici e prosopografici, Roma 1988, p. 65; A. Mazzacane, Una scienza per due regni. La penalistica napoletana della Restautrazione, in Materiali per una storia della cultura giuridica, XXV (1995), pp. 341-356; F. Mastroberti, Tra scienza e arbitrio. Il problema giudiziario e penale nelle Sicilie dal 1821 al 1848, Bari 2005, pp. 326 s., 370 s.; Id., Le Gran Corti Civili del Regno di Napoli (1817-1865), in Tribunali e giurisprudenza nel Mezzogiorno, I, Le Gran Corti Civili (1817-1865): Napoli e Trani, a cura di F. Mastroberti, Napoli 2010, pp. 1-97; M.R. Di Simone, R., S., in Dizionario biografico dei giuristi italiani, II, Bologna 2013, pp. 1700 s.