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SANUDO, Marin, il Giovane

di Giovanni Battista Picotti - Enciclopedia Italiana (1936)
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SANUDO, Marin, il Giovane

Giovanni Battista Picotti

Nacque a Venezia, il 22 giugno 1466, da Leonardo, della stessa famiglia patrizia da cui era disceso il Torsello, ma d'altro ramo, quello di S. Giacomo dall'Orio. Fin dalla prima giovinezza attese a studî classici ed eruditi, frugò biblioteche, ebbe corrispondenza con uomini dotti; ne trasse a quindici anni un lavoretto di mitologia e più tardi un'abbondante silloge epigrafica, una collezione di Auctorità, contenente passi di diversi autori su "più di mille materie", una bibliografia dei poemi cavallereschi, e traduzioni, dissertazioni, riassunti di ogni maniera. Nel suo palazzo raccolse una "libreria" di parecchie migliaia di manoscritti e libri rari e una collezione di quadri, di disegni etnografici, di carte geografiche, di portolani, che anche gli stranieri visitavano con ammirazione. Ma particolarmente volle "come uno afamato curioso di nove", "intendere e inquerir quello seguiva et sopra tutto la verità"; e quanto intendesse notò con una onestà e pazienza mirabile, con un grande amore per Venezia sua e per l'Italia.

Avendo accompagnato nel 1483 il cugino Marco, che era uno dei tre sindaci di terraferma, descrisse il suo viaggio nell'Itinerario per la terraferma veneta; l'anno dopo scrisse "nel sermon materno" e dedicò al doge Giovanni Mocenigo i Commentarj della guerra di Ferrara, racconto della guerra tra Venezia ed Ercole d'Este, che inserì poi, in redazione più ampia e corretta, nelle Vite dei dogi. Mentre attendeva a questo nuovo, grande lavoro, si valse dei materiali raccolti, per una "cronachetta", ricca di notizie sulla storia primitiva e sulla vita veneziana, che offrì nel 1493 al doge Agostino Barbarigo col titolo De origine situ et magistratibus urbis Venetae, e che rielaborò, come sembra, più tardi. Nella dedica egli affermava di avere già compiuto le Vite dei dogi; ma vi lavorò ancora molti anni, fino al 1510, comprendendovi, con ricchezza d'informazione e proposito di sincerità, ma con povertà di critica e di sintesi, la narrazione tradizionale delle origini veneziane e la cronaca di tutti i dogi dal leggendario Paoluccio Anafesto al Barbarigo, fino al 12 dicembre 1494. E intanto narrava "vulgari sermone, acciò tutti, dotti et indotti, la possino leggere et intendere", e dedicava, il 31 dicembre 1495, allo stesso doge Barbarigo La spedizione di Carlo VIII, come ammonimento che, "havendo l'eterno Iddio posto le Alpi per termene che barbari e tal generatione fusseno divisi dalla italica giente", nessuno straniero poteva "longamente dominar" in Italia: opera preziosa per abbondanza e precisione di notizie, ma tanto più difettosa nella struttura quant'era maggiore il desiderio del S. di levarsi qui a ufficio di storico, e rimasta per lungo tempo in dimenticanza per il plagio impudente, che ne aveva fatto nelle sue Historie (Venezia 1547) Marco Guazzo.

Dal 1° gennaio del 1496, al quale giorno arrivava il racconto dell'impresa francese, il S. iniziò i suoi Diari, registrandovi quotidianamente quanto si dicesse e operasse nei consigli veneziani e quante notizie giungessero da ogni parte a Venezia, inserendovi lettere, documenti, relazioni di oratori, ragguagli sulla cultura, sul commercio, sulle opere pubbliche, sui costumi; schietta e inestimabile rappresentazione di quell'età tempestosa, nella quale le conquiste straniere in Italia, il duello gigantesco tra Francia e Spagna, l'incalzare minaccioso del Turco, lo spezzarsi dell'unità religiosa, le scoperte geografiche, il trionfo della cultura del Rinascimento aprivano per Venezia, per l'Italia e il mondo una storia nuova.

Entrato nel 1498 nella vita pubblica, il S. non interruppe la nobile fatica, vi attese anzi con nuovo fervore, poiché, membro del maggior consiglio, otto volte "Savio ai ordeni" e cinque nei Pregadi o nella Giunta, camerlengo a Verona nel 1501-02, occupato a Padova durante la guerra (1513) in "uffici di grandissima faticha", era in qualche misura non solo spettatore, ma parte di quella storia. Nei discorsi ch'egli pronunziò e negli uffici che tenne, si propose "il bene, l'utile e l'honor" dello stato, contento solo se potesse averne "la gratia": e, censurando ogni debolezza di governo, biasimando chi brigasse per ottenere le cariche pubbliche, difendendo le ragioni del pubblico erario, meritò fama di "observator de le leze" e di "integerrimo". Ma per il carattere austero e non senza orgoglio, e forse per una mala fama che lo accompagnava, ebbe minore fortuna che non sperasse, sicché dovette vivere fra le strettezze, fino ad essere costretto a vendere parte della sua biblioteca.

Solo il 19 settembre 1531, "vechio, infermo et povero et più che povero", ottenne dal Consiglio dei Dieci una pensione annua di 150 ducati d'oro, purché continuasse a scrivere i suoi diarî, desse "commodità" di esaminarli a quel Pietro Bembo, ch'egli si era doluto di vedere in suo luogo storico ufficiale della Repubblica, e li lasciasse ai Dieci morendo. Ebbe allora facoltà di vedere le lettere di "nuove occorrenti in diverse parti del mondo", che gli erano ciascun giorno comunicate dal segretario dei Dieci, fatta eccezione di alcune "particolarmente secrete". E scrisse ancora fino alla fine di settembre 1533 ben 58 volumi in-folio, 40 mila pagine fittissime.

Morì il 4 aprile 1536 e s'ignora dove sia sepolto.

Onesto cittadino, ricercatore e scrittore infaticato, mirabile nel raccogliere notizie, ma inadatto a ordinarle e dominarle, scrittore rozzo, ma nella semplicità sua non inefficace, il S. ha fatto dell'opera propria che abbraccia tutta la storia veneziana, dalle origini all'età sua, l'elogio migliore, affermando che "niun scrittor mai farà cosa bona delle historie moderne, non vedendo le mia diaria".

Opere: L'itinerario, nella seconda redazione, fu pubblicato a Padova 1847, nella prima in Arch. veneto, XXII (1881), p. 1 segg.; la Storia della guerra dei Veneziani contro il duca di Ferrara, Venezia 1829; la Cronachetta, Venezia 1880; le Vite dei Dogi, incompiutamente e imperfettamente in Rer. Ital. Script., XXII, par. IV, e in corso di pubblicazione nella nuova ed. iniziata da G. Monticolo; La spedizione di Carlo VIII, Venezia 1883; I Diarî, in 58 volumi, Venezia 1879-1902.

Bibl.: Rawdon Brown, Ragguagli sulla vita e sulle opere di M. S. detto il iuniore, Venezia 1837-38; G. Berchet, Prefazione ai Diarii, Venezia 1903; articoli in Giorn. stor. d. lett. ital., V (1885), p. 191 segg. e Suppl., I (1898), p. 145 segg. e in Arch. muratoriano, I, fasc. 4 (1904), p. 153 segg.

Vedi anche
Sanudo, Marin, il Vecchio Letterato veneziano (n. Venezia 1270 circa - m. 1343 circa), dei Sanudo di San Severo. In gioventù visse a lungo in Oriente per commissioni paterne; fu poi alla corte di Palermo e a quella di Roma, fece numerosi viaggi per tutto l'Oriente e giunse, nell'Occidente, fino ai lontani mari settentrionali ... Gentile Bellini Pittore (Venezia 1429 - ivi 1507), figlio di Iacopo e fratello di Giovanni. Acuto osservatore della realtà, imparò anzitutto dal padre la pratica del ritratto somigliante, come prova la sua prima opera datata (1465) e firmata: la figura del beato L. Giustiniani (Venezia, Accademia). Fu mandato dalla ... Sanudo Antichissima famiglia del patriziato veneziano, di provenienza incerta. Per lunga tradizione, però non accertata, è stata considerata come continuazione della famiglia Candiano. Affermatasi nella storia veneziana con Marco (1043-1096), consigliere e capitano, ambasciatore a Bisanzio, raggiunse il culmine ... Marcantonio Michièl Michièl, Marcantonio. - Umanista e storico (Venezia 1484 - ivi 1552). Amico di I. Sadoleto e di I. Sannazzaro, compose (1516) una Agri et urbis Bergomatis descriptio. Si dedicò a una storia delle arti figurative in Italia, rimasta incompiuta per l'avvenuta pubblicazione delle Vite di Vasari (fu pubblicata ...
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Vocabolario
gióvane
giovane gióvane (meno com. gióvine) agg. e s. m. e f. [lat. iŭvĕnis] (nel plur., quasi esclusivam. gióvani). – 1. agg. a. Che è nell’età della giovinezza: uomo g., donna g.; due g. sposi; una signora giovanissima; da g., in gioventù: da...
simil-giovane
simil-giovane s. m. e agg. (iron.) Chi o che è considerato giovane senza esserlo più. ◆ per vendere Don Giovanni e San Giovanni Battista e Amleto e Leopardi ai più imbranati pubblici giovani e simil-giovani, sarà più ruffiano farli interpretare...
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