SARAGOZZA (sp. Zaragoza; A. T., 41-42)
Capitale storica dell'Aragona e capoluogo dell'omonima provincia; sorge a 41°39′24″ N. e 0°52′46″ O., e a 203 m. s. m., sulla destra dell'Ebro, in mezzo a una vasta vega, dove al gran fiume confluiscono dalle opposte sponde il Gállego e lo Huerva, dei quali il primo segna un'ottima via di penetrazione verso l'orlo montuoso dei Pirenei. Il caratteristico tracciato dell'insediament romano è ancora riconoscibile nel vecchio (medievale) nucleo della città, delimitato dal decorso della Calle del Coso e di quelle che lo continuano (Calle de Cerdán, Plaza de Lanuza, Calle Antonio Pérez) verso N. fino alla riva dell'Ebro. La città venne sviluppandosi presso il ponte (Puente de Piedra) che la congiunge all'opposta sponda (dove è oggi l'Arrabal). Col progredire dell'agricoltura - soprattutto per effetto della costruzione dei canali destinati a fecondare le basse terre lungo l'Ebro - e più di recente con l'impianto di un buon numero d'industrie (alimentari in primo luogo, ma anche meccaniche, del cuoio e del cristallo) e il conseguente rifiorire del commercio (ferrovie), Saragozza è passata da 45-50 mila abitanti nel 1835 a 100 mila nel 1900 e a 180 mila nel 1933. Di questi, 150 mila circa vivono oggi nel centro cittadino, che, oltrepassata la cinta delle vecchie mura, si è esteso soprattutto verso NO., delimitato com'è a S. e a E. dal solco dello Huerva. Due ponti, oltre quello in ferro della linea di Alsásua, lo uniscono alla riva sinistra dell'Ebro, dove si sono sviluppati sobborghi industriali (Callizo, Jesús), accanto alla stazione del Nord; altre tre stazioni (del Sepulcro, de Cariñena, e d'Utrillas) sorgono sulla riva opposta. La città vecchia, ricca di monumenti di grande interesse artistico, contrasta, per il suo aspetto severo, le sue viuzze tortuose e mal lastricate, coi nuovi quartieri eccentrici, nei quali non mancano ampie piazze (Constitución, Aragón), ridenti paseos (Calle de la Indipendencia, viali di circonvallazione) e dove sempre più numerose si fanno le costruzioni moderne (fra cui quelle destinate alle scuole universitarie).
Il moderno sviluppo della città è stato favorito da una buona rete di ferrovie (verso Pamplona e Bilbao, Huesca, Barcellona, Montalbán, Cariñena, Madrid), una delle quali la collega direttamente con la Francia attraverso il Canfranc.
Monumenti. - La cattedrale, di pianta quasi quadrata, ha cinque navate con cappelle; le navate, quasi della medesima altezza, hanno le vòlte stellate su pilastri a fascio; il tiburio, del sec. XV, fu ricostruito dal 1505 al 1520 probabilmente su disegni di Enrique de Egas. La pala, o retablo dell'altare maggiore, d'alabastro, con storie di Cristo e di santi, è gotica; fu incominciata nel 1445 da Pere Johan e terminata nel 1473-1477 da un artista tedesco chiamato Hans. Il recinto del coro, eseguito nel 1538 dal Tudelilla, è ornato di rilievi e di statue; ha nel mezzo un baldacchino sovraccarico. Nella cappella della Madonna Bianca sono varie tombe di prelati; in quella di S. Bernardo due tombe plateresche, dell'arcivescovo Fernando de Aragón e di sua madre Ana de Gurrea, opera di Gil Morlanes il Giovane (sec. XVI); nella cappella di S. Michele, con cupola moresca ottagonale, è la tomba gotica dell'arcivescovo Lope Fernández de Luna, eseguita nel 1382 dallo scultore barcellonese Pere Moragues. Nella sala capitolare si vedono pitture dei Zurbarán e del Ribera. La chiesa di San Paolo, a tre navate, ha l'altare maggiore opera di Damià Forment e dei suoi allievi. Il suo campanile, a base ottagonale, e con ornati di laterizio, è di stile mudéjar: dello stesso tipo era la Torre Nuova, inclinata, innalzata nel 1504-1512 e distrutta nel 1894, e sono i campanili di S. Egidio (seconda metà del secolo XIV), di S. Maria Maddalena e di S. Michele. Opera importante del Rinascimento è la facciata di S. Engrazia, eseguita nel 1512-1519 dai Diego Morlanes padre e figlio: ha una decorazione marmorea con le statue dei Re Cattolici; in una cripta di questa chiesa sono alcuni sarcofagi paleocristiani. La chiesa della Madonna del Pilar fu incominciata nel 1681 su disegni di Francisco Herrera "el Mozo", che risentono l'influsso della tradizione rinascimentale delle cattedrali di Salamanca, di Jaén e di Valladolid. Il Herrera vi combinò la scuola dei due Mora con le nuove fasi dell'architettura italiana, innalzando una gran massa monotona con dieci cupole, un gran tiburio nel centro e torri agli angoli, delle quali solo due sono terminate; alla composizione delle facciata e della cappella della Madonna del Pilar, nel settore orientale, lavorò l'architetto Ventura Rodríguez (1717-1785). Il coro della chiesa ha una cancellata di Juan Celma (1574), stalli disegnati da Étienne d'Obray e scolpiti dal fiorentino Giovanni Moreto nel 1542; l'altare maggiore con scene della vita della Vergine fu lavorato in alabastro da Damià Forment (1505-1511); tra la cappella della Madonna e il coro vi sono cupole con pitture di Goya. Quel che resta del palazzo musulmano dell'Aljafería, ci fa conoscere l'arte dei taifas che allaccia l'arte del califfato di Cordova con quella sivigliana almohadica del sec. XII. Il palazzo aveva un vestibolo decorato a due ordini sovrapposti, l'uno con archi di lobuli incrociati e l'altro con archi mistilinei; nel lato meridionale del suo mossallah, di pianta ottagonale, s'innalza la nicchia del mihrab ad arco; in ciascuno degli altri sette lati sono nicchie cieche di archi mistilinei in stucco, sorgenti da colonnine con capitelli svelti, mentre i fondi e le mensole sono piene di stucchi floreali; in alto si aprivano vani geminati di archi lobulati su colonne, e per tutta la sala correva un fregio sul quale doveva trovarsi una cupola a costoloni incrociati. Vi sono inoltre grandi sale di stile gotico-musulmano con fregi allusivi ai Re Cattolici. Il salone degli ambasciatori ha una galleria di archi a sesto scemo e il soffitto di legno, diviso in cassettoni profondi con pigne dorate pendenti; la scala ha vani e parapetti gotici e le facciate dello stesso stile. Viene considerato come plateresco il palazzo della deputazione provinciale, ora del tribunale, dove è notevole il salone dorato con soffitto a rosoni, e soprattutto, al piano superiore, il salone delle sedute, con galleria di archi a pieno centro e colonnine balaustrate su banderole scolpite. La Lonja, costruita nel 1551, presenta una mescolanza speciale degli stili plateresco e gotico. La chiesa del collegio di S. Carlo è sul tipo della chiesa del Gesù in Roma.
Istituti di cultura. - L'università, che risale all'epoca medievale, fu riconosciuta da papa Sisto IV nel 1474; essa comprende tutte le facoltà ed è fornita dei principali insegnamenti. Al 1788 risale la fondazione del seminario Conciliar de San Valero y Braulio, che nel 1897 fu elevato a università pontificia con la facoltà di conferire il titolo accademico. La biblioteca dell'università comprende 75.000 volumi, 260 incunaboli e 300 codici; inoltre la biblioteca del seminario è ricca di 14.000 volumi.
Tra gl'istituti accademici sono da ricordare la Academia de Bellas Artes de San Luis, fondata nel 1792, che conta 23 accademici e 223 soci corrispondenti; la Academia de Ciencias exactas, físico-químicas y naturales, eretta nel 1916, con 30 accademici, e fornita di una Revista e di Memorias; una sezione della Sociedad española de historia natural, la Sociedad ibérica de ciencias naturales (Iq0z), la Sociedad entomológica de España, ecc.
Storia. - Prima di Augusto la città aveva il nome iberico di Salduba o Saluvia o Salluvia, quest'ultimo attestato dalla tavola di bronzo dove Gneo Pompeo, il padre di Pompeo Magno, concede alla turma salluitana la cittadinanza romana per il valore dimostrato nell'assedio di Ascoli (90 a. C.). Augusto dopo la guerra cantabra istituisce in Salduvia una colonia di veterani, chiamandola Caesaraugusta. È notata, con questo nome, per la prima volta nella carta e nei commentarî di Agrippa e da questa fonte provengono le notizie riferentisi a Cesaraugusta di Strabone e di Plinio. Quest'ultimo autore la mette nella regione Sidetania, cioè Edetania, detta così dalla tribù degli Edetani che si stendevano da Valenza a Sagunto per le montagne limitrofe fra Valenza e Aragona (il "Maestrazgo") e poi a S. dell'Ebro fino a Saragozza e poco più a O. Era la capitale di un conventus iuridicus e nel tempo di Augusto pare vi risiedessero vexillationes delle legioni IV, VI e X; al tempo di Nerone tutta la legione X fu in Saragozza o nei dintorni. Era il punto strategico per le comunicazioni della valle centrale dell'Ebro, partendo da Cesaraugusta quattro vie. I resti archeologici sono scarsissimi, e si riducono a poche iscrizioni, monete e fondamenti di mura e di torri, oltre il ponte sull'Ebro.
Occupata dagli Svevi nel 452 e da Enrico a capo dei Visigoti intorno al 466, cadde in potere degli Arabi verso il 714. La città, che già al tempo dei Visigoti da S. Isidoro di Siviglia era stata detta "la più bella di Spagna" - allora la sua diocesi, fra le più antiche della penisola, era suffraganea di Tarragona - conservò grande importanza sotto la dominazione degli Arabi, che alterarono il nome Caesaraugusta, in quello di Sarizqusṭah. Costretta all'obbedienza nei primi tempi, allorché fu uno dei centri di rifornimento delle spedizioni militari inviate al di là dei Pirenei, dopo la loro fine divenne teatro di continue lotte civili, sia perché preda desiderata, sia per l'insofferenza degli abitanti, malcontenti del giogo arabo. Così da Saragozza s'invitò Carlo Magno a muovere contro Abd ar-Raḥmān I; ma la sua spedizione fu tutt'altro che fortunata, anche se momentaneamente il re franco entrò nella città (il che è tutt'altro che sicuro). La città divenne poi la capitale di uno dei più importanti stati sorti dopo la dissoluzione del califfato di Cordova, retto sino al 1110 dai Banū Hūd. E infine, nella seconda metà del sec. XI, alla sua conquista mossero tanto i sovrani di Castiglia quanto quelli d'Aragona: alle contese interne e alle guerre partecipando per qualche tempo anche il Cid Campeador. Infatti, nel 1085 la città fu assediata da Alfonso VI di Castiglia; e su di essa si aprirono la strada Sancho Ramírez e don Pedro d'Aragona con la conquista di Huesca nel 1096. Ma la vittoria definitiva arrise ad Alfonso I d'Aragona el Batallador, che dopo quattro anni di guerra la prese per fame il 19 dicembre 1118, vincendo gli Almoravidi, i quali la governavano dal 1110. Nodo stradale di grande importanza, ché ivi convergevano le più frequentate linee di comunicazione tra la Francia e il resto della penisola, divenne il centro della vita politica dello stato aragonese-catalano, restando a Barcellona e a Valenza il primato nel commercio: così nel 1318 anche la sua diocesi si rese indipendente e fu promossa ad arcivescovato. È da notare infine che i suoi ordinamenti amministrativi, creati nel 1414, furono poi estesi anche alle altre città aragonesi. La sua decadenza politica cominciò nel Cinquecento, quando, creato il regn0 di Spagna, Saragozza restò soltanto capitale dell'Aragona. Allora tentò difendere almeno i suoi fueros, e in un disperato tentativo insorse contro l'assolutismo di Filippo II. Ma la rivolta fu aspramente soffocata; il suo capo, il gran justicia don Martino de Lanuza, fu decapitato (1591), e nella reazione le furono tolte molte delle sue "libertà". In seguito, tentò la riscossa durante la guerra di successione, prendendo a sostenere la causa di Carlo d'Austria; ma il giorno della vittoria Filippo V le tolse anche quello che Filippo II le aveva lasciato. Poi il suo nome divenne di nuovo famoso nel 1809, durante la guerra d'indipendenza. Allora con superbo eroismo resistette per due mesi all'assalto dei Francesi; e, dopo aver conteso loro il possesso di ogni casa, capitolò soltanto il 21 febbraio 1809, quando dei centomila suoi abitanti ben 54 mila erano morti e i combattenti sopravvissuti non potevano più opporre resistenza alcuna, vinti dalla fame e dalla stanchezza. Allora ebbe, e ben meritato, il soprannome di siempre heróica.
Il concilio di Saragozza. - Tenuto nell'ottobre 380, fu il primo sinodo diretto contro il movimento priscillianista (v. priscilliano). Vi parteciciparono 10 vescovi spagnoli, fra i quali Idacio, Itacio e Simposio, e due aquitani, uno dei quali fu Delfino di Bordeaux. Il problema critico relativo alla storia del sinodo consiste nel fatto che gli Atti conservati sono rivolti a reprimere le pratiche ascetiche caratteristiche ai priscillianisti spagnoli, ma non vi è registrata alcuna condanna personale. L'autore priscillianista (lo stesso Priscilliano o il suo compagno Instanzio) del Liber ad Damasum afferma che nessuno fu condannato a Saragozza. Al contrario Sulpicio Severo, che peraltro sfrutta una fonte di origine antipriscillianista, afferma esplicitamente che a Saragozza furono condannati Instanzio, Salviano, Elpidio e Priscilliano. Con tutta probabilità l'ipotesi più plausibile fra le molte avanzate per superare questa contraddizione è di considerare come in realtà, essendo i canoni rivolti a reprimere il priscillianismo, poteva ben affermarsi che con essi erano stati condannati coloro che del movimento erano i principali esponenti. Damaso stesso, del resto, aveva scritto prima del concilio "ne quid in absentes et inauditos decerneretur", ed è certo che i priscillianisti si astennero dal presentarsi al concilio.
La provincia di Saragozza.
La maggiore (17.424 kmq.) e la più popolata (545 mila ab. nel 1934; densità 31,2 ab. per kmq.) delle tre provincie che costituiscono l'Aragona. Il suo territorio si allarga sulle due parti dell'Ebro, che ne disegna l'asse e gli dà unità idrografica, toccando a N. le propaggini meridionali dei Pirenei (Sierra de Beldum) e ad O. il margine della meseta (Moncorso, 2315 m.), per declinare con pendio disuguale verso SE. L'accidentato fondo valle del fiume è fiancheggiato da terrazze e ripiani che gli affluenti di questo (Arba, Gállego, Jalón, Huerva) hanno inciso in valli profonde, attraverso le quali è agevole il transito alle regioni vicine. Le condizioni tipicamente estreme del clima aragonese, e soprattutto la sua accentuata aridità (media annua delle precipitazioni a Saragozza: 280 mm.) riducono le possibilità di un'agricoltura intensiva alle esili strisce dov'è in atto l'irrigazione artificiale (canali Imperial e di Tauste; riberas dell'Ebro e del basso Jalón). Accanto ai prodotti agricoli (cereali, barbabietola da zucchero, olio, vino) e a quelli dell'allevamento (lane, baco da seta) hanno scarsa importanza le industrie (prevalentemente alimentari), e ciò spiega la debole densità che continua a caratterizzare il popolamento della provincia (inferiore alla media spagnola) e il lentissimo aumento verificatosi nell'ultimo cinquantennio (401 mila ab. nel 1877,415 mila nel 1887, 422 mila nel 1900, 449 mila nel 1910). I centri abitati principali sorgono nei fondo valle e sulle terrazze che li delimitano (Calatayud, Tarazona, Borja) o ai punti di convergenza dei corsi d'acqua maggiori (Saragozza, Caspe); ma di essi uno solo (Saragozza) supera i 100 mila, e uno (Calatayud) i 10 mila abitanti.
Bibl.: J. M. Quadrado, Aragón, in España, sus monumentos y artes, su naturaleza e historia, Barcellona 1885; A. e P. Gascón de Gotor, Zaragoza artística, monumental y histórica, Saragozza 1890; A. Gascón de Gotor, La Aljafería de Zaragoza en tiempo de los Reyes Católicos, in Museum, 1918 e 1920; id., Zaragoza, II, Barcellona 1928; A. Calzada, Historia de la arquitectura en España, Barcellona 1928; Marqués de Lozoya, Historia del arte hispánico, II, Barcellona 1934. Per la storia v.: F. Hübner, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., III, coll. 1287-8; H. Schuchardt, Über die Namen der Turma Salluitana (Iberische Personennamen), in Revista de Estudios Vascos, III (1909), p. 237; E. Pais, Il decreto di Gn. Pompeio Strabone, in Ricerche sulla storia e sul diritto romano, I, Roma 1918, p. 169 seg.; F. Codera, Estudios críticos de historia árabe-española, Saragozza 1903; S. Sanpere y Miquel, La reconquista de Zaragoza, in Boletín de la R. Academia de Barcelona, II (1903-04); A. Jiménez Soler, Las alteraciones de Aragón en tiempo de Felipe II, Saragozza 1916; C. Riba García, Lo que se ha escrito sobre los sitios de Zaragoza, Saragozza 1911.