Scambio politico
Il concetto di scambio si riferisce alla cessione di un bene o di un servizio in cambio di un altro bene o servizio. Lo scambio si dice politico quando entrano in gioco risorse quali il consenso e l'influenza sulle decisioni pubbliche. Bisogna dire subito, comunque, che del concetto di scambio politico non esiste una definizione univoca, accettata nelle scienze sociali. La categoria dello scambio viene infatti importata nello studio dei fenomeni politici da altre discipline, in particolare l'economia e l'antropologia, dove essa ha assunto significati diversi. Se nella letteratura di tradizione economica l'uso del termine scambio sottintende la ricerca dell'utilità individuale nell'ambito dei rapporti umani, in quella di approccio antropologico esso si riferisce invece alla reciprocità nelle interazioni tra individui.In economia, com'è noto, il mercato è definito come il luogo d'incontro tra domanda e offerta di beni. I consumatori sono disponibili a scambiare risorse monetarie o 'in natura' per un certo bene, il cui prezzo dipende dalle sue condizioni di relativa scarsità, essendo fissato sulla base dell'offerta disponibile in relazione alla domanda. Le preferenze dei consumatori, cioè l'utilità che essi attribuiscono ai diversi beni, tendono così a determinare le scelte dei produttori. Lo scambio avviene tra individui razionali, il produttore e il consumatore, orientati rispettivamente dall'aspirazione a massimizzare il proprio profitto e da quella a massimizzare le proprie utilità.In antropologia il concetto di scambio è collegato a quello di dono. Con Bronislaw Malinowski (v., 1922) e Marcel Mauss (v., 1925) gli antropologi hanno cominciato a studiare lo scambio di doni come scambio simbolico, piuttosto che materiale, dove la posta in gioco è il prestigio, prima che la ricchezza. Con Claude Lévi-Strauss (v., 1949), poi, l'analisi si è spostata dallo scambio tra due individui allo scambio generalizzato in cui la restituzione del dono non avviene da parte della stessa persona o dello stesso gruppo che l'ha ricevuto (ad esempio, un lignaggio non riceve le donne dal lignaggio al quale le ha cedute, ma da un altro). L'elemento essenziale dello scambio è la reciprocità.
Combinando elementi provenienti da entrambi gli approcci, il concetto di scambio è stato quindi applicato ai fenomeni politici. Una prima definizione, piuttosto ampia, di scambio politico si riferisce a tutte quelle situazioni in cui il sostegno, considerato come principale valuta politica generalizzata, viene acquisito offrendo in cambio una serie di risorse (v. Ilchman e Uphoff, 1971, p. 94). Partendo da questo punto di vista, un uso implicito o esplicito del concetto di scambio potrebbe essere rintracciato anche in tutte quelle teorie macrosociologiche che hanno analizzato le interazioni tra sottosistemi. Queste accezioni onnicomprensive del concetto di scambio rischiano comunque di inflazionarne l'uso, creando insoddisfazione tra gli scienziati politici. Come ha osservato Bernd Marin (v., 1990, p. 37), "un'offerta superiore alla domanda di nozioni di 'scambio' inflaziona il loro valore di scambio, trasformandole in una valuta intellettuale che è sempre in circolazione in un modo o nell'altro, senza comprare, e che spiega troppo". La nostra rassegna si concentrerà infatti sulle utilizzazioni più specifiche che del concetto di scambio sono state fatte per spiegare fenomeni politici quali il clientelismo, il rapporto tra elettori ed eletti, l'azione collettiva, la corruzione, le scelte costituzionali, le relazioni industriali, le politiche economiche.
È stata la microsociologia dello scambio sociale a studiare le interazioni individuali, ricercandone la reciprocità nell'intreccio di beni materiali e non materiali, e di interazioni formali e informali. Secondo Georg Homans (v., 1958), nei comportamenti sociali elementari basati su un'interazione diadica faccia a faccia, ciascuno dei due partecipanti premia o punisce l'altro in modo immediato e diretto. Fondendo proposizioni provenienti dalla psicologia comportamentista e dall'economia neoclassica, Homans assume che gli attori di un'interazione siano orientati alla massimizzazione delle ricompense individuali. Basandosi sulle loro passate esperienze, essi saranno quindi spinti a riutilizzare quegli stimoli o reazioni che sono stati premiati in precedenti situazioni. Comunque, come ha osservato Peter Blau (v., 1964), lo scambio sociale, definito come azione volontaria motivata dal suo rendimento atteso, diversamente da quello economico richiede una legittimazione attraverso una serie di norme sociali. Proprio la presenza di queste norme e i costi sociali (senso di colpa, riprovazione della comunità) del non conformismo permetterebbero un ampliamento dallo scambio diretto fra individui allo scambio indiretto all'interno di un gruppo. Seppure lo scambio sociale condivida con quello economico il presupposto del calcolo razionale, esso se ne differenzia dunque in quanto ha bisogno di una base morale che sostituisca l'obbligazione contrattuale. Lo scambio sociale è così alla base di una serie di studi legati a concetti analitici quali risorse, premi, reinforcement, costi, utilità, opportunità, profitto, transazioni, pay off (v. Emerson, 1976, p. 337).
Le teorie dello scambio sociale fin qui menzionate accordano comunque una scarsa rilevanza a un concetto fondamentale per la scienza politica: il potere. Lo stesso Blau, che pure utilizza la nozione di potere, lo fa però nascere dallo scambio stesso, senza considerare ciò che pre-esiste a esso. Il potere è invece un concetto fondamentale per lo studio del clientelismo come scambio tra individui o gruppi in posizione diseguale. Gli scienziati sociali hanno definito così il clientelismo come una situazione particolare dove le relazioni patrono-cliente sono interazioni sociali basate su uno scambio personale di favori; in quanto tali, esse si differenziano da quelle basate su solidarietà primarie (etnia, lingua, religione, parentela) o su solidarietà orizzontali di classe (organizzate attorno alle posizioni economiche; v. Scott, 1972). Le relazioni clientelari sono, inoltre, relazioni volontarie e reciproche, dove il patrono usa la sua influenza per proteggere il suo cliente, che restituisce il favore attraverso differenti tipi di servizi. Lo scambio è diretto (comprendente benefici materiali), sebbene diffuso (dal momento che di solito comporta l'uso di diverse risorse, con un credito di lungo periodo). La restituzione non è imposta da una obbligazione contrattuale, ma da un senso più personale di reciprocità, gratitudine e lealtà (v. Graziano, 1980). In particolare, nel clientelismo politico i leaders politici usano risorse pubbliche per loro fini privati, normalmente attraverso uno scambio di favori per voti (v. Weingrod, 1968, p. 379). Una logica simile si sviluppa nelle situazioni di lobbying diffuso - ad esempio nel caso del Congresso americano (v. Graziano, 1995) - dove denaro o pacchetti di voti vengono offerti in cambio di politiche pubbliche favorevoli ad alcune categorie. In ogni caso, comunque, si tratta di uno scambio di risorse tra amministratori e amministrati, politici e cittadini.
Al di là delle analisi del clientelismo influenzate dall'antropologia, il concetto di scambio è stato utilizzato in maniera sistematica da quegli studiosi che - sulla scia di Joseph Schumpeter (v., 1942) - hanno applicato allo studio della politica concetti e ipotesi teoriche provenienti dall'economia. Uno dei primi campi in cui il concetto di scambio è stato utilizzato è quello del mercato elettorale, dove "la transazione tra il rappresentante e i suoi elettori è direttamente uno scambio: egli lavora per ottenere le politiche che saranno per loro più soddisfacenti, con l'obiettivo di indurli a rieleggerlo" (v. Coleman, 1986, p. 168).
Nel suo An economic theory of democracy Anthony Downs (v., 1957) è il primo a proporre una teoria del fenomeno elettorale basata su un concetto di razionalità che, in una democrazia, guiderebbe il comportamento sia degli eletti che degli elettori. L'assunto di fondo è che l'individuo razionale sia capace di stabilire un ordine di preferenza tra le varie alternative per lui disponibili, e che scelga quella che si colloca più in alto. Sebbene possa commettere degli errori di valutazione, l'uomo razionale non persevererà in essi se riuscirà a individuarli, e se il costo della loro eliminazione sarà inferiore ai benefici che ne avrà. La teoria presuppone che elettori ed eletti perseguano un diverso tipo di beni. I politici (e i partiti) avrebbero come unico fine la propria elezione (o rielezione) alle cariche pubbliche, mentre gli elettori avrebbero delle preferenze su singole policies. Il partito politico viene presentato come una coalizione di individui che aspirano a controllare gli organi di governo attraverso le elezioni o un'influenza legittima: "I partiti politici in democrazia sono analoghi agli imprenditori in un'economia basata sulla ricerca del profitto. Per ottenere i loro benefici privati, essi formuleranno qualsiasi politica ritengano permetta loro di guadagnare il maggior numero di voti, esattamente nello stesso modo in cui gli imprenditori producono qualsiasi prodotto che ritengono gli porterà maggiori profitti" (p. 295). Come nel mercato economico, le imprese (partiti) massimizzano il profitto e i consumatori (elettori) le utilità. Se nel mercato vi è la sovranità del consumatore, così nel sistema politico ci sarebbe la sovranità dell'elettore-mandante. Citando Schumpeter, Downs osserva infatti che, in politica come in economia, la funzione sociale viene assolta incidentalmente, dato che sono i vizi privati (la ricerca dei propri vantaggi individuali) a produrre le pubbliche virtù (il controllo democratico degli elettori sugli eletti).
Dagli studi sul mercato elettorale il concetto di scambio si è trasferito in un altro settore, particolarmente influenzato dall'analisi economica della politica. Nella sua fondamentale opera The logic of collective action Mancur Olson (v., 1965) ha infatti avviato un ricco dibattito teorico, affermando che l'esistenza di un interesse comune non è sufficiente a produrre l'azione collettiva. Visto che il bene collettivo ha la caratteristica che tutti, anche coloro che non hanno investito alcuna risorsa per averlo, possono usufruirne, la razionalità individuale porterebbe ad agire da free rider, cioè a non pagare il costo dell'azione collettiva aspettando che altri si mobilitino. Perché ci sia azione collettiva occorre allora che ci siano organizzazioni in grado o di esercitare una coercizione sui loro membri o di distribuire incentivi selettivi, cioè di fare in modo che chi partecipa all'azione collettiva riceva maggiori benefici di chi non vi partecipa. Questo problema si pone soprattutto per i grandi gruppi, in cui nessun contributo individuale è così rilevante da incidere sul risultato finale di un'azione intrapresa collettivamente.Il postulato del comportamento utilitaristico è stato anche alla base di un recente approccio allo studio della corruzione politica, che comporta uno scambio tra sfera pubblica e sfera privata, tra Stato e società. Secondo il political economy approach alla corruzione politica (v. Rose Ackerman, 1978), singoli episodi di corruzione sono prodotti dall'incontro di due individui che, calcolando costi e benefici, decidono che conviene loro, rispettivamente, ricevere e pagare una tangente. A partire da questa definizione della corruzione, i teorici del political economy approach hanno identificato le variazioni nei costi e benefici individuali che possono incidere sulla propensione a partecipare allo scambio corrotto. Nella corruzione comunque lo scambio non riguarda solo imprenditori e amministratori pubblici. La stessa definizione di corruzione politica presuppone l'esistenza di un terzo attore: il cittadino, come depositario del bene collettivo. Per poter parlare di corruzione è necessario che sussista, all'interno di una organizzazione, una sorta di contratto tra un soggetto delegato a prendere certe decisioni, l'agente, e il titolare degli interessi in rappresentanza dei quali egli opera, il principale (v. Banfield, 1975; v. Rose Ackerman, 1975, p. 187). L'agente ha interessi e finalità private, che non coincidono con quelli del principale, ed esercita un potere in una certa misura discrezionale. Per tenere sotto controllo il potenziale conflitto tra gli interessi dell'agente e quelli del principale occorrono procedure fisse e verificabili, che limitano la discrezionalità dell'agente. Si potrà allora parlare di corruzione quando i vincoli posti dalle regole legali (tra cui il divieto di accettare denaro o 'altra utilità' per atti del proprio ufficio) sono aggirati a causa dell'intervento di una terza parte, che influenza a proprio vantaggio le decisioni discrezionali dell'agente, offrendo risorse in suo possesso per favorire, tramite uno scambio occulto, il perseguimento degli interessi privati dell'agente, anche a scapito di quelli del principale.
Nelle teorie economiche della politica lo scambio avviene tra individui razionali che decidono sulla base di un calcolo utilitaristico. L'assunto dell'homo oeconomicus è mantenuto anche dagli studiosi che, adottando l'approccio della scelta pubblica (public choice), hanno comunque affiancato al postulato dell'azione razionale quello dello scambio politico, facendo attenzione alle caratteristiche delle relazioni volontarie fra individui. Secondo James Buchanan, uno dei capiscuola di questo approccio, l'economia è la scienza degli scambi (o catallassi), concentrata sui processi di commercio, accordo, contratto e, soprattutto, sullo scambio complesso, definito come "quel processo di accordo contrattuale che va al di là del 'due', numero magico degli economisti, al di là della semplice situazione di baratto di due merci tra due individui. L'accento si sposta, direttamente e immediatamente, a tutti i processi di accordo volontario fra gli individui" (v. Buchanan, 1989, p. 197). L'economia si occuperebbe quindi di tutti quei fenomeni analizzabili in base al paradigma dello scambio come accordo volontario, mentre agli scienziati politici andrebbe il compito di studiare le relazioni non volontarie, cioè "quelle relazioni che implicano potere o coercizione" (p. 198).
Mentre per Anthony Downs il bisogno degli eletti di seguire le richieste degli elettori legittima la democrazia, per James Buchanan è proprio la tendenza degli amministratori a produrre debito pubblico, e quindi inflazione, a mettere in pericolo le democrazie. Da questo punto di vista la soluzione sembra essere una sottrazione di potere decisionale agli organi elettivi. Un problema centrale per la prospettiva della scelta pubblica è infatti la riduzione di quelle situazioni, frequenti anche sui mercati, in cui le interazioni sarebbero caratterizzate dalla presenza di un potere che produce rendite: "Se lo scambio volontario tra persone è valutato positivamente, mentre la coercizione è valutata negativamente, emerge l'implicazione che è desiderabile la sostituzione del primo alla seconda [...]. Questa implicazione fornisce la spinta normativa per la propensione dell'economista della public choice a favorire accordi del tipo di quelli di mercato dove essi sembrano fattibili" (p. 199). Una riforma costituzionale dovrebbe quindi porre limiti all'inclinazione naturale di individui, gruppi e, soprattutto, imprenditori politici a estendere il campo delle decisioni politicizzate, utilizzando le strutture dello Stato per assicurare vantaggi differenziali ad alcuni soggetti. Se in passato i principî etici dei decisori, basati sull'analogia tra Stato e famiglia, erano sufficienti a garantire una preferenza per il bilancio in pareggio, per effetto dell'economia keynesiana ci sarebbe stata una legittimazione del deficit (v. Buchanan, 1990, cap. 5). La soluzione per evitare la trappola del debito pubblico sarebbe oggi una costituzione fiscale come accordo tra tutti gli attori per porre vincoli alla possibilità per i decisori di fare ricorso al debito pubblico, con conseguenti danni per tutti nel lungo periodo (v. Buchanan e Brennan, 1980).
L'approccio della scelta pubblica approda così a una prospettiva normativa orientata alla individuazione della struttura logica di una costituzione capace di definire quali scelte attribuire alla regolamentazione di procedure istituzionali, e quali lasciare invece al calcolo individuale. Nella loro opera più conosciuta, The calculus of consent, James Buchanan e Gordon Tullock cercano una soluzione che possa ridurre sia i costi attesi esterni, che derivano dal rischio di essere costretti ad accettare decisioni contrarie alle proprie preferenze, sia i costi attesi decisionali, che derivano dal tempo impiegato per raggiungere un accordo. Il dilemma strategico per i riformatori nasce dall'opposto andamento dei due tipi di costo: infatti, mentre i primi cresceranno al ridursi del numero delle persone chiamate a decidere, i secondi cresceranno insieme al numero delle persone che devono accordarsi (v. Buchanan e Tullock, 1962, p. 49). Nella politica, come nel mercato, la ricetta per affrontare questo dilemma è la riorganizzazione delle regole dello scambio. Secondo la teoria economica delle costituzioni politiche, infatti, la principale riforma costituzionale dovrebbe consistere in un miglioramento del gioco attraverso un'azione sulle regole: "Quando gli individui sono visti come mossi da un interesse personale in politica come in altri aspetti del loro comportamento, la sfida costituzionale diventa quella di costruire e disegnare istituzioni strutturali o regole che limitino, fino al limite massimo possibile, l'esercizio di tale interesse e lo dirigano verso l'interesse generale" (v. Buchanan, 1989, p. 205). Buone regole costituzionali sarebbero quelle capaci di ridurre il potenziale di conflitto tra valori e preferenze individuali, riducendo il numero delle decisioni politiche su valori che si escludono reciprocamente (p. 284). Il principio del coordinamento spontaneo dominante sui mercati dovrebbe dunque permettere ai vari interessi individuali di conciliarsi pacificamente nello scambio volontario, senza bisogno di coercizione politica. Questo principio vale anche per la realizzazione della riforma costituzionale come decisione accettata da tutti. Perché si possa giungere a un accordo, saranno però necessari un alto livello di generalità e una prospettiva di lunga durata che aumentino il 'velo di incertezza' per i partecipanti all'accordo, i quali non potranno così irrigidirsi nella difesa dei propri vantaggi, impossibili da calcolare.
Gli approcci fin qui descritti hanno guardato allo scambio prevalentemente come interazione tra individui. Diverso è invece il taglio di una serie di studi che, soprattutto nel contesto italiano, hanno applicato le riflessioni sullo scambio in politica all'analisi delle relazioni industriali. In un suo conosciutissimo saggio, Alessandro Pizzorno ha adoperato il concetto di scambio politico per spiegare i cicli delle rivendicazioni salariali. Nella forma più classica dello scambio politico il governo fornisce beni in cambio di consenso: "Un soggetto (generalmente il governo) il quale ha beni da distribuire è pronto a scambiarli con il consenso sociale che un altro soggetto è in facoltà di dare o di ritirare (in quanto è capace di minacciare l'ordine), a meno che non riceva i beni di cui ha bisogno" (v. Pizzorno, 1993, p. 208). Lo scambio politico trova una sua collocazione nell'analisi dei differenti tipi di interazione che hanno luogo nel mercato del lavoro: dallo scambio individuale, nel mercato del lavoro atomistico, alla contrattazione collettiva dove agiscono soggetti organizzati, fino allo scambio politico, legato a 'merci' quali autorità e consenso. Se il lavoratore del mercato atomistico può cercare di migliorare la sua posizione attraverso un aumento del suo sforzo, ovvero della sua produttività, e nella contrattazione collettiva l'aumento salariale si ottiene attraverso la minaccia dello sciopero, nello scambio politico, invece, la risorsa dei lavoratori è la minaccia di ritirare il loro consenso all'ordine sociale. Il consenso non sarebbe individuale, come nelle teorie economiche della democrazia, ma scambiato tra attori collettivi per ottenere sostegno collettivo in cambio di politiche pubbliche.
Lo scambio politico è dunque uno scambio a tre, dove una parte dei benefici vengono dallo Stato. Come verrà notato successivamente, nello scambio politico interagiscono risorse politiche ed economiche, nella misura in cui gli attori si trovano in una situazione di doppia complementarità, sia economica che politica (v. Ceri, 1990, p. 70). Caratteristica dello scambio politico è infatti la presenza di attori capaci di un gioco strategico - come concatenazione di mezzi, risorse e fini - in cui la politicità dello scambio deriva dalla presenza di risorse di autorità, e dal ruolo dello Stato come garante dell'accesso allo scambio politico: "La qualifica di 'politico' riferita allo scambio si giustifica con il fatto che esso riguarda 'beni d'autorità', che hanno forma di comando (leggi, norme amministrative); ma questi diventano efficaci, cioè ottengono obbedienza e consenso, solo perché sono contrattati, riconosciuti tramite la forma di mercato" (v. Rusconi, 1981, p. 72).
Dato che, nella teoria di Pizzorno, lo scambio avviene tra attori collettivi, la riflessione si orienta sui rapporti tra rappresentati e rappresentanti. Con la costruzione dell'organizzazione, gli interessi di rappresentati e rappresentanti infatti si differenziano: mentre i primi continuano a essere motivati dal proprio vantaggio come categoria economica o sociale, i rappresentanti costruiscono un gruppo a sé stante e sono motivati da ragioni di potere. In generale, la strategia dello scambio politico si basa sulla sottoutilizzazione delle opportunità di ottenere vantaggi immediati, in cambio di vantaggi futuri. Mentre i lavoratori hanno interesse a migliorare la loro situazione economica, il sindacato mira a rafforzare la propria posizione come organizzazione, utilizzando poi la sua influenza a vantaggio degli iscritti, nel lungo periodo, oppure a vantaggio dei rappresentanti (v. Pizzorno, 1993, pp. 215-216). Il potere dell'organizzazione sulla sua base è comunque limitato dalla capacità dei rappresentati di togliere consenso ai loro rappresentanti, sottraendo quindi loro la principale risorsa da investire nel negoziato: l'accettazione delle regole del gioco da parte dei lavoratori.In quali condizioni lo scambio politico, così concepito, sarà più diffuso? Come avevano notato anche Ilchman e Uphoff (v., 1971), il ruolo dello scambio politico aumenta insieme alla rilevanza delle istituzioni politiche nazionali nell'allocazione delle risorse. Dato che, per la legge dell'utilità marginale decrescente, il valore di ogni risorsa dipende dalla sua disponibilità sul mercato, quanto più un regime ha bisogno di legittimazione, tanto più sarà dipendente dai settori che possono offrirgliela. Il potere delle organizzazioni della rappresentanza nello scambio politico è così una funzione del bisogno di consenso da parte dello Stato (v. Pizzorno, 1993, p. 209). La disponibilità allo scambio da parte delle organizzazioni degli interessi si ridurrebbe soprattutto in caso di mutamenti nei rapporti di forza fra i gruppi sociali, quando alcuni settori economici si sviluppano rapidamente premendo per aumenti salariali, o quando emergono nuovi gruppi sociali. Nei momenti iniziali di questo processo la mobilitazione non sarà orientata a creare risorse da spendere sul tavolo del negoziato, ma piuttosto a produrre quelle solidarietà interne necessarie alla costruzione di un'identità collettiva, mentre sono ancora assenti i legami di fiducia indispensabili perché si abbia una delega di rappresentanza. I sindacati sarebbero più propensi a una concertazione basata sullo scambio politico quando la loro posizione è migliore sul mercato politico che nel negoziato collettivo; quando vi sono sufficienti risorse organizzative per perseguire obiettivi di lungo termine senza perdere il consenso della base; quando infine è possibile mediare tra una pluralità di interessi in modo da imporre una posizione oligopolistica nel negoziato con il governo (v. Regini, 1984). In Italia il concetto di scambio politico ha avuto il suo momento di massima fortuna all'inizio degli anni ottanta, quando è stato utilizzato per analizzare i primi tentativi di concertazione delle politiche industriali, e da questo punto di vista è stato usato spesso in alternativa a quello di neocorporativismo, inteso come crescita di una concertazione a tre o di una rappresentanza monopolistica degli interessi (v. Lehmbruch, 1974; v. Schmitter, 1981). In altre analisi, invece, lo scambio politico è stato considerato come il genere più ampio a cui afferisce il neocorporativismo, caratterizzato quest'ultimo da una concertazione istituzionalizzata in strutture stabili, dal monopolio della rappresentanza degli interessi e dalla possibilità di fare affidamento su un forte partito socialdemocratico (v. Rusconi, 1984, pp. 53-58).
Guardando alle conseguenze dello scambio politico, Pizzorno sottolinea che esso non deve essere considerato come un fattore esogeno di disturbo del normale equilibrio del mercato del lavoro. Lo scambio politico comporta infatti meccanismi di riequilibrio legati all'interesse intrinseco di un'organizzazione ad accrescere il proprio potere attraverso il posponimento del godimento dei benefici. Anche in quelle situazioni in cui il sindacato non voglia o non possa esercitare moderazione nell'immediato, proprio la logica dello scambio politico metterà in moto meccanismi di riequilibrio nel medio periodo. Ad esempio, dopo la costituzione di nuove identità collettive e il loro riconoscimento da parte del sistema, le condizioni per un rapporto di rappresentanza si ricostituiranno gradualmente. La costruzione di organizzazioni stabili della rappresentanza contribuirà a trasformare le rivendicazioni universalistiche non negoziabili in rivendicazioni categoriali negoziabili, e la partecipazione da espressiva diverrà strumentale. L'inserimento dei nuovi interessi nel sistema della rappresentanza porterà a una ristabilizzazione del sistema, con l'accettazione delle regole del gioco.
Dal campo delle relazioni industriali il concetto di scambio politico è stato poi esteso all'analisi delle politiche pubbliche. Citando Claude Lévi-Strauss, Bernd Marin ha proposto il termine di scambio politico generalizzato per riferirsi a quei casi in cui le ricompense non vengono distribuite dallo stesso attore che ha ottenuto un beneficio, ma da altri attori. Il concetto di scambio politico generalizzato si riferisce a quelle "reti estese di transazioni interdipendenti all'interno di una comunità che danno vita alle politiche economiche" (v. Marin, 1990, p. 39); esso avverrebbe quindi tra diversi attori collettivi organizzati e autonomi, con interessi divergenti/competitivi/antagonisti, ma funzionalmente interdipendenti, che negoziano risorse macropolitiche ed economiche. Il terreno dello scambio politico non riguarderebbe, dunque, solo le politiche industriali, ma anche altri mercati, tutti interdipendenti tra loro e gerarchicamente ordinati, dove le decisioni vengono prese attraverso negoziati complessi. Guardando alle varie politiche pubbliche, si cerca di ricostruire le caratteristiche dei diversi attori che, insieme alle confederazioni nazionali dei gruppi di interesse, partecipano alle catene di transazioni che portano alle decisioni pubbliche. Innanzitutto si osserva che le organizzazioni degli interessi non sono omogenee all'interno: nei sindacati sono compresenti vari livelli, dalle confederazioni nazionali ai delegati di reparto o di fabbrica, e il capitale organizzato non è unico ma diviso in sottosettori. Inoltre, a questi attori se ne sommano altri, quali i comitati paritetici in varie politiche pubbliche, o le banche centrali. Il potere sia dello Stato che degli interessi organizzati può essere variabile, ma non è necessaria la presenza dello Stato perché ci siano risorse politiche in gioco: basta che l'azione sia orientata alle politiche o a scelte politiche.
Se si complica la rete degli scambi, aumentano anche i tipi di risorse scambiate, che includono consenso, sostegno, concessioni, garanzie, rispetto delle regole, attribuzione simbolica di responsabilità, accesso al decision making, controllo sulla membership, rinuncia alla critica o all'apatia, potere, informazioni (pp. 50-51). L'accettazione delle regole del gioco, minimo comune denominatore dello scambio, è assicurata non tanto dai vantaggi sistematici di lungo periodo, quanto piuttosto dai vantaggi immediati, quali quelli derivanti dalla creazione di un ambiente 'concertato', altamente prevedibile, non turbolento. È la produzione delle regole a creare un surplus per il sistema: "Lo scambio politico generalizzato è un insieme comprensivo di giochi per regolare l'appropriazione e la produzione/offerta di beni pubblici; in conseguenza, esso si riferisce sempre a niente di meno che la riproduzione e lo sviluppo sociale, cioè al governo del sistema, del quale gli attori collettivi che scambiano risorse sono parte" (p. 53). Così, la gestione di relazioni di cooperazione antagonista è rivolta alla trasformazione di giochi a somma zero in giochi a somma positiva.Secondo Marin, mentre il concetto di scambio politico elementare elaborato da Pizzorno descriverebbe lo stato delle relazioni industriali nell'Europa latina, il modello generalizzato sarebbe più adatto ad analizzare i paesi della Scandinavia e dell'Europa centrale. L'analisi in termini di scambio politico generalizzato porta dunque a rivisitare concetti come quello di policy networks, guardando alle caratteristiche delle reti di interazione fra i policy makers che operano all'interno di particolari politiche pubbliche, attraverso la formazione di 'reti di reti' (v. Cook, 1990, p. 224). Viene così sottolineata la natura in parte collusiva dei loro rapporti, saldati dall'emergere di un interesse condiviso alla propria sopravvivenza, e la conseguente autonomizzazione del processo di negoziazione delle politiche pubbliche (v. Friedberg, 1990).
Le teorie dello scambio politico, nelle loro diverse formulazioni, sono state sottoposte a varie critiche. In primo luogo, è stato considerato poco realistico il postulato della reciprocità, fondamento soprattutto delle teorie microsociologiche dello scambio, dal momento che vi sono "aspetti strutturali che rendono uno 'scambio equo' impossibile" (v. Birnbaum, 1976, p. 27). Nell'antropologia politica, infatti, lo scambio viene presentato come il fondamento, o mascheramento, del potere, dato che la riproduzione di rapporti di subordinazione e sfruttamento richiede la loro presentazione come rapporti, appunto, di scambio (v. Médard, 1995). L'illusione della reciprocità legittimerebbe così un ordine sociale nella realtà ineguale: in particolare, la pseudoreciprocità dello scambio permetterebbe di trasformare relazioni arbitrarie in relazioni legittime. Lo scambio produrrebbe così un plusvalore, trasformando un capitale economico in capitale simbolico.In secondo luogo, è stata ritenuta poco convincente l'estensione del concetto di mercato a un ambito nel quale manca un medium generalizzato (come il denaro) che permetta di valutare costi e benefici di scambi multipli e multidimensionali di risorse materiali, informazioni, simboli, affetti. Si è infatti sottolineato che, se nello scambio economico le interazioni hanno un valore estrinseco, come mezzo rispetto a un fine esterno, nello scambio sociale vi sono invece interazioni che - come quelle di amicizia - hanno un valore intrinseco, nel senso che la ricompensa viene dalla relazione stessa. Se lo scambio economico è una relazione sincronica e finita nel tempo, lo scambio sociale crea fenomeni di interdipendenza. Differentemente che nello scambio economico, i partners dello scambio sociale non sono intercambiabili e le relazioni sono personali, invece che anonime. Infatti, se nella teoria economica neoclassica ciascun attore ha a che fare con un mercato, piuttosto che con altri attori, nello scambio sociale e politico l'attenzione si concentra sull'interazione tra due o più attori (v. Emerson, 1987, pp. 11-12).
Le differenze riconosciute tra scambio economico e scambio sociale hanno portato, in terzo luogo, a mettere in discussione l'assunto, presente in molte concezioni dello scambio, dell'agente come homo oeconomicus. Infatti, se si considera come comportamento razionale solo quello orientato a beni materiali, l'assunto della razionalità rischia di portare a conclusioni spesso false - come, ad esempio, il postulato del partito come mero occupatore di cariche, disinteressato al contenuto delle politiche pubbliche. Se invece si amplia il concetto di razionalità, fino a includervi il perseguimento di beni simbolici, immateriali e impalpabili, si rischia di considerare come razionale ogni tipo di comportamento, perdendo i vantaggi euristici di una definizione restrittiva, e cadendo nella tautologia.
Del resto, è lo stesso metodo dell'analisi economica della politica, al cui interno rientra una parte degli studi sullo scambio politico, a essere considerato inadeguato. Viene infatti ritenuto da molti fuorviante l'individualismo metodologico, su cui si basano diverse teorie sullo scambio, che parte dalla convinzione che anche l'azione collettiva sia riconducibile a un modello individuale di comportamento, dove il tutto è equiparato alla somma delle parti. Il postulato della razionalità individuale sarebbe infatti incapace di tener conto della razionalità collettiva, e porterebbe alla pretesa riduttiva di fondare la macrosociologia sulla microsociologia.L'approccio alla politica come a un mercato è stato infine criticato per la sua tendenza a suggerire una riduzione dell'ambito di intervento autonomo delle istituzioni politiche, a vantaggio di una libera concorrenza tra gli attori sociali. Questa critica ha riguardato, in particolare, la teoria della scelta pubblica, rispetto alla quale è stato stigmatizzato "il pregiudizio insito nella considerazione delle prescrizioni politiche in termini di distorsione ideologica e nella forte preferenza a dare soluzioni di mercato ai problemi politici" (v. Scaff e Ingram, 1987, p. 619). Molti studi sulla scelta pubblica hanno infatti considerato la politica come un fattore di disturbo del mercato, inefficace, sprecona e corruttibile, guardando invece favorevolmente a interventi volti a ridurre l'ambito decisionale delle istituzioni politiche. Questa fiducia, da molti considerata come ingenua, nelle capacità di autoregolarsi del mercato pluralistico degli interessi non terrebbe conto dell'esperienza storica del fallimento dello Stato liberale e dell'emergere dello Stato sociale proprio come risposta alle potenzialità distruttive della libera concorrenza.
Si farebbe comunque torto alle teorie che hanno implicitamente o esplicitamente fatto ricorso al concetto di scambio in politica se non si riconoscesse il loro sforzo per affrontare alcuni problemi specifici derivanti dall'applicazione del linguaggio del mercato alla politica. Mirano infatti a un ampliamento della teoria dello scambio alcune elaborazioni importanti che hanno affrontato problemi quali l'identità, l'informazione, il potere, la giustizia, la fiducia.Innanzitutto, si è osservato che l'azione collettiva è resa possibile dalla presenza di incentivi selettivi. Stimolato dall'opera di Olson, il resource mobilization approach ha sviluppato la ricerca empirica sui modi attraverso i quali gli attori collettivi affrontano il problema del free rider. A differenza di Olson, questi studiosi sottolineano l'importanza dell'impegno morale (v. Tillock e Morrison, 1979) e dei legami di solidarietà (v. Fireman e Gamson, 1978). I gruppi che si mobilitano, infatti, sarebbero già costituiti come attori collettivi: gli individui che ne fanno parte sarebbero quindi portati a valutare non solo, e non tanto, vantaggi e perdite individuali, ma anche vantaggi e perdite collettive. Nel calcolo individuale di costi e benefici occorre dunque tener conto dei sentimenti di solidarietà preesistenti, derivanti da situazioni di parentela e amicizia, ma anche di quelli emergenti dalla stessa partecipazione alle organizzazioni dei movimenti. In questa prospettiva lo scambio tra attore collettivo e individui - tra organizzazione politica e attivisti - comprenderebbe non solo risorse materiali, ma anche risorse simboliche. In particolare, la costruzione di un'identità collettiva costituirebbe un presupposto anche per il calcolo delle utilità individuali, dato che per poter calcolare occorre "un'identità duratura cui attribuire costi e benefici a venire" (v. Pizzorno, 1993, p. 228).
Un secondo problema al centro dell'attenzione degli studi sullo scambio in politica è quello delle informazioni. In generale il modello neoclassico del mercato concorrenziale presuppone trasparenza e completezza delle informazioni, ma ciò non corrisponde certo alla realtà politica, dove i programmi dei partiti sono spesso oscuri e gli elettori poco interessati a conoscerli. Per questo molti studi sul mercato elettorale hanno cercato di analizzare il problema del costo delle informazioni. È stato, ad esempio, suggerito che, per ridurre questi costi, gli elettori saranno portati a votare come in passato, ad attribuire ai partiti coerenza sulle varie issues, ovvero "raggruppando specifici temi in tipi più ampi" (v. Budge e Farlie, 1983, p. 148), mentre i partiti tenderanno a limitare il numero di issues presenti nella campagna elettorale (p. 150), spesso selezionando temi diversi.
Un altro aspetto su cui si sono concentrati gli studi sullo scambio non economico è quello delle norme. Se lo stesso Downs reintroduce gli obblighi morali per spiegare perché i cittadini votano (v. Pappalardo, 1989), il ruolo delle norme diviene centrale nell'analisi condotta da Jon Elster sul problema dell'azione collettiva - cioè di tutte quelle circostanze in cui "l'interesse razionale egoistico degli individui può portare a comportarsi in modi che sono collettivamente disastrosi" (v. Elster, 1989, p. 17). Legato al concetto di norme è quello di costo morale, considerato come una variabile sociologica rilevante nello spiegare, ad esempio, lo sviluppo della corruzione in un particolare contesto storico (v. Pizzorno, 1992, pp. 15 e 43).Se le norme hanno dunque riconquistato un posto importante nell'analisi delle motivazioni dei comportamenti, anche di scambio, è stato comunque rilevato che l'affermazione che i valori producono impegno può essere tautologica se non si riesce a spiegare da dove vengono questi valori (v. Barry, 1970). A questo proposito, le analisi delle interazioni tra individui e gruppi hanno approfondito il tema del potere. Al potere di manipolare premi e punizioni si è accostato quello di assicurare l'obbedienza a un costo relativamente basso (v. Barry, 1976, pp. 94-97). Insieme al potere di deterrenza o induzione è stato studiato quello preventivo, cioè la capacità di rendere vana l'azione di un attore per raggiungere un certo obiettivo (v. Oppenheimer, 1976).
Concentrandosi sulle interazioni tra individui, piuttosto che sulla partecipazione anonima a un mercato, le analisi dello scambio politico hanno preso in esame un altro problema fondamentale per la continuità delle interazioni: la fiducia. Se il valore del denaro dipende dalla fiducia nell'autorità che lo garantisce (in particolare il governo, nel caso della carta moneta), anche il mercato della politica ha bisogno di autorità che agiscano come garanti (v. Coleman, 1986, pp. 169-179). Gli scambi politici sarebbero infatti garantiti dalla fiducia reciproca, definita come "aspettativa di esperienze con valenza positiva, maturate in condizioni di incertezza, ma in presenza di un carico cognitivo e/o emotivo che rende possibile superare il confine della pura speranza" (v. Mutti, 1990, p. 204). Localizzando la fiducia nella presenza di relazioni informali interpersonali, il dibattito si è così concentrato sul capitale sociale, come accumulazione di esperienze positive che stimolano gli scambi reciproci, migliorando il rendimento istituzionale (v., ad esempio, Putnam, 1993). Il tema della fiducia è emerso anche negli studi più recenti sulla corruzione politica, all'interno della quale ciascuno dei 'contraenti' deve ottenere garanzie che l'altro non denuncerà l'affare alla magistratura e che, inoltre, ne rispetterà i termini 'contrattuali' - nonostante nello scambio corrotto, così come negli altri scambi illegali, tale rispetto non possa ovviamente essere imposto da un'autorità superiore come quella dello Stato (v. Pizzorno, 1992; v. della Porta, 1992; v. Vannucci, 1994; v. della Porta e Vannucci, 1994). (V. anche Clientela; Corporativismo/Corporatismo; Corruzione; Gruppi di interesse e di pressione; Individualismo metodologico; Movimenti politici e sociali; Scambio sociale).
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