SCARLATTINA (fr. scarlatine; sp. escarlatina; ted. Scharlachfieber; ingl. scarlet fever)
Malattia infettiva, contagiosa, del gruppo delle cosiddette "affezioni esantematiche", per la caratteristica eruzione cutanea che l'accompagna. La sua storia si confonde con quella del morbillo, e bisogna giungere al sec. XVI per trovarne un'esatta descrizione, quale ne fece per primo G. F. Ingrassia chiamandola "rossania". T. Sydenham nel 1661 la denominò "febris scarlatina". È malattia endemica nella maggior parte dei continenti, ma presenta delle riesacerbazioni a tipo epidemico, con il massimo di frequenza dei casi, per l'Italia, nella stagione estivo-autunnale. Nel sec. XVIII se ne ebbero epidemie gravissime in gran parte dell'Europa e nell'America Settentrionale. In tutte le età si può esserne colpiti, ma la maggiore disposizione è dai 3 agli 8 anni, mentre i neonati sono per lo più risparmiati, perché forniti di un'immunità congenita transitoria. Tra gli Arabi e gl'Indiani è poco diffusa. Le razze anglosassoni, invece, dimostrano una particolare tendenza a contrarla. In linea di massima, tuttavia, tale disposizione è nella specie umana minore che per il morbillo, e si calcola che su 100 individui, non ancora immunizzati per averla superata, ne ammalino circa 20.
Il suo problema etiologico è dei più ardui, e ancora non ha trovato una definitiva soluzione. Numerosi microrganismi, infatti, sono stati in diverso tempo indicati quali presunti agenti causali, e cioè svariati tipi di protozoi, schizomiceti (cocchi e streptococchi) e virus filtrabili. Nessuno di essi, però, è risultato, nelle ricerche di controllo, resistente alle valide obiezioni e critiche, che ne hanno infirmato la specificità. Solamente per lo streptococco emolitico sembra oggidì doversi ammettere un reale valore nel determinismo della malattia, in quanto la sua presenza nelle fauci degli scarlattinosi è un fatto costante. Ma la maggioranza degli autori ritiene che, accanto a tale germe, debba esistere anche un virus ancora sconosciuto, ma indispensabile affinché l'infezione si sviluppi.
È accertato che il virus scarlattinoso è contenuto nella saliva nel muco faringeo, nelle secrezioni nasali e nelle squame epidermiche. Il contagio, quindi, avviene per mezzo di questi elementi, sia per contatto diretto, sia mediante oggetti infettati dal malato, sia per trasporto da parte di una terza persona, sia, eccezionalmente, con il latte crudo manipolato da scarlattinosi ancora desquamanti. La contagiosità dura dall'inizio della malattia a tutto il periodo della desquamazione, e si calcola, in media, di 40 giorni. Non è tuttavia da escludersi che il contagio possa avvenire anche più tardi. Specialmente pericolosi sarebbero, a tale riguardo, i convalescenti con complicanze suppurative. È poi provato che il virus, al difuori dell'organismo, si può conservare attivo anche per mesi. La porta d'ingresso è essenzialmente rappresentata dall'apparato linfatico faringeo, ma anche attraverso alla cute e alle mucose, lese per ustioni o per ferite, si può verificare la penetrazione. Avvenuta questa, s'inizia il periodo d'incubazione, la cui durata non è ben netta, essendo in rapporto alla quantità di germi introdotti e alla loro virulenza. La durata media di tale periodo si calcola, in ogni modo, dai 2 ai 7 giorni, durante i quali nessun disturbo viene avvertito. S'inizia poi la malattia, che decorre in modo diverso, a seconda che si tratti della forma regolare o di quella maligna.
Nella scarlattina regolare si ha dapprima una fase d'invasione che esplode improvvisamente, in apparente pieno benessere, con un brivido, febbre alta, abbattimento, vomito, dolor di gola, angina e tumefazione dei ganglî retromascellari. Tutto ciò dura appena 24-36 ore, dopodiché si passa subito alla fase di eruzione, caratterizzata dall'esantema delle mucose e dall'esantema cutaneo. La mucosa del palato e della faringe diviene intensamente arrossata, e le tonsille si tumefanno, si ricoprono di essudati biancastri, non aderenti, che provocano un dolore intenso, specie alla deglutizione. Altre volte, invece, l'angina manca, e tutto si limita all'arrossamento diffuso, con scarso dolore. In pari tempo la lingua si fa tumida e si copre anch'essa di patina biancastra, che, nei giorni successivi, va eliminandosi, in guisa da lasciare scoperta la mucosa fortemente arrossata, con papille sporgenti; ciò che costituisce la cosiddetta "lingua lampone". L'esantema cutaneo apparisce come una punteggiatura rossa, per formazione di papule grandi come capocchie di spillo, circondate da zona di congestione, le quali in parte confluiscono, conferendo alla cute il tipico aspetto scarlatto, lievemente vellutato al tatto. L'eruzione è massima al collo, al torace, alle ascelle, alla cintura, agli inguini, e alle pliche flessorie. Alla faccia però restano per lo più libere le zone periboccali, del mento e dei solchi naso-labiali, sì da formare la caratteristica "maschera scarlattinosa". All'eruzione s' accompagna talora prurito. In circa 24 ore l'esantema è del tutto costituito, accentuandosi poi nei 2-5 giorni successivi, per entrare nella fase di regressione verso il 6°. In pari tempo all'eruzione cutanea e mucosa si presentano i segni generali dell'infezione. La prostrazione è intensa, la febbre alta, il polso frequente e molle, e nelle urine, fin da questo momento, può comparire un poco di albumina. Verso il 6° giorno si passa in genere al periodo di desquamazione. I fenomeni generali vanno cioè mitigandosi, e nelle regioni ove s'era iniziato l'esantema cominciano a eliminarsi lamelle cutanee di varia grandezza, le quali, in certi punti, specie alle mani, possono addirittura distaccarsi in forma di vasti lembi. Non è eccezionale che vi s'accompagni caduta dei peli e delle unghie. La febbre, intanto, diminuisce di giorno in giorno, il polso si fa meno frequente, e subentra uno stato di progressivo benessere.
Accanto a questa forma di scarlattina discreta ne possono poi esistere di quelle notevolmente più lievi, tra cui la "forma abortiva", con febbre modica, stato generale buono, angina ed esantema appena accennati. In certi casi, anzi, l'esantema può addirittura mancare (scarlattina sine exanthemate), per quanto, in secondo tempo, si verifichi egualmente la desquamazione. D'altro lato, invece, si può avere un decorso gravissimo, tumultuario, qual'è quello della "scarlattina maligna", con stato tossico accentuato fin dall'inizio, febbre altissima e continua, tachicardia, dispnea, e rapido indebolimento del polso. Tale forma, che può essere precoce o tardiva, è in rapporto a predisposizione organica, e, soprattutto, a speciale virulenza del germe.
Nei casi più gravi, la morte può sopravvenire anche in poche ore. Altre volte, invece, la gravità si stabilisce improvvisamente, durante il decorso di una forma regolare.
Nessun organo si può poi dire che sfugga alle eventuali complicazioni. Tra queste, le più frequenti sono rappresentate dalle angine, a tipo pseudomembranoso, necrotico o cancrenoso; adeniti, specialmente a carico delle ghiandole angolo-mascellari e laterocervicali, con esito non raro in suppurazione; otiti, che, suppurando, possono provocare sordità o complicanze mastoidee e meningitiche; riniti; broncopolmoniti e pleuriti, spesso purulente; artriti, in forma di semplici dolori articolari diffusi, o anche suppurate; pericarditi ed endocarditi; encefaliti. La più importante di tutte è però rappresentata dalla nefrite, la quale, a seconda delle epidemie, si ha nel 2-20% dei casi. Questa si manifesta per lo più dal 12° al 19° giorno di malattia, e assai più di rado nella 3ª-4ª-6ª settimana, con modica ripresa febbrile, cefalea, irrequietezza, anoressia, pallore e turgore del volto, e urina scarsa e di colore sanguigno. Stabilitasi in tal modo, la nefrite decorre poi con le modalità usuali della malattia. Dal punto di vista prognostico si può dire che la nefrite postscarlattinosa per lo più guarisce, ma talora si ha un improvviso aggravamento, e si manifesta l'anuria con tutti i sintomi dell'intossicazione uremica. Oppure si può assistere al passaggio alla forma subacuta o cronica, con albuminurie persistenti anche per anni.
Tra le associazioni morbose sono da rammentare quelle con la difterite, col morbillo, la varicella e la pertosse. Non è finalmente esclusa, benché si riscontri in minima percentuale dei casi, la possibilità di ricadute che, in genere, si hanno alla 3° settimana, e quella del persistere di febbri modiche, dopo il periodo acuto, in rapporto all'infezione streptococcica dell'apparato linfatico della faringe e del collo. Rarissime invece le recidive, anche a distanza di anni, perché l'immunità conferita dalla malattia è di quelle permanenti.
La prognosi della scarlattina, da quanto s'è detto, è in rapporto con la gravità dei sintomi, ma l'importanza massima dev'esser sempre attribuita al genio epidemico dominante. In ogni modo si calcola che la mortalità, nel nostro paese, s'aggiri intorno all'1-2%.
Per la terapia, nelle forme regolari, è sufficiente attenersi a quella puramente sintomatica, ponendo il malato nelle migliori condizioni igieniche. Nelle forme che si presentano con caratteri di gravità potrà invece essere usato precocemente il siero antiscarlattinoso, preparato inoculando agli animali lo streptococco emolitico. Se ne iniettano nei muscoli 20-40 cmc., al più presto possibile. In un terzo circa dei casi si potrà allora assistere a caduta critica della temperatura e a miglioramento dello stato generale. Poco o nulla vengono invece in tal modo influenzate le complicanze settiche e suppurative, per le quali il trattamento sarà quello indicato caso per caso.
Nelle adeniti, p. es., si faranno cataplasmi a permanenza, incidendo al momento opportuno; nelle otiti si eseguiranno pure applicazioni calde, somministrando qualche analgesico (p. es. piramidone), per poi ricorrere alla cura dell'otoiatra; nei reumatismi si userà il salicilato; negli attacchi uremici si praticherà il salasso generoso, il bagno a vapore, ecc. La dieta, nel periodo di stato, sarà leggiera, a base di latte, brodo, uova, minestrine, purées e frutta. Se però il malato ha nausea o repugnanza per il cibo, conviene limitarsi a quella idrica assoluta. Nella convalescenza, invece, il vitto sarà abbondante e sostanzioso, rammentando come l'eventuale complicanza nefritica è piuttosto in rapporto ai raffreddamenti e agli strapazzi precoci. Qualora sopravvenisse la nefrite, la dieta sarà regolata caso per caso. I bagni caldi di pulizia saranno permessi durante la convalescenza, senza però ungere in alcun modo la cute, per non ostacolare le sue funzioni fisiologiche. Nei bambini più piccoli si eviterà che siano strappate le lamelle della desquamazione, per evitare infezioni secondarie.
La massima importanza hanno infine le regole profilattiche, consistenti nell'isolamento del malato, e nell'accurata disinfezione degli ambienti e di quanto possa venire a suo contatto. La malattia va sempre denunziata, e i bambini non potranno in alcun caso essere riammessi alle scuole se non dopo il 40° giorno dal suo inizio.
Bibl.: A. Hottinger e A. Schlossmann, in M. Pfaundler e A. Schlossmann, Handbuch der Kinderheilkunde, Lipsia 1931; T. Pontano, Le malattie da infezione, Napoli 1932; G. B. Allaria, in Medicina interna, Torino 1832; P. Gautier, in P.-A-.A- Nobécourt e L. Babonneix, Traité de médicine des enfants, Parigi 1934; C. Comba e R. Jemma, Trattato di pediatria, Milano 1934.