SCHERMA (fr. escrime; sp. esgrima; ted. Fechten; ingl. fencing)
È l'insieme delle nozioni relative al maneggio delle armi bianche, e specialmente della sciabola e della spada. In antico, peraltro, ebbe un significato più lato, perché comprendeva anche la lotta con le prese di corpo e di mano e gli abbattimenti per la difesa personale.
Cenni storici. - In nessun paese come in Italia la scherma assurse fino dal sec. XII quasi a dignità di scienza, che in breve s'impose agli altri popoli. Prima dell'invenzione della stampa, per tramandare alle successive generazioni gli ammaestramenti di una lunga esperienza i maestri italiani fecero ricorso ai migliori artisti contemporanei. Così Leonardo fornì disegni schermistici a Gentile dei Borri, famoso maestro milanese della seconda metà del '400; altri artisti, residenti a Milano, pare abbiano imitato Leonardo nell'intento di favorire taluni eccellenti armigeri di grande fama, come Ottaviano, fratello di Gentile dei Borri, Giacobbe Cavallo e il più noto Francesco Tappa. Del prezioso trattato disegnato da Leonardo e di quelli attribuiti ad altri artisti lombardi del '400 si sono perdute le tracce. A noi è pervenuto a tutt'oggi solo quello di Fiore di messer Benedetto dei Liberi, friulano, che visse nella seconda metà del Trecento e nel primo ventennio del Quattrocento. Di questi si sa che, dopo aver girovagato per mezzo mondo come schermitore, divenne a Ferrara maestro armigero del marchese Niccolò d'Este, per il quale nel 1410 compose il Flos duellatorum, ovvero Fior di Battaglia (pubbl. da F. Novati, Bergamo 1902), il quale mostra come già al principio del sec. XV la scherma italiana fosse tecnicamente sviluppata.
Il primo trattatista italiano che profittò dell'invenzione della stampa fu Pietro Moncio, che fece stampare un suo trattato a Bologna nel 1509; e intorno allo stesso tempo fu impresso anche quello di Guido Antonio di Luca, scolaro di Lippo di Bartolomeo Dardi: ambedue sono perduti, e non se ne conoscono che alcuni brani, riportati da altri autori; più tardi i maestri armigeri italiani erano assurti a tale rinomanza da essere chiamati in Francia, in Germania, in Inghilterra, in Spagna e in Danimarca a insegnare l'arte loro ai nobili delle varie corti; o da queste venivano mandati in Italia i giovani cortigiani ad apprendere il ballo, le belle maniere e l'armeggiare.
Guido Antonio di Luca, come il Dardi suo maestro, fu protetto dai Bentivoglio, i quali ne frequentarono la scuola di via Saragozza a Bologna, ov'egli abitò sino alla sua morte. Suo contemporaneo fu Antonio Manciolini, bolognese anch'egli, il quale nel 1531 faceva ristampare il suo raro e prezioso volumetto Opera Nova (la prima edizione è introvabile). Nei sei libri che compongono l'opera, il Manciolini tratta con sicura competenza della sua arte, già resa perfetta dai predecessori.
Achille Marozzo fu scolaro di G. A. di Luca ed ebbe a condiscepoli due tra i più famosi capitani del Cinquecento, Giovanni dalle Bande Nere e Guido Rangoni. Giunto a grande rinomanza come "maestro generale della Nazione Alemanna" (associazione degli studenti tedeschi a Bologna), il Marozzo nel 1536 affidò a un sacerdote Bergoli di Modena la stampa della sua Opera Nova chiamata Duello, corredata da numerose silografie. L' opera ebbe varie edizioni (l'ultima fu fatta eseguire con le tavole originali in Verona, nel 1615, dal figlio Sebastiano Marozzo). Se nella forma enfatica l'autore imitò il Manciolini, nella sostanza i precetti da lui dettati lo sorpassarono grandemente, e l'arte mercé sua fece progressi inattesi per le "nuove guardie" ideate e i "passi" insegnati, che anticiparono il moderno "a fondo". Il merito, però, di aver dimostrato l'utilità dell'avanzata del piede destro nel vibrare la stoccata spetta a Camillo Agrippa, ingegnere milanese, che nel 1553 faceva stampare da A. Blado di Roma il Trattato di scientia d'armi, il quale segnò il culmine della perfezione tecnica della scherma di quel tempo; Giovanni Stradano (Jan van der Straet) ne disegnò le 55 figure dimostrative. L'Agrippa riduce le guardie principali a quattro: prima, seconda, terza, quarta. La prima "di passaggio", perché è senza equilibrio, e così la seconda che differisce dalla precedente solo nel braccio armato, proteso in avanti all'altezza del mento. La terza guardia corrisponde alla prima attuale, ma col braccio leggermente piegato e il pugno che all'altezza dell'ombelico mantiene la spada quasi orizzontale, come insegna la scuola mista odierna. La quarta guardia è simile alla terza, ma più solidamente piantata. L'Agrippa è il primo a insegnare l'"inquarto" e ad avanzare il piede destro nel vibrare il colpo.
La serie dei grandi trattatisti italiani della scherma si sussegue senza interruzione durante tutto il Cinquecento. Nel 1580 Giacomo Grassi, modenese di nascita, ma vissuto quasi sempre nel Veneto e a Bologna, fece stampare a Venezia la Ragione di adoperar securamente l'arme. Il Grassi fu maestro di valenti schermidori francesi, e uno di questi, il Sainct-Didier, tradusse la sua opera, pubblicandola nel 1573. Il Grassi fu il primo a dare importanza alle qualità intellettuali dello schermitore e mette l'intelletto alla pari delle qualità fisiche, anzi, antepone lo schermitore "di testa" a quello "di temperamento". È pure il primo a trattare con chiarezza del "tempo", delle "linee" e delle "difese". Prescrive la "parata di filo" e nel vibrare il colpo vuole che il "piede di dietro" passi in avanti "a fondo") e tratta esaurientemente dei "tocchi di spada", la lama della quale divide in "gradi" e ad ogni guardia oppone la contraria di difesa.
Al Grassi tenne dietro Giovanni Dall'Agocchie, con un lavoro (Dell'arte della scherma, Venezia 1572), ritenuto tecnicamente superiore a quelli del Marozzo e dell'Agrippa, anche se la forma dialogata lo rende pesante e talvolta prolisso. Il Dall'Agocchie raccomanda i "colpi di punta", preferendoli a quelli "di taglio", il "ferire di mandritto" e "di roverso", lo "sguelembro", il "tondo", il "ridoppio", il "tramazzone". La forma dialogata data dal Dall'Agocchie al suo lavoro fu imitata da Angelo Viggiani dal Montone in Lo Schamo (Venezia 1575), cui nuoce peraltro l'eccessivo sfoggio di erudizione. Nel 1595 un altro maestro, Vincenzo Saviolo, famoso per una vita di avventure e di ardimenti, consacrava in Inghilterra la supremazia della scherma italiana con la valentia personale e con un volume, Practise in two bookes,... of the Rapier and Dagger, in cui seppe vantaggiosamente condensare quanto di nuovo era stato consacrato nei loro lavori dai precedenti maestri italiani.
Durante il Seicento l'arte italiana dello schermire conservò in tutta la penisola e fuori la sua supremazia, con falangi di scolari che avevano portato oltre i confini i principî appresi in Italia. Ridolfo Capoferro da Cagli, "maestro della Nazione Alemanna in Siena", pubblicò nel 1600 in Bologna la prima edizione del Gran simulacro dell'arte e dell'uso della Scherma. Egli è il primo a stabilire la lunghezza e l'equilibrio della spada; ne divide la lama in "forte" e "debole" e discorre in modo perfetto del "tempo", riassumendo con meravigliosa sintesi la teoria dell'"a fondo", insegnando a distendere vigorosamente il ginocchio sinistro all'atto del vibrare il colpo, ond'esso parta con scatto ed arrivi al bersaglio inatteso. Contemporaneo del Capoferro fu Marco Docciolini, fiorentino, autore del Trattato in materia di scherma (Firenze 1601). Se il Docciolini non arricchì la sua arte con nuovi ritrovati, seppe con perfetta chiarezza regolare in forma pratica ed efficace "il modo e la regola d'adoperare sicuramente la spada sola od usata assieme ad altre armi da offesa".
Il Seicento fu l'epoca della più vasta applicazione dei precetti schermistici. Basta leggere le cronache di tale secolo per constatare come ovunque si duellasse (v. duello); onde non fa meraviglia che nel 1617 Padova decretasse splendidi funerali a Salvatore Fabris, e nel 1676 gli erigesse nella chiesa del Santo, nella quale era stato sepolto, un ricco monumento. Il Fabris, padovano, aveva trascorso gran parte della sua vita alla corte di Copenaghen, come maestro d'armi di Cristiano IV. A 62 anni pubblicò De lo Schermo ovvero scienza d'arme (Copenaghen 1606), con meravigliose incisioni su rame, eseguite dal celebre A. G. Holboeck. Il Fabris non fu un innovatore, ma un continuatore preciso dei migliori teorici della scherma italiana. Ammaestrato dall'esperienza, egli tende a far scomparire nell'esercizio della spada, arma destinata a colpire più di punta che di taglio, tutte le azioni che sul taglio si basano, e le riduce a due. Segue il "segno" secondo i precetti del Marozzo; precisa i gradi della spada, adibendo la parte verso il tallone alle parate; considera la parte mediana inefficace contro i tagli, mentre giudica cattiva la punta per la difesa, eccellente, invece, nell'offesa, ecc.
Il trattato migliore fra tutti quelli pubblicati nel sec. XVII viene considerato quello di Nicoletto Giganti, intitolato scuola ovvero Teatro di Spada (Pisa 1606), ristampato nello stesso anno a Venezia. Il Giganti fu il primo a chiamarsi semplicemente "maestro d'armi" e fece stampare il suo trattato dopo ventisette anni d'insegnamento. Il suo libro è ancor oggi considerato dai competenti come rinnovatore della scherma, che cominciava a dare segni evidenti di stanchezza per essersi imbastardita con azioni e precetti nuovi tolti inconsideratamente a prestito dagli stranieri: precetti già condannati da due secoli dai grandi trattatisti italiani. Il Giganti prescrive infatti l'avanzata del piede destro, e dice le ragioni della teoria dell'"a fondo" dalla posizione di guardia di difesa, come oggi si pratica. La chiamò "stoccata longa", e basta leggerne la descrizione per ricevere l'impressione di vederla eseguita con quella esattezza che caratterizza gli schermitori italiani odierni. Le "parate di contro" furono pure ideate dal Giganti con precisione matematica di "tempo" e di "misura", e chiamate con i nomi, che pur oggi conservano, di "controcavazione dentro della spada" e "controcavazione di fuori"; infine egli creò la "fianconata", ch'è tutt'oggi una delle azioni più efficaci della scherma italiana. Contrariamente all'Agrippa, egli non vuole arrestare l'audace avanzata dell'avversario minacciandolo con la punta della spada al piede innanzi, ma, seguendo il precetto tassiano, vuole che la punta della spada sia sempre rivolta agli occhi di chi attacca decisamente. Tutti questi "precetti nuovi" sono descritti con naturale semplicità; dalla quale il Giganti non si allontana nemmeno nella descrizione della "tagliata", ch'egli chiama "passata con finta sopra della spada", e che gli schermitori francesi dell'Ottocento adottarono col nome di coupé.
Nel primo quarto del Seicento la "lotta" e le "prese" si erano staccate completamente dallo schermire per vivere di vita propria con fini diversi; mentre lo studio del maneggio delle armi inastate (picca, alabarda, ronca, roncone, ecc.) si era imposto quando le milizie a piedi, per il loro numero sorpassanti quelle a cavallo, furono equipaggiate con tali armi. Ed ecco Pistofilo Bonaventura pubblicare un'interessante Oplomachia (Siena 1621) e Il Torneo (Bologna 1627), seguito da Francesco Alfieri con La Scherma (Padova 1640), con La Picca e la Bandiera (ivi 1641) e altri particolari trattati sulla spada e sullo spadone a due mani. Antonio Vezzani, invece, scrive L'esercizio accademico di Picca (Parma 1688) "per regolare con precetti definiti e fissi l'esercizio pratico delle armi" allora in uso presso le milizie, come mezzo di difesa e di offesa. Tutti questi trattati non ebbero alcuna influenza sulla scherma; tutt'al più costituirono un'ulteriore prova della genialità naturale dei maestri italiani, desiderosi di rianimare un'arte destinata a trasformarsi per le mutate condizioni militari. Nuovo contributo, invece, all'arte schermistica italiana, venne dalla Scherma illustrata (Palermo 1670) di Giuseppe Morsicato-Pallavicini, palermitano. Egli volle far rivivere l'antico in tutto ciò che gli sembrava eccellente, semplificando quanto più possibile i precetti della "scienza pratica artificiosa", com'egli chiama l'arte sua. Divise la spada in tre gradi, corrispondenti agli odierni; ridusse le guardie a quattro (come il Fabris) e insegnò ad impugnare l'arma in maniera più solida ed efficace. Esaltò l'importanza della "misura" e del "tempo". Chiamò "tirare in moto" l'azione di prendere il tempo che trova riscontro nell'attuale "colpo d'arresto". Volle che la finta non intimorisse o scomponesse l'avversario, ma lo ingannasse nel ferire, sì che ne guadagnassero il tempo e la misura.
Francesco Antonio Marcelli nelle Regole della scherma insegnata da Lello e Titta Marcelli (Roma 1686) narra le glorie della sua famiglia, che dette armigeri celebri per oltre due secoli, assicurandosi il predominio dello schermire a Roma e a Napoli. Il Marcelli considera il Morsicato-Pallavicini "professore di scuola antica", antagonista suo e di G. Villardita. Dall'incontro del Morsicato con i Marcelli derivò il dualismo tecnico che da allora quando più e quando meno tenne desti gli spiriti e la combattività degli schermitori italiani. Esaminando peraltro obiettivamente il trattato del Marcelli, si nota che gli ottimi precetti in esso esposti non differiscono da quelli insegnati dal Morsicato se non in particolari di secondaria importanza, relativi alla posizione del braccio o del corpo, nell'esecuzione pratica di talune azioni, e non di tutte: differenze più apparenti che sostanziali, armonizzate poco dopo da Bondì di Mazo, veneziano, nel pregevolissimo trattato La spada maestra (Venezia 1696).
Anche in Francia i trattatisti abbondano nel Seicento. G. La Perche (1605), il marchese De la Béraudière (1608), il signore De Villamont (1609), G. Thibault (1630), L. De Gaya (1678), R. De Liancour (1686) espressero nei loro trattati, dei quali taluni assursero a monumenti tipografici, quanto essi sapevano, rimanendo, peraltro, stazionarî o quasi negli antichi precetti importati dall'Italia un secolo prima. Le altre nazioni, come la Germania e l'Inghilterra, ebbero i loro maestri trattatisti, ma in numero esiguo per quantità e per qualità; mentre in Spagna gli autori del Seicento non fecero che ripetere, spesso in riassunto, quanto avevano scritto in Italia e in Francia i contemporanei.
Nel Settecento le discipline schermistiche decaddero. Gli archibugiari perfezionavano continuamente le armi da fuoco, e l'uso della spada nelle vicende guerresche prese un posto secondario. Gli eccellenti maestri scomparvero, i buoni furono pochi e i trattatisti pochissimi. Costantino Calarone, detto "L'Anghiel", pubblicò La Scienza pratica necessaria all'uomo, ecc. (Roma 1714), nella quale ricopiò malamente i precetti del Morsicato e del Marcelli, Alessandro Di Marco pubblicò i Ragionamenti accademici intorno all'arte della scherma (Napoli 1758), lavoro di nessun valore tecnico; mentre A. Bremond Picard, che godeva nome di eccellente schermitore, si limitò alla redazione di un Traité en raccourci sur l'art des armes (Torino 1782). La Francia meno dell'Italia risentì dell'abbandono della scherma, perché all'esercizio faticoso della spada sostituì quello del fioretto (v.), da tempo usato nelle sale italiane per la lezione col nome di "spada nera". La scherma col fioretto fu chiamata "arte nuova francese", la quale trovò il suo assertore in R. Labat, prima con L'art en fait d'armes, ou de l'épée seule (Tolosa 1696), poi con la Question sur l'art en foit d'armes ou de l'épée (ivi 1701). Per un quarantennio nessun altro lavoro di merito arricchì la letteratura francese della scherma; ma nel 1770 A. Batier stampò un'assennata Théorie pratique de l'escrime.
Nel 1775, nel tomo V dell'Encyclopédie del Diderot e D'Alembert veniva riprodotta con tutte le tavole relative L'école des armes avec l'explication générale des principales attitudes et positions concernant l'escrime di cui la prima edizione apparve in francese a Londra nel 1763. N'era autore un italiano, Angelo Termamondo dei conti Malevolti, livornese.
Dal lato tecnico il lavoro del Malevolti appare eccellente ed ancor oggi è citato come il trattato fondamentale della scherma francese.
Soppresse nel 1791 tutte le corporazioni dall'Assemblea nazionale anche quella dei maestri d'arme di Parigi sparì dopo 223 anni. Nell'Ottocento la scherma francese riprese vigore come istituzione e insegnamento privati. Solo nel 1886 fu fatta sorgere l'Accademia d'armi, sempre con carattere privato, che riuniva i più rinomati maestri del momento.
Il Belgio risentì sempre dell'attività schermistica della Francia. Nel sec. XIX vi si contavano oltre cinquanta associazioni fiorentissime di schermitori. L'Accademia fondata a Bruxelles durante il dominio degli Spagnoli ebbe sino all'Ottocento grande importanza per gli assalti pubblici, prescritti onde ottenere il diploma di maestro per la Spagna e per l'Inghilterra. A Gand, invece, esisteva una delle tante società ("gilde") unite fra loro da particolari legami. Ma anche queste furono soppresse dalla rivoluzione francese. Sopravvisse la Confrérie de Saint Michel; ma senza gli antichi privilegi, essendosi trasformata in un circolo privato di scherma.
Le università rappresentarono sino all'Ottocento i principali centri schermistici della Germania. La rivoluzione francese vi sostituì la Schlaeger e la Rappier alla spada, armi tra loro consimili e non pericolose, che gli studenti adoperarono nelle Mensuren (v. duello). La scherma, come veniva gloriosamente praticata nelle antiche Fechtschulen e dall'associazione dei maestri di scherma tedeschi, la Bürgerschaft von St. Markus von Löwenburg, non esiste più. Lo scopo di tali corporazioni era quello di assicurare all'associazione il monopolio dell'insegnamento dello schermire con ogni specie d'armi. I Marksbrüder resero popolare in Germania la scherma italiana, contrastata dai Federfechter, i quali prediligevano la cosiddetta Feder (spadancia, rapière, striscia), assai più leggiera della spadona e della spada usuali. Essi rivolsero una lunghissima serie di sfide ai Marksbrüder, i quali verso il Seicento, per aver pace, finirono per adottare anch'essi la Feder.
I Tedeschi furono in tutti i tempi eccellenti nel maneggio del Dusack (specie di sciabola larga, corta, ricurva) e dello Schwert (specie di spadone a due mani). Però nessun trattato originale fu da essi scritto intorno all'arte della scherma, e solo nel 1664 J. D. L'Ange, d'origine francese fece stampare a Heidelberg un suo trattato sommario, desumendolo dagli autori francesi.
In Inghilterra la scherma fu portata dagl'Italiani sino dal sec. XV, e si svolse quasi esclusivamente a Londra. Prima che vi si recassero gl'Italiani lo schermire vi era proibito, o era semplicemente tollerato. Sotto Enrico VIII la sorte dei maestri schermitori migliorò; fu creata la corporazione dei maestri "della nobile arte della difesa", le furono accordati privilegi e fu concesso anche agli stranieri di farne parte. Tra i professionisti inglesi ebbero nome sino dal Cinquecento Robert Green, J. Tarlton e George Silver. Nel sec. XVII, peraltro, tanto la scherma italiana quanto quella francese perdettero terreno in Inghilterra, e non riebbero il favore del pubblico se non dopo l'arrivo a Londra dell'italiano Malevolti già ricordato. Attualmente la scherma non interessa eccessivamente il popolo inglese, assorbito da giuochi più violenti e meno difficili ad apprendersi che l'arte delle armi.
Al principio dell'Ottocento i capitani P. Grisetti e G. Rosaroll-Scorza, scolari dell'eccellente maestro napoletano Tommaso Bosco, fecero stampare a Milano (1803) La scienza della scherma, col nobile intento di riportare la gloriosa arte italiana delle armi alle antiche tradizioni. È doveroso considerarli come i rigeneratori della scherma nazionale.
Nel sec. XIX moltissimi scrissero di scherma, copiando e ripetendo quello che i grandi maestri antichi avevano ideato e scritto; e sebbene nessun trattatista moderno abbia arrecato alcun che di veramente nuovo nello schermire, i loro lavori ebbero il merito di rinvigorire nella nazione l'amore per un esercizio ammirevole. Fra tutti primeggiò Alberto Marchionni, la cui scuola d'armi a Firenze divenne in breve il ritrovo di tutta la nobiltà liberale toscana. Nel 1847 egli dette alle stampe un Trattato di scherma sopra un nuovo sistema di giuoco misto di scuola italiana e francese, che la Crusca annoverò tra i testi di lingua; ebbe scolari eccellenti, che divulgarono il suo insegnamento con successo fino a quando l'Italia, ricostituitasi a nazione, sentì la necessità di ripristinare una sua scherma prettamente nazionale.
Tecnica. - La scherma moderna, intesa come arte del maneggio delle armi a scopo sportivo, comprende, nella teoria e nella pratica, due scuole principali: l'italiana e la francese, fondate su identici principî eppur distinte fra loro. Le differenze stilistiche fra le due scuole, sensibilissime fino ad appena una ventina di anni addietro, tendono tuttavia a fondersi in un'unica concezione della scherma moderna che è meno spettacolare, ma certo, da tutti i punti di vista, più pratica di quella dei tempi andati. Benché la scherma possa essere considerata, in senso generale, come un'arte complessa in cui i principî fondamentali sono eguali per tutte le applicazioni, sarebbe impossibile darne qualsiasi cenno senza distinguere le tre armi che, a norma dei vigenti regolamenti internazionali, vanno considerate nell'ordine seguente: fioretto, spada, sciabola.
Fioretto. - Fioretto e spada sono stati, almeno nella denominazione, confusi tra loro sino alla fine del sec. XIX. Oggi il fioretto è l'arma della convenzione, l'arma classica, fondamentale, con la quale dovrebbe esser sempre iniziato lo studio della scherma. Il bersaglio valevole va dalla parte superiore del collo sino alla linea della piega inguinale, escluse le braccia fino alla spalla. Il peso totale dell'arma dev'essere inferiore a 500 gr., la lunghezza della lama inferiore a 900 mm., la lunghezza totale inferiore a 1100 mm. Il fioretto italiano si distingue nettamente dal fioretto francese; il primo è caratterizzato da una barretta trasversale ("gavigliano") che permette una più solida presa senza diminuire notevolmente la sensibilità della punta nella mano di chi lo impugna. Quantunque possa apparire diverso, il modo d' impugnare le due armi è invece sostanzialmente eguale.
Di capitale importanza nell'esercizio della scherma è il primo assetto che il maestro dà all'allievo, giacché l'estetica, più che fine a sé stessa, è il mezzo più sicuro per progredire nell'arte. Così la "guardia", ch'è, in sostanza, la posizione più favorevole per l'attacco e la difesa, i "passi avanti e indietro" e l'"a fondo", cioè lo stendersi col corpo per raggiungere l'avversario, costituiscono il fondamento di ogni meccanica schermistica. Una nozione, per quanto sommaria, della tecnica della scherma non può trascurare di far cenno di "attacchi", di "parate", di "risposte". L'"attacco" è l'azione offensiva, e può essere semplice, composto, da fermo, camminando. L'attacco si dice semplice quando è fatto in un tempo solo, composto quando è preceduto da una o più finte, da fermo quando è eseguito senza muovere il piede sinistro (o destro per lo schermidore mancino), camminando quando, per portarsi alla giusta misura, viene eseguito un passo avanti strisciando sul suolo, alla francese, o saltando, all'italiana. In genere la scherma francese cura in modo particolare la finezza del pugno e la sensibilità della mano, riducendo al minimo il gioco di gambe che spesso, negli schermidori più classici, si riduce all'"attacco da fermo"; la scherma italiana invece, pur non trascurando quanto si riferisce alla meccanica del braccio, reso più autoritario dall'arma generalmente legata al polso con un nastro o un cinturino, sfrutta al massimo grado l'elasticità delle gambe per l'attacco da lontano, col passo avanti e a fondo, in due tempi, chiamato anche "attacco di balestra". Nella scherma d'oggi conviene considerare fra gli attacchi anche la "flèche", che consiste nel partire portando il piede sinistro (il destro per il mancino) avanti al destro (il sinistro per il mancino).
Le "parate" hanno lo scopo di deviare il ferro avversario, e la scherma di fioretto più moderna le riduce ormai a quattro: terza, quarta, mezzocerchio (o settima), seconda (o ottava), con le unghie sempre rivolte in alto. Non si ravvisa più, infatti, la necessità di girare la mano con le unghie in basso allo scopo di ottenere una maggiore potenza. La parata si chiama "di tasto" quando il ferro percorre un cammino rettilineo, "di contro" quando invece il ferro descrive una o più circonferenze. La parata avviene normalmente dalla posizione di guardia, quantunque si tenda sempre più a eseguire la parata anche dalla posizione di a fondo, a seguito di un attacco senza successo.
La "risposta" è l'attacco che segue la parata, la "controrisposta", l'attacco che segue la controparata. La risposta può essere: semplice, e cioè in un solo movimento, o composta, e cioè in più movimenti. La "risposta semplice" può essere a sua volta "diretta", se viene eseguita nella stessa linea in cui si trova il ferro, o "indiretta", se viene eseguita in un'altra linea. La risposta può essere inoltre immediata, se segue immediatamente alla parata, o con intervallo se fra la parata e la risposta corre un tempo schermistico.
Si considerano, nella scherma, quattro "linee": alta, bassa, esterna, interna. La linea alta corrisponde alle parate di terza e di quarta; la linea bassa alle parate di mezzocerchio (settima) e di seconda (ottava). La linea esterna si riferisce alla parte destra del corpo, la linea interna alla parte opposta. Un esame anche sintetico delle moltissime azioni che si possono eseguire col fioretto esorbita dai limiti della presente trattazione.
La parte meccanica della scherma dev'essere sviluppata in modo che l'esecutore riesca ad assimilarla quanto più è possibile, sì che la guardia, l'a fondo, tutti i movimenti fondamentali delle braccia e delle gambe diventino altrettanto facili e naturali come il sedersi o il camminare. La velocità del pugno e quella dell'attacco dovranno esser portate gradatamente al massimo, ma sarebbe far torto alla scherma considerare la meccanica pura come unico coefficiente di successo. Oltre al fattore che si può chiamare atletico, è vanto della scherma l'uso del ragionamento, l'impiego costante delle qualità cerebrali, ma neppure le gambe, le braccia, il cervello sono sufficienti per raggiungere la sommità dell'arte. Un altro fattore imponderabile e forse indefinibile, il "tempo", ossia la scelta dell'attimo favorevole, ch'è dote naturale, ma che si affina con l'esercizio, domina il campo.
Sono stati volutamente compresi nel fioretto i capisaldi di un'arte vastissima, il che permette una maggiore brevità nella trattazione delle altre armi.
Spada. - Come il fioretto è l'arma della convenzione, così la spada è, almeno nello spirito del regolamento in vigore, l'arma che abolisce ogni convenzione. La spada, vera arte di toccare senza esser toccati, considera il colpo valevole in qualsiasi parte del corpo. Nella scherma moderna, la spada è nata sul finire del sec. XIX, come reazione ai cattivi fiorettisti i quali, pur senza combattere seguendo i principî dell'arte, mettevano praticamente in difficoltà lo schermidore raffinato. Quasi a ripristinare un'arma che avesse un fine essenzialmente pratico, sia per il duello sia per lo sport, sorse la spada ed ebbe in breve, in Francia come in Italia, cultori appassionati. Oggi è forse l'arma più diffusa nel mondo.
Il peso della spada dev'essere inferiore a 770 gr.; la lunghezza della lama dev'essere inferiore ai 900 mm., la lunghezza totale dell'arma deve essere inferiore ai 1100 mm., il diametro della coccia dev'essere inferiore ai 135 mm. Il regolamento accetta tutti i tipi di spada possibili e immaginabili purché rientrino nei limiti suaccennati e rispondano ad altri requisiti che si omettono per brevità. Praticamente le spade normalmente in uso nel mondo sono di due modelli: italiano e francese. La spada italiana sta alla spada francese come il fioretto italiano sta al fioretto francese, ma oltre al modello italiano classico sono in uso presso gli spadisti anche non italiani varî tipi di spade anatomiche, con l'impugnatura adattabile alla mano. Fra questi tipi, i più noti sono il "S. Malato" e il "Visconti". La spada ha la lama triangolare e termina con la "punta d'arresto" o col "bottone elettrico" (v. appresso: Organizzazione sportiva).
La tecnica della spada, contrariamente a quel che possa sembrare al profano, è nettamente diversa da quella del fioretto, pur avendo in comune tutte le armi i principî basilari della scherma. È d'altronde provato che i massimi esponenti del fiorettismo mondiale, quando hanno voluto studiare la spada, non hanno trovato difficoltà a raggiungere in quest'arma un livello tecnico eguale a quello raggiunto nel fioretto. Dire con poche parole in che consistano le diversità fra il giuoco di fioretto e quello di spada non è agevole; tuttavia si accennerà alle più salienti. La guardia dello spadista, quando fosse veramente studiata, dovrebbe essere più breve, gli attacchi più preparati e più raccolti, le parate assai più rare e quasi esclusivamente ridotte alla terza e alla quarta, da eseguirsi diremmo occasionalmente, giacché l'"arresto" e l'"uscita in tempo" (contrattacchi sull'attacco avversario) costituiscono le azioni fondamentali della spada moderna. Il "controtempo", e cioè il provocare un attacco per procedere in seguito a un contrattacco o a una risposta, è un'altra azione di cui lo spadista avveduto si avvale frequentemente.
Si vedrà appresso che la spada, come oggi si pratica nelle competizioni sportive, tradisce il fine per cui è stata creata.
Sciabola. - Il fioretto e la spada sono soltanto armi di punta; la sciabola, arma di convenzione anch'essa, si usa invece con la punta, col taglio e col controtaglio. Il bersaglio valevole comprende tutta la parte del corpo al disopra della linea orizzontale passante per la sommità delle anche. Il peso totale dell'arma dev'essere inferiore a 500 gr., la lunghezza della lama inferiore a 880 mm., la larghezza minima della lama di 5 mm. La coccia dev'essere di un sol pezzo e deve poter passare in un vano rettangolare con due lati di 150 mm. e altri due di 140 mm. Ogni tipo di sciabola che non risponda a questi requisiti è da considerarsi antiquato o non regolamentare.
Anche se gli Ungheresi hanno talvolta superato gl'Italiani in questa specialità, la sciabola rimane arma tipicamente italiana, e dall'Italia infatti sono usciti tutti i maestri che hanno portato la sciabola in ogni paese del mondo. Taluni pretendono che l'Ungheria abbia oggi creato una tecnica diversa dalla classica tecnica italiana, ma i maestri italiani che hanno diffuso la sciabola sulle rive del Danubio hanno soltanto scarnificato il giuoco dell'arma togliendogli le virtuosità accademiche, un tempo apprezzatissime, per ridurlo opportunamente alle esigenze dei regolamenti sportivi moderni. Il prodigioso sviluppo che la sciabola ha avuto in Ungheria è dovuto, oltre che agli eccellenti insegnanti italiani, al fertile terreno offerto dal temperamento magiaro, alla disciplina della specializzazione in un'arma sola, alla grande popolarità della scherma considerata ormai lo sport nazionale ungherese.
Nella sciabola i colpi di taglio sono, specie all'attacco, i più facili a eseguirsi e i più frequenti; la punta viene usata, nell'attacco e soprattutto nella risposta, dagli schermidori provetti; il controtaglio non è d'uso comune. La vastità del bersaglio rende necessario un maggior numero di parate: la prima, la seconda, la terza, la quarta, la quinta. La sesta che, come la quinta, para esclusivamente il colpo alla testa, tende a scomparire nella scherma moderna. Abbassando il pugno dalle posizioni normali di terza e di quarta, si ottengono la terza bassa e la quarta bassa, utili per parare rispettivamente il colpo al fianco e all'addome. Negli sciabolatori attuali si nota con frequenza l'impostazione di terza-quarta o quella di prima-seconda. In teoria, i due metodi sono equivalenti, ma lo schermidore (e ve ne sono alcuni che ci riescono) dovrebbe poter disporre di ogni parata al momento opportuno senza sentirsi legato a un rigido sistema. Il giuoco largo e spettacolare di sciabola che ha deliziato gli appassionati del secolo scorso è ormai condannato dai metodi moderni, più aderenti al fine agonistico; tuttavia la sciabola rimane l'arma preferita del profano che, nell'ampiezza del giuoco e nella materialità del colpo, ha modo di seguire più facilmente le vicende di un assalto.
In tutte e tre le armi, lo schermidore può usare liberamente il braccio destro come il braccio sinistro, quantunque lo sciabolatore mancino sia più raro che il fiorettista o lo spadista. È risaputo che il mancino offre in genere, all'avversario destro, alcune difficoltà: tali difficoltà sono sensibili al fioretto e alla sciabola, quasi nulle invece alla spada.
Organizzazione sportiva. - La scherma mondiale possiede ormai una organizzazione non inferiore a quella di altri sport. La Fédération Internationale d'Escrime, composta di soli dilettanti, fu fondata il 29 novembre 1913 a Parigi, in seguito al 6° congresso di scherma tenutosi in occasione dell'esposizione di Gand e per iniziativa del francese René Lacroix. Essa ebbe successivamente a presidenti: Albert Féyérick (Belgio), Charles Cnoops (Belgio), André Maginot (Francia), George Van Rossem (Olanda), Eugène Empeyta (Svizzera) e Paul Anspach (Belgio), in carica dal 1932. Il presidente scade automaticamente ad ogni Olimpiade. La sede attuale della Federazione internazionale è Bruxelles e le Federazioni nazionali che vi aderiscono sono quelle dei seguenti stati: Argentina, Australia, Austria, Belgio, Brasile, Bulgaria, Canada, Cecoslovacchia, Cuba, Danimarca, Egitto, Francia, Gran Bretagna, Germania, Grecia, Italia, Iugoslavia, Messico, Monaco, Norvegia, Olanda, Polonia, Portogallo, Romania, Spagna, Stati Uniti d'America, Svezia, Svizzera, Ungheria. L'Italia soltanto dispone del numero massimo dei voti per le questioni generali e per le tre armi. Gli schermidori dilettanti tesserati ammontano attualmente a 3805. L'Italia ha, per molti anni, detenuto il netto primato nel numero delle licenze internazionali; attualmente Francia e Italia hanno quasi un egual numero di tesserati e le due nazioni riunite rappresentano circa i due terzi delle licenze di tutto il mondo.
La Fédération Internationale d'Escrime esercita il diretto controllo sulle massime manifestazioni dilettantistiche, Giuochi olimpici e campionati d'Europa (a cui possono partecipare anche gli schermidori non europei e che sono quindi da considerarsi, come li considera lo statuto internazionale, veri e proprî campionati del mondo); stabilisce i regolamenti, nomina i presidenti di giuria internazionali, vigila sulla disciplina.
La scherma intesa come sport di combattimento ha subito un'evoluzione attraverso i tempi. Dagli "assalti di competenza" e dagli "assalti di classifica" che si disputavano ancora al principio del sec. XX siamo passati alla forma moderna di gara: il torneo o l'incontro. L'assalto accademico, pur perdendo d'importanza, è ormai tollerato quando si esibiscano grandi campioni. Il confronto diretto fra due schermidori costituisce l'incontro, che viene disputato normalmente in un numero di colpi variabile da 8 a 16; il torneo è invece il concorso libero a tutti, in campo nazionale o internazionale.
Tornei massimi, come abbiamo accennato più sopra, sono i campionati d'Europa che hanno luogo tutti gli anni, in stati diversi, e i Giuochi olimpici che hanno luogo ogni quadriennio. I campionati d'Europa sono sospesi negli anni in cui si celebrano le Olimpiadi.
Ai Giuochi olimpici e ai campionati d'Europa vengono disputate le seguenti gare: fioretto a squadre, individuale di fioretto, spada a squadre, individuale di spada, sciabola a squadre, individuale di sciabola. Dalla 8ª Olimpiade (Parigi 1924) fu ammessa anche la gara individuale femminile di fioretto e dal 1933 si disputa anche, ai campionati d'Europa, la gara femminile di fioretto a squadre. Le squadre sono, per le gare ufficiali, composte da 4 schermidori effettivamente partecipanti, e ogni schermidore deve incontrare tutti gli schermidori della squadra avversaria. Vincitrice è la squadra che ottiene il maggior numero di punti. Tutte le gare, di squadre o individuali, a tutte le armi, si svolgono col sistema dei gironi eliminatorî seguiti da un girone finale. In ogni girone eliminatorio passano al grado successivo almeno il 33% dei partecipanti e almeno il 50% alla spada, quando il torneo si disputi a un colpo solo. Le gare di fioretto e di sciabola si svolgono a 5 colpi effettivi; alla spada, finora, a 3 colpi effettivi.
La giuria è composta di un presidente e di quattro membri. Il presidente sorveglia più specialmente l'insieme del giuoco, mentre i giurati (due per parte) constatano la materialità del colpo che può ricevere lo schermidore posto sotto il loro controllo. Al fioretto e alla sciabola, tutte le gare si svolgono sulla pedana di legno, ricoperta o no di linoleum. Le dimensioni regolamentari della pedana sono: per il fioretto, larghezza da m. 1,80 a m. 2, lunghezza m. 12; per la sciabola, larghezza come per il fioretto, lunghezza m. 24. Alla spada, invece, le gare possono svolgersi anche su terreno battuto: la pista o la pedana devono avere in ogni caso la dimensioni seguenti: larghezza da m. 1,80 a m. 2, lunghezza m. 34. Praticamente alla spada e alla sciabola, quando non si disponga di tanto spazio, lo schermidore viene rimesso in guardia al centro, una o più volte, fino ad usufruire della intera lunghezza regolamentare.
La spada è chiamata comunemente anche "spada da terreno" perché, come si è accennato nella trattazione tecnica dell'arma, essa dovrebbe essere un'arma essenzialmente pratica, tale insomma da assimilare la scherma al duello. Ma i regolamenti stabiliti dalla Fédération Internationale ne sviano la concezione primitiva, sia nei riguardi della pluralità dei colpi in ogni assalto, sia nei riguardi del giudizio tecnico sui colpi stessi, così come l'uso, più che il regolamento, lo impone. È allo studio (1935) una riforma: o la spada tornerà ad essere disputata sempre sul terreno e sempre a una botta (il che è più probabile) o, con vantaggio dell'arte, assumerà anch'essa, sia pure con una tecnica e un fine diversi, una sua particolare convenzione. La spada, quasi sempre in sala, sempre nelle competizioni, termina con una "punta d'arresto" a tre o quattro branche della lunghezza massima effettiva di 2 mm., che serve a fermare il colpo, specie sul braccio avversario. La scherma di spada è andata d'altronde evolvendosi sì da chiedere anche all'elettricità l'esattissimo giudizio sul colpo. Un apparecchio elettrico studiato dapprima in Francia e poi praticamente attuato a Ginevra dall'ing. L. Pagan, che lo costruì per la Société d'escrime, ha dato risultati eccellenti. Tale apparecchio fu adottato ufficialmente per la prima volta al torneo di Nizza del 1932 ed è ormai prescritto dalla Fédération Internationale per tutte le grandi competizioni dell'arma. Apparecchi segnalatori, tutti con lo stesso sistema, si fabbricano oggi dovunque.
In Italia, la Federazione nazionale fu fondata nel 1909 ed ebbe successivamente a presidenti: il conte Enzo Ravaschieri, il conte Edoardo Negri de Salvi, il ten. gen. Ernesto Bertinatti, l'on. Carlo Montù, l'on. Alfredo Rocco, l'on. Giuseppe Mazzini, Nedo Nadi, attualmente (1935) in carica. La Federazione fu scissa un tempo in due rami, per il nord e per il sud d'Italia, si riformò quindi sotto il nome di Confederazione italiana di scherma ed è ritornata ora Federazione italiana di scherma (F. I. S.), alle dipendenze del Comitato olimpico nazionale italiano (C. O. N. I.). Ha la propria sede nello stadio del P. N. F. (Roma). La F. I. S. ha unificato la tessera nazionale con quella internazionale, sicché il numero dei dilettanti affiliati è identico al numero degli schermidori italiani muniti di licenza internazionale.
I professionisti italiani sono inquadrati nella F. I. S. dal 1935, ma non esiste praticamente una federazione internazionale della categoria. Una prima organizzazione mondiale dei professionisti fu tentata ad Anversa nel 1930 sotto la presidenza del belga E. De Bel, ma non ebbe vita duratura.
Si riportano qui appresso i nomi dei vincitori dei tornei schermistici ai Giuochi olimpici, dei campionati d'Europa e d'Italia e dei campionati professionistici. Gioverebbe tener conto anche dei grandi incontri internazionali, alcuni dei quali di somma importanza, ma la quantità dei risultati e la difficoltà della scelta consigliano di non fornirne un elenco. Non è d'altronde superfluo segnalare che l'Italia, nel complesso delle tre armi, può essere considerata all'avanguardia nella scherma del mondo.
Campionato del mondo per professionisti.
Soltanto alla spada è stato disputato in via ufficiale, ma molto saltuariamente, il campionato del mondo per professionisti. L'ultimo torneo per l'assegnazione del titolo ebbe luogo ad Anversa nel 1930 e fu vinto da Nedo Nadi (Italia).
La scherma di bastone. - Accanto alla scherma praticata con armi bianche, è stata ed è in uso quella col bastone, coltivata sia a scopo sportivo, sia per difesa personale.
Della scherma di bastone troviamo tracce fino nell'Egitto antico; e anche nel Medioevo e oltre, fino al Settecento, se ne apprezzò l'efficacia contro gli assalti d'individui anche provvisti di spada o di pugnale. Si ebbero, specie in Francia e in Inghilterra, frequenti incontri "accademici" con varie specie di bastoni da combattimento (tipico il singlestick inglese, che ai suoi inizî. nel sec. XVI, era una specie di spada di legno, e il cui uso durò, attraverso molte trasformazioni, sino all'Ottocento). Oltre alla scherma con bastoni speciali, veniva poi correntemente insegnata l'arte di difendersi con i comuni bastoni da passeggio. Presso molti popoli primitivi gl'incontri, più o meno serî, fra due antagonisti armati di bastone, sono assai frequenti: così, in Africa, presso i Basuto e gli Zulu, presso i Wanyaturu, i Wasandawi, e in genere le popolazioni tra il deserto di Masai e il Lago Vittoria; così nelle Isole Caroline, nell'Arcipelago della Sonda, nelle Hawaii. I bastoni adoperati variano nella dimensione e nell'uso: alcuni li impugnano nel centro, altri da un capo; alcuni si valgono di scudi più o meno rudimentali o di bastoni di parata, altri offendono e si difendono con la medesima arma.
Nei tempi moderni, la scherma sportiva di bastone (kenjutsu) ha conservato notevole importanza in Giappone: i contendenti, opportunamente protetti da maschere e corazze, impugnano a due mani grossi e lunghi bastoni di bambù con i quali attaccano e si difendono; sono vietati i colpi alle gambe; ammessi quelli al capo, al collo, ai lati del corpo, al braccio destro.
In Francia, specialmente nel nord, la scherma di bastone è tuttora praticata e insegnata: si adoperano bastoni lunghi poco più di un metro, assottigliati gradualmente verso un'estremità; i colpi si portano sia con l'apice sia col lato del bastone, e sono diretti a qualsiasi parte del corpo; il bastone viene impugnato a 607 cm. dall'estremità più grossa, con una mano, eccezionalmente con due; tanto i colpi quanto le parate possono essere "di quarta" e "di terza", cioè con direzione da destra a sinistra o da sinistra a destra rispettivamente. Colpi usati anticamente come i brisés, i fouettés, ecc., sono caduti in disuso perché riconosciuti di scarsa efficacia; i "mulinelli" sono conservati come esercizî preliminari, destinati, insieme con varî altri, a rendere più elastici e pronti i movimenti, e in genere ad abituare l'allievo al maneggio dell'arma.
Praticata tanto con la destra quanto con la sinistra, la scherma di bastone è un utile esercizio per lo sviluppo dei muscoli pettorali, addominali, dorsali e lombari; e al pari della scherma di sciabola e di spada abitua al sangue freddo, all'"occhio", alla prontezza dei riflessi, ecc. In Italia, peraltro, essa è assai scarsamente praticata, causa la preminenza assunta dalla scherma con le armi bianche.
V. tavv. VII e VIII.
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Per la tecnica della scherma, v. principalmente: C. Enrichetti, Trattato di scherma, Parma 1871; G. Radaelli, Istruzione per la scherma di sciabola e spada, voll. 2, Milano 1885; C. Prévost, Théorie pratique de l'escrime, Parigi 1886; F. Masiello, La scherma italiana di spada e sciabola, Firenze 1887; E. Desmedt, La science de l'escrime, Bruxelles 1888; E. Pini, Scherma di spada, Livorno 1904; J. Joseph-Renaud, Méthode d'escrime à l'épée, Parigi 1909; A. Viguier, Vocabulaire d'escrime, Tolosa 1910; A. Greco, La spada e la sua disciplina d'arte, Roma 1912; id., La spada nella sua realtà, ivi 1930; H. Levene, La esgrima y el duelo, Buenos Aires 1914; id., Teoría de la esgrima, ivi 1929; E. von Ciriacy-Wantrup, Sportfechten, Lipsia 1925; M. Parise, Trattato teorico-pratico della scherma di spada e sciabola (fuori commercio, ad uso della Scuola centrale militare di educazione fisica), Civitavecchia 1927; C. Pessina, Scherma di spada (idem), ivi 1927; id. Scherma di sciabola (idem), ivi 1927; L. Bertrand, Cut and Thrust, Londra 1927; J. Bay, Contribución al estudio del arte del a esgrima, Buenos Aires 1928; A. Courdourier, L'escrime, Parigi 1928; J. Joseph Renaud, Traité d'escrime moderne, Rouen 1928. V. anche duello.